José Saramago (1922-2010). Già, Saramago. Il Nobel per la letteratura. Il grandissimo scrittore. Il senza-paura, perché, diceva, più si diventa vecchi, più si diventa liberi, e più si diventa liberi più si diventa radicali. Colui che, nell’ultimo libro rimasto incompiuto, Alabarde Alabarde, raccontava il traffico di armi, colpito dall’idea che non ci fosse mai stato uno sciopero in una fabbrica di armi, ma forse un sabotaggio, come si narrava nella storia di una bomba che non esplose nella Guerra Civile Spagnola e che aveva all’interno un foglio con scritto in portoghese: «Questa bomba non scoppierà».
Sul blog ne aveva scritto, il 26 maggio 2009:
“Il mercato delle armi, soggetto alla legalità più o meno flessibile di ogni paese o al semplice e sfacciato contrabbando, non è in crisi. Mi spiego, la tanto sofferta e chiacchierata crisi che sta rovinando fisicamente e moralmente la popolazione mondiale non tocca tutti. Ovunque, in ogni dove, i disoccupati si contano a milioni, ogni giorno migliaia di aziende dichiarano il fallimento e chiudono i battenti, ma non c’è notizia di un unico operaio di una fabbrica di armi che sia stato licenziato. Lavorare in una fabbrica di armi è un’assicurazione sulla vita. (…) Per tutta la vita ho aspettato di vedere uno sciopero generale in una fabbrica di armi, ho aspettato inutilmente, perché un tale prodigio non è accaduto né mai accadrà. E questa era la mia povera e unica speranza sulla possibilità che l’umanità fosse ancora capace di cambiare strada, direzione, destino”.
Erano passati solo sei anni dal discorso che, nel marzo del 2003, Saramago tenne a Madrid davanti a quattrocentomila persone. Era il Manifesto contro la guerra in Iraq, e non farà male ricordarne alcuni passi.
“Credevano che ci saremmo stancati delle proteste e che li avremmo lasciati liberi di continuare la loro allucinante corsa alla guerra. Si erano sbagliati. Noi, che stiamo manifestando qui oggi e in tutto il mondo, siamo come quella piccola mosca che ostinatamente ritorna ancora e ancora per conficcare il suo pungiglione nelle carni della bestia. Siamo, in parole povere, chiare ed enfatiche in modo che siano meglio comprese, la mosca che infastidisce il potere.
Vogliono la guerra, ma non li lasceremo in pace. (…)
Non dite ai signori e alle signore del potere che manifestiamo per salvare la vita e il regime di Saddam Hussein. Mentono con tutti i denti che hanno in bocca. Dimostriamo, questo sì, per il diritto e per la giustizia. (…)
Finora l’umanità è sempre stata educata alla guerra, mai alla pace. Le nostre orecchie sono costantemente stordite dall’affermazione che se vogliamo la pace domani non avremo altra scelta che fare la guerra oggi. Non siamo abbastanza ingenui da credere in una pace eterna e universale, ma se gli esseri umani sono stati in grado di creare, nel corso della storia, bellezze e meraviglie che nobilitano e magnificano tutti noi, allora è tempo di mettersi al lavoro, nel lavoro più bello di tutti : l’incessante costruzione della pace. (…)
È giunto il momento che le ragioni della forza cessino di prevalere sulla forza della ragione. È tempo che lo spirito positivo dell’umanità si dedichi, una volta per tutte, alla guarigione delle innumerevoli miserie del mondo. (…)
Non è esagerato affermare che l’opinione pubblica mondiale contro la guerra è diventata una forza con cui il potere deve fare i conti. Affrontiamo deliberatamente chi vuole la guerra, diciamo loro “NO”, e se continuano a persistere nel loro folle desiderio e scatenano ancora una volta i cavalli dell’apocalisse, allora da qui li avvertiamo che questa manifestazione non è l’ultima, che noi continueremo le proteste per tutta la durata della guerra, e anche oltre, perché da oggi non si tratterà più semplicemente di dire “No alla guerra”, si tratterà di lottare ogni giorno e in ogni caso affinché la pace diventi una realtà, in modo che la pace smetta di essere manipolata come elemento di ricatto emotivo e sentimentale con cui si vogliono giustificare le guerre.
Senza pace, senza una pace autentica, giusta e rispettosa, non ci saranno diritti umani. E senza i diritti umani – tutti, uno per uno – la democrazia non sarà mai altro che un’offesa alla ragione, uno scherzo. Quelli di noi che sono qui fanno parte della nuova grande potenza mondiale. Ci assumiamo le nostre responsabilità. Combatteremo con il cuore e il cervello, con la volontà e l’illusione. Sappiamo che gli esseri umani sono capaci del meglio e del peggio. Loro (non ho bisogno di dire i loro nomi ora) hanno scelto il peggio. Noi abbiamo scelto il meglio”.
E’ passato molto tempo. I movimenti per la pace non sono più la prima forza politica del mondo, come si immaginava allora. Siamo cambiati.
«Non penso che siamo diventati ciechi, penso che siamo ciechi, Ciechi che vedono, Ciechi che, vedendo, non vedono».
Si ritiene che il nostro futuro sia in gioco; Le opinioni di coloro che credono che possiamo ignorare l’esito della guerra sono considerate errate.