Ogni tanto mi chiedo perchè il citizen criticism, la critica letteraria dal basso attuata soprattutto in rete, venga considerata così poco dai media mainstream. Su aNobii, per esempio, mi capita di leggere recensioni eccellenti da parte dei lettori. Di contro, mi capita di rimanere spesso basita davanti a certe autorevoli considerazioni su carta.
Per esempio, quella di Paolo Di Stefano sul Corriere della Sera di ieri, nella sua rubrica “Il piccolo fratello”. Di Stefano traccia un parallelo fra Alda Merini e Roberto Saviano, basandosi sulla “rappresentazione, opposta e speculare, della letteratura che volenti o nolenti restituiscono al pubblico. Una rappresentazione ingenua, priva di sfumature e molto popolare”.
In sintesi, dice Di Stefano, Merini ha compiuto un’identificazione fra vita, poesia e follia, perpetuando il concetto di trance pseudoromantica dell’artista necessariamente “maledetto”.
Quanto a Saviano, “finisce per assecondare un cliché diffuso quanto superficiale dello scrittore in aperto agonismo con il mondo: anche per lui la letteratura non basta a se stessa”. Di Stefano cita lo spot della serata televisiva di questa sera (su Rai Tre, lo speciale di Che tempo che fa, guardatelo), e virgoletta le parole di Saviano: la letteratura deve essere al servizio della società immergendosi nella realtà, e lo scrittore deve avere un ruolo attivo, a differenza di quello che aspetta il tempo in cui si realizzino le sue fantasie.
“Saviano – scrive Di Stefano – sembra scommettere sull’ispirazione del basso, condannando gli altri veri scrittori alla sua stessa condanna: realtà e impegno. Come se bastasse un travaso dal piano civile a quello estetico per fare vera letteratura. E come se l’etica non si trovasse altrove che nella realtà. Ambedue, Merini e Saviano, propongono il loro tragico destino come principio universale e capolavoro in sé: Lo scrittore, per essere tale, deve immolarsi alla vita e alla società. Ma secondo questa prospettiva (molto telegenica anche se uscita da un dolore indiscutibile), non sarebbero letteratura i capolavori della letteratura: da Omero a Proust da Kafka a Pessoa a Svevo a Montale”.
Ora, si dovrebbero confutare le affermazioni di Di Stefano. Di cosa racconta Omero se non di vita e società? E che significato viene dato alla parola etica e a quale piano di realtà andrebbe applicata? E, soprattutto, cosa sarà mai la vera letteratura e chi, di grazia, ne ha dato la vera definizione?
Ma non è questo che mi interessa (pazienza, fornirò agli arguti scrittori satirici di Cabaret Bisanzio ulteriore motivo di sghignazzo: ben venga). Mi interessa, e mi lascia ogni volta stupefatta, il ribollire di veleni che Saviano ha suscitato nell’asfittica “società letteraria” di casa nostra, dove sul giudizio che viene dato a proposito di un libro si allunga quasi sempre l’ombra dell’opera – più o meno negletta – del recensore. A volte il recensore medesimo la cita (“io ho scritto un capolavoro e nessuno ne parla!!!”), con una faccia tosta e una mancanza di pudore incommentabili. Altre volte la sottintende, lasciando che il lettore intuisca (il senso è: bisogna essere perseguitati dalla camorra per avere spazio sui giornali e in televisione?).
Intendiamoci: è umano anteporre quel che esce dalla propria tastiera a tutto il resto, considerando se stessi autori immortali e per questo non abbastanza compresi dal crudele mercato monopolizzato da altri. Ma non è etico, appunto, questo continuo borbottio nei confronti di uno scrittore che non ha semplicemente scritto un best-seller: ha scritto un libro che ha segnato uno spartiacque nelle vicende letterarie italiane. E che continua a rivelarne, alla bisogna, le miserie.
Ben detto!
Fortunatamente io non leggo più le recensioni di libri se non quelle di lettori disinteressati (es. anobii). Magari sarebbe auspicabile tener conto delle vendite di un libro: questo dato, sebbene non possa indirizzare sul valore estetico dell’opera, può comunque gettar luce su come un libro può risvegliare i cuori anestetizzati e le menti assopite della gente.
Loredana,
stavolta però ti affidi a un espediente dialettico :).
La prima domanda che poni (lo specchietto per le allodole, se me lo passi) ha un’ovvia risposta: la critica dal basso è davvero molto attenta; su aNobii ci sono magnifiche recensione, tutt’altro che ingenue; e forse proprio perché non devono passare per i canali “ufficiali”, presentandosi pittosto come “consigli” di un amico.
Ma questo (e vado alla seconda parte, cercando di interpretare la seconda domanda, ovvero: “E’ giusto quello che ha scritto Paolo Di Stefano?) non inficia il lavoro della critica letteraria canalizzata. Su alcuni punti dell’articolo sono concorde; su altri no. Niente di nuovo. Solita dialettica. Con scorci interessanti, dialettici, anche borbottati, perché no?
Da parte mia, Merini e Saviano mi lasciano abbastanza tiepido. E la penso come Di Stefano, pur con toni meno partecipi, sul rapporto tra attività di scrittura e ruolo (vita, impegno…) dello scrittore. Sarà che mi interessano i generi pop? 🙂
Mario
Sembra anche a me che dietro le critiche a Saviano si celi un po’ di invidia per il successo che ha avuto nonostante non creda che a Saviano piaccia vivere sotto scorta, anzi…
Quello che mi lascia perplesso nell’articolo di Di Stefano è che sembra dire che esiste uno e un solo modo di essere scrittore. Saviano rappresenta una certa forma di rapporto tra attività letteraria e impegno, ma non mi sembra che lo abbia mai imposto come canone unico (sarebbe del resto impossibile: non tutti gli scrittori possono essere come Saviano, visto che il “tragico destino” per essere tale presume l’eccezionalità); invece Di Stefano lo percepisce come tale, evidentemente perché non accetta che possano coesistere modi diversi di essere scrittori.
Cara Loredana, è meglio che Anobii resti semisconosciuto per i media, verrebbe invaso da fakes e reimpito di false recensioni a scopo pubblicitario.
io (e credo molti altri Lettori compulsivi) abbandoneremmo subito Anobii per rifugiarci da qualche altra parte, ma sarebbe comunque una perdita (io sono iscritta da 2 anni e mezzo e ho accumulato lì tutti i miei libri, le mie idee..non sarebbe facile ricominciare e poi è bellissimo :(((
Alcune osservazioni a random.
1. Il problema di Di Stefano non è la recensione in se, che insomma mi pare che suoni sofistica ma stani cose piuttosto ovvie, ma nel trovare quel circuito tra esperienza reale e scrittura, vagamente esecrabile dal punto vista, questo è singolare, del prodotto scritto. In caso lo sarebbe dal punto di vista della vita vissuta: in quel senso ho avuto sempre pena per la Merini prima, e per Saviano ora, prigionieri di quel circuito: quel poraccio non può fare niente che non sia Civile. E la Merini è stata travolta dallo stigma, in versione altarino de noantri, di “anvedi la pazza”. Ma notare questo – non dovrebbe riguardare la critica letteraria.
Ma io, sono triste in termini di critica letteraria mediatica. Di Stefano ancora ci prova, ma prova a scrivere un post su D’Orrico. Guarda che è difficile eh.
2. La rete fa paura, la rete è piena di gente che scrive e lo fa in rete perchè alle competenze intellettuali non corrispondono magari quelle umane nella direzione carrieristica. Non parlo necessariamente di essere furbi meschini e paraculi. Parlo di chi è troppo pigro per inseguire, o troppo aggressivo per riuscire a lavorare in un team, o troppo ingenuo per farsi valere. Nel mondo visibile del cartaceo arrivano le persone che affinano queste doti alle volte con talento alle altre no. In rete puoi essere fuori come una zucca, ma ecche qua ti apri un blog! E magari, sarai tantissimo fuori come una zucca ma hai delle signore competenze in campo strettamente intellettuale.
E queste competenze spaventano, squalificano, stanno fuori dall’albo eppure sono sinistramente credibili.
roberto saviano trascende la sua stessa opera, vale per se stesso ormai, un prodotto mediatico telegenicamente presentabile. il che non vuol dire che ciò che ha scritto o dice non sia perfettamente condivisibile. è altro dallo scrittore, ammesso che esiste un modo di essere scrittore ripiegato sul mero atto dello scrivere: …scrivente?
Banalmente, chi scrive dovrebbe essere recensito da chi legge (ed è ciò che succede in aNobii per la maggior parte dei casi), e non da chi scrive.
Roberto vive sotto scorta. La sua vita è perennemente in pericolo. Se cala il silenzio, lui muore. Deve stare costantemente sotto i riflettori per vivere. O per sopravvivere. Mi stupisce che la maggior parte delle persone non capisca un concetto tanto semplice e scambino la sua necessità di stare in video come stupido protagonismo.
Mah!
Ma sulla Merini, è applicabile il discorso dell’articolo?
E sul vero argomento, ovvero il citizen criticism?
Critica dal basso o dall’alto? In che misura i due fenomeni si scontrano o si prendono cura l’uno dell’altro? Come “comunicano”?
Di Saviano, perdonatemi, abbiamo-hanno-ho parlato più e più e più volte.
Mario
Vorrei tenere fuori del mio commento Saviano (troppo cose da dire, troppi distinguo da fare).
Riguardo ai critici, ovvero ‘chi deve criticare chi’, sono convinta che ciascuno abbia un suo ruolo. Io mi rifugio nei siti per lettori, dove trovo critiche appassionate e spesso ‘competenti’.
Dai critici la passione non me l’aspetto più, appaiono molto più stizziti che appassionati, ma mi sembra che abbiano pure poco competenza, o almeno che non abbiano molta voglia di rivelarla ai lettori. Mi pare, spesso (non sempre e non tutti), che puntaino sulla suggestione più che sulla critica, nel senso etimologico del termine.
Non mi pare, infatti, che Di Stefano porti solide argomenti ma parecchie opinioni. Manca una cernita dei nodi della questione, una distinzione dei livelli della discussione, una intenzione seria di apportare conoscenza sulla questione di cui si discute e non impressioni, per quanto autorevoli (venendo esse da un critico, devono per forza essere autorevoli, no?).
Ma, a livello di impressioni, signora mia, ognuno può tenersi le sue.
Su D’Orrico, ho trovato una perla che pare essere stata tratta, fresca fresca, da Vite brevi di uomini illustri:
“Antonio D’Orrico, il più coraggioso e discusso (proprio perché coraggioso) critico letterario del nostro paese”.
Che dire di più?
Concordo nel complesso con tutto il post. Credo che certe vite condizionino inevitabilmente il modo di fare letteratura, e la visione che finiscono per assumere della letteratura tutta. Chi ha vissuto e vive una vita come la Merini o come Saviano (esperienze paragonabili forse per il fatto che un aspetto – la follia, o la persecuzione criminale – è diventato in certi momenti questione vitale e quindi totalizzante sugli altri) non credo possa concepire letteratura diversa da quella che scrive, o possa concepire scopi diversi da quelli che ha dovuto e voluto attribuirle. Per il resto, la questione del citizen criticism si ricollega in parte anche al post ‘Pezzi e bocconi’: la blogosfera non dovrebbe aver bisogno di referenze altre che non siano la qualità di ciò che produce, ma in realtà chi ha referenze sulla carta stampata è semplicemente più visibile. E nel web, come nei pagliai, la visibilità è tutto se hai le dimensioni di un ago.
Eppure Alda Merini si infuriava quando si facevano dei paragoni tra la sua ‘pazzia’ e la sua poesia. Ricordo un suo bellissimo intervento a Fahrenheit, purtroppo non in archivio perché era una intervista volante, in cui prese quasi a male parole chi tentava di fare questo parallelismo, non solo riferito alla sua, ma alla poesia in generale.
Vero, Valeria.
@mario pasqualotto: i generi pop possono calarsi e di fatto si calano nel reale e sono anche portatori di etica, volendo. Affermare il contrario significa sminuirli.
@wer. Sta già avvenendo. Notavo che aNobii è divenuto, in molti casi, preda del cosiddetto buzz marketing.
@Valentina. Hai perfettamente ragione.
io, invece, trovo allucinante e fascista che ogni volta che qualcuno esercita una critica nei confronti di saviano debba essere tacciato di invidia, incapacità critica, o peggio di collateralismo con la criminalità organizzata.
come ho già detto e ripetuto trovo che gomorra sia un buon libro e in certe parti ottimo (qui ogni volta bisogna fare come quando si parla di israele e mettere le mani avanti), ma le cose che saviano dice sullo scrittore che deve cambiare il mondo – la visione dell’intellettuale come supereroe – le trovo quanto di più ingenuo e anti-letterario sia stato espresso negli ultimi duecento anni di cultura occidentale. in qualche passata puntata di “che tempo che fa”, auster, invitato per pura fatalità – esigenze promozionali – a parlare di uno scrittore che evidentemente conosceva solo di nome, espresse il mio stesso sbigottimento, dicendo che lui quando scriveva non guardava alla finestra perché davanti alla sua scrivania aveva un muro (o qualcosa di simile). e sono abbastanza fiducioso del fatto che se la stessa domanda fosse posta a una lista di duecento tra i migliori scrittori mondiali, la risposta sarebbe la stessa, ovvero: “non ho mai pensato, scrivendo, di cambiare il mondo”. quello che dice di stefano a me pare molto sensato. purtroppo in italia da verga in poi è cresciuto e ha proliferato l’equivoco che il senso più profondo della letteratura fosse questa presunta missione sociale, ideologia di sapore sovietico che in un millisecondo sarebbe in grado di fare piazza pulita dei più grandi di sempre: celine, nabokov, borges, bernhard, david foster wallace solo per dirne alcuni.
Cristiano ma qui mi pare che nessuno ha tacciato il povero dDi Stefano di invidia, manco collateralismo, incapacità critica in fondo neppure – perchè si è parlato di UNA critica non condivisa, non di tutte quelle che ha scritto. Per il resto, l’hai detto te, ha scritto “cose sensate” …sai che folgorazione… un tempo la critica letteraria non scriveva cosa sensate. Un tempo ti costringeva a farti un mazzo a un andare verso.
Cristiano, io trovo allucinante e fascista che la critica nei confronti di Saviano venga esercitata con il livore e la rabbia di cui tu stesso stai dando prova.
Saviano fornisce la propria visione della scrittura: visione che molti altri condividono e che mettono in atto senza necessariamente scrivere libri simili a Gomorra o sullo stesso argomento. Ogni scrittore ha una propria voce e proprie storie da raccontare: se almeno alcuni di coloro che scrivono condividono anche la stessa finalità, mi sembra un segno vitale.
I toni che vengono usati quando si parla di Saviano da parte dei suoi detrattori sono inaccettabili. E quanto mi scrivi tu, e come lo scrivi, mi confermano nella mia – fascistissima e allucinantissima – convinzione.
@criastiano de majo. Ovviamente posso rispondere solo per me.
Mi ero rifiutata di parlare di Saviano, proprio perché le questioni, nel caso di Saviano, si intrecciano. Ma ormai, in questo paese, pare che si intrecci tutto, per cui o si va a ripescare il bandolo della matassa o è meglio restarsene zitti.
Premessa: credo che si possa parlare di tutto, criticare tutto, gli ebri come Saviano, cercando di evitare accuse di anti-… e di pro-… quando si fanno rispettivamente delle critiche o delle lodi.
E adesso arrivo a come vedo io la questione.
Il brano di Di Stefano che ho letto, insieme al relativo forum, sul sito del corriere, esprime una critica che non si capisce a chi o a cosa sia diretta (o almeno io non l’ho capito):
alle opere di Saviano e Merini? Alle loro poetiche? Alle loro persone?
Perchè io credo si dovrebbe far capire ai lettori di cosa si sta parlando, anzi da un critico io questo non me lo aspetto, lo pretendo.
Detto questo, io penso che sia più che legittima la critica alle opere e alle poetiche ‘di chiunque’, ma alle persone no, chiunque esse siano.
E’ quello che hanno fatto per esempio Antonio Pascale e Alessandro Piperno, che hanno espresso critiche o avanzato dubbi anche piuttosto severe nei confronti delle prime due (opera e poetica), anche se poi il web si è appropriato delle loro parole rilanciandole e travisandole al punto di fare a strisce la ‘persona’ di Saviano.
Poi c’è una questione che a me sta molto a cuore, quella della relazione tra letteratura e lettura.
Qualcuno dei critici si è chiesto perché quel libro viene letto tanto? E viene letto, non solo comprato. Vedo sui mezzi pubblici (dove passo buona parte della mia vita) ragazzi e ragazze molto giovani letteralmente affondati nelle pagine di Gomorra.
Qui secondo me è la questione fondamentale, al di là delle dichiarazioni di poetica: il rapporto tra letteratura e lettura, ovvero tra letteratura e società, al di là delle stesse intenzioni degli scrittori e dei poeti che le hanno prodotte.
E sarebbe opportuno che qualche critico, che sicuramente ha molti più strumenti di me, questa questione la affrontasse ogni tanto, non nei convegni o nei libri specializzati, ma sui giornali dove di solito si effondono in banalità.
Riguardo alla persona di Saviano: nei confronti di chi osa attaccarlo con sfottò, dileggi, o espressioni del tipo il giovane Holding, io divento addirittura selvaggia. Per cui mi fermo qui.
(scusate ma mi si era inceppata la tastiera)
livore e rabbia nei confronti di saviano? dimmi precisamente dove sono, per favore, loredana, altrimenti la tua considero l’ennesima manipolazione in cui si incappa quando si osa criticare saviano. se affermare con passione la mia visione della letteratura e considerare la sua ingenua e anti-letteraria, con una costruzione retorica speculare a quella dell’autore di gomorra (o si cambia il mondo o non è letteratura), significa dimostrare livore e rabbia, allora si vede che il mio ragionamento non è tanto campato in aria.
@zauberei: mi riferisco a “questo continuo borbottio” e ad altre espressioni consimili e diffuse che dimostrano una certa insofferenza nei confronti di chiunque eserciti le sue perplessità nei confronti del fenomeno – e addirittura, nel mio caso, non sulla persona o sull’opera, ma sul suo debolissimo apparato concettuale – per il solo fatto di esprimere perplessità.
Pronta. Intervenire a gamba tesa su un blog dove si sta discutendo in termine abbastanza pacati con parole come “allucinante” e “fascista” . Tu lo chiami “passione”. Io lo chiamo “rabbia”. La passione, per quel poco che posso capire, non si esprime con l’aggettivo “fascista”. La passione, sempre a mio parere, si esprime argomentando, e non gridando al complotto e alla manipolazione.
Tu non hai espresso una tua visione della letteratura: hai attaccato quella di un altro scrittore, semmai. E non hai usato certamente parole leggere. Scrivi, e dovresti conoscere molto meglio di me il peso delle parole stesse.
@cristiano. Scusa che cosa intendi per ‘fenomeno’? Perché anch’io ho delle fortissime perplessità nei confronti di una società in cui si può mettere impunemente a morte uno scrittore per le cose che scrive.
Questo mi provoca un qualche disagio, sì. E mi provoca pure molto disagio che questo fenomeno sia imputato allo stesso Saviano. Cosa che, come sai, si fa e si continua a fare, anche se non è il tuo caso.
Aggiungo una cosa: preferisco, di molto, uno scrittore con un apparato concettuale debole e una scrittura potente ai tantissimi scrittori di raffinata cultura e di impatto narrativo nullo. Scusate la franchezza.
sì ma allucinante e fascista era riferito a te, cioé a quello che hai scritto, non a saviano. quindi, nel caso, il livore e la rabbia considerale rivolte nei tuoi confronti.
dopo di che il fatto che non abbia espresso una visione della letteratura è decisamente falso. è anche contrastando certe tendenze che si esprime una visione, ed è anche (e soprattutto) facendo i nomi di quelli che consideriamo maestri. non ho gridato al complotto, ma solo alla manipolazione, cosa che si conferma nel momento in cui mi attribuisci la parola “complotto”, che io non ho usato né adombrato.
detto questo, ritiro la gamba, chiedo perdono al santo protettore della pacatezza e mi vado a leggere fuoco pallido.
E’ abbastanza avvilente.
Qualcuno pensa davvero che i libri di Moccia “non cambino il mondo”?
Eccome se lo cambiano. Chi lo nega semplicemente non accetta la responsabilità (civile) del proprio agire. Ma anche questo è ininfluente.
Ogni opera fa questo. Prima non c’era, dopo c’è. E il mondo è cambiato.
E chi scrive comunque cambia sè stesso, in bene o in male, in meglio o in peggio non ha alcuna rilevanza. E il mondo è cambiato di nuovo.
Poi, che le opere di Celine, Nabokov, Borges non abbiano cambiato il mondo fa proprio ridere. Le dichiarazioni, i desideri, gli atteggiamenti dei loro autori sono solo rispettabilissimi modi (personali) di stare al mondo.Attribuirvi una “prescrizione” erga omnes è operazione di sicura malafede. Quando, dove, Saviano ha detto o scritto: ” io sono, penso, scrivo così, e tutti devono fare altrettanto” ?
Avevo compreso che gli aggettivi, carissimo Cristiano, erano rivolti alla mia persona. Se vuoi chiarisco meglio il concetto: quando ci si indigna per gli attacchi a Roberto Saviano, arriva qualcuno che sbraita. Meglio, così? E’ vero, non hai detto complotto ma manipolazione: le due cose non sono del tutto equivalenti. Chiedo venia.
Quanto alla visione letteraria: hai citato maestri un po’ troppo dissimili per capire quale sia la visione che ne trai. Si può dire o si è fascisti anche in questo caso? Si può dire che una visione va esplicata e non costruita in opposizione? In opposizione a cosa, poi? A Gomorra? Alle parole di Saviano? A me?
Se venire qua a sputare insulti ha fatto bene al tuo ego, ad ogni modo, felice di essere stata utile.
Ps. Luca, ciao, felice di leggerti.
intervengo un’ultima volta solo per evitare ulteriori manipolazioni che puntualmente si avverano. luca, quello che dici è talmente ovvio che potevi risparmiartelo. se non l’hai ancora capito, il problema è che saviano intende cambiare il mondo in senso letterale, non letterario.
ora mi spengo davvero.
Senti, de Majo: ma secondo te noi passiamo il tempo a manipolare le tue parole? Non sarà, per caso, che non ti sei spiegato e non hai nessuna intenzione di spiegarti? Diccela, questa tua famosa visione letteraria, e facciamola finita.
E tu lo capisci che senza Gomorra avremmo avuto un “Casalese” governatore della Campania? Cosa tra l’altro ancora possibile, ma almeno lo saprai anche tu.
Letteratura che cambia il mondo o non è letteratura? Ma io penso che qualunque cosa scritta, o pronunciata, cambi le persone (il mondo è una entità astratta). Qualunque libro (buono o cattivo) produce dei cambiamenti in chi legge, in chi scrive pure, e nessuno, banalmente, è esattamente come prima di leggere quel libro. Forse se Saviano si esprime così è per affinare uno strumento di cui riconosce le potenzialità, per farne qualcosa di più efficace e consapevole, ma non comprendo quali sono i dubbi sulla letteratura. Che senso ha allora condannare a morte qualcuno che non ha alcun effetto??
Scusate se intervengo, ma l’argomento mi tocca e mi interessa…
Credo anch’io che moltissimi bravi scrittori non abbiano mai pensato di cambiare il mondo. E certo pochissimi hanno pensato di dover mettere a rischio la vita (nemmeno Saviano l’aveva messo in conto, infatti). Anche a me l’immagine dello scrittore-martire non convince e credo che Saviano per primo, pur con tutte le contraddizioni che si porta dietro, se potesse se la staccherebbe di dosso. Lo ha detto chiaramente in un’intervista rilasciata al Times l’estate scorsa (a cui in Italia è stato dato poco spazio). In quell’intervista Saviano diceva di essersi pentito di avere scritto un libro che gli ha regalato una vita di merda, e spiegava proprio di non voler essere un martire, ma uno scrittore. Per altro l’unico modo che avrebbe per ricominciare a vivere sarebbe proprio quello di ricominciare a scrivere, con i tempi e modi della narrativa (cioè lenti), quelli che la sua condizione di “recluso itinerante” non gli consente di avere.
Il suo grido d’aiuto cade nel vuoto, ogni volta che esterna questa sofferenza viene ripreso e rimesso al suo posto, sul piedistallo, a fare il simbolo. E’ questa la condanna che sta scontando, la condanna di Stato per aver scritto quello che non si poteva scrivere: e cioè che le grandi organizzazioni criminali italiane non sono un retaggio del passato, bensì il futuro, la realizzazione più concreta del turbo-capitalismo a cui il mondo si è consacrato da trent’anni a questa parte. Per di più lo ha fatto nel linguaggio popolare e accattivante della narrativa, facendo arrivare il messaggio a milioni di persone.
Quando penso a Roberto divento triste. Se sapessi come aiutarlo a smarcarsi, a “desavianizzarsi”, lo farei, cercherei di restituirgli la libertà. Ripeto: credo che tornare a scrivere, non necessariamente o direttamente di camorra, ma magari, perché no?, proprio di letteratura, o perfino un romanzo, potrebbe essere il primo passo verso il recupero della vita (che attualmente compartisce con i carabinieri 24h/24h). Ammesso e non concesso che gli sia possibile farlo.
Ovviamente Roberto è troppo sveglio e intelligente per non sapere che “smarcarsi” dal ruolo nel quale ti hanno forzato, non significa, non può mai significare, disimpegnarsi. Qualcuno nei commenti precedenti citava l’esempio di Auster che fissa il muro, anziché guardare dalla finestra, e lo rivendica. Con tutto il rispetto per il suo lavoro, Auster è un paraculo e sa di esserlo. Come se scrivere e pubblicare, cioè rendere pubblico ciò che si scrive, non comportasse una volontà d’interazione col mondo. Certo, questo non significa già darsi una “missione”, ma almeno, in inglese, una “mission” forse sì. Quale? Scrivere una storia e condividerla con il più alto numero di persone possibile, cioè parlare alle loro menti, alle loro vite. Ecco, visto che le storie non sono tutte uguali, il tipo di storia che si sceglie di raccontare fa la differenza. La fa sempre, che ci piaccia o no. Perfino se lo scopo intimo dell’autore fosse sublimare il proprio narcisismo o andare in classifica, o arricchirsi.
Mi riferisco in particolare ai commenti di Luca e di Paola.
Mi chiedo come mai chi critica, dal versante letterario, Saviano, non fa mai riferimento a questo piccolo dettaglio: uno scrittore, per aver scritto un libro, è stato condannato a morte.
Questo, di per sé, non fa del suo libro un capolavoro e della sua poetica oro colato, ovviamente, ma qualche domanda la dovrebbe provocare sul potere della letteratura, e non solo della letteratura.
Se in altri tempi e in altre parti del mondo è lo stato a decidere censure e pene di morte agli scrittori, da noi è la camorra.
Uno slittamento che non dovrebbe essere dato per scontato in un paese decente. Insomma, al di là della vita di Saviano, fa un po’ paura pensarci.
Nel mio quartiere c’è un tizio dalla faccia distrutta, con la fedina penale incatramata e dalle pessime abitudini etiliche. E’ stato lui, una volta, a dirmi che non pensare è la cosa migliore che un uomo possa fare. La stessa cosa la espresse Confucio e molte altre grandi menti dopo di lui. Ma solo lui mi ha fatto capire davvero il significato di queste parole.
Quando incappo in discussioni su Saviano penso al mio personale Confucio di quartiere, uno che – zitto zitto – è arrivato a esprimere verità millenarie. Ecco, mi chiedo, vuoi vedere che i Casalesi sono i migliori critici letterari in circolazione? A questo siamo arrivati? Al fatto che dei buzzurri armati di mitra capiscano meglio e prima degli altri la potenza di un autore come Saviano?
I Casalesi mi spaventano, questo cieco dare addosso (per cosa? per invidia? ma invidia di che? di non poter avere una casa, degli amici, una vita? Di una condanna a morte sulla testa?) – mi terrorizza.
Mi ricollego a quanto detto da WM4.
Anche io mi intristisco un po’ quando vedo Saviano in televisione.
Non so quanto si sia pentito effettivamente di aver scritto “Gomorra”. A quanto dice, si pone questa domanda tutti i giorni.
Ma in cuor suo sono convinto che qualche motivo per continuare a pensare di aver fatto una grande cosa ce l’ha ancora.
Però pongo due però.
Dato per assodato che Saviano oramai sia prigioniero non solo della scorta ma anche di un ruolo: come se ne esce?
Scrivendo. Certo.
Esistono altre strade?
Secondo me sì. Primo, forse, la comunità intellettuale dovrebbe riniziare a considerarlo un autore, uno scrittore, un giornalista. Non soltanto un martire. Questo, poiché lui è intelligente, non gli farà credere di essere diventato come tutti gli altri scrittori. Intanto, forse, gli allenterebbe la pressione.
E infine. Beh. La cosa più banale e trita. Vedere che qualcosa a Casal di Principe, soprattutto trai quei sciagurati ragazzi che lo infamano, è in procinto di cambiare. Davvero.
Anche qui, mi domando: siamo sicuri che la comunità intellettuale (oltre quella popolare) abbia fatto tutto il possibile per colmare quella distanza?
La risposta è no, Ekerot.
Condivido la tristezza di entrambe, ma temo che non si spezzi la catena di Roberto Saviano contrapponendogli or questo or quel nome della letteratura mondiale che fissa beatamente il muro di casa. O, peggio, la propria opera personale.
Condivido molto anche io WM4.
Capisco anche che Saviano come gigantesco totem culturale eliciti sentimenti aggressivi. Perchè è vero come dice Valeria che non bisogna prenderlo per oro colato un’ è mica “quèlo” eh:) però non sarebbe più giusto distinguere i campi? c’è il libro, c’è l’effetto che il libro ha destato sul piano politico, e c’è il fenomeno culturale, l’icona con l’aureoletta sullo sfondo, il quarto di copertina del ragazzo nun zolo bravo a scrive, nun zolo tanto mpegnato ma diciamocelo, un fico che lèvate! Che io sono convinta che il quarto di copertina ha contribuito non poco alla genesi dell’icona Saviano. Ma non credo che la polizia gli dia la scorta per quello.
Quindi, capisco la critica a Saviano per il suo lavoro, come l’apprezzamento, ma quando i commenti sono troppo acidi e aggressivi beh ci si arrabbia con quello sbagliato.
Cioè : se le luci di un teatro fanno schifo non è detto che la colpa sia dell’attore.
Zaub, io dicevo proprio questo: distinguere i campi. E’ anche vero che Saviano è un simbolo, e nel simbolo tutto si mescola e, per giunta, in tempi in cui tutto il mondo è spettacolo difficile è distinguere l’attore dalle luci di scena.
Comunque, sì, sono assolutamente d’accordo: tentare il più possibile di tenere i piani del discorso distinti.
la perla di d’orrico è di gaetano cappeli, guarda caso uno inventato da d’orrico
Un’altra considerazione: quello che mi ha sempre colpito di Saviano è la sua umiltà, e la prontezza nello spiegare. Spiegare anche cose banali, o che sembrano non aver bisogno di spiegazioni, come i commenti dei liceali di Casal di Principe o dei suoi concittadini durante l’intervista a l’era glaciale della Bignardi. Penso che spiegare sia anche condividere, e sentirsi alla pari degli interlocutori, o spettatori che siano, o lettori. Quindi, per distinguere i campi, c’è il libro, c’è il fenomeno culturale, c’è l’effetto politico, ecc. e c’è lo scrittore che tende la mano al lettore, al cittadino normale, per condividere, oltre ché trasmettere, il suo impegno.
So che non c’entra molto con la critica letteraria ma segnalo: http://it.notizie.yahoo.com/7/20091111/tts-saviano-non-e-un-eroe-la-camorra-non-c8abaed.html (attacco di un sindacato di polizia). Oh mamma! Fortunatamente il pensiero del SAP non è quello della gran parte dei poliziotti.
Boh Anna, ma sinceramente io capisco 5000 volte di più la polizia di Satisfaction. Voglio dire, specie presso noantri sinistri, il mazzo che si fanno poliziotti e scorte etc. è assolutamente indifferente. Non li troviamo decorativi, non sono glamorous, e pagano le stronzate fatte da certi loro inquietanti colleghi. Insomma quelli difendono il loro operato. Posso capire, che a vedere saviano alla tivvù si incazzino. Mi pare umano.
Sono d’accordo con quanto ha scritto Cristiano De Majo. Contestarlo dicendo che in realtà Saviano ha semplicemente illustrato la propria idea di scrittura, non delegittimando le altre, è falso. Sullo stesso giornale per il quale scrive Loredana, due anni fa Saviano definì le altre scritture, quelle “che non fissano in volto il tanfo della politica e il marciume degli affari”, alla stregua di passatempi idioti, o, per dirla con una citazione di Céline a lui molto cara, “costruire spilli per inculare le mosche”. E fece pure i nomi dei suoi maestri, tipo Primo Levi, Oran Pamuk, Rushdie e la Politkovskaja (in oppsizione all’oscuro Manganelli, per dirne uno). Ora, io credo che più che “desavianizzare Gomorra”, che mi suona un po’ retorico e vuoto, forse sarebbe utile non disumanizzare Saviano, non elevarlo automaticamente a icona intoccabile della letteratura impegnata, non collaborare col sistema mediatico che ha il solo interesse di fagocitarlo quanto più possibile, per esempio criticandolo quando la si pensa diversamente. Si disumanizza qualcuno, in senso positivo o negativo (trattandolo da bestia o da eroe), sempre per pessimi fini.
http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/lipperatura/2006/08/29/for-blog-only-intervista-a-roberto-saviano/
Era agosto 2006. Ancora non si era savianizzato Saviano. Le sue idee sulla letteratura erano, e sono queste a quanto mi risulta.
Garufi, aspettavo il tuo commento, me lo aspettavo esattamente identico a come lo hai postato. Solo, un po’ in ritardo rispetto alle mie previsioni.
Scusa il ritardo Lori, è che ne dici talmente tante che si fa fatica a seguirti. Delipperinizzare la lipperini, questa sì che è mission impossible!
Sergio verrai punito per tanta villania.
Sai giocare a scacchi?
Temo che dovrai desistere….:)
(io sì, Ekerot: partitella?)
(volentieri, io da contratto devo tenere il nero, che mi si addice)
Vedendo Saviano stasera da Fazio mi è tornato in mente quello che disse la volta precedente nella stessa trasmissione. Alla fine Roberto ringraziò quelli che lo criticano senza per questo togliergli il loro appoggio. Lui sa benissimo di avere un gran bisogno di essere criticato, almeno quanto ha bisogno di non essere delegittimato. Proprio oggi, con un tempismo perfetto, il SAP ci ha riprovato, dandogli dello showman a caccia di visibilità, mentre gli sbirri sì che stanno in prima linea… Come se Saviano avesse mai detto il contrario. Questa dichiarazione fa il paio con altre, tra cui quella recente di Pisani. E’ probabile che in ballo ci siano scazzi a distanza tra la Polizia e l’Arma, ma soprattutto credo che faccia capire perché si è deciso di farlo scortare dai Carabinieri e non dalla Polizia.
Detto questo, è evidente che non esiste un solo modo di “fissare in volto il tanfo della politica e il marciume degli affari”. Questo lo sa Saviano come chiunque di noi. Non è necessario parlare direttamente di affari e politica per parlare di affari e politica. Così come parlandone si parla anche di molto altro. Proprio per questo suggerivo che Saviano dovrebbe sperimentare anche nuove strade, altre modalità d’approccio alla scrittura e del racconto. Ma capisco quanto possa essere difficile, perché la contraddizione che vive è grande: una parte di lui vorrebbe sganciarsi dall’icona del martire, o provare in qualche modo a superarla, declinarla diversamente; allo stesso tempo è a quell’icona che chi lo protegge e lo esalta lo tiene inchiodato, ed è a quell’icona che lui stesso deve aggrapparsi per ottenere la visibilità che gli serve a non essere metabolizzato e fottuto. Per dirla in parole rozze: è difficile decidere per il meglio quando si ha una condanna a morte sulla testa e si deve la propria incolumità quotidiana ai Carabinieri (alzi la mano a chi hanno proposto di trascorrere il giorno del proprio compleanno nel carcere dell’Asinara perché era considerata una data sensibile). Chi ha orecchie per intendere può intendere benissimo, credo, e magari risparmiarsi di fare lo sborone con il culo degli altri. O, se preferisce, costruire spilli.
Da appassionato di narratologia, cerco il più possibile di valutare il testo, e secondo me Saviano ha scritto un ottimo libro.
Quanto alle recensioni su Anobii, almeno secondo la mia esperienza bisogna saper cercare, per trovarne di buone, e se non si conoscono determinati utenti validi, può volerci del tempo.