CHE SI DOVREBBE FARE SE NON STARE ALLEGRI?

D’accordo, forse la citazione (da Amleto) è forzata. Chiedo venia in anticipo e posto qui parte dell’intervento di Luisa Muraro su “Donne e potere”, anticipato oggi da Repubblica in vista della rassegna L’arte della felicità che si tiene a Napoli fino al 27 marzo. Nutro, come intuibile, forti dubbi: o forse il mondo reale va frequentato meno di quanto faccia io.
Fino a ieri dicevo: la parità fra i sessi è un miraggio. Adesso comincio a pensare che sia una farsa. Bisogna credere e far credere che, se le donne non occupano gli stessi posti degli uomini, non hanno le stesse cariche, non scelgono gli stessi mestieri, non mirano agli stessi traguardi, questa sarebbe la prova provata di una discriminazione ai danni delle donne. Dirsi semplicemente che le donne, forse, non vogliono perché, forse, hanno altre priorità, è un´ipotesi così azzardata che nessuna politica di professione osa formularla. Qualche sociologa sì, ma cautamente. Perciò, con la più grande serietà del mondo, si pubblicano statistiche da cui risulta che, quanto a condizione femminile, l´Italia è più arretrata del Vietnam e del Ruanda. Ma perché una simile farsa? La risposta che mi si presenta è semplicemente questa: bisogna continuare a far finta che le donne siano inferiori agli uomini. Non più per natura, come si diceva una volta, ma per discriminazione.
È tempo di smetterla con questa commedia pseudofemminista. Cominceremmo così a guadagnare tempo per affrontare i problemi reali che si pongono. Uno è quello dell´attaccamento maschile al potere. Non il fatto della mancata spartizione del potere, fifty/fifty, fra uomini e donne, ma l´attaccamento che gli uomini hanno al potere è il vero problema. Occorre dirlo? Gli eletti che siedono nel nostro parlamento sono i vincitori di una gara in cui masse di maschi si mobilitano, intrigano e premono: inevitabile che le femmine, poche in partenza e meno motivate, risultino tanto meno numerose. Se fosse un vizio morale, potremmo cercare i modi di correggerlo, così come si è corretta l´avarizia o la gola. Ma l´attaccamento maschile al potere è una questione d´identità. Lo veicolano i modelli correnti della virilità. (…)
«L´arroganza con la quale il discendente delle scimmie si è messo a capo del mondo e ha impresso alla maggioranza delle cose il timbro della sua natura, deve riempire di sdegno», ha scritto una pensatrice viennese che Nietzsche prese a detestare perché lei aveva smesso di dargli ragione. Questa pensatrice, Helene von Druskowitz, fu chiusa in manicomio, ma oggi c´è chi le darebbe ragione, anche fra gli uomini. Qualcosa sta cambiando. Oggi l´antropologia parla di una debolezza costituiva del maschile, che fino a ieri si è nutrita di presunta superiorità sul femminile e sulle donne. Oggi vi sono uomini che promuovono una presa di coscienza della differenza maschile non più complice dei modelli patriarcali di virilità. Ne parla un libro uscito da poco, Essere maschi. Tra potere e libertà di Stefano Ciccone (Rosenberg e Sellier, 2009).
Ma la farsa continua e mette in circolazione rappresentazioni diminuite e caotiche delle donne. (…) Per finirla, bisogna sgombrare il campo dai discorsi della parità per fare posto a un franco riconoscimento dell´eccellenza femminile. Dico eccellenza, non superiorità, e penso specialmente al rapporto con il potere e con i soldi, che sono il suo mezzo principale. La maggioranza di noi non li mette davanti alle relazioni, agli affetti e all´amore. Anche qui, non mi pronuncio sulla natura di questa eccellenza, la constato. E la dichiaro, come ho detto, perché finisca una finzione, quella delle donne sempre vittime d´ingiustizia e sempre in cerca di parità con gli uomini, finzione di cui è diventato evidente che fa da alibi. A che cosa e a chi, oggi?
La risposta a questa domanda è lunga e io mi limito ai sommi capi. C´è un bisogno identitario maschile di superiorità, non più confessabile ma tenace. C´è, per le donne, la rendita del vittimismo. C´è una politica paternalistica di sinistra che non si rinnova. C´è la fatica della presa di coscienza che la realtà storica di oggi richiede agli uomini, come mostra bene il libro Essere maschi. C´è la comodità femminile (in questa faccenda le donne hanno un posto non trascurabile) di fare una politica complementare a quella degli uomini: l´Europa è una miniera di posti e di soldi per donne che fanno la politica paritaria.
Ma c´è dell´altro ancora. La storia si è sviluppata in una singolare forma capovolta, che fa delle donne il secondo sesso e il sesso debole. Simili capovolgimenti non sono rari nella realtà umana, che è impastata nel linguaggio, cioè nell´arbitrario, pensate solo a certe figure retoriche per cui si dice meno per dire di più. In questa rappresentazione capovolta, l´uomo di sesso maschile viene prima in ogni senso della parola, anche biologico. Ed è una rappresentazione che da Aristotele è andata avanti arrivando fino a Il secondo sesso (1949) di Simone de Beauvoir. Arriva fino a lì e lì finisce: in ciò è la difficoltà di questo grande e ambiguo libro, un Giano bifronte. De Beauvoir ha detto: donne si diventa, non si nasce, in accordo non deliberato con la teoria aristotelica della differenza sessuale. È vero il contrario, invece, con ogni evidenza per noi: donne si nasce, perché nasciamo tutti da donna, e uomini si diventa. A quale esigenza profonda obbedisce il primato rivendicato dal sesso maschile che ai nostri giorni alimenta la farsa della parità fra i sessi?
Devo dire che si ha un sacrosanto timore a mettere mano su quello che potrebbe essere il sottosuolo del precario equilibrio del sesso maschile. Ma non occorre spingersi a quelle profondità, non con un discorso pubblico. Ed è di questo che stiamo trattando, della vita pubblica e specialmente della politica, di cui è urgente modificare le forme, come molti ormai ammettono. Un criterio per questo cambiamento è che vita pubblica e vita politica siano praticabili con agio da donne e non esigano che mettiamo al secondo posto le nostre priorità. Il massimo dell´autorità con il minimo di potere, è una formula da noi escogitata per regolarci nelle situazioni di disparità: ecco un altro criterio per restituire la politica al suo compito, che vi abbia corso autorità femminile. Come arrivarci? Con le donne. Il principio di uguaglianza è irrinunciabile ma oggi domanda di essere interpretato dalla consapevolezza condivisa della eccellenza femminile. Perciò invito donne e uomini a renderle testimonianza così che possiamo renderla operante nella vita pubblica.
Mi ha incoraggiata a fare questo passo una notizia apparsa recentemente sui giornali. La notizia parla di una mobilitazione internazionale, che ha preso le mosse dalla Fondazione Rita Levi Montalcini, perché il premio Nobel della pace sia assegnato, l´anno prossimo, alle donne africane. “Nobel Peace Prize for African women” è il nome della campagna. Il futuro della Terra è nelle loro mani, dicono insieme ad altre cose molto giuste. Ebbene, in questa singolare proposta si affaccia una verità vicina ad essere detta, quella di una eccellenza femminile che ha contribuito fin qui, in maniera decisiva, a custodire la vita sulla terra e della Terra. Che si tratti dell´Africa nera, anche questo è significativo, poiché qui, dicono, si sono trovati i resti della prima donna, Lucy, da cui discenderebbe l´intera umanità.

16 pensieri su “CHE SI DOVREBBE FARE SE NON STARE ALLEGRI?

  1. Tanti bei discorsi, e poi appena il Gran Capo (maschio) di Bologna impartisce una consegna, ecco la soldata Lipperina subito pronta a mettersi sull’attenti.

  2. “Eccellenza femminile”: ecco il vero Giano bifronte. Il solito. Vecchio come il cucco. Serve agli uomini che vogliono tenere il posto di potere, per continuare a raccontare alle donne “che sono meglio, che grazie a loro il mondo si regge, grazie a loro la vita, l’intero pianeta”. (È un’altra versione di “dietro ogni grande uomo c’è una grande donna”.)
    Serve alle donne per consolarsi, fare battutine (tipiche di molte attrici comiche o pseudocomiche nostrane, per esempio) e tornare a casa buone e sorridenti. Che tanto, senza di loro, il mondo NON va avanti.
    Invece va avanti benissimo. Cioè, malissimo. Ma va avanti. E le donne continuano a stare malissimo in tutto il mondo. (Anche gli uomini, qualcuno potrebbe dire, ma le donne peggio.)
    Ché, ricordiamocelo: i discorsi sulla parità che si fanno nei paesi ricchi sono niente a fronte di ciò che le donne subiscono nel terzo e quarto mondo. Che diano pure il premio Nobel alle donne africane. Ma se glielo danno in nome di questa “eccellenza”, è aria fritta.

  3. Esatto. E poi, quell’eccellenza da dove arriva, “per natura”? Perchè se così fosse mi vengono molti, ma molti brividi. E quel “desiderare altro”, quel “privilegiare i sentimenti”, peggiora la situazione.

  4. A random.
    – Un po’ è la genealogia di Muraro – che riferisce a Irigaray e dunque una genealogia che da sempre ha delle considerazioni diciamo bislacche in tema di parita dei sessi – Irigaray ricordo non alzò un angolo di chiappa per partecipare attivamente alle lotte femministe in termini di concreto trattamento giuridico economico. Lo motivò anche pubblicamente.
    – Un po’ è la debolezza ideologica, e dal mio punto di vista sociologica e infine filosofica di un mancato esame di realtà, proprio un non vedere le circostanze concrete in cui le donne si muovono – lassa perde er transatlantico, pensa alla industria ics che nel mezzo delle Marche produce che ne so tomaie, o scatole di cartone per i surgelati, oppure che ne so pensa alla gestione del mercatone zeta disperso in quel di monterosi fuori roma – il potere non è solo un fatto di parlamentari nè di altissimi gradi di istruzione. (anche se, ma Muraro l’ha mai sentito il Berlusca quando parla di Bindi?) ma anche un fatto di microeconomia.
    – In ogni caso – io sono allergica in politica al concetto di eccellenza. Parità vuol dire dover sopportare con una certa frequenza il caso in cui mi tocchi incazzarmi con una Claderoli femmina. Non il fatto di avecce Maria Teresa di Calcutta in parlamento
    – Il premio alle donne africane nel complesso, con il mancato riconoscimenti di quali, di nomi e identità mi pare la prova provata di un sessismo che cacciato dalla porta ritorna dalla finestra. Non soggetti politici ma oggetti culturali! Deh, ma allora Spaeculum che l’hai tradotto a fare?
    (ci avrei altre cose caso mai ritorno dopo)

  5. Quello che davvero mi preoccupa è che il gruppo Muraro-Irigaray (e Terragni, che ha rubriche molto lette sui femminili) non si rende conto dei danni che provengono dalla diffusione di questo tipo di considerazioni. Siamo eccellenti, accudenti e affettive, qual è il problema?

  6. Beh Loredana, confortiamoci con una considerazione sconfortante: almeno Irigaray e Muraro la leggono in due, in genere vedendosi confermate le cose che pensavano prima di leggerle. Hanno anche messo in luce dei bei concetti – nella pars destruens de loro lavoro – è la costruens il macello.
    Terragni invece è un vero problema, dal mio punto di vista tragica anche per l’uso spicciolo e distorto della psicologia, fornendone una divulgazione falsificante, selezionando teorici sempre tra i più reazionari. Ma questo modello mentale è’ diffuso Loredana è quello noto – senza nulla togliere alla qualità del documentario e alla sua incontestabile utilità – sul blog di Lorella Zanardo di post che inchiodano la donna a questo stereotipo ce ne è a mazzi.

  7. è la versione raffinata e colta dell’alberoniano “gli uomini tradiscono per natura, le donne per vendetta”. se non maneggiata con cura, la teoria della differenza rischia unicamente di avallare discriminazioni (la donna angelo del focolare e i negri hanno il ritmo nel sangue). è il solito gioco di chi ti dice come devi essere – a proposito di potere e di identità – in base a una presunta inclinazione naturale decisa prima che tu nascessi in base proprio a esigenze di potere che niente hanno a che fare con chi sei. un gioco che non rispetta le reali tendenze, desideri, orientamenti individuali, secondo me più forti e sostanziali di qualsiasi appartenenza a questo o quel genere. o all’altro ancora.

  8. ‘Dico eccellenza, non superiorità, e penso specialmente al rapporto con il potere e con i soldi, che sono il suo mezzo principale. La maggioranza di noi non li mette davanti alle relazioni, agli affetti e all´amore’
    Perchè siamo buone? Perchè siamo più sensibili? perchè siamo madri?
    Perdonate se abbasso il livello del commentarium, purtroppo non ho mai studiato sociologia, psicologia o filosofia… E tuttavia dal basso della mia ignoranza, dico che questa posizione (della Muraro) mi sembra estremamente superficiale e legata ai soliti luoghi comuni sulla ‘bontà’ intrinseca della donna che secondo me è un’idea totalmente scorrelata con la realtà dei fatti, è un’idelizzazione della donna piuttosto che un’analisi concreta.
    Poi forse sono io che non ho capito il senso vero dell’intervento, sicuramente non ho tutti i mezzi intellettuali… Ma quanti li hanno, tra quelli che leggeranno o ascolteranno?
    E poi: vittimismo?? Ci dicono pure che siamo noiose adesso?!

  9. Ah ma allora non è che noi eravamo più indietro rispetto ad altri paesi…E’ proprio che la donna italiana per natura gode come una biscia a essere sottopagata rispetto al collega maschio di pari grado. E anche a smazzarsi più ore di lavori domestici e di accudimento che nel resto d’Europa.

  10. Che la teoria della differenza abbia elementi criptodiscriminatori è una realtà (mi sembra) che si tende a non voler riconoscere; la sua capacità di penetrazione nella cultura, anche per via del suo prestarsi a semplificazioni, continua ad avere effetti devastanti. Sono felice di aver trovato qui diverse voci, a cominciare da quella dell’autrice del blog, critiche o che esprimono perplessità. Mi sento molto meno sola con le mie.

  11. Oggi, nell’aula magna del mio liceo, Miriam Mafai ha tenuto una conferenza sulla situazione femminile in Italia, citando esplicitamente la Muraro e alcune delle frasi riportate in questo post.
    Mi sono trovata a dissentire su di una questione, che vorrei riproporre qui: si parla giustamente di un condizionamento a cui le donne sono sottoposte fin da bambine. I vestitini rosa, le bambole, la stessa televisione – Mafai portava ad esempio lo spot pubblicitario in cui una bambina gioca a fare la piccola cuoca – tutto concorda nel creare un ben specifico concetto di femminilità, sul quale è d’obbligo uniformarsi. Se sei decisa, a tratti persino dura, o preferisci i giochi da maschi alle Barbie, eccoti trasformata in “maschiaccio” prima, in donna “con le palle” (orribile espressione) da adulta.
    Ma questa consapevolezza come si concilia con le benedette virtù “femminili”? L’idea di noi donne portatrici sane di affettività e di cura, la teorizzazione di un’eccellenza femminile, è davvero così lontana dai pregiudizi stereotipati che vogliono un mondo di dolci e sottomesse bamboline vestite di rosa?

  12. sto leggendo e rileggendo e ringrazio Zauberei per i suoi commenti che mi chiariscono alcune posizioni del pensiero.
    però mi chiedo come mafai/irigaray/muraro possano appunto sostenere le supposte ‘specialità’ del femminile e del maschile. Perché a me la pars destruens della Irigaray mi piaceva pure, malgrado questo pericolo in effetti si intravedesse. Ho la sensazione che siamo in un periodo generalizzato di confusione. Dobbiamo aspettare ancora molto per vedere cadere/modificarsi dei modelli così vecchi? perché ho paura di sì?

  13. Silvia e’ vero se una bambina non gioca con la barbie ma con le macchinine e’ un maschiaccio, una con le palle etc. Triste. Ma neanche lontanamente triste quanto cio’ che si dice di un bambino che gioca a cucinare e portare cicciobello a passeggio. Quello e’ il dramma.

  14. Qualcuno ha già accostato l’articolo della Muraro ad Alberoni, alle consuete boiate delle donnechevengonodaveneregliuominichevengonodamarte. Per cui mi trattengo.
    Quello che trovo insopportabile è che si citi il volume di Stefano Ciccone così a sproposito, con una superficialità che mi lascia disgustato.
    MI sembra doveroso segnalare invece che “Essere maschi” perchè è una riflessione tecnica, complessa, ma eccezionalmente onesta ed acuta. Ancora più preziosa, perchè si sforza di portare alla luce le strutture di potere e mortificazione individuale, la tremenda necessità di emancipazione del maschile: tutti discorsi che sono assenti, sotterranei, assolutamente non perspicui per la grandissima maggioranza di maschi eterosessuali (non che le cose vadano molto meglio per gli omosessuali maschi).
    E’ un libro che consiglio fortemente (no, nessuno mi paga una percentuale), proprio perchè enormemente più istruttivo di certi discorsi “femministi” da settimanale patinato.

  15. Grazie Andrea:)
    Dietro c’è un complicato problema – ed è un problema di misure, non di tutto o nulla.
    Quello che voglio dire è: la differenza sessuale esiste e produce delle differenze, e delle reazioni psichiche alle differenze – dopo di che queste differenze sono entrate in alchimia con una serie di questioni storiche -ed ecco qui il risultato che tutti conosciamo. Avendo per le mani il risultato – cioè i diversi livelli di stigmatizzazione di genere nelle diverse culture, il grosso è decidere quanto di quella rappresentazione di genere è culturale, quanto no, e quanto dei comportamenti verso l’altro sesso siano culturali o psicologicamente reattivi o entrambi. Quando Irigaray scriveva, scambiare un certo linguaggio per biologico – il linguaggio maschile del lavoro, del potere e della trascendenza – era più giustificabile: erano pochissime le donne che lo maneggiavano con un disinvoltura, in certi contesti assenti – ed erano tantissime le donne che non erano riconosciute come soggetti perchè utilizzavano altri linguaggi. Oggi Irigaray è invecchiata anche perchè la semplice osservazione di un ufficio dimostra che la differenza sessuale è qualcosa di molto più sottile, anche se certo rimane – io trovo sempre affascinante cercare questo residuo identitario: ma dire che una che fa l’ingegnere aerospaziale è una che non è femminile mi fa incazzare come un birillo. Anche la teoria per cui le donne sono prima sempre donne, poi qualcos’altro mentre gli uomini sono prima qualcos’altro, mi fa arrabbiare.
    Ma ecco, la questione. Il tempo dimostra che si pole avere con facilità Levi Montalcini a iosa. Ma la politica eil contesto culturale rispondono come se così non fosse. E questo è desolante, ed è triste che non venga raccolto, che si parli di vittimismo. Però io non credo che sia proprio supeficialità. Sono donne queste che hanno un’onestà intellettuale indiscutibile, io credo proprio che abbiano in partenza, una specie di sguardo distorto, nato da rivendicazioni anche giuste. Se ci si parlasse forse emergerebbero dei punti di contatto, delle cose utili.

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