Guerra della fosforite (1987). Siamo in Estonia, all’epoca Repubblica socialista sovietica estone. Dagli anni Sessanta l’Unione Sovietica sfruttava i depositi di fosforite estoni per trarne fertilizzanti. Le falde acquifere vennero però contaminate.
Si parte così. Si parte da un’appropriazione che, come spesso avviene, si concentra sull’attimo senza preoccuparsi del futuro. Non lo abbiamo fatto anche noi, nel grande e nel piccolo, per anni e anni?
Poi, a volte, si esagera. Nel 1987, viene resa nota l’intenzione del governo sovietico di aprire una immensa miniera di fosforite a Virumaa. Di qui, quella che viene chiamata “la Guerra della Fosforite”, nonviolenta, pacifica, vincente.
Intanto, la stampa locale si rifiutò di censurare le proteste e anzi supportò i cittadini. Con loro si schierarono i membri dell’Accademia Estone delle Scienze. Nella primavera di quell’anno, la discussione pubblica assunse proporzioni non prevedibili. Il 1 maggio gli studenti dell’università di Tartu scesero in piazza con magliette gialle. “Fosforite? No, grazie”. Vennero composte canzoni, vennero organizzate manifestazioni pacifiche.
Nell’autunno del 1987 la costruzione della miniera venne annullata. Non solo: fu da quella protesta che nacque il movimento che ristabilì l’indipendenza estone nel 1991: “liberò la popolazione dal terrore”, venne detto. Venne chiamata, quella, “la rivoluzione cantata”. Disse Kaie Tanner: “Cantando, ci mantenevamo vivi come nazione. Senza canto, l’Estonia non esisterebbe”.
E’ bastato così poco? Non era poco. E, certo, conta il momento storico: due anni dopo quella protesta il muro di Berlino sarebbe stato abbattuto. Eppure, proprio in questi giorni, fa bene ricordare che i canti e le piazze pacifiche hanno portato un grande risultato. Non si può più? Forse. E forse no.