Perché quando si comincia è difficile smettere, e per fortuna. Continuano ad arrivare mail e messaggi, e testimonianze dal mondo delle librerie. E io mi chiedo quando è successo che ci siamo distratti, e distratte, e perché.
Qui la persona che mi scrive ha lavorato in una libreria di catena che non è Feltrinelli, e racconta che sono almeno dieci anni che il lavoro è cambiato, e che la considerazione stessa in cui si tengono i libri è profondamente mutata.
Buona lettura.
Cara Loredana,
ti scrivo non solo come amante dei libri, ma come libraiə di catena con un’esperienza che si estende dalla metà degli anni Duemila fino al 2020. Ho visto la trasformazione delle librerie dall’interno, ho assistito al progressivo sgretolarsi del ruolo del libraio, ho vissuto la mutazione del mercato editoriale e, con essa, la mercificazione del libro in un senso che mai avrei immaginato quando ho iniziato questo mestiere. Quando ho varcato per la prima volta la soglia di una libreria come dipendente, la rotazione dei libri sugli scaffali era di sei mesi. C’era il tempo di far scoprire un titolo, di consigliarlo, di lasciarlo respirare sugli scaffali e trovare il suo pubblico. C’era un’idea di permanenza, di cura.
Quando ho lasciato quel mondo, la rotazione era ridotta a un mese e mezzo, due mesi al massimo. Il mio ruolo si era trasformato da libraiə a facchinə, ma senza la dignità salariale di un vero facchino. Ogni giorno, tra scatoloni da aprire e pile di volumi da esporre e smontare con una frenesia sempre più alienante, mi rendevo conto di essere entratə nella ruota impazzita di un criceto: realizzavo gradualmente che il mio mestiere non era più quello per cui avevo scelto di lavorare tra i libri.
Non sorprende, oggi, quello che sta succedendo in Feltrinelli. In altre catene era già cominciato da anni: nel 2015-2016, molte figure esperte e appassionate sono state sostituite da supermanager provenienti da settori che nulla avevano a che fare con il libro. Il loro unico obiettivo era il taglio dei costi, la riduzione del personale qualificato, lo smantellamento delle reti di agenti e di supporto alle librerie. Tutto ciò che era ritenuto “superfluo” è stato spazzato via con un colpo di spugna, mantenendo una direzione precisa. In compenso, venivano organizzati in tutta fretta corsi di aggiornamento per i librai, affinché imparassero a vendere di più, e soprattutto, a vendere tutto, senza distinzioni. Non era più il libraio a scegliere i titoli da consigliare, ma un’entità astratta e anonima, decisa altrove, imponeva cosa esporre, cosa spingere, cosa inviare alle librerie, cosa svendere.
È stato un passaggio graduale ma inesorabile: prima la perdita della libertà di selezione, poi la riduzione delle competenze specifiche e, infine, l’imposizione di strategie di vendita aggressive, con ordini dall’alto che suonavano come diktat: “Vi mandiamo 800 copie di questo titolo, dovete venderle tutte.” Poco importava se il libro fosse valido, se piacesse a noi o ai lettori, se avesse un pubblico reale o fosse solo il frutto di un’operazione di marketing ben congegnata. Si trattava di numeri, non di storie. Di volumi di vendita, non di contenuti.
Il trend era chiaro: quantità al posto della qualità, imposizione al posto dell’ascolto. Eppure, il senso stesso del lavoro del libraio è sempre stato l’esatto opposto. Il libraio è colui che orienta il lettore, che si confronta con lui, che suggerisce con competenza, che crea un rapporto di fiducia con chi varca la soglia della libreria, che sa anticipare addirittura i suoi desideri solo grazie a un’attenta conoscenza. Ma in un mondo in cui il libro diventa solo un prodotto da spingere come qualsiasi altro, questo ruolo diventa superfluo.
E così, con il tempo, siamo stati spinti ai margini, svuotati di senso, ridotti a semplici ingranaggi di un meccanismo che non ha più nulla di culturale. Potremmo parlarne per ore, perché questo sistema non ha investito solo la libreria come luogo fisico, ma ha contaminato tutta la filiera editoriale, dal modo in cui vengono scelti e promossi i libri fino alle strategie di marketing sempre più invasive.
Ma la domanda che oggi dovremmo porci è: cosa resta della libreria se viene meno il libraio? Cosa resta del libro se è trattato come una merce qualsiasi, soggetta a scadenze, trend imposti e obsolescenza programmata? Non ho risposte definitive, solo domande e il desiderio di continuare a riflettere, a discutere, a far sentire una voce che, temo, stia scomparendo tra il rumore delle operazioni di mercato. Ma se ancora esistono lettori disposti a difendere l’idea di una libreria come luogo di incontro e di cultura, forse non tutto è perduto.
Con stima, Un ex libraiə