COLLANE SEPARATE

Scrive Helena Janeczek su Nazione Indiana:
“Le storie di donne, amori e famiglie non sono argomento meno degno di diventare letteratura di qualsiasi altro, come dimostrano le opere di Jane Austen, Emily Bronte, Lew Tolstoj, Gustave Flaubert, Henry James, Edith Wharton, Marcel Proust, Thomas Mann, Virginia Woolf, Katherine Mansfield e via dicendo. Ma, proprio per questo, l’industria editoriale può, secondo convenienza, trattare con la massima facilità la narrativa dedicata a “tematiche femminili” in due modi opposti e speculari.
Da un lato può abbassare libri letterari, confezionandoli con titoli e copertine affabilmente femminili per aumentarne il raggio di fruizione, dall’altro può conferire un aspetto di dignità letteraria a libri di carattere commerciale di qualità variabile.
In Italia si praticano entrambe le opzioni: forse è questa la differenza con il crime dove il movimento si compie quasi esclusivamente in una sola direzione.
Come ho già detto, è nell’insieme del panorama culturale italiano che le distinzioni risultano più erose. Parlo di distinzione tra letterario e non-letterario, ma anche tra produzione commerciale buona o scadente. Di questa evoluzione verso l’indistinto, ho tuttavia impressione che l’ambito femminile rappresenti oggi la frontiera più avanzata.
Le prime due ragioni sono quelle già delineate: l’importanza vitale di raggiungere quante più possibile lettrici e la stessa duttilità formale dei romanzi all’abbassamento o innalzamento.
Se ne aggiunge una terza che riguarda la questione di genere intesa come gender. Se pensiamo ai titoli letterari “femminilizzati”, il problema risulta più evidente. Questo libro, dice la confezione, è destinato alle signore che vanno rassicurate circa il loro buon gusto, senza però intimorirle troppo”.
L’analisi di Helena è lucida e profonda: leggetela integralmente. Ma la sensazione che si ha è che le cose, a crisi editoriale conclamata, si stiano radicalizzando: con l’uscita, il prossimo venerdì,  del già citato “mommy-porn”, Cinquanta sfumature di grigio, si è già aperto un nuovo sottofilone (ma alla meno peggio, capiti quel che capiti). E alcuni editori lanciano apertamente la re-genderizzazione delle collane, come si fece, ai tempi, con le barrette di cioccolato. Questo l’annuncio dato ieri da Antonio Prudenzano su Affari Italiani:
“Si chiamano Rizzoli Max e Fabbri Editori Life, e sono i due nuovi marchi di Rcs Libri destinati a un pubblico, rispettivamente, maschile e femminile. Titoli come “Gente letale” di John Locke, il primo autore self-published a entrare nel Kindle Million club o “Cosa indossare con un cuore spezzato” di Samia Murphy, proposti a 8,80 euro”.
Insomma,  il noir viene  destinato, apertis verbis, al pubblico maschile e il romance al femminile: “Rizzoli Max proporrà noir, thriller e romanzi storici: tra le prime uscite, “Invictus. Costantino, l’imperatore guerriero” di Simone Sarasso e soprattutto “Gente letale” di John Locke, il primo autore self-published a entrare nel Kindle Million club. Fabbri Editori Life sarà invece riservato a un pubblico di lettrici in cerca di emozioni, con titoli come “Il libro dei profumi perduti” di M.J. Rose, “Cosa indossare con un cuore spezzato” di Samia Murphy, “Il ristorante degli chef innamorati” di Ben Bennett e “Voglio prenderti per mano” di Ann Hood”.
Cinque anni fa, se mi permettete l’autocitazione, scrivevo questo: “La re-genderization, il ritorno ai generi, è già in atto, dalla metà degli anni novanta, nella produzione e diffusione di giocattoli, programmi televisivi, libri, film, cartoni. Laddove la parola ritorno non sancisce semplicemente una differenza, ma determina, ancora una volta e a dispetto delle apparenze, la premessa di una subordinazione”.
Ma, per quanto riguarda l’editoria adulta e mainstream, questa mi sembra la prima volta, in Italia, in cui si aprono la collana azzurra e la collana rosa. O nera e rosa, a piacimento.
In coda, la terza intervista di Marilù Oliva. Risponde Fabrizio Fullo Bragoni di Nonsolonoir.
1. Quanti redattori/giornalisti/recensori conta la rivista/il blog?
NonSoloNoir è nato come blog personale; non ho mai pensato di ampliarlo e, salvo rare occasioni (es. uno speciale sul premio Scerbanenco proposto alcuni anni fa), neppure di pubblicare pezzi scritti da altri. Unica eccezione sarebbe stata, nelle intenzioni iniziali, la mia fidanzata, che però non si lascia coinvolgere se non come redattrice/correttrice/“talent scout”. Per cui direi che ci lavoriamo in due, ma le recensioni sono tutte mie.
2. Quanti uomini e quante donne (in percentuale)?
Cinquanta e cinquanta (1 e 1), ma poi, effettivamente, con funzioni diverse.
3. Come reperite i redattori? (si autocandidano, vengono segnalati, etc)
Mai preso nuovi redattori.

4. Quante domande ricevete da parte di candidati uomini e di candidate donne?
Ho ricevuto pochissime candidature, se non sbaglio tre o quattro in sette anni, tutte da uomini.
5. Quante recensioni di scrittrici vengono fatte rispetto a quelle di scrittori (sempre in percentuale)?
Le recensioni di scrittrici sono molto poche, ma non per mia scelta: tradizionalmente, le donne che scrivono il “mio” genere sono pochissime, e poi ho l’impressione che le case editrici spingano più gli scrittori (uomini), che le scrittrici…
6. Prendete le ultime venti recensioni fatte a scrittori maschi e le ultime venti fatte a scrittrici femmine. La media del voto (stelline) è la stessa?
Nel blog non uso voti o sistemi di quantificazione, e quindi mi è impossibile rispondere a questa domanda.
7. Sono più donne, uomini o sono in ugual misura 50% quelli che recensiscono le donne?
Essendo l’unico autore delle recensioni, mi è impossibile rispondere.

28 pensieri su “COLLANE SEPARATE

  1. Ho la sensazione che il tentativo sia quello di ingannare il lettore…e partire dal presupposto che l’acquirente sia completamente stupido è sempre una mossa molto azzardata per un venditore, che quasi mai porta buoni risultati.

  2. Ne so pochissimo di questo prodotto editoriale di prossima uscita. Ho capito che costerà poco, che avrà tante pagine (il fermaporte di cui si parlava giorni fa :)), che è scritto da un’autrice e che narra di episodi sado-maso (solo masochismo femminile o anche dominanza femminile? Mi è sfuggito). E questa premessa è doverosa perché potrebbe inficiare, se il contenuto non fosse quello che ho inteso essere, il resto della mia riflessione.
    Non trovo condivisibile la parte iniziale dell’articolo de L’espresso che fa un parallelo tra i femminicidi e gli ammazzamenti cruenti a cui le donne vengono sottoposte ormai quotidianamente, con una narrativa di pratiche bdsm.
    Queste ultime infatti, esercitate nel pieno della consapevolezza da uomini e donne, prevedono una coercizione consenziente che si svolge tra adulti e che dalla quale tali adulti traggono piacere. Chiamasi gioco erotico per adulti.
    Ci sono slave donne, come slave uomini. Mistress e master.
    Può darsi che il libro parli solo di masochismo femminile… questo aprirebbe una breccia nel mio ragionamento… ma per ora mi attengo alle poche informazioni che ho, e anzi, ne aprofitto per fare un discorso generale.
    Accostare tutto ciò alla violenza, all’atto di sopraffazione e annientamento della violenza di genere mi sembra fuori luogo. E’ un’altra trappola. Io, io ipotetico, non posso leggere di bdsm perché in qualche modo avallo la violenza sulle donne? Ecco un’altra palese limitazione alla libertà sessuale delle stesse.
    Mi preoccupa, mi hanno sempre preoccupata, e me ne hanno in parte allontanata spingendomi verso la letteratura femminile, la misoginia, il disprezzo e livore che si leggono in romanzi “insospettabili”, per nulla erotici, di autori che hanno nel corso dei secoli, fino ad oggi, dipinto la donna come santa, madre, puttana, stronza a cui farla pagare, isterica, ecc. E che hanno sì contribuito a gettare le basi culturali su cui poggia salda la legittimazione sociale del femminicidio.
    Mai una parola su questi intoccabili. Sulla frase misogina buttata lì, tra alta espressione letteraria e saggi pensieri (nel caso di alcuni capolavori), o di quella che si trova nella mediocrità della carta stampata al alto consumo di un Fabio Volo, ad esempio.

  3. Stavo rimuginando un pensierino veloce, lo butto li’: ho partecipato di recente a due antologie di autori vari, una di fantapolitica una di fantanoir. (Non dico altro, non intendo certo venir qui per farmi pubblicita’…)
    Nella prima ero l’unica donna, nella seconda eravamo in tre.
    Al di la’ dell’ovvia considerazione che siamo in minoranza a scrivere di questi generi, ho notato una cosa, che mi ha veramente colpita: la maggior parte dei racconti, per quanto fossero storie brevi e necessariamente dovessero avere come punto di forza soprattutto idee e ambientazione, erano intensamente centrati su storie d’amore piuttosto disperate. Con una visione della donna discretamente ossessionante.
    A me, francamente, provando a immaginare una trama adatta alla bisogna, non sarebbe certo venuto fuori come primo pensiero, anzi… difatti nei miei racconti delle due antologie non vi e’ traccia di complicazioni sentimentali.
    Cosi’, giusto come dato che mi ha un po’ stupita. Poi le possibili spiegazioni richiederebbero di addentrarsi in discorsi troppo complicati e lunghi da affidare a un messaggio.

  4. La genderizzazione delle collane editoriali mi sembra una tale vaccata che mi viene il sospetto sia una trovata pubblicitaria, niente di più.
    Le donne leggono anche noir, mentre gli uomini non leggono rosa. Immagino che “Gente letale” verrà acquistato ANCHE da donne, in barba al fatto che sia nella collana maschilizzata, mentre SOLO le donne compreranno titoli tipo “Come indossare un cuore spezzato”.
    Di fatto cosa cambierà? Niente. Prima di questa genialata, la genderizzazione avveniva solo in un senso: una parte del catalogo di alcuni editori veniva preparata – grafica, copertina, packeging, titolo – per attirare il pubblico femminile. Si dava per scontato che il resto della produzione fosse a uso di entrambi i sessi.
    Una trovata inutile, quindi, ma che di sicuro farà parlare. In ogni caso la sensazione è che si stia grattando il fondo del barile, anzi, che non sia rimasto nemmeno quello.

  5. perdonate la mia probabile ingenuità, ma concretamente, al di là di queste strategie editoriali che, ha ragione Valberici, non rispettano l’intelligenza del lettore e della lettrice, cosa impedisce a me uomo di leggere un romance se voglio o ad una donna di leggere L’imperatore guerriero? Non sarà certo la copertina rosa a fermarmi. Del resto, se non ho mai letto Helen Fielding e Sophie Kinsella, è vero che ho visto i film tratti da Bridget Jones e I love shopping e mi sono pure divertito (Isla Fisher/Becky Bloomwood è troppo simpatica!) senza sentirmi “meno uomo”. Io non ho alcun problema a guardarmi una commedia romantica o uno splatter, mi piacciono entrambi anche se il primo è considerato geere tradizionalmente “femminile”, l’importante è che siano fatti bene.
    Sul sadomaso, personalmente non mi attira ma chi ne trae piacere lo pratichi pure, anch’io eviterei di confonderlo col femminicidio e la violenza sulle donne. Comunque tempo fa vidi un film, Secretary di Steven Shainberg (da un racconto breve di Mary Gaitskill) con Maggie Gyllenhall e James Spader , che tratta il tema del sadomaso in maniera molto intelligente

  6. io invece condivido, con timore, la connessione che si determina fra violenza di genere e dunque femminicidio e certo tipo di operazioni editoriali che tendono a disegnare insistentemente il sostanziale desiderio di sottomissione della donna. Anche a questo mi riferivo nei precedenti post chiedendomi che ricaduta sull’immaginario collettivo può avere la reiterata promozione di certe narrazioni a scapito di altre. Con questo non voglio dire che il bdsm in sé sia causa di femminicidio, attenzione. E’ il tipo di narrazione che viene promossa, chiacchiericciata, morbosona, pseudo-psicologica, da sentito dire al bar dello sport. Vallo a spiegare al pubblico del mainstream, a quello italiano poi, che esiste anche lo, e non solo la, slave.

  7. Antonellaf, mi sembra che il discrimine sia proprio quello: l’autrice nel tomo parla solo di masochismo e bondage declinato al femminile? (che noia dopo un po’,ma davvero sono 600 pagine?…).
    Perché se si vuole avere come target gli amanti del bdsm bisogna ampliare la narrazione a tutti i soggetti. Altrimenti il sospetto di un’operazione che possa avere delle ricadute di un certo tipo, almeno in Italia, viene.
    Anche se così fosse ritengo sempre più preoccupante, dannosa, e meno analizzata e decostruita (perché non è erotica? perché non l’ha scritta una donna?) certa narrativa dove ti basta solo aprire il volume per respirare l’aria maschilista e misogina che la permea.

  8. Primo pensiero dopo aver letto il post: ma quale miserevole, borghese e triste idea di mondo hanno queste grandi menti commerciali che lavorano nelle case editrici e si fanno venire queste idee davvero nuove e sorprendenti?
    Secondo pensiero: ma perché devono propinarmi questa idea di mondo? Un’idea di mondo dove io, in quanto donna, sarei leggera, vanitosa, un po’ porca (a comando) e pure contenta di esserlo? E perché mai io dovrei alimentarla e diffonderla comprando i loro prodotti?
    Terzo pensiero: se questa è la profondità, l’intelligenza, la cultura e il rispetto del lettore con cui pensano di lavorare sono destinati al fallimento totale.

  9. elisabetta, ovviamente non so se l’autrice parla solo di masochismo e bondage al femminile, ma io eviterei di concetrarsi solo su questo punto, tralasciando la cornice che circoscrive il quadro editoriale di cui quel romanzo è un elemento, uno, ma non il solo. Antonio Prudenzano, nel link postato, fa cenno anche a un altro (possibile?) bestseller:cosa indossare con il cuore spezzato. c’è anche la copertina. Dai, improponibili, titolo e copertina, a me bastano quelli per starne alla larga. Anche la questione copertine non è da meno: ma le vedo solo io certe copertine, tutte di romanzi scritti da donne? fanciulle pensierose sull’altalena, sagome che si stagliano languide su un viale del tramonto, profili immunodepressi che contemplano un fiore reciso, donzelle che girano su stesse facendo la ruota con un abitino bianco stile sottana della nonna… eppure le librerie sono piene. Casualità? Che immaginario disegnano il fiore reciso, il viale del tramonto, la sottanella bianca, associate alle narrativa femminile?

  10. ma pure se parla di un rapporto sadomaso dove è lei la “slave”,non è un problema (si può parlare di ogni cosa e scegliendo il genere letterario o la commistione di generi che si vuole) la qualità letteraria sta in come ne parla: se in maniera gratuitamente, inutilmente morbosa oppure se ha un significato, uno scopo, una precisa necessità narrativa, d’atmosfera ecc… Alla fine come ho già detto, tutto dipende dall’autore in questo caso autrice: se ha interesse a far vivere un mondo, una trama, dei personaggi oppure vuole solo e unicamente fare un sacco di soldi fregandosene di tutto il resto..certo quanto letto finora su Cinquanta sfumature di grigio spinge ad optare per la seconda ipotesi, ma finchè non si legge, non c’è certezza

  11. @ antonellaf
    posto che vale sempre ciò che diceva Frannk’n Furter: don’t judge a book by his cover, le copertine hanno lo scopo di attirare l’occhio del lettore e anche di anticipargli in qualche modo che tipo di atmosfere e di storie troverà, anche qua per sapere quanto una copertina o un titolo siano appropriati ai contenuti e quanto “ingannatori” (e un po’ fuorvianti secondo me le copertine lo sono sempre) l’unica è leggere il libro

  12. Se posso dare anche io un consiglio: seguite il consiglio della zia Lippa!!!
    Piuttosto leggetevi i diari di Anais Nin!
    Insomma che visione del mondo triste quella a compartimenti stagni: i maschietti, le femminucce, il sesso selvaggio o i vestiti bianchi virginali in copertina!!

  13. Antonella, io invece mi ero proprio soffermata sul libro in sé e in particolare sull’accostamento che ne faceva l’Espresso con il femminicidio.
    Non posso che convenire con te circa l’inappropriatezza di copertine melense e monotematiche in cui viene relegata certa narrativa di autrici.
    Però il discorso vale solo se queste tradiscono il contenuto, che magari melenso e stereotipato non è, a favore di una maggiore “vendibilità” del prodotto se presentata in un certo modo, altrimenti il problema sta a monte.
    Tanto per fare un esempio ultimamente è uscito per S&K un libro di Caitlin Moran che in America aveva come titolo: “How to be a woman”, e che parla di “femminismo” in modo molto leggero, una cosetta che dovrebbe essere divertente, ma che insomma io non comprerei. Il punto è che titolo che ha scelto S&K per l’edizione italiana è “Ci vogliono le palle per essere una donna”. Per non parlare di un libro di Erika Lust, regista porno svedese, titolo orginale “Porno para mujieres” tradotto in italiano con “Per lei”.

  14. Fosse scritto bene gli si potrebbe perdonare molte cose, ma se è scritto male mi chiedo quale sia il senso di tutta l’operazione.

  15. Creare un filone, In mezzo alla segale. O meglio, pescare fra le lettrici Harlequin (dai uno sguardo su Amazon.it ai libri suggeriti a chi acquista Cinquanta sfumature), che bene o male garantiscono una media di diecimila copie vendute a titolo, e aprire la via all’erotico femminile low coast. Nulla contro l’erotico (anzi, e se qualcuno se ne esce con l’equazione femminista=bigottona lo mordo), ma che sia, vivaddio, ben scritto, oppure che sia davvero un low coast e non passi per l’esperimento editoriale più figo degli anni Dieci.

  16. Si, il pezzo di Helena merita di essere letto e riletto.
    Dopodichè non vorrei che si sovrapponessero due polarizzazioni stereotipe diverse: quella che distingue tra letteratura e fumettone e quella che riguarda la re-genderizzazione. La prima è oggettivamente al servizio del lettore, se aiuta chi cerca il semplice e il complesso a trovare il suo libro (Moccia anzichè Moresco, per dire). La seconda è stupidamente ideologica e autolesionistica. Per esperienza (nelle presentazioni ne ho conosciute tante), le lettrici sono onnivore, ce n’è che adorano il colto, il popolare, il thriller e il sentimentale, caso mai sono i maschi che oltre a leggere meno sono più limitati nelle scelte. Quindi la re-genderizzazione non è nemmeno al servizio del mercato, perchè tende a restringere più che ad allargare il potenziale di un libro.
    Non solo: questo fa si che chi volesse provare a coinvolgere un lettore generico a tematiche sentimentali e familiari di taglio psicologicamente complesso, ne sarebbe scoraggiato. Io ho scritto un libro che potrebbe paragonarsi a “Nel nome del padre” di Gianni Biondillo e, unico di tutti i libri che ho scritto, non ho ancora trovato un editore, anzi ci rinuncio. Mi piacerebbe sapere da Gianni come è andato il suo (che a me è piaciuto molto), per capire se è il mercato che non vuole o gli editor che sono delle teste di cazzo.
    E qui veniamo al punto: sicuri che il ricambio generazionale che si è avuto nelle redazioni negli ultimi dieci anni non abbia nuociuto all’editoria italiana? Scelte e orientamenti come quelli di cui stiamo parlando attestano innanzitutto pigrizia. La ricerca del genere ad ogni costo, la categoria facile con cui confezionare e spiegare un libro in due righe, il rifiuto dell’ibrido, del complesso, dell’inclassificabile. Che va di pari passo con la sparizione del libraio di fiducia, quello che i libri li legge e te ne parla, ti consiglia. Il trionfo della grande distribuzione va di pari passo con quello dei microcefali nelle redazioni?
    Direte: ma tra i piccoli editori ci sono editors e redattori di grande sensibilità e intelligenza. Vero. Ma che succede quando si stufano di fare la fame e passano di livello, una volta assunti dai grandi gruppi editoriali? Scoprono Avallone e D’Avenia e li propongono come modelli del mainstream?

  17. Valter, ogni tanto succede: sono perfettamente d’accordo con te. Sì, ha nuociuto, e parecchio. Salvo, ovviamente, eccezioni anche numerose. Ma attenzione a non dare la colpa alle redazioni, perché non sempre le redazioni e gli editor hanno, ormai, piena libertà decisionale. Anzi.

  18. Io credo che questa vicenda, almeno per quanto riguarda gli aspetti di marketing e comunicazione, possa essere tristemente inquadrata nell’inflazionatissima categoria del conformismo. Chi si occupa di marketing, per mia più che decennale esperienza, è tutt’altro che creativo come vorrebbe la vulgata e anzi, nella ricerca della ricetta promozionale è più portato a mettersi al riparo dalle critiche che a valorizzare il prodotto, qualunque esso sia. I libri per costoro non fanno eccezione. Si cerca la strategia sperimentata, tranquilllizzante per il committente, ortodossa e quindi fatalmente conformista. E così i detersivi sono tornati ad appartenere a un universo di casalinghe anni cinquanta (addio anche all’uomo in ammollo), le bambine devono giocare con le bambole, i maschietti con le pistole e, ovviamente, devono esistere letture per maschi e letture per femmine. Dico questo non per banalizzare il fenomeno, ma per liberare l’analisi che se ne sta facendo qui dall’equivoco che sia il marketing il responsabile. Lo è, il marketing, nella stessa misura in cui lo è per gli altri esempi che ho fatto. Marketing e comunicazione, tolte le immancabili pregevoli eccezioni, subiscono supinamente il vento che spira dalla società: è lì e nelle sue trasformazioni, secondo me, che va cercata la radice di questi fenomeni. Nel caso specifico del marketing editoriale la mia esperienza è ormai molto vecchia, ma guardando le cose dall’esterno mi sembra che non sia sbagliato osservare come il mestiere sia diventato man mano meno specifico, e che vendere libri o pomodori per molti cosiddetti esperti del settore non faccia poi questa gran differenza. Da cui lo scivolamento verso modelli conformisti tipici della promozione dei prodotti di largo consumo e la conseguente genderizzazione del marketing librario.

  19. Mmmh… creare un genere. Ovvero spostare lettori (lettrici) verso il proprio mulino, rubandole alla concorrenza, e se possibile espandere il bacino di utenza. E per un’offensiva così ambiziosa il capostipite lo si sceglie scritto male? Ahi ahi.

  20. E che vuol dire che è scritto male? Ricordiamoci di Fazi, che dopo aver pubblicato un oceano di libri di alta qualità e scarsissimi volumi di vendita vide decollare il suo primo best seller grazie a una ragazzina di 16 anni. Si chiamava Melissa.

  21. Ah. Uh. Tristemente vero. Lo lessi per lavoro, noioso quasi quanto il verbale di una riunione di condominio. Non ho mai capito perché abbia stravenduto.

  22. @maurizio certo, ma secondo me una volta che si è fatto il botto con il best sellerone erotico bisognerebbe reinvestire il capitale in prodotti di qualità, se invece si insiste con operazioni commerciali e libri-fotocopia si finisce col fallire miseramente!
    La domanda è: ma chi sceglie i libri da pubblicare? L’addetto marketing o chi sa riconoscere un libro scritto bene? Oggi queste case editrici, così gestite, sanno ancora riconoscere un libro scritto bene o no? A qualcuno importa o no? Oltre al giusto intrattenimento gli interessa ancora fare cultura? Questo mi domando.

  23. Esattamente come i prodotti in vendita al centro commerciale: i pomodori, belli rossi lucidi perfettamente tondeggianti, insomma dall’aspetto invitante, ma che sono tossici e non sanno di niente, per esempio.

  24. Lo scontro tra ciò che è bello e ciò che è vendibile c’è sempre stato all’interno delle case editrici. Solo che finché c’erano margini si arrivava a un compromesso, mentre oggi, sotto la minaccia della sopravvivenza, ha prevalso il marketing su tutta la linea: scelta, lavorazione, confezione, posizionamento, promozione.

  25. @Laura Atena: premesso che il parere di qualcuno più esperto e più aggiornato di me sarebbe benvenuto, penso che esistano case editrici dell’uno e dell’altro tipo. Pensiamo a Newton Compton, che magari i libri di qualità li pubblica pure (a diritti d’autore scaduti), ma con traduzioni sulle quali è meglio sorvolare e un lavoro editoriale diciamo… discutibile, per non infierire. In economia (e in tutt’altro ambito, a dire il vero) si dice che la moneta buona scaccia la cattiva: l’ingresso sul mercato di operatori non specificamente culturali, ma alla semplice ricerca di profitto (in questo senso Newton Compton non è certo il peggiore) è uno dei fattori, io credo, che hanno spinto la competizione verso il basso e verso l’emulazione del marketing dei detersivi. Probabilmente, come sta accadendo anche in molti altri mercati, si sta andando verso una segmentazione sempre più spinta dell’offerta in base al target, dalla quale dipenderà la stessa sopravvivenza di molti marchi: libri dai contenuti e dalla veste editoriale di qualità per lettori evoluti, a prezzi purtroppo via via più elevati; e libri meno sofisticati per i palati forti. Poi magari qualche grande player sarà in grado di presidiare, come già oggi, segmenti diversi con marchi diversi. Ma, non essendoci spazio per tutti nell’editoria di qualità, molti semplicemente chiuderanno. Ma, ripeto, ma mia è una visione poco aggiornata e magari già superata dai fatti.

  26. ecco che si cavalcano le polemiche su 50 sfumature…
    si intervista un sessuologo che a quanto pare non ha letto il libro (vedansi ultime domande); all’inizio dice che il libro è tutt’altro che trasgressivo e destabilizzante, poiché ripropone stereotipi tranquillizanti (donna sottomessa uomo dominante);e poi nella parte finale dell’intervista lui stesso ripropone una visione che più stereotipa non si può della sessualità sia maschile che femminile, dove non si parla mai di piacere ma sempre e solo di potere (la donna si finge sottomessa per dare l’illusione di potere all’uomo, “ma è poi la donna l’unica tra i due che può incastrare l’altro perché lo strumento più potente in camera da letto lo possiede lei: la gravidanza” :-|).
    http://d.repubblica.it/argomenti/2012/06/08/news/pelemiche_libri_femminismo-1073697/

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