Non son qui né per seppellire né per lodare Luciana Littizzetto (eccetera eccetera). Però, dal momento che è stata citata più volte nei commenti ai post sottostanti, e dal momento che oggi La Repubblica esce con una lunga intervista alla medesima che riguarda anche –sic- “la letteratura”, approfitto. Sempre nella discussione di questi giorni, è intervenuta Federica: la quale sembra conoscere molto bene i meccanismi editoriali, dal momento che ha più volte ripetuto che le sue non sono opinioni, ma che di fatti sta parlando. Scrive dunque Federica: “Chi compera le compilation raccogliticce di Luciana Littizzetto, spesso lo fa in GDO (grande distribuzione, ovvero supermercato) senza nepppure guardare altro. Se entra in libreria, sceglie *Luciana Littizzetto* ed esce. Altro che degnare di una sola occhiata gli altri libri. E’ il non-lettore che è diventato lettore occasionale, nel senso che nel giro di un anno acquista Luciana Littizzetto e Beppe Braida e basta, se va di lusso. Non sono opinioni. A lungo ci si è cullati nell’illusione che entrata in libreria per tiziocaio equivalesse ad acquisto anche per altro. Una volte, forse. Chi comprava Luciano De Crescenzo si lasciava tentare anche da Wilbur Smith. Dato lo slittamento di cui sopra, non è più così. Luciana Littizzetto vende, da sola, e da sola riempie in libreria spazi che potrebbero essere di altri”.
Non so se quest’ultimo punto sia vero (di chi potrebbero essere gli spazi occupati da Littizzetto? Di Helen Fielding? Di Sophie Kinsella e delle altre signore della Chick Lit? Della Tamaro prima, anzi seconda maniera?). Avrei qualche dubbio anche sulla nettezza con cui viene descritta la metamorfosi del non-lettore, ma mi fermo.
Invece, l’intervista alla Littizzetto mi suscita un altro dubbio: di minore importanza, se volete, rispetto alla Questione del Mercato. O forse no: perché riguarda l’immagine “popolare” dello scrittore, e noi vecchi studenti di antropologia abbiamo delle fissazioni sull’importanza di cose come nominazioni e rappresentazioni. Alla domanda “Perché non ha ancora scritto un romanzo?”, Littizzetto risponde: “Ci penso anche se è difficile, ho un altro passo di scrittura. Farò un romanzo che inizia e sai già come va a finire e intanto ci sono dialoghi bellissimi. Ma poi quando sento gli scrittori che dicono: “Mi isolo, sento le cicale, mi deprimo”. Io combatto col termosifone”.
Poi, certo, davanti al perpetuarsi del luogo comune si possono tranquillamente alzare le spalle. A me, però, l’esternazione fa lo stesso effetto che il mito del giornalismo-Watergate fa a Giovanni Maria Bellu in questo intervento pubblicato da Nazione Indiana.
Insomma, c’è qualcuno che sente le cicale, da queste parti?
Giuseppe
indubbiamente preferisco le braci alle corsie e le grigliate alle minestrine.
E se impari a fare i coperchi ti prego, tienimi presente. Ho una gran voglia di tornare alle mie mitiche zuppe di legumi (e lì i coperchi son necessari!)
Valkiria, stavolta mi sono ricordata di scriverlo: se clicchi sul nome ti si apre la mia mail.
A presto
@ ISABELLA
Cara Isabella,
sapessi che salti in barella belli mi son fatto quand’ero in viaggio verso quel “al termine della notte”! Praticamente c’erano così tante infermiere, che avevo solo l’imbarazzo della scelta, anche se poi – devo dir la verità – c’havevano certi baffoni che manco Lenin. Insomma sì, i salti in barella ci sono, però io preferisco ancora che sia un tentare belluino quello di camminare sulle braci ardenti. Chissà! Adesso vorrei imparare a fare i coperchi… le pentole non mi divertono più come un tempo e a forza di scongelare e cucinare mitopoiesi surgelata dentro le pentole senza coperchi, anche a fuoco lento, si perde tanto ma tanto sapore. ;-D
Ciao ciao
Giuseppe
Più attenzione *reale* alla musicalità delle frasi, e meno preoccupazione *apparente*. Esempio: la “d” eufonica è imperativa solo quando collega due vocali uguali (“ed ecco”). “E una” è sempre preferibile a “ed una”.
Imparai alle elementari che “E una” impegnava troppo il respiro per essere davvero gradevole, a volte si può aver la sensazione di soffocare; scrivo “ed una” da quando avevo cinque anni ed in modo del tutto spontaneo: nettamente in constrasto con una ricerca esasperata della forma, piuttosto un modo partorito dalla ricerca di un equilibrio trasmesso con un soffio (troppo difficile?). Esiste però, questa stessa ricerca, esasperata, anche nella lettura e non solo nella scrittura: tipica di chi dà molto più risalto al punto che alla vena, molto più alla virgola che allo spasimo, insomma molto più all’involucro che al racconto.
De gustibus…
Valchiria è in realtà il jazzista Cerri, quell’uomo in ammollo.
Iannox, a me la vita sembrava più che altro essere quattro salti in barella.
Verso una dismessa neurodeliri.
Valchiria, io l’emoticon me lo permetto: ma allora sei proprio impunita! 😉
Meno ipotassi, meno subordinate. Lo stile è troppo pesante, pieno di inutili arzigogoli.
Altro consiglio a Valchiria…e lo potrei capire se venisse da una controparte della poesia arcaica pro-cicerone, ma qui, dove chiaramente codesta inclinazione di pensier s’assenta, non ne trovo cagione.
Third…a proposito, mai letto Omero? Quello si che potrebbe parlar di copie vendute! Nonostante le esclamazioni e le interiezioni ovviamente.
a proposito sono io l’anonimo.
tanto per confermare i salti in barella
ma dico, cara lipperini, bisognerà pure dire qualcosa di ben definito; lei lascia troppo aperte le maglie nel condurre le idee.questo gioco non porta da nessuna parte se non è chiaro che i consorziati wuming, cannibali, culicchia, brizzi, genna e altra pastetta varia poco hanno a che spartire con ‘ciò che rimane’, fanno teatro! simone non ha torto, vede la diluizione, il tirare a campare della lingua, dunque del senso.
Lungolinea, Brizzi e Culicchia mai nemmeno li ho visti e ci ho parlato. Conosco invece il Consorzio del Taleggio, che è un bel posto qui a Milano, un mio amico gli fece il sito, fu pagato con un chilo dell’odoroso prodotto caseario, lì vorrei consorziarmi anch’io.
Valchiria:
1. Tu non sei Cèline.
2. Nella prosa di Cèline, il ricorso ai puntini non è eccessivo per quelli che sono gli scopi dell’autore, e quando vi è eccesso di espressione è intenzionale ed esplicito. Tu invece scrivi male e basta.
3. Cèline non ha mai mendicato l’attenzione di nessuno e non importunava la gente svuotando i cassetti degli inediti.
Valchiria, tu hai messo qui un tuo racconto chiedendo un giudizio. Qualcuno te l’ha dato: ti ha detto che non gli è piaciuto, ti ha spiegato perché e ti ha addirittura dato dei consigli. Non era quello che volevi? No, evidentemente: volevi solo sentirti dire che sei brava bravissima, ma che bel racconto, complimenti! Siccome non è andata così ti sei impermalita e adesso ci rompi l’anima con una nuova logorrea di commenti, attaccando chi ti ha dato quel giudizio. Povera stella, se non sai affrontare le critiche, non postare più niente, anzi, non scrivere proprio.
longolinea e Valchiria: mettetevi d’accordo. uno dice che lascio le maglie troppo aperte, l’altra che c’è il recinto. Così confondete le idee anche a me, su.
cara la lipperini, deve decidere lei, se un’idea ce l’ha: se tiene le maglie larghe rimorchia valchirie e kazaki, se stringe le restano passanti tutto shakespeare, bach e mozart. entrambe le categorie sopravviveranno comunque. non è un gioco.
ma infatti va bene, le turbe lasciamole a iannox!
caro il mio passante, e se io avessi già deciso che qui si può parlare sia di valchiria che di bach, la cosa la turberebbe molto?
E guardi che i giochi sono una cosa seria.
allungo: da quando in qua la rappresentazione di ciò che è esclude automaticamente scarti e passione?
Urge definizione univoca di snobismo, per favore: l’aggettivo continua ad essere attribuito a tutto e il contrario di tutto…
allora, ne deduco, cara lalipperini, che lei è per la triturante rappresentazione costantiniana et similia.si testimonia snobisticamente ciò che è, si fa gioco facile, senza passione, senza scarti. ma, rimangiandomi quanto sopra ,dico che può darsi snob sia l’allungo, non pertinente.
e finalmente! in effetti, cadere nel brodo del reality come del genere, smelmarsi liddentro, è un tiro al ribasso. non si dice male in alcuni post. volente o nolente, chi scrive all’interno, nel pentolino da “canarino” dico, dà distanza, umilia; scrive non del nulla, ma sul nulla.
la rappresentazione dell’esistente, credo presupponga una visione più ampia,a monte, che lavori innanzitutto una lingua sicura e determinata, capace di aprire spiragli, suggerire scarti.
il tiro al ribasso, invece, è proprio di chi ha golosamente le mani impastate nel piatto e non vede, troppo occupato a mangiare:zuppa e carne umana.
errata corrige: il personaggio di cui sopra é di Culicchia.
Un libro, alla fine, non lo si nega a nessuno. Il fatto di scrivere un libro (scrivere “anche”, un libro- ma che fenomeno, ma che eclettismo!) è visto da molti personaggi come la ciliegina sulla torta, la coronazione, il momento di massima autoesaltazione. Come certi volti che sguazzano impunemente per anni nell’immondezzaio della tv e poi corrono a rifarsi una verginità in radio. Vi siete accorti come da quattro-cinque anni in qua sia diventato improvvisamente “in” fare radio?
Coi libri è lo stesso. Non so se questo sia anche il caso della Littizzetto, di cui non conosco abitudini, hobby e frequentazioni letterarie. Credo di no, tutto sommato stiamo parlando pur sempre di un’autrice che da anni si scrive da sé i propri testi – e spesso sono anche molto carini.
Certamente è il caso di mille altri che non sanno resistere alla tentazione di finire tra gli scaffali di una libreria accanto a, poniamo, Philip Roth.
Una breve considerazione sull’articolo del prof. Simone: è proprio un articolo da prof.
Che l’Italia stia “scivolando all’insaputa di tutti in un baratro di semi-analfabetismo” è probabilmente vero. Ma individuare i colpevoli di questo fenomeno nei rappresentanti della nostra letteratura giovane, boh, mi pare assurdo e disonesto. Ma come, ce la prendiamo proprio con quei pochi che osano ancora credere nel primato della parola (e del pensiero) su quello dell’immagine, proprio con questi donchisciotte, che anziché progettare reality show passano mesi ed anni della propria vita a scrivere libri che nella migliore delle ipotesi vedranno la luce in poche migliaia di copie?
E poi, il Prof. mi cita i cannibali, che ormai è quasi modernariato?
I passi riportati dall’astuto Simone per suffragare la sua tesi catastrofista, non lo nego, lasciano perplessi. Tuttavia è noto che qualsiasi brano letterario, se decontestualizzato, rischia di fare una magra figura. E poi, non sono mica così sicuro che il personaggio di Monina avrebbe fatto meglio a usare l’espressione “Col cavolo!” in luogo di quel colorito e spurio “Sta fungia!”…
Non per fare paragoni fuori luogo, ma mi domando come il prof. Simone avrebbe (a suo tempo e forse persino oggi) accolto gli eccessi, le innovazioni e le licenze verbali di autori come Celine, Henry Miller, Gadda (l’ha già citato Mario Bianco), Tommaso Landolfi o Raymond Queneau? Lo so, ho usato dei pesi massimi e quindi ho giocato sporco. Esattamente come ha fatto il prof. Simone estrapolando tutt’altro che a casaccio (anzi, molto scientificamente) brandelli di testo da Caliceti, Brizzi e compagnia bella.
Statemi bene, letteratura fuori dalle università prego. Meglio negli ipermercati.
Nel caso vi fosse sfuggito, andate a leggervi su “I Miserabili” la “traduzione simultanea” di Genna all’articolo del prof. Simone. E’ quasi cabaret.
@ PASSANTE LIBERTARIO
Un giorno, presto, si vedrà se si potrà far qualcosa per le tue di turbe. Intanto continua così: sei sulla strada giusta.
Quando dicevo che in realtà Valchiria è Franco Cerri, non sapevo che oggi avrei incontrato e conosciuto Franco Cerri in via Colletta, alla Scuola Civica di Cinema.
Al momento sento Gwen Stefani. Appropriatamente pop. Il giorno che sentirò le cicale spero di essere ben lontana dal PC, in un grill croato, con un bel piatto di calamari alla griglia davanti.
Ogni momento ha la colonna sonora che si merita 🙂
Vorrei fare alcune precisazioni circa il microdibattito nato dopo l’articolo di Simone sul linguaggio giovanile e sul linguaggio di alcuni scrittori italiani 35/40enni. L’articolo era anche una recensione di SCROSTATI GAGGIO. DIZIONARIO DEI LINGUAGGI GIOVANILI di Renzo Ambrogio e Giovanni Casalegno. Questo dizionario proprio per attestare l’esistenza scritta di molti termini di tale linguaggio ha utilizzato moltissimi esempi tratti da scrittori “giovani” (sono più di 200 i testi spogliati e citati), a dimostrazione della VITALITA’ linguistica di una parte della narrativa contemporanea. Lo scopo dell’intervento è quello di separare il giudizione negativo del recensore dall’oggetto della recensione che invece esalta molti scrittori giovani per la loro recettività.