Per ora, mi limito alla cronaca secca di quanto ascoltato a Noir in Festival Mi riservo alcune considerazioni domani, dopo aver raccontato del convegno numero tre, quello a cui ho preso parte insieme ad una nutrita compagnia di persone che usano la rete e i videogames per fare/parlare di/ letteratura. Prima, nella mattinata di ieri, gli editori. Maria Giulia Castagnone di Piemme , Jacopo De Michelis per Marsilio Black, Sandrone Dazieri come consulente Mondadori, Paolo Repetti per Einaudi.
Vengo subito al punto sollevato anche qui (e sollevato praticamente sempre): è più facile pubblicare se si scrive un noir (o thriller, o poliziesco, eccetera)? La risposta, sintetizzando, è “dipende”. Dipende dall’editore e dipende dal libro, per banale che possa sembrarvi. Testualmente, Repetti: “E’ assolutamente infondato che basti scrivere un noir per essere pubblicati. Dopo il successo di Gioventù cannibale arrivavano sui tavoli delle case editrici manoscritti dove non si parlava altro che di squartamenti, preferibilmente in un supermercato. Ma questi sono fenomeni residuali che fanno parte della sociologia, non dell’editoria”. Castagnone ha invece detto che in effetti quella del genere è una tendenza che non va ad esaurirsi. Dazieri ha affrontato un altro aspetto della questione: la difficoltà da parte di una casa editrice a rifiutare, eventualmente, il brutto romanzo di uno scrittore già famoso. Tutti hanno ribadito quel che già nei commenti al post precedente era stato più volte affermato: è comunque difficile prevedere a tavolino cosa avrà successo e cosa no, infilarsi a capofitto in una “tendenza” non garantisce matematicamente il buon esito.
Infine, due spunti interessanti sulla formazione del lettore. Repetti mette a confronto Italia e Inghilterra: “i ragazzi inglesi imparano a leggere su Austen, Dickens, Stevenson, Kipling. Ovvero, sui quattro monumenti della grande letteratura che nasce con intenti popolari, peraltro, e da cui apprendono le strutture narrative. In Italia si formano su un unico, seppur grande romanzo, che è I promessi sposi. Ovvio che ci sia una differenza di imprinting. E anche un’influenza diretta sul lettore. Faccio un esempio: sul mercato angloamericano un libro in hardcover vende, se ha successo, mettiamo trentamila copie. In paperback, se è andato così bene, va tre volte meglio. Perché la base dei lettori, diciamo pure la massa, è solida. In Italia, dove pure abbiamo lettori fortissimi che non hanno nulla da invidiare ad altri paesi, accade il contrario: se vendo molto bene in hardcover, in paperback vendo, comunque, un po’ meno. Il genere riempie quel vuoto che c’è fra la letteratura del sublime ideologico e la narrazione piccolo borghese. Se oggi l’alfabetizzazione passa per Lucarelli, non ci dovrebbe essere niente da dire”.
Jacopo De Michelis aggiunge: “Capita di sentire scrittori non di genere che, quando si parla, per esempio, del modo di creare suspence in un testo , rispondono “io non uso queste tecniche volgari”. Il genere offre anche tecniche alla narrativa, in assoluto: è una delle sue funzioni che non andrebbe sottovalutata”.
Naturalmente continua ancora. Ma: nel frattempo segnalo anche qui l’uscita di Nandropausa n.9 . Numero densissimo, con due recensioni caldamente raccomandate, e su cui si tornerà (qui si resta convinti che si tratta dei due libri recenti portatori di un punto di svolta): quella su Colorado Kid e quella su L’anno luce.
TAPPI E BUSSOLE
Molto piaciuta recensione a libro di Genna. Un libro che rischia di diventare mitico se non come libro in sè – o forse anche come – sicuramente per una qualche riflessione azzeccata su che cos’è una recensione. perchè si deve recensire un autore (libro). quale autore (libro) si deve scegliere di recensire.
Io recensirò il libro di Genna. Lo recensirò perchè gliel’ho chiesto e lui mi ha risposto in modo ‘comunicativo’. Con me Genna è stato – è – comunicativo. Non si usa più questa espressione: una persona comunicativa (non necessariamente simpatica, ma che non se ne sta là ‘appesa’, con cui magari non ci si trova su tutto, ma che – tu senti – reagisce: comunicativa è una persona che reagisce, ecco, che cerca di capire, che cerca una sintonia con gli altri, ma non con tutti gli altri). Anche io voglio cercare di reagire. Anche io voglio cercare di capire. Anche io voglio una sintonia con gli altri. Ma non con tutti gli altri. Non so neanche cosa voglio capire. Non so su cosa voglio una sintonia. Io so cosa ‘non’ voglio, non cosa voglio. E’ sempre stato così. Da quando ho 15 anni. Ho sempre funzionato a, “Questo no! Quindi, questo!”. E magari era la strada sbagliata. Per gli altri era la strada sbagliata. Poi, magari no. Io ho sulle spalle il mio fazzoletto da vagabonda che per me funziona, va bene. Ho là dentro quello che mi serve. Per esempio. questa storia del tappo. Se le generazioni vanno di 5 in 5 vengo dopo i cinquantenni. E nel mio fazzoletto da vagbonda trovo una bussola che mi dice: tu non vuoi fare da tappo. Odi fare da tappo. Odi i 50 enni che hanno fatto da tappo. Odi quelli che fanno da tappo. Ti sei sempre mossa così. ti sei sempre divertita per quello. Hai passato la vita a ‘stapparti’. Da ragazza ti piacevano quelli/e oggi 60 enni, oggi anche i/le 30 enni. Per questo recensirò Genna. E’ poco, ma per adesso basta. E il resto – poco pure quello – chi lo vuol capire lo capisca.
Da ridere.
Il discorso sulla tecnica non dovrebbe limitarsi allo spunto di De Michelis. Il fatto che i giovani inglesi si formino su diversi tipi di “tecniche” probablmente li rende più recettivi sia come scrittori che come lettori. Esagerando, mi scappa da dire che l’Italia, storicamente, non è terra di scrittori ma di poeti.
è terra di bottegai.
A parte che la frase era di moda nel ventennio.
Veramente … cara lisa le botteghe, le care vecchie botteghe, sono in via di estinzione, semmai è terra di ipermerkati e centri commerciali.
Io appena vedo una botteghina mi ci butto subito;-)
geo
Loredana, cosa voleva dire esattamente Repetti con “Se oggi l’alfabetizzazione passa per Lucarelli, non ci dovrebbe essere niente da dire”?
Intendeva dire, da come almeno ho interpretato io, che il cosiddetto “genere” in Italia è stato utile alla formazione di molti giovani lettori . Ha, insomma, tracciato un parallelo “funzionale”, che può sembrare azzardato ma che a mio parere ha una sua legittimità, fra i grandissimi narratori-formatori dei ragazzi inglesi e i nostri narratori di genere.
La Lipperini ha scritto:
Castagnone ha invece detto che in effetti quella del genere è una tendenza che non va ad esaurirsi.
So poco degli altri, ma di sicuro la Castagnone non è nata ieri…
Si, sono d’accordo anche se non capisco il nesso tra le vendite di hardcover e paperback. secondo me si tratta di due operazioni commerciali fatte in maniere diverse e non di diverse attitudini/abitudini alla lettura. forse c’entra anche qualcosa di sociale, che ne so, nel mio caso preferisco l’hardcover perchè posso permettermelo e mi piace anche come oggetto, non so, qualcosa che ha a che vedere con la bibliofilia di basso livello.
nulla di personale contro lucarelli, anzi, ma … l’alfabetizzazione non può giocare sempre e solo al ribasso, anche se … certo vedere in italia milioni di piccoli giallisti lo preferirei al vedere milioni di smelensi poetini alla pascoli, carducci e prati;-)
naturalmente nulla di personale neppure contro pascoli carducci e prati, anzi.
Lucarelli alla pari di swift, de foe, james, dickens, orwell e austen però … mi sembra azzardato anche se divertente.
geo
“Intendeva dire, da come almeno ho interpretato io, che il cosiddetto “genere” in Italia è stato utile alla formazione di molti giovani lettori.”
Loredana, ma non eri proprio tu a dire che ti veniva la pelle d’oca quando sentivi parlare di funzione pedagogica della letteratura?
Barbieri, stiamo parlando di formazione letteraria, non di pedagogia, giusto?
Alberto, il nesso c’è: semplificando al massimo, si suppone che il paperback sia acquistato da una base più ampia di lettori rispetto all’hardcover. E la differenza fra il nostro mercato editoriale e quello anglosassone sta proprio nell’ampiezza di quella base. Come è stato detto, il nostro è a forma di lampadina anzichè a forma di piramide…
ok Loredana, ma il numero di copie totali? è equiparabile o il mondo anglosassone, fatti i debiti rapporti, vende di più?
nel mondo anglosassone c’è il fattore lingua (che copre un’area vastissima), ma se ci limitiamo all’inghilterra dove i lettori sono veramente uno dei pregi nazionali, non va dimenticato appunto che ragazzini sono formati da una letteratura alta e piacevole (che da noi infatti è derubricata sotto la categoria squalificante di libri per ragazzi).
Un ragazzo che si legga i viaggi i gulliver, robinson crosue david copperfield, orgoglio e pregiudizio o anche ronald dahl non può essere paragonato ad un ragazzino che si legga lucarelli (e senza alcuna offesa per lucarelli) 😉
alberto, al volo: non ho a portata di mano i dati inglesi e americani (sì, comunque: si legge di più). Su quelli italiani, ti rimando alla ricerca Ipsos che avevo postato qui un mese fa:
http://loredanalipperini.
blog.kataweb.it/
lipperatura/files/
ricerca_ipsos.ppt
Cerco di essere più precisa, più tardi
grazie Loredana.
intanto ti segnalo sul mio blog un mio articoletto su Colorado Kid.
“Barbieri, stiamo parlando di formazione letteraria, non di pedagogia, giusto?”
cioè alberto spiegami meglio, dato per scontato (e penso che anche tu sia d’accordo) che lucarelli non può essere simbolo della letteratura italiana (al massimo lo può essere dante) tu ci vuoi dire che funzione pedagogica è cosa brutta (e sono daccordo se è a priori) mentre la formazione del mero compratore di libri è ottima e auspicabile.
Ma io sicuramente ‘un devo capire un tubo perchè se fosse così come capisco io la situazione attuale sarebbe ancora peggiore di come la veda il mio pessimismo cosmico.
A casa mia ‘sto ragionamento si chiama sindrome del mercantilismo, nulla in contrario, però … almeno diciamolo chiaramente
Ma dove il grande moralista severus-catone?
(quando servè è sempre altrove)
geo
Chiaro che alla publitalia ‘ste teorie ci stano come le gemme sui rami a primavera e ne fanno anche materia dei corsi di formazione.
Alberto, stiamo parlando di: “grandissimi narratori-formatori dei ragazzi inglesi e i nostri narratori di genere” per esempio.
Scusa ma a te non suona perlomeno dubbia sta cosa che il genere “forma”. Perché non si scatena Girolamo con un fascio di ragionamenti per dimostrare che non è necessariamente così, che la cosa è dubbia, che detta in questo modo pare fondata quando non lo è?
12 dicembre 1969
@ Loredana: ci sarebbe da aggiungere che i ragazzi inglesi si formano anche su Shakespeare, per quanto ci possa sembrare strano (almeno tanto quanto i ragazzi italiani si formano su Boccaccio: avendo la voglia e il tempo di leggerlo, o su Pirandello). In ogni caso sono d’accordo sulla differenza di imprinting, probabilmente è vero…
A margine: contestare l’uso della parola “genere” è tanto vano quando abusarne per creare categorie di comodo in cui infilarsi o da rigettare in toto. Le parole sono strumenti per il linguaggio, servono a comunicare concetti, a volte in maniera immediata: c’è da capire se siano efficaci, prima di fare una crociata contro l’uso di una certa parola. Quando qualcuno contesta la divisa ferrata del “genere” lo fa in risposta alla diffusa idiozia di chi usa il concetto di genere come una diminutio, ma non mi pare che sia questo il caso. E che il significato delle parole consista nell’uso delle parole stesse non devo certo dimostrarlo io, mi pare…
Avrei dei dubbi sull’affermazione di Repetti:
“In Italia si formano su un unico, seppur grande romanzo, che è I promessi sposi.”.
Io a questo detto non ci credo proprio, non so dove abbia studiato il Repetti; io sono più vecchio di lui ma so di moltissimi ragazzi (miei figli compresi)che, più di Don Lisander, hanno studiato Primo Levi, Calvino, Svevo e pure Pavese, pure Montale, pure Palazzeschi delle “Sorelle Materassi” talvolta.
Semmai molti ragazzi, aspiranti scrittori, dopo le scuole superiori recentemente hanno patito di Carverite acuta influenzati da una propaganda o pubblicità più che insigne e assai strombazzata.
Invece di leggere Conrad, Melville, Stevenson o Sterne o Gadda, perdiana.
Un po’ di Bernard Malamud, prego.
Mario Bianco
Mario, esprimevo lo stesso dubbio, ma credo che Repetti si riferisse a uno dei pochi classici italiani che, attraverso le istituzioni scolastiche, ha già una diffusione enorme (e forse l’unico romanzo ad essere studiato nel corso di un anno e non di un paio di settimane, pagina per pagina): quanto al resto (ma è un dettaglio), mi trovi d’accordo su Carver, nel tuo giudizio espresso “tra le righe”; anzi, credo di aver usato esattamente il termine Carverite, come se si trattasse di un morbo endemico, dopo aver constatato che la patologia si manifestava in forma acutissima nella testa di un editor di una nota casa editrice italiana (editor nonché scrittore), che leggeva in Carver ciò che Carver stesso non avrebbe mai letto…
un po’ OT sulla recensione di WM (si sa mai, magari passa): confesso che di prim’acchito avevo pensato fosse ironica, ma poi penso di no, quindi ci sta un’opinione “in amicizia”. Io capisco la vis polemica, la capisco meno quando è rivolta ai lettori : “capolavorismo” è un fortunato sfottò inventato da blogger spiritosi versus il “blogger” genna, del tutto legittimo come qualsiasi sfottò (e magari anche piuttosto giustificato, ma sono opinioni). Del resto se uno sta in rete accetta di farsi prendere per il culo, c’è tutto da imparare; diversamente può andare da bruno vespa. Montarci sopra un caso in pieno “benedetti style” con tanto di fascisti, schiavi stupidi e censura accostandolo a un presunto e del tutto fuori tempo massimo “potere dei chierici” è oltre il limite del ridicolo.
WM può trovare l’ultimo genna un gran libro e metterci dentro tutto quello che vuole, è nel suo pieno diritto (soprattutto se ce lo spiega in italiano corrente); personalmente ci trovo altro e meno: un vago tentativo neoallegorico in stile danse macabre, poco riuscito in sé oltre che stanco e poco poco interessante in generale – ma de gustibus… – stilisticamente e dal punto di vista modale un po’ poco meditato a volte con esiti quasi imbarazzanti di umorismo involontario, ideologicamente confuso e ai miei occhi criticabilissimo nei suoi echi uelbecchiani (non ci bastasse già il sentimental-coglione francese…). Imo succede a tutti di fare un brutto libro, non c’è niente di catastrofico in questo.
Ora, io non sono un critico e credo nemmeno WM: certamente entrambe le nostre opinioni di lettori (la mia molto più sintetica perché non interessa a nessuno e l’ho detta solo per esigenze argomentative) sono legittime e soprattutto sono irrilevanti come altre diecimila, e genna farebbe bene (dato che è persona intelligente) a non dedicare a entrambe più di due secondi – come sono certo farà.
Quello che trovo del tutto fuori posto è che si possa implicitamente pensare che una delle due sia un effetto del “fascismo ambientale”: è un argomento scadente e sciocco. Non è sensato né utile recensire o discutere così i libri. Non stiamo militando, a quand’anche lo facessimo scopriremmo presto per nemesi auspicabile di aver imboccato il corteo sbagliato. Take it easy.
precisazione e …sinceramente non pensavo avesse girato così tanto:
“Capolavorismo” sono stata io a “coniarlo” in rete, un secolo fa, ma non certo per genna, era riferito ad un altro libro.
Un libro ultra promosso dalla rete e che, come col cacao meravigliao, un e-spot troppo prolungato nel tempo (alla berlusconi) urlando al capolavoro preventivo, se lo era del tutto divorato nella sua fragilità esordiente.
Forse anche genna aveva partecipato a questa orgia in estasi di fronte al capolavoro “che non c’era”, ora non ricordo, ma io sicuramente non avevo diretto l’epiteto a lui;-)
‘Sta mania di urlare al capolavoro, questa mania di esportare nelle nostre librerie i capolavori in vendita, però non solo è fastidiosissima per chi la segue, ma rischia di far sparire nelle nebbie dell’e-paratesto ruffiano, anche se amico, pure un autentico capolavoro.
Ha ragione genna a non voler essere recensito;-)
Io, ad esempio, non penso certo che non ci siano scrittori in Italia ce ne sono svariati e pure interessanti, e fra loro ci sono anche genna e i wu ming, è la kritica, al momento più marziale che militante, che appare deficicitaria e rischia di trasformarsi in un vero “fuoco amico”.
Berlusconi lo faremo fuori forse, ma il berlusconismo ha ormai dilagato nei nostri costumi in tutti i campi, e tutti non bramiano altro che scendere in campo armati di parole luccicanti e urlate (come sempre urlano caporali e generali), ma disarmati dell’unica freccia che servirebbe: il rispetto di quelli che leggono le nostre parole.
geo
b.george, raccolgo e applico subito il “take it easy” finale. E insieme vengo a rammentarti cosa è accaduto, e i toni che sono stati usati qui, quando è uscita la recensione de L’anno luce su repubblica. Toni che sono stati molti diversi dall’argomentazione che tu stai, pacatamente, usando.
Giorgio, in quel “take it easy” cosa c’è? Accantoniamo un momento Anno Luce, è il “fascismo ambientale” che mi interessa. Dunque tu non hai nessuna percezione di quella serie di meccanismi che WM1 descrive? A sfogliare gli archivi dei lit-blog (tutti) si trovano centinaia di accuse di “combine, pastette, mafiette e cricche”: ti ha appena risposto Loredana citando l’esempio più recente. Ora, di che si tratta, secondo te: solo “blogger spiritosi”? Take it easy nel senso di: “guardate che non sono mica cose serie”? Stavamo tutti solo giocando? Sono perplessa. Perché – blogosfera a parte – c’è un mondo [anche editoriale], là fuori, e forse nessuno – in quel mondo – la “prende facile”, e questi meccanismi replicano. Goliardate? Mi sembra un po’ riduttivo. Io ho riportato stralci della recensione di WM1 perché – per quel che può valere la mia esperienza – descrive fedelmente quanto accade. Lo vedo accadere. E non mi pare che WM1 abbia fatto del catastrofismo, tutt’altro: ha fatto un discorso chiaro, esplicito e costruttivo. Always imho, ben intesi.
beh loredana i toni qui, che io ricordi, furono più “bischeri” che feroci, e non saranno certo stati più urlati della recensione di wu mng 1 (che ho letto solo dopo aver letto george) e che, sinceramente, mi ha veramente stupito.
Mi ero fatta di lui un’idea molto diversa (ma capita spesso).
Forse chi prima era dalla parte della “scrittura militante” era abituato a non venir mai criticato e contraddetto altro che all’interno della propria corporazione, mentre ora si trova contro le “moltitudini” della tastiera e a qualcuno possono anche saltare i nervi (non foss’altro per il numero).
L’unica cosa certa è che le corporazioni sono organismi chiusi con dei saperi quasi segreti e le porte e gli spifferi del web fanno sempre male e se resistessero sarebbero un ossimoro.
Ma forse invece di invelenisrsi e assumere pose impermalite (come un qualsiasi blogger alle prime armi) chiudendosi a riccio, dovreste tutti cercare di essere veramente degli addetti ai lavori: pacati e intelligenti e avere i nervi saldi.
Altrimenti inutile che urliate alla novità rivoluzionaria dei blog.
Perchè la rete è veramente rivoluzionaria, ma le rivoluzioni non sono mai auspicabili perchè sono dolorose e si mangiano i loro stessi iniziatori.
Io osservo sempre più interessata e sempre più basita quelli che dovrebbero eserere e-giunchi elastici ai venti, indurirsi in permali infantili come vecchi intelletuali in una loro torre di carta color avorio, qualcuno, per scherzo, accende un cerino, dà fuoco (si fa per dire) e la loro torre si solleva e brucia come la carta velina che avvolge le arance.
Da non crederci
geo
Boh, io so che WuMing1 mi sfotteva perché stimo Moresco come scrittore (i commentini sulla triade) e poi scrive una recensione che con quel “Diranno che…qui non si fa niente) sembra un Moresco, però abborracciato.
E Lipperini si lamenta dei toni contro Genna, forse si lamenta anche con me perché ho scritto che dalla sua recensione non capivo cosa stesse realmente in quel libro (problemi noiosi di un consumatore di libri…). Forse sì, forse no: allude solo, non dice mai le cose chiaramente, non cita le parole, un episodio. Dipinge uno scenario. E, altro dato interessante sulla consistenza del granito, in mesi di Lipperatura non c’è stata una volta, dico una, che abbia sentito WuMing1 dissentire da Lipperini: respirare insieme, che qui è una qualità.
@ B.Georg, ancora su fascismi e congreghe, blog e recensioni. Parlo per me. Certo wu ming ha esagerato a usare il termine ‘fascismo’ e censura’. D’altra parte è vero che se parli bene (o male) di un testo ‘del gruppo’ – perchè che lo si voglia o no esiste, seppure malmesso – c’è sempre qualcuno che ti dà una moussata in faccia. Allora, forse, uno/a dovrebbe chiarire con se stesso il modo e i motivi per cui va a leggere le recensioni sui blog, e cosa si aspetta di trovarvi. E’ solo a partire da qui, io credo, che si può fare un po’ di chiarezza. Solo rispondendo alla domanda che parte con un ‘ma io perché…’, si potrà rispondere. Che peso dai alle parole del ‘gruppo’? Credi che ci si possa esimere dal mettere in una recensione un poco di tutto quello che di giorno in giono accumuli sul conto di questa o quella persona che – ripeto – ascolti quasi tutti i giorni? I suoi difetti, le cose che lo fanno simpatico, antipatico, le debolezze, i punti di forza? E’ una domanda. Questa ‘quotidianità di frequentazione’, nuova, nella storia della recensione non cambierà anche il modo di farle, e di leggerle? Io – a parte pochi casi, di evidente, autonoma e problematica conflittualità – ascolto e mi fido (per mia regola). Naturalmente se mi accorgo di aver sbagliato, cambio. Questo come lettrice.
Per quanto riguarda invece la scelta del libro da recensire: ogni volta la prospettiva sulla scelta è praticamente illimitata, infinita ed eterna. Bene. C’è tutto quello che è stato pubblicato, davanti a editro di noi. Per noi – non è un discorso slla recensione che valga in assoluto, questo, credo sia chiaro, no? – che si staziona in questa piazza, ha senso, se esce il libro di uno di noi, ‘montare un caso’, ‘urlare alla congrega’ se venga recensito (bene)? L’obbiettività, si dice. Ma allora esiste l’obiettività? Ti faccio un esempio: io resto sempre (per il mio spirito fortemente e autenticamente groopie, che peraltro odio) convinta di quello che dice wu ming. poi magari se leggo un suo testo più specificamente ‘narrativo’ per miei gusti, per scelte diverse, forse anche per differenza d’età mi vengono dei dubbi: però mi rendo conto che mi riesce difficile distinguere fra quello che lui ha detto tre mesi prima, e il romanzo. Cioè, penso: ma qui, questo punto, che a me non convince forse è da intendersi come riferito a quel suo discorso su…Ripeto. Io non riesco a scindere. E d’altra parte, mi chiedo. Ha senso farlo? Ci si può riuscire? Non lo so. Io cerco di vedere quello che di buono dà Genna e quello che di buono da Iannozzi, e ammetto (e non pretendo che si faccia altrettanto con me) che se uno/a proprio non mi insulta mi metto alla tastiera pensando di trovare un ‘gruppo di amici’. Sono io che voglio trovare – mi aspetto – un gruppo di amici. Però forse mi sbaglio. Non lo so.
B. Georg, sono piuttosto sopreso (io ho letto la stessa recensione ma non vedo nulla di quello che dici tu): “Capolavorismo è l’accusa di chi ripete che in Italia non c’è niente, non si scrive niente, nessuno scrive, questa è la linea!, obbediscano gli schiavi, non c’è niente! Nessuno osi dire che in Italia si scrivono romanzi potenti, è IM-POS-SI-BI-LE!,”
Qui si sostiene un’idea, e le questioni di gusto stanno su un altro piano.
Qualunque sia il contesto in cui è stato usato il termine “capolavorismo”, che non è nato in rete (prima che se ne rivendichi la paternità), Wu Ming1 fa riferimento ad un vecchio discorso (di Wu Ming stesso), spesso ripreso da altri. Che ci sia o ci sia stata la congiura (dubito) della pisana, non c’è di certo la controcongiura: visto che citi il Carla-style sarei curioso di capire dove sia l’analogia. Non ho idea se ti sia capitato di leggere i libri di Carla o di scambiarci qualche opionione, ma io ho la netta sensazione che il nientismo di cui parla Wu Ming1 esista davvero, e serva da lasciapassare alla seguente (e lineare) argomentazione: tutto fa schifo “tranne”, concentrando in quel “tranne” , a parte un’idea di letteratura lambiccata, a parte un’egolalia implicita ma ridondante, la cieca fiducia nei propri amici o nei “propri autori” o nella protesi della propria manica di camicia: e che non si dica d’altro e che non si parli d’altro, non c’è altro…
La negazione della possibilità del discorso: è in ciò che consiste l’atteggiamento intellettuale fascista (negazione che si prova, come minimo, a far passare “per autorità”, non c’è altro modo, in questo caso…)
Tu non senti l’eco di niente? Il capolavorismo, transitando verso il nientismo, diventa una dichiarazione sulla vanità di ogni parere, e pretende di invalidare ogni giudizio in nome dela comica missione di un’oligarchia del giudizio che nega l’esistenza del mondo al di fuori di sé, per non essere costretta ad assegnargli alcun valore.
Per come la vedo io, Wu Ming1 rivendiva il diritto di esprimere un’opinione e prova ad anticipare una l’obiezione più prevedibile (aggiungo: in un paese civile in cui non c’è nulla di più difficile che liberarsi da un marchio, come nel caso di Giuseppe G.).
Allora, se Giuseppe G. chiede a Wu Ming1 di non essere recensito per evitare che scoppino polemiche, secondo me ha più di una ragione: non per la richiesta, ma per la preoccupazione. E’ libera l’opinione di chi si deve sentir ronzare nelle orecchie sempre la solita filastrocca? E’ libera, certo, ma sotto condizione…
Che poi il tuo parere e quello di Wu Ming1 siano discordanti, non credo sia questo il punto (perdona l’anacoluto): si tratta di differenze di opinione, e finché si è liberi di esprimerle senza dover sostenere settimane di battaglie contro i mulini a vento, per come la vedo io, non c’è nulla di strano.
Per inciso: davvero pensi che la distorsione del capolavorismo in direzione del nientismo non sia un discorso tendenzialmente fascista? Io penso di sì…
A Babsi vorrei ricordare che il fascismo ambientale può trovarlo agevolmente nei suoi post in cui mi accusava di essere “l’ufficio stampa di Tiziano Scarpa” (e tante altre cosine), questo solo per aver nominato Groppi d’amore nella scuraglia.
Quello sopra eri io naturalmente.
(chiedo scusa per i refusi, numerosi)
vedi angela hai toccato il punto cruciale.
un gruppo che si chiude e si autocelebra è un ossimoro pericoloso in rete e questo WM1 lo dovrebbe sapere bene.
Ma la natura umana è quello che è e non basta un nuovo mezzo per cambiarla velocemente.
I klub di amici sono khiusi e i blog aperti, non si può pretendere di avere sia i vantaggi di uno che dell’altro, bisogna saper scegliere.
Chiamare censura la critica e la reazione di una moltitudine in balia dei propri sentimenti (non sempre consivisibili), mi sembra un grosso azzardo.
geo
giuseppe genna chiede di non essere recensito perchè è una vecchia e-volpe che ha un grande fiuto e si accorge che il grido al capolavorismo è una forma di amicizia che al momento non paga.
Ivan che invece non ha gran fiuto dice che “capolavorismo” è nato fuori dalla rete. E certo, puoi giurarci! ma tutto nasce fuori dalla rete, qui mi sembra che vengano portati solo fastidiosi vizi esterni, questo è il guaio per chi crede veramente nella forza innovativa della rete.
geo
Tutte queste polemiche sono astratte, non riguardano i testi le parole i corpi. Nessuno che parla, per esempio, di “LAGO NEGRO” di Andrea Di Consoli, come Franco Cordelli fa coraggiosamente oggi, e non sui blog, ma direttamente sulla carta, all’interno del paludatissimo e da voi sdegnato Corriere della Sera. Una conferma in più che le potenzialità della Rete vengono compresse in chiacchierii da aia, e che la carta stampata ha ancora ben altra profondità, ben altra persistenza analitica.
Non vi tediate, su.
mah, io i discorsi sul ‘nientismo’ li considererei superati. roba da mummie. contesti estranei. cartapecora. roba vecchia. come un esperto di reality che dica: ‘ma madame bovary poteva aspettare di uscire dalla casa, prima di suicidarsi!’ ascolti, sorridi, ma ti dici: non hai i grafici, le coordinate, sei fuori, non sai di che parli. chi ne parla qui, è perchè pensa che qualcosa ci sia, no? se no non viene qui a parlarne, no? quindi, se urli al nientismo è solo per poter fare la voce che urla nel deserto. e mantenere il deserto diventa uno stato di necessità, un modo di campare, un mestiere. è orrendo da dirsi, ma è così.
Georgia, ha ragione Ivan, capolavorismo è un neologismo di vecchia data che non si era mai diffuso (e non è diffuso neanche adesso, siete in 20 a usarlo)
come è un modo di campare, un mestiere, dire, ‘il gruppo rovina la rete’. uno nel gruppo ci vede quello che ci vuole vedere. uno può anche pensare che il gruppo non esista. e forse non esiste. è talemnte evidente che qui nessuno impone niente. c’è solo da arricchirsi, qui. bisogna solo stare attenti – come sempre, ma qui il gruppo non c’entra – a non diventare vittima di pregiudizi, luoghi comuni, banalità. non per il fantomatico ripetto che si deve agli altri, che io posso solo immaginare cosa sia. ma per sè stessi, per poter giocare bene (nel senso di tranquilli) fuori dalla rete e dentro la rete.
big ben :-)))
puoi star sicuro che ora WM1 lo ha sdoganato
@cerasuolo
Sto leggendo proprio ora Lago negro, sono all’inizio, ma mi sembra veramente un bel lbro, cosa che tra l’altro mi conferma in una cosa curiosa, che il meglio in letteratura sta al momento provenendo quasi tutto dalla Lucania, è casuale o c’è un motivo misterioso che mi sfugge?
Non amo cordelli ma andrò a ricercarmi la sua recensione.
geo
nel merito del tuo riferimento a scazzi passati, però, non posso che dire: hai voluto la bicicletta… (e anche darti merito del fatto che di fascismo tu non hai mai parlato). Non è un’offesa questa, è la logica dei blog e ti assicuro che la conosco. Ci sono dinamiche interessanti e altre detestabili, alcuni dicono cose perché lo pensano, altri pensano quello che si dice in giro e lo diranno anche loro. Ahinoi è così. Ci sono persone intelligenti, sciocche, maniacali, stronze ecc ecc. E in generale come dice granieri ogni blog crea lui il contesto per i propri commenti. Ma ricamare più di questo, vedere “logiche culturali fasciste” nella chiacchiera è a un passo dall’argomentare sul genocidio culturale, e su questo abbiamo già dato, no? Vuol dire claustrofobizzarsi, il che è sempre sbagliato, anche se ahinoi capita a tutti e a volte dolorosamente (ma il mondo/la rete è vasto e vi assicuro che di tutto ciò non si sa nulla già due metri più in là) . E vuol dire anche sovrapporre la storia del gusto in cui per principio non ha ragione nessuno con la funzione critica. Entrambe sono attività degne, ma non sono la stessa.
Agli altri chiedo perdono, non sto snobbando, ma ritengo di aver già risposto implicitamente nel mio commento sopra, in cui sostenevo in che modo va a mio parere circoscritta la questione.
peace & love
(ps. che è l’unica cosa seria che sto dicendo oggi: lipperini, b.georg senza la “e”. Purtroppo non ho i capelli lunghi e non ballo sculettando, anzi in quel campo sono piuttosto un inguardabile pezzo di legno)
b.georg, la censura ambientale c’è e mi sorprende che non te ne sia accorto.
Negli ultimi anni siamo stati investiti da pareri-incudine ex cathedra (Citati, Luperini, Consolo, Fofi, a suo modo Benedetti anche se in apparenza li attacca) sul fatto che “in Italia non c’è niente” (o ben poco), che abbiamo subito “la fine della letteratura” (o la restaurazione), che dopo Calvino il diluvio, che “è morto il romanzo”, che – e qui casca l’asino – se si parla bene di un qualsiasi romanzo italiano sicuramente lo si fa per motivi “mafiosi”, perché si è “amici degli amici”, perché “c’è la cricca”, perché si fanno le “marchette” etc.
Ripeto, mi sembra strano che tu non ti sia accorto di tutto questo, ne abbiamo discusso più volte, anche su Lipperatura.
Queste non erano semplici opinioni, erano pezzi da novanta, colpi di mortaio sparati a tutta pagina (a volta doppia) dai più importanti quotidiani nazionali.
La parola “capolavorismo” non è la cosa più importante, l’importante è far capire che c’è una strategia di negazione in corso.
In ogni caso quella parola ha avuto un’origine scherzosa sul blog di brodoprimordiale, poi il suo uso è degenerato in una politica di *interdizione*, “contenimento” e censura preventiva.
A portarla avanti è senz’altro un pugno di critici e addetti ai lavori che lo fa per esigenze di auto-marketing (o di negazione della realtà in articulo mortis), supportata da commandos di “utili idioti” reclutati nel vasto novero degli scrittori impubblicati e rancorosi.
Scusami, ma gli sfottò c’entrano poco con quello che sta succedendo. Anzi, gli sfottò (vedi VMO e a suo modo Angelini) mi sembra abbiano scelto come bersaglio proprio questa strategia, non l’opposizione ad essa.
Io voglio essere libero di scrivere quel cazzo che mi pare senza dover chiedere il permesso a questi “tribunali della coscienza”, e non voglio preoccuparmi di accuse che piovano dall’ambiente nientista (o nientista-blogger).
Sono dell’idea che negli ultimi dieci-quindici anni in Italia si siano scritte cose molto importanti, e condivido questo parere con critica e pubblico dei paesi in cui i nuovi scrittori italiani vengono tradotti. Qui da noi si preferisce la lamentazione adorno-savonaroliana, ma ecco, io vorrei far capire che tale lamentazione *non è disinteressata*. Punto e a capo.
“Sono dell’idea che negli ultimi dieci-quindici anni in Italia si siano scritte cose molto importanti, e condivido questo parere con critica e pubblico dei paesi in cui i nuovi scrittori italiani vengono tradotti”
Ok lo penso anch’io, e fra quelli c’eri anche tu, ma la tua è, scusami, una vera e propria mania di persecuzione.
Evidentemente la rete non fa bene, e tutti, anche i migliori, prima o poi ci cascano.
che tristezza 🙁 non ho neppure più voglia di pattinare.
g.
Ah, ecco, il contrordine: tutti contro uno! Si giocano il tutto per tutto, insomma!
Ah, b.georg, dimenticavo: non mettermi mai più in bocca cose che non ho detto.
Virgolettare “logiche culturali fasciste” fa sembrare che io abbia scritto così. Io invece ho scritto “chanson egocéntrique del fascismo nientista”, e ho anche riportato i versi, in cui si parlava pure di “elefanti rosa”.
Superfluo che io spieghi, a te e in questa sede, la differenza tra lo scrivere letterale e lo scrivere figurato, tra lo scrivere iconico e lo scrivere logico-referenziale, tra il gridare al complotto e il descrivere i giapponesi in Piazza dei Miracoli.
Superfluo che io spieghi, a te e in questa sede, la differenza tra lo scrivere letterale e lo scrivere figurato, tra lo scrivere iconico e lo scrivere logico-referenziale, tra il gridare al complotto e il descrivere i giapponesi in Piazza dei Miracoli.
Wu ming, a me pare che si possa scrivere, replicare, in questo caso a boy georg senza e finale, discutere insomma senza fare i primi della classe.
Ti dirò, mi piace quello che scrivi, qui, spesso condividendo tue argomentazioni, ma non mi piace, per niente, la tua altezzosità.
se qui dovesse intervenire un metalmeccanico che magari simpatizza per la lega e legge la mazzantini e camilleri che fai gli dici che è una cacca (o in modo figurato glielo fai capire)?
Sambigliong, non mi sembra di essere stato altezzoso, ma se ho dato quest’impressione, me ne dolgo e chiedo scusa.
Rimaniamo sui contenuti, però. A me importano i contenuti. I contenuti li ho espressi in modo chiaro.
In più, ho precisato di non aver detto cose che mi sono state attribuite. Se non c’è precisione nel criticarsi le reciproche opinioni, il confronto risulta viziato e diventa flame (e me i flame non interessano) e la tensione che si genera diventa scazzo personale (e a me lo scazzo personale non interessa).
no, dai, sambigliong! è ricattatorio, e vagamente razzista, oltre che culturalmente irresponsabile (non sto scherzando, anche se può diventare oggetto di scherzo) dire “parla come magni se no nun te capisco!” (e ancora peggio, non ti capiscono ‘i veri umili’) . lo è in un contesto in cui ci si considera – forse sbagliando – tutti, più o meno, acculturati. ma secondo me stai solo facendo la parte del diavolo! dì la verità. stai scherzando.
Ah, Sambigliong, dimenticavo: Camilleri è scrittore che stimo molto, che ho recensito e il cui lavoro anche sulla lingua trovo molto importante. Mi sembra fuori luogo citarlo – sia pure per paradosso – alludendo a un suo essere “basso”, lettura un po’… da zucconi. “La presa di Macallè” è un libro duro e *difficile*.