Dodici anni fa, i dati forniti da Tullio De Mauro ci dicevano che cinque italiani su cento fra i 14 e i 65 anni non sanno distinguere una lettera o una cifra dall’altra. Trentotto lo sanno fare, ma riescono solo a leggere con difficoltà una scritta. Trentatre non riescono a leggere un testo scritto che “riguardi fatti collettivi”. Un quotidiano, per esempio. Solo il 20 per cento degli italiani, secondo De Mauro (che a sua volta si riferisce a studi internazionali) possiede gli strumenti minimi indispensabili di lettura e scrittura per orientarsi nella società.
Non sto neanche a cercare l’aggiornamento, perché non è dei numeri che voglio parlare. Voglio, invece, interrogarmi su quanto siamo cambiati in dodici anni. Com’è noto, non ho mai demonizzato i social: però, giorno dopo giorno, prendo atto di come la nostra comprensione del testo sia peggiorata. Faccio subito l’esempio del giorno: mi è capitato di ricevere una serie di commenti molto violenti per qualcosa che non ho mai scritto. Ma nessuno dei commentatori (commentatrici, in verità) aveva letto né il mio articolo né il contenuto del post. Bastava una parola da estrapolare per poter dire la propria.
E’ un piccolo caso, e certo verrà dimenticato in dieci minuti, come al solito. Ma come mai non riusciamo più a leggere? L’urgenza è semmai quella di scrivere subito quello che pensiamo, prescindendo dai testi. Ma l’arricchimento delle nostre vite (tutte) è dato dall’ascolto e dalla lettura degli altri e delle altre. Se questo viene meno, e sta venendo meno, ci ritroveremo privati delle parole necessarie, e ne balbetteremo poche, sempre le stesse, senza neppure rendercene conto.
Forse bisogna cominciare a prenderci spazi e tempi sempre più ampi di disconnessione.