Il rivoltoso sconosciuto (1989). Ricordo bene dov’ero, quel 5 giugno. Ero nella campagna dei miei suoceri, con alcuni amici, quando arrivarono le notizie su piazza Tienanmen a Pechino e sulla ribellione studentesca (e non solo) che finì nel sangue. Il giorno del massacro fu il 4. La mattina dopo un ragazzo con un sacchetto in mano attraversò la piazza e si fermò davanti a un carro armato. Che rallentò fino a fermarsi. Fu stallo, per un poco. Poi il carro armato provò ad aggirarlo, ma il ragazzo si mise di nuovo davanti al mezzo. Parlarono per un po’, il pilota e lo sconosciuto, poi il ragazzo venne portato via. Non sappiamo da chi, se da altri manifestanti o dalla polizia. Non sappiamo quasi nulla di lui.
Qualcuno scrisse che si chiamava Wang Weilin, che aveva 19 anni e che venne giustiziato dopo pochi giorni. Altri sostengono che sia ancora vivo, e libero. Altri ancora che venne imprigionato per 18 anni in un ospedale psichiatrico e rilasciato solo in occasione delle Olimpiadi di Pechino, nel 2007.
Sappiamo che la sua immagine fece il giro del mondo e che tutti la ricordano.
Mi torna in mente oggi per una doppia analogia. Due giorni fa ho citato il famoso aneddoto di Giorgio Scerbanenco che mi aveva regalato Carlo Lucarelli. Questo:
“Nella sua rubrica di posta per un settimanale femminile, Scerbanenco riceve un giorno la lettera di una donna che vuole suicidarsi. Lui le scrive di non farlo, e in quella risposta mette tutta l’anima dello scrittore. Il giorno dopo legge in cronaca che la signora ha cercato di suicidarsi lo stesso. Tradimento, si dice Scerbanenco: scrivere, allora, è come mettere la mano davanti alla locomotiva. Non serve a niente. Ma non è finita. Un’altra signora, tempo dopo, gli scrive: vuole suicidarsi. Lui risponde, stavolta meno accorato: signora, non lo faccia. Lei riscrive: io lo faccio lo stesso. Lui insiste: non lo faccia. Insomma, dice infine Scerbanenco, sono tre anni che ci scriviamo, e ovviamente la signora è viva. Allora, la mano davanti alla locomotiva serve a farla almeno rallentare. Il senso della scrittura è quello, credo”.
Qualche anno fa avevo raccontato quell’aneddoto ad Andrea Camilleri, che mi rispose: “Sì, ma uguale merito va al guidatore della locomotiva”.
In effetti, quando Time elesse il Rivoltoso sconosciuto a persona dell’anno, scelse questa motivazione:
“gli eroi nella fotografia del carro armato sono due: il personaggio sconosciuto che rischiò la sua vita piazzandosi davanti al bestione cingolato e il pilota che si elevò all’opposizione morale rifiutandosi di falciare il suo compatriota”
Il pacifismo non è mai solitario. Non c’è mai un io, c’è sempre un noi.