CONTRO GLI EDITORI A PAGAMENTO

Un episodio avvenuto ieri pomeriggio mi offre lo spunto per spiegare una presa di posizione già espressa qui e altrove. Non recensirò mai, per nessun motivo, un libro pubblicato da un editore a pagamento. Sono consapevole che in questo modo posso far torto all’autore e a un testo che potrebbe avere forza e ragion d’essere. Ma trovo che quella dell’editoria a pagamento sia una perversione che va combattuta.
Sono disposta – tempo permettendo –  a leggere romanzi pubblicati in rete o attraverso il self-publishing: ma non sono disposta a giustificare l’esistenza di un mercato che vive attraverso l’inganno.
Perchè quando un editore chiede soldi, in ragione di migliaia di euro, a un autore, blandendolo e convincendolo di essere più che pronto per la pubblicazione, sta dicendo il falso: nella stragrande maggioranza dei casi quei testi non vengono letti nè editati.
So bene che pubblicare, a dispetto della caccia all’esordiente, è difficile. Ma esistono molte case editrici piccole e medie che valutano seriamente le opere di chi si rivolge a loro: può darsi che le rifiutino, certo. Ma con i rifiuti occorre fare i conti: se la strada scelta è quella giusta, prima o poi verrà un sì.
Scegliere un editore a pagamento significa che, almeno nella maggior parte dei casi, non si verrà poi presi in considerazione da un editore “puro”, nè da un critico: certamente ci sono state e ci sono le eccezioni. Ma sono eccezioni, appunto.
Per essere espliciti, su questo blog trovate l’elenco degli editori che chiedono contributi per pubblicare e di quelli “doppio binario” , nonchè il calcolo dei costi reali di un libro e  una serie di consigli intelligenti. Seguiteli.
Mi scuso con l’autrice che ieri mi ha inviato il suo romanzo, che non leggerò: ma credo che questa sia l’unica strada possibile per porre fine ad una pratica non solo malsana per gli esordienti, ma perniciosa per tutti coloro che scrivono.

89 pensieri su “CONTRO GLI EDITORI A PAGAMENTO

  1. Posizione intransigente, ma giusta. Purtroppo tra le case editrici a pagamenti si trovano alcuni ottimi testi che non hanno trovato spazio nell’editoria maggiore, o che sono stati ristampati dall’autore dopo la scadenza della prima edizione: e ne conosco qualcuno. Ripubblicare a pagamento dà l’illusione che il tuo libro sarà notato, magari da quell’editore che fino a ieri non se ne era accorto (vedi la favola del primo libro di Moccia che circolava in fotocopia): un’illusione, appunto. Il discorso andrebbe esteso alla saggistica, dove case editrici dal catalogo prestigioso sciacallano sui contributi degli autori alla pubblicazione, magari per conquistare una visibilità da spendere presso gli enti locali (pubblicazioni di cataloghi, atti ufficiali, brochure, guide per gli ospiti, ecc.).

  2. Completamente d’accordo con GL.
    Un periodo ho partecipato a qualche concorsino, promosso – come ho scoperto in seguito – da queste sedicenti (ché per me altro non sono) case editrici.
    Naturalmente non c’era vera gara, tutti gli …”elaborati” ricevevano qualche fornma di emolumento, e “in bocca al lupo per la sua carriera letteraria”, con premi che andavano dalla pubblicazione (?) di un ottavodell’opera (il resto era a pagamento) a buoni per copie omaggio (dopo aver pubblicato con loro a pagamento).
    Mi sono fatta tante di quelle risate.

  3. Se si devono pagare 1600 euro, quei soldi sarebbero spesi molto meglio nel self-publishing, e darebbero risultati migliori (ovviamente per chi sa destreggiarsi)…

  4. Con quei 1600 euro invece di pagare un editore o una tipografia si dovrebbero comprare libri e poi magari leggerli tutti. Se non hai capito allora come si scrive è meglio lasciar perdere.

  5. In effetti … come non essere d’accordo con te.
    In questo paese noto una proliferazione abnorme di scrittori (cito, per dire, pure Francesco Totti o che ne so Antonio Cassano, con il massimo rispetto per entrambi), mentre non apprezzo un trend altrettanto in crescita per i lettori. (Siamo, notoriamente, il paese della Comunità Europea che legge di meno, ma non solo i libri, anche i giornali, sempre per dire, eh).
    C’è qualcosa che non va, dunque, e, secondo me, parte di questa alterazione dell’ecosistema editoriale, che dovrebbe essere governato, per una volta si, dalle regole del mercato, non aiuta né a fare emergere i veri nuovi talenti, né ad agevolare lo sviluppo di una vera cultura della lettura nel nostro paese.
    La questione ha davvero assunto, negli ultimi anni, proporzioni inquietanti, e fai molto bene a mettere in evidenza questa tua netta presa di posizione.
    Con stima.
    Rob.

  6. Sarebbe auspicabile una presa di posizione dell’AIE in merito ma temo non succederà mai malgrado quanto scritto nel loro stesso statuto.

  7. Sono assolutamente d’accordo. Ti spiumano e non distribuiscono nemmeno.
    E’ notevole la tattica: dichiarano attraverso inserzioni di cercare autori, poi ricevi una lettera dove ti dicono di aver “selezionato” (hahahaha) il tuo lavoro, dopodiché ti fanno vedere il prezziario e ti blandiscono con una lista di autori già pubblicati da loro che sono in lizza per premi surreali e simili.

  8. Intanto, un saluto caro a Roberto Bernabò che mi fa piacere ritrovare qui. Piccola riflessione su quanto scrive William: la responsabilità è anche dei premi, naturalmente. Personalmente, quando ero in giuria nel premio Città di Bari (uso il passato perchè suppongo che con la nuova giunta debbo considerarmi decaduta) mi sono battuta affinchè le case editrici presenti nell’elenco linkato non venissero ammesse alla selezione. E così è stato. Forse, se si crea il vuoto attorno a questo tipo di mercato, il medesimo comincerà a vacillare. Almeno, lo spero.

  9. Vedo nell’elenco nero la Robin edizioni dell’inquietante Claudio Maria Messina, un furbone di tre cotte da cui invito tutti a stare alla larga.

  10. Concordo con l’intenzione di combattere il fenomeno e i venditori di fumo, ma una soluzione vera per gli autori che non hanno agganci per far leggere il loro manoscritto rimane.
    Sarebbe bello, tuttavia, poter avere una lista di quelli che pubblicano con editori “free” libri “imposti” dall’alto per amicizie, parentela,contingenze e interessi di potere vario. Pubblicano non in cambio di soldi, ma per “opere di bene”.
    Chissà se quei libri tolgono spazio ad altri autori che poi dirottano le loro speranze verso i “furbetti del librettino”,. fosse così, bè allora – se si avesse la stessa certezza – i critici NON dovrebbero leggere nemmeno quei libri.
    Per il fatto di essere palesemente brutti, o spulciando nell’albero delle relazioni personali dell’autore, infatti si intuisce anche senza essere intimi delle case editrici, che alcuni vengono pubblicati solo per un motivo extraletterario ( a partire dal classico evergreen degli scambi sessuali..o vogliamo pensare che sono solo i politici a far e quelle cose?).
    non voglio sembrare il solito rancoroso, non mi interessa non ho un romanzo nel cassetto, ma sarebbe belo fare un po’ di pulizia anche a Libropoli.
    PS:
    L’illusione si alimenta forse anche con il self-publishing. cito il claim di uno tra i tanti (non casuale) “Se l’hai scritto, va stampato” (ma perché questo imperativo?).

  11. Mario, un libro brutto, per qualsiasi motivo sia stato pubblicato da un “free”, si mette da parte e basta. Almeno per quel che riguarda me, e ti assicuro che delle parentele me ne infischio nel bene e nel male.
    Quanto al self publishing, è quanto meno onesto e non ingenera equivoci. E’ già un passo avanti, mi pare.
    Ps. Un po’ rancoroso, perdonami, lo sembri. 🙂

  12. ma..se uno ha veramente una passione per la letteratura, secondo me, ha abbastanza da leggere per tutta una (lunga) vita.
    non capisco perché ostinarsi per far pubblicare propri scritti rifiutati da case editrici “vere”…è come se un pessimo ballerino o attore affittasse un intero teatro per avere l’illusione di calcare le scene. è triste e alimenta un mercato di approfittatori.

  13. Ricambio il saluto con altrettanto piacere, Loredana, davvero, ma ci tengo a precisare, anche a vantaggio dei tuoi lettori, qualora magari, hai visto mai, potessi avere equivocato, che non sono il Roberto Bernabò giornalista, direttore della testata “Il Tirreno”, ma il più umile cine-blogger di cinemavistodame.com. 😉
    Con stima.
    Rob.

  14. L’idea della lista è buona ma se dovesse essere usata come strumento di lavoro (detto brutalmente: non ti recensisco se sei in quella lista) dovrebbe essere quanto meno ampliata e gestita con un pizzico di cautela.
    Conosco per esperienza almeno due editori “a doppio binario” che non compaiono nella lista, uno dei quali è stato segnalato nei commenti alla lista almeno due volte; e so per certo che il mio editore è “free” ma nemmeno lui (anzi lei) è citata.

  15. Buon pomeriggio, parlo a nome di una casa editrice che ritiene che l’editoria a pagamento svenda i sogni al costo delle illusioni. Concordo con chi sostiene che una presa di posizione da parte dell’AIE. Da parte nostra, abbiamo eleborato un logo visibile sul nostro sito che certifica la nostra attività nel pieno rispetto del mercato, del lettore e di chi ama scrivere. Ringrazio ancora una volta Loredana per il suo contributo e tutti voi che avete letto il mio commento.
    Cordialmente.
    Costantino Margiotta.

  16. POsso dire, aldila del fatto che sono completamente d’accordo, una specie di corollario triste?
    Perchè io ho diversi amici che amano scrivere, alcuni sono usciti con case editrici serie, altri invece con queste. Tra quelli con il filo, o altre c’era gente che proprio era meglio lasciasse perdere, ma qualcuno che aveva davvero del talento. Un talento brado, che aveva bisogno non solo si una casa editrice corretta, ma di una controparte intellettuale che lo facesse crescere e affinare – ossia il concetto di editor come dovrebbe essere. Un interlocutore intellettuale.
    E – mi hanno dato libri con biglietitni annessi (tipo a pagina 25 era meglio scrivere così anzichè colì) che oltre a essere un affronto all’oggetto libro, e al soggetto autore, deh pure il lettore ci avrebbe bisogno di un po’ di rispetto eh.

  17. Per dirla tutta ma in ordine sparso, gli EAP hanno spazio presso i distributori, le grandi catene, hanno spazi nelle Fiere del libro dove magari quelli piccoli che non fanno le sanguisughe non hanno i soldi per andare.
    Se il sistema editoriale che si spaccia per serio permette loro non solo di esistere ma pure di campare con profitto usufruendo della stessa rete di promozione, distribuzione, come si possono combattere?
    La verità, triste, è che ci mangiano in troppi per cui al sistema non conviene affrontarli con una normativa chiara che li escluda in quanto NON EDITORI.
    Con buona pace del disatteso statuto dell’AIE.

  18. mah insomma, stessa rete di promozione e distribuzione me pare proprio di no, almeno per diverse delle case editrici menzionate in elenco. La sola è dietro l’angolo e l’editore te lo dice anche chiaro. (Con il ganzo tono dell’uomo a cavallo dei propri calzoni: ragazzo sta a te promuoverti!)

  19. I grandi distributori hanno tra i loro clienti anche editori a pagamento quindi sì, purtroppo la rete è la stessa, così come è possibile trovare nelle Feltrinelli sempre degli EAP, e così via per altri distributori grandi e piccoli, regionali e nazionali ed altre librerie di catena o indipendenti.
    Ce ne sono anche senza distribuzione, è ovvio, ma il discorso non cambia.

  20. La pubblicazione a pagamento è una perversione del sistema editoria (che è già abbastanza perverso di suo senza aggravanti nemmeno gratuite). La perversione risiede nel fatto che il libro non subisce selezione, facilmente non subisce nemmeno una fase di editing accettabile (lo so che qui potremmo assai discutere), ma sopratutto carica il rischio d’impresa sulle spalle di chi non dovrebbe averlo.
    Uno scrittore corre già un rischio cioè quello di vedersi sbattute enne porte sul grugno. L’editore è un imprenditore che dovrebbe intraprendere appunto, correre dei rischi (più o meno calcolati), per proporre nuovi talenti. La perversione interviene laddove l’imprenditoria italiana è incapace di fare il proprio lavoro. Così il vero imprenditore oggi è chi riesce a fregare il dipendente o in questo caso lo scrittore. Caricando tutto sulle sue spalle e prendendosi eventuali (?) introiti. Mi sembra davvero spennare i polli in maniera invereconda. E mi dispiace che ci sia tanta gente che pur di inseguire un sogno è disposta a spendere cifre ingenti. Non c’è molta differenza tra questi aspiranti scrittori e i poveracci che vediamo alle macchinette per i giochi d’azzardo nei bar.
    Ma il problema non sono gli scrittori, che coltivano un sogno, sia chiaro. Il problema sono i falsi imprenditori che ne approfittano.

  21. La proposta di Daniele P. sull’esclusione dei “non editori” è interessante, ma purtroppo di difficile attuazione per i seguenti motivi:
    – non sempre è possibile verificare con certezza che l’autore abbia pagato per pubblicare, specie per le tante case editrici che non in tutti i casi chiedono contributi o che li hanno chiesti solo in un certo periodo, magari di difficoltà economiche
    – per quanto ne so, anche prestigiosi editori, soprattutto di testi destinati all’ambiente universitario, a volte chiedono contributi (e qui si aprirebbe un discorso sulla validità accademica delle “pubblicazioni”…)
    – esistono forme di pubblicazione a pagamento “mascherate”, ad esempio quelle di testi inviati a concorsi per partecipare ai quali si è versata una quota di iscrizione
    – non poche case editrici pubblicano testi senza chiedere soldi in cambio, ma non riconoscono royalties agli autori; come vanno considerate?
    Non va inoltre dimenticato che tantissimi autori, anche validi, pubblicano a pagamento in buona fede, pensando cioè che sia “normale” farlo.
    Poi ci sono autori che pubblicano non a pagamento… iun testo scritto da un ghost writer!
    Insomma: è un macello! 🙂

  22. @giuseppe d’emilio: sui concorsi io posso pure versare una quota che non è mai pari a quella che verserei per farmi stampare il libro e mi sottopongo a un giudizio di una giuria che potrebbe escludermi, è una gara. Mi pare diversa dalla situazione di chi ti dice ti pubblico gratis ma non ti riconosco alcun genere di royalty. In quel caso siamo esattamente nel caso da cui si è partiti. Falsa imprenditoria editoriale.

  23. Eleas, io riflettevo sul fatto che in queste situazioni spesso la quota di partecipazione copre il rischio di impresa (cosa che, per quello che ne penso io, può pure essere considerata legittima); dal punto di vista dell’autore, hai perfettamente ragione: è una cosa diversa.

  24. Purtroppo faccio parte della schiera di autori che hanno pubblicato a pagamento, quando l’ho fatto non avevo le conoscenze che ho ora. Mi spiego: “Avrei dovuto pubblicare con una piccola casa editrice, la mia opera era stata sottoposta a valutazione riportata su di una scheda analitica, in seguito era stata esaminata da lettori esterni, il libro risultò degno di pubblicazione. In questo frangente la casa editrice ha cessato la sua attività, ma quand’anche avesse continuato, avrei dovuto pagare le copie pubblicate. Ho partecipato ad un concorso e anche non rientrando nella rosa dei finalisti, il libro è stato giudicato meritevole di pubblicazione, la risposta mi è pervenuta dopo tre mesi. Ho aderito e ho pagato le copie che mi sono state consegnate, se tornassi indietro con le informazioni che ho ora, mi cercherei una casa ed. non a pagamento, proprio per ovviare alla pessima considerazione che si ha degli scrittori che si autofinanziano. Sono d’accordo, chi produce un’opera non deve autofinanziarsi, a monte c’è un lavoro immane e tale lavoro se degno va riconosciuto, ma in Italia le case Ed. danno spazio ai personaggi noti con o senza talento, è questa la realtà! Gli esordienti hanno vita difficile. Sto ricevendo consensi e gratificazioni attraverso il web, da quando curo un blog posso pubblicare i miei scritti e questo mi gratifica molto: per chi scrive ciò che conta è anche farsi leggere.

  25. Umberto Eco aveva messo in guardia da tempo, nel Pendolo di Foucault ma anche prima, dagli editori a pagamento – temo però che il nostro futuro premio Nobel non sia molto considerato dai nostri autori gggiovani…
    Del resto il più grande scrittore italiano vivente (che mi auguro stiate tutti sostenendo col televoto) ha avuto parole di fuoco non tanto verso simili editori truffaldini ma verso gli ‘scrittori’ stessi che accettano di pagare per essere pubblicati, ritenendo che un vero scrittore si riconosce proprio per il fatto di essere pagato e pure tanto…
    ‘Nessun autore è mai stato pubblicato a sue spese da un editore, ma tutti gli aspiranti autori, i velleitari, i mitomani, i fanatici, i sentimentali hanno pagato un truffatore (che agli occhi degli sciocchi soltanto, per l’appunto, è scambiato per editore) perchè inchiostrasse della carta col loro nome, e le foreste pluviali hanno subito rovine insanabili innanzitutto da costoro, non dagli altri che pubblicano attraverso canali ortodossi’
    O peggio:
    ‘L’unico modo perchè un grande artista sia se stesso è che abbia molti compratori in concorrenza fra di loro: non dovrà piacere a nessuno in particolar modo e farà esattamente come me, come se dovesse piacere o dispiacere solo a se stesso’

  26. Annamaria, questa favola che gli editori diano spazio solo ai personaggi noti è stata diffusa ad arte e secondo me non senza malizia: potrei citarti editori a pagamento che svolgono anche attività di “opinionisti” in rete e non proprio per tirare acqua al loro mulino. Ci sono moltissimi piccoli editori free che leggono e valutano: certo, bisogna mettere nel conto che il giudizio PUO’ essere anche negativo, e magari farsi anche un esame di coscienza su se stessi, e cercare di migliorare.
    Segnalazione. Ieri sera mi sono trovata a finanziare un editore a pagamento. Mio figlio è tornato a casa chiedendomi sette euro per un libro che viene presentato nella sua scuola, Liceo scientifico Cavour, Roma. Il libro è “I ragazzi di via Bravetta”, di Fulvio Melillo, editore Il Filo. Ovviamente non sono in grado di dire se l’avvocato Melillo ha contribuito alle spese. Ma il Filo è nella lista degli editori a pagamento.
    E’ la seconda volta in due anni che si chiede ai genitori di acquistare un libro pubblicato presso editori a pagamento. Lo scorso anno si trattava de Il tè caldo nell’intervallo di Sergio Cardone, Bastogi editore.
    Se qualche ispettore scolastico o rappresentante AIE passa da queste parti, legga e mediti.

  27. Ma siamo in un altro ambito, and. Nessuno promette ai partecipanti le glorie della pubblicazione o della partecipazione a premi letterari o della presentazione nelle scuole superiori, direi.

  28. Certo che siamo in un altro ambito Loredana ma 1200 euro per una vacanza/corso sono nelle possibilità di poche persone. sapendo poi che la minimum fax, a torto o ragione, non visiona manoscritti inviati in maniera cartacea si dà l’impressione di creare una sorta di circolo elitario. non dico che questo comporti il passaggio ad editori a pagamento ma alcune ragioni le ha. e le case editrici a pagamento su questa questione ci marciano eccome.

  29. and, ti confesso che a me del corso agreste di minimum fax cale poco. Prima facciamo chiarezza – la faccia l’AIE, in primo luogo – nei confronti di chi viola le regole, poi passiamo ai corsi, alle scuole e ai reality. Poi.

  30. Si veda cosa dice lo statuto dell’AIE all’art.4 in merito ai soci effettivi.
    E’ ammesso chi provveda “per proprio conto e a proprie spese” alla pubblicazione…
    Poi si parla di quantità e qualità della produzione e di serietà e competenza.
    Chi giudica la presenza di questi requisiti è il Consiglio generale su proposta del Comitato di Presidenza.

  31. L’editore a pagamento è la mela avvelenata di un mondo editoriale dai cento frutti. E’ da appoggiare quell’addetto ai lavori che pubblicamente ne denunci gli inganni.
    E però:
    – non mi piacciono le liste di proscrizione, di qualunqe natura siano.
    – esiste anche un problema di esordienti anziani, gente che per ragioni anagrafiche è spesso o sempre scartata dai buoni editori. In tali casi il ricorso agli sciacalli è un male trascurabile.
    – c’è un terzo caso in cui quel ricorso è ineludibile. Succede che il manoscritto di un bravo esordiente passi di mano in mano, venga apprezzato da esperti in causa, ma per un motivo o l’altro, per certe contraddizioni insite nel sistema editoriale, non venga pubblicato. Qui per lo sconosciuto esordiente c’è un grande rischio: che a furia di lodi e passaggi qualcuno glielo rubi. Vale a dire che venga plagiato.
    In questi casi, prima di vedere l’opera del proprio talento riversata in qualche romanzo più o meno di successo o in una fiction tivvù, e servendo il deposito SIAE o la firma notarile a poco o nulla, la soluzione dell’editore a pagamento può risultare un deterrente. Il libro recherà un codice ISBN, sarà negli elenchi ufficali degli autori e la sua data di pubblicazione costituirà un punto fermo. E’ poco, ma se il libro è buono, e magari soltanto da ‘polire’, meglio del veleno che uno potrebbe poi ingoiare.

  32. Su tutto questo vi segnalo un libro inchiesta – Esordienti da spennare – tempo fa pubblicato da Terre di Mezzo. L’autrice – Silvia Ognibene – si diertì a inviare un manoscritto senza capo né coda alle case editrici. Case editrici che, bel caso, non meritavano questo titolo e nemmeno quello, assai più generico, di imprese: l’imprenditore, si sa, è tale se si carica sulle sue spalle il rischio di impresa…

  33. E dagli con ‘ste liste di proscrizione. Dimmi, Zilberstein, hai almeno aperto il sito? Non dirmi di sì, perché se l’avessi fatto avresti letto i criteri di suddivisione, basati esclusivamente sull’entità e la modalità di richiesta di soldi, e avresti letto che le TRE liste sono il punto di partenza di un autore per la ricerca dell’editore, un modo per risparmiare tempo e indirizzarsi verso chi interessa. Sono uno strumento per capire con chi si ha a che fare, come lavora quell’editore e quant’altro. Questo si chiama informarsi, non mettere alla gogna. Se avessi letto, avresti visto che non c’è un mezzo insulto in tutte le nostre pagine. Da quando in qua esprimere la propria opinione è sinonimo di proscrivere qualcuno?
    Leggere prima di parlare evita tristi figure.
    Mi scuso con te, Loredana, per il tono irritato di cui sopra, e ti ringrazio per averci citati.

  34. Ayame, vi ho appena citati e portati a esempio nel commento al post di oggi, che vi segnalo per completezza. 🙂
    Zilberstein: la parola “talento” va pronunciata da terzi, non dall’autore. Sempre.

  35. Piccoli editori seri ce ne sono, e non soltanto quelli elencati nella lista “free”. Il problema dei piccoli è, semmai, che pur essendo distribuiti hanno una visibilità pari a zero. I loro libri non sono esposti dai librai e, spesso, non sono neanche in libreria: devono essere ordinati, e spesso ci vuole anche più di un mese per evadere l’ordinazione (soprattutto nelle librerie di provincia, anche se a soli venti chilometri da Milano). Questi libri si trovano dunque a dover sormontare molti handicap rispetto a quelli pubblicati dalle majors.

  36. lalipperini:” la parola “talento” va pronunciata da terzi, non dall’autore. Sempre.”
    appunto.
    Ayame: ho ben precisato a inizio commento il mio appoggio incondizionato all’iniziativa. Quindi non vedo il motivo di sbattersi tanto se qualcuno opera legittime precisazioni. I casi di ricorsi a quella gente, da me citati, sono estremi e non riguardano la massa (anche se il problema della pubblicazione degli ultra cinquantenni è reale, gli editori non investono volentieri sugli avanti in età).
    D’altra parte sullo stesso Writers Dream c’è un’apposta sezione in cui gli Organizzatori offrono l’opportunità di pubblicare in e-book il manoscritto (dopo severa e onesta selezione) specificando quanto segue:
    “Writer’s Dream ha il granderrimo piacere di annunciarvi che, da oggi, selezioniamo manoscritti di qualunque genere e lunghezza per la pubblicazione in eBook con la casa editrice Simplicissimus Book Farm, la prima e più grande casa editrice di eBook in Italia.
    La pubblicazione con Simplicissimus prevede la cessione dei diritti solo per la distribuzione digitale per 3 anni; riceverete il 25% dei diritti d’autore”.
    E’ questa iniziativa che mi aspettavo citassi, perchè offre un’opportunità sera e reale a chi rientra nei casi 2 e 3 da me citati. Punto.
    Dal che si deduce che il sito l’ho visitato e come, non ti pare? quindi le tristi figure tienitele per quanto attiene alla tua replica. Però una cosa te la devo dire, senza che ti ingrifi: l’ho aperto una decina di volte, questo prezioso portale, e sempre si è impallato il computer.
    Possibile che il mio sia scadente però anche voi…..
    saluti e congratulazioni.

  37. La battaglia può anche essere sacrosanta, ma mi meraviglia molto che si citi come esemplare l’esperienza di questo sito che non ha alcuna autorevolezza e la cui coordinatrice, che ha appena fatto 18 anni e che frequenta il liceo, oltre ad essere stata più volte diffidata e adoversi di conseguenza correggere, non ha alcuna esperienza nel mondo editoriale di cui discute senza nessuna nessuna competenza.

  38. uno che chiede dei soldi per pubblicare non andrebbe chiamato “editore a pagamento” ma “stampatore” o una cosa simile. A quando i giornali che chiederanno dei soldi a degli aspiranti giornalisti? E gli editori che venderanno spazio televisivo per aspiranti opinionisti???

  39. Barbara: errato, molto errato. Non ho MAI rettificato niente in seguito alle numerose diffide ricevute, e sai perché? Perché non c’è assolutamente niente da rettificare e la raccomandata firmata dall’avvocato è solo un tentativo di spauracchio.
    Il tuo stile, comunque, mi è un po’ troppo familiare 🙂

  40. ciao Loredana.
    ho letto il post e i commenti.
    vorrei rilanciare le domande di Giuseppe D’Emilio:
    come si fa a distinguere i “buoni” dai “cattivi”?
    dalle liste stilate da un [pur buono e ben fatto] forum internet?
    corsi farlocchi, autori che non prendono royalties [costretti a cedere i diritti sulla propria opera, a titolo gratuito], case editrici che NON pagano i propri collaboratori ecc.: come li vogliamo considerare?
    c’è questa tendenza a semplificare – molto diffusa – che non mi convince.
    ti faccio un esempio: uno degli editori che tutti celebrano fra i “buoni”, un giorno mi chiama, e mi dice: il tuo libro mi piace, come lo vendiamo?
    io gli rispondo, semplicemente: non voglio più pubblicarlo, grazie.
    poi lo incontro a un festival, e, di nuovo, mi fa: sai il tuo libro? se mi assicuri 300 copie vendute, lo pubblico subito. io, di nuovo: no, grazie, non mi interessa.
    credo che vivendoci, in questo mondo, ti rendi conto di come il grigio sia il colore dominante.
    ciao,
    enrico
    ps
    potresti farti mandare insieme a ogni libro da recensire, una copia del contratto. potrebbe essere un’idea, e ci sarebbe un criterio *quasi* certo.

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