BIBLIOGRAFIA DISARMATA: PIETRO PINNA

Pietro Pinna (1927-2016). Ancora? Ancora. Finché sarà necessario, proseguo il racconto, nomino le storie e le vite di cui si rischia di perdere traccia. Ho conosciuto Pietro Pinna attraverso un manifesto, anche qui. Un volantino, per meglio dire: niente immagini, tutto testo: “4 novembre, non festa ma lutto”.  E sotto, in caratteri più piccoli: “per le autorità militari, civili e religiose (?!) questo è un giorno di festa. Per le masse popolari è un giorno di lutto”. In fondo, una frase che avrei sentito nominare spesso in quella metà degli anni Settanta: “Né un uomo né un soldo per la guerra! No a tutti gli eserciti”.

In questi giorni penso che abbia fatto la differenza, e non piccola, attraversare la giovinezza con i nonviolenti e i disobbedienti e i pacifisti, senza aver ascoltato le sirene della violenza, di piazza o clandestina che fosse. Allora si pensava che davvero fosse possibile costruire un’alternativa a una storia durata millenni. Naturalmente non lo pensavo solo io, che poco contavo e conto, ma persone come Aldo Capitini e, appunto, Pietro Pinna, che a Capitini è legato e che per quel manifesto venne arrestato a Perugia e condannato per direttissima per vilipendio alle Forze armate. Era il 1973.
Pietro Pinna scrisse a Capitini , quando, nel 1948, venne chiamato alle armi. Ma aveva vissuto la Seconda Guerra Mondiale, e si rifiutò. Prima, però, inviò una lettera:

“Egregio sig. Capitini, sono persona a lei sconosciuta. Mi chiamo Pietro Pinna e nacqui in Liguria vent’anni fa, ma sin dalla mia infanzia ho vissuto a Ferrara. Attualmente mi trovo alla Scuola Allievi Ufficiali Complemento di Lecce, chiamatovi di leva dal settembre dell’anno in corso. (…) Sarebbe maggior desiderio mio attuale di disertare la vita militare per obbiezione di coscienza. Le sarei veramente grato se volesse dirmi qualche cosa in merito, specie per quanto riguarda le punizioni a cui verrei incontro, sia ora sia in caso di guerra. Comprendo benissimo che nessuna indecisione dovrebbe trattenermi, di fronte alla convinzione della santità dell’idea. Saranno considerazioni egoistiche quelle che mi spingono a scriverle (il pensiero di mia madre, forse, verso cui sono debitore di tante cose), ma mi pare che ciò che più mi attendo da Lei sia il conforto della Sua parola. Sarebbe una cosa bellissima se potesse farmi ricevere la sua risposta entro il venti del mese, perché dopo tale data andrò in licenza per le feste natalizie dal 21 dicembre al 2 gennaio e, come può immaginare, mi sarebbe utilissimo per regolare in proposito il mio comportamento durante detta licenza. (…)”

Capitini, in quegli anni, organizzava incontri e convegni con il Movimento di religione. Pinna lo conosce così. Nel corso della corrispondenza matura la decisione e nel febbraio 1949 scrive a Capitini direttamente dal carcere:

“Il giorno 6 febbraio mi sono così presentato a questo 1° C.A.R. di Casale Monferrato. È avvenuto che qui non hanno voluto dar ascolto alle mie chiacchiere, anche perché già alcuni mesi fa un altro ragazzo, appartenente ad una certa associazione dei figli di Jehova mi sembra diede loro non pochi grattacapi sempre per la questione di non voler fare il militare alla fine però riuscirono a convincerlo ed egli si rassegnò e sottomise.
Visto così non mi è restato altro che farmi vestire in tutta fretta e, un minuto dopo, esser messo in prigione per rifiuto di obbedienza.
Da ieri mi trovo perciò dentro in attesa finalmente di una decisione definitiva, e dalla prigione sto in questo momento scrivendo”.

Pietro Pinna fu il primo obiettore di coscienza italiano. Venne condannato a 18 mesi di carcere. Ma Capitini, intanto, si muove:

“Pisa, 13 febbraio 1949

Carissimo Pinna,

ho avuto le tue lettere e rispondo assicurando che di ciò che le accade ho informato molti, anche un parlamentare. Lei ha capito che non ho voluto influire nella Sua decisione sapendo bene i dolori che Le verranno per la Sua idea, che è anche quella di Silvano Balboni e mia. Poteva essere comodo, dallo stato in cui ora mi trovo, immune a tale obbligo (al quale contrasterei con la stessa fermezza che Lei dimostra), esortare ad incontrare le punizioni che una legge incivile assegna. Mi scriva, Le riscriverò a giro di posta. In questi giorni in Italia e all’Estero sarà noto il Suo caso (che non è il solo), e il suo attuale sacrificio sarà utile a tanti altri, come guida ad una società migliore e servirà come elemento prezioso a tutti quelli che operano per una legge che riconosca l’obbiezione di coscienza; la quale, senza dei generosi che pongono con la loro azione di rifiuto il problema non arriverebbe in porto. Questo scriva a Sua madre, del lavoro per questa legge. Ma le faccia anche capire la Sua fermezza nell’idea: le madri capiscono.

Quando io fui cacciato dal posto per il rifiuto di iscrivermi al partito fascista e fui due volte per mesi e mesi in prigione, mia madre capiva.

Un abbraccio dal Suo Aldo Capitini”

In molti si mossero per lui: dalla figlia di Tolstoj, Tatiana, a politici e parlamentari inglesi. Pinna venne riformato per “nevrosi cardiaca”. Ma da quel momento affiancò Capitini: insieme organizzarono la prima marcia della pace Perugia-Assisi, nel 1961. Molto più tardi fu tra gli organizzatori della Marcia Catania-Comiso (24 dicembre 1982 – 3 gennaio 1983) per protestare contro l’installazione della base missilistica statunitense, prima azione concreta di lotta nonviolenta contro le installazioni militari in Italia. Militò sempre nel  Movimento nonviolento. Continuò a farsi arrestare e si continuò a mobilitarsi per lui.

Gli si deve moltissimo, al primo disobbediente. Lo si incrociava a volte in via Torre Argentina, serio e senza nessuna voglia di abbandonare una lunga storia che avrebbe potuto cambiare tutto. Magari, prima o poi, accadrà davvero.

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