Due interventi, pubblicati quasi contemporaneamente. Il primo è di Marina Terragni, che ieri, sul suo blog, affronta l’antica e dolente questione del “patto di genere”. Fra le altre cose, Marina scrive:
“Da noi stesse noi donne pretendiamo identità assoluta di vedute, o ci opponiamo in un’inimicizia altrettanto radicale. In soldoni, o solidarietà totale con l’altra, o annientamento dell’altra. Pretendiamo anche di intenderci tutte uguali, e anche questo è un errore, perché si tratta di saper riconoscere il fatto, anche doloroso, che una in certe cose, è meglio di te, ha più talento di te. Il patto di genere non ha niente a che vedere con la solidarietà, è una cosa molto diversa da una lobby e non costringe a rinunciare alla differenza di vedute. Avere saputo stringere un patto fondativo di genere è la mossa che ha fatto vincere gli uomini, che sanno dosare la loro inimicizia. Quello che ci lega a tutte le altre in un patto dell’origine è la nostra differenza femminile. Riconoscendo l’altra come donna, posso riconoscere anche me stessa come radicalmente diversa da un uomo. Il pluralismo e la trasversalità politica, che in alcuni casi, come in quello della lotta per la rappresentanza, sono una strada obbligata, sono solo l’aspetto esteriore del patto di genere, che è ben altro”.
Il secondo intervento viene da Chiara Lalli, ed è apparso su La lettura del Corriere della Sera. Non riguarda, come il post di Marina, la politica (o non direttamente), bensì il bullismo femminile. Scrive Lalli:
“Se è vero che la violenza degli uomini è fisicamente più pericolosa e a volte mortale, è indubbio che i comportamenti aggressivi da parte delle donne siano molto diffusi: il 58% del bullismo sul luogo di lavoro è femminile e l’80% delle prepotenti se la prende con altre donne, perlopiù tramite la manipolazione psicologica, l’isolamento e altre forme di sopruso immateriale”.
L’argomento, come ognun sa, è antico ed è stato sviscerato da studiose di ogni disciplina: dunque, perché occuparsene ora? Provo a dire la mia: perché siamo in un momento più che critico. Perché – ed è sotto gli occhi di tutti – il “brand” femminista non è, a oggi, di interesse primario. Lo è stato, di nuovo, per una breve stagione e viene ora sepolto da altre problematiche (nonostante il fatto che pochi o nulli miglioramenti siano stati apportati, sia sul piano sociale e politico che su quello culturale).
Dunque, su quei due piani, diventa piuttosto urgente non tanto approfondire di nuovo l’analisi o banalizzarla sbrigativamente nell'”Eva contro Eva”. Ma prendere atto e cominciare a lavorare. Dal punto di vista politico, sono da leggere la convocazione di SNOQ dell’incontro di sabato scorso e le domande di Lorella Zanardo su “cosa ci unisce”. Dal punto di vista culturale, sta prendendo forma un’idea di cui vi parlerò prossimamente.
Non ci unisce nulla. L’homo homini lupus delle donne è molto più ferino e tagliente di quello maschile. Le donne non hanno alcuna idea di cosa significhi cameratismo o collaborazione mentre hanno fortissima in sé l’idea dell’annichilimento della nemica. Meglio se in branco. Gli uomini usano la clava, le donne la lingua.
“nonostante il fatto che pochi o nulli miglioramenti siano stati apportati, sia sul piano sociale e politico che su quello culturale”
sbaglio a tempo fa quando dissi in maniera semi-provocatoria che il femminimo aveva fallito mi disse in malo modo di tacere?
Ora lei dice la stessa cosa in maniera molto piu’ assertiva…certo che la coerenza come virtu’ e’ proprio caduta in basso.
Si è risposto da solo, Simone. Dipende dai toni, dipende dai contesti, dipende dagli intenti, non trova?
Ps. E i pochi o nulli miglioramenti non si devono certo al fallimento del femminismo, per inciso.
Ci unisce moltissimo invece. Non ho ancora letto il testo di Lorella su cosa ci unisce e mi scuso se dirò cose che lei, conoscendola, può aver detto meglio di me ma voglio dare il mio contributo.
Ci unisce la ricerca ormai incessante di fare politica ben sapendo che tutto è lì per dividerci. Ci unisce la lucidità su cosa ci divide e la ricerca di forme che delle differenze ne facciano un valore, buono anche per le nostre relazioni con gli uomini e per un patto di genere e fra i generi. Ci unisce la volontà e ci unisce il tempo, oramai maturo grazie al lavoro di donne e uomini di grandissimo valore, che io ringrazio.
“Avere saputo stringere un patto fondativo di genere è la mossa che ha fatto vincere gli uomini, che sanno dosare la loro inimicizia”.
scusate, ma è possibile nel 2012 leggere ancora concetti tanto assurdi come questo? O è una mia impressione irrilevante che non ha molto a che fare con l’intero discorso? è solo un cavillare ozioso?
e poi sul passaggio di Chiara Lalli, cui sono favorevolmente predisposto, perché fondare dei ragionamenti su un dato così ovvio? per quale motivo dovremmo ricordarci che anche le donne sono aggressive e soprattutto perché è un dato significativo che lo siano contro altre donne?. cioè: a parte uomini e donne non è che ci siano altre opzioni sulle quali esercitare violenza.
E’ sempre difficile trovare un minimo comun denominatore: donne che fanno della maternità il loro mito fondante e donne che la rifiutano; donne che ambiscono a raggiungere i vertici aziendali e donne che di fare carriera in quei contesti non ci pensano proprio…a parte il desiderio di poter essere/realizzare ciascuna il proprio sé, quali potrebbero essere gli obiettivi comuni?
Il discorso, ovviamente, si può applicare anche agli uomini. (Esistono uomini “in fuga “dal potere”)
Alessandra, per esempio un punto fondativo comune potremmo condividerlo anche con gli uomini, come tu correttamente osservi, oltre che fra di noi. Per restare i temi che tu poni, si potrebbe cominciare a parlare sul serio di qualità della vita e del lavoro immaginando una nuova organizzazione che tenga presenti le aspirazioni di ciascuno/a. Nulla vieta di pensare al diritto di essere/non essere madri ribaltando la logica del destino biologico che ingabbia tutte/i nei ruoli.
Da uomo, mi viene da dire che sarebbe ora di uscire da questo dualismo uomini/donne. Non so se c’è bisogno di un’alleanza di genere tra donne, ma sono certo che ci sarebbe bisogno di un’alleanza tra persone. Prima ancora che tra generi. E, sempre da uomo, vorrei anche suggerire che il tema dell’alleanza di branco tra uomini è molto sopravvalutato. E’ vero che in parte si tratta di comportamenti talmente interiorizzati da sfuggire alla coscienza di chi li mette in pratica, ma posso assicurare che quando si tratta di fare a pezzi un avversario nessun uomo in cerca di potere si tirerebbe indietro nel timore di favorire una donna. Io non l’ho mai visto fare, né credo che lo vedrò mai. Quello che si fa è piuttosto una fredda valutazione di convenienza, che nulla ha a che vedere con le questioni di genere.
Secondo me, preso atto del fatto che c’è un problema di accesso, per le donne, a posizioni di responsabilità, e che c’è un problema per tutti, uomini e donne, di conciliazione della genitorialità e della vita privata in generale con quella lavorativa, si dovrebbe cercare di coinvolgere nell’azione tutti quelli che intendono far qualcosa in merito, uomini o donne che siano. Come giustamente osserva Alessandra, ci si accorgerà che un sacco di donne non sono interessate (secondo me a torto, perché ciò che è in gioco non sono le sole ambizioni personali), mentre potrebbero esserlo moltissimi uomini. Purtroppo, e lo posso costatare nel mio luogo di lavoro, spesso certe tematiche vengono assunte in modo esclusivista da blocchi femminili con i quali diventa difficile interloquire. Le commissioni pari opportunità, ad esempio, sono spesso semimonopolio di un certo tipo di donne piuttosto assertive (per non dire aggressive) e, se è vero che sono pochi gli uomini interessati a dialogare, è anche vero che quei pochi vengono spesso marginalizzati dalle stesse donne, più interessate alle proprie dinamiche di confronto e di rivendicazione che alla costruzione di un’alleanza.
Dico queste cose da uomo che ha spesso cercato l’interlocuzione, ricevendo risposte qualche volta positive, ma più spesso ambigue, quando non dei veri e propri rifiuti al confronto. E’ un punto di vista, questo mio, esterno alla logica dei movimenti femminili e femministi, e in diversi punti poco compiacente. Però è condiviso, almeno nelle sue linee essenziali, da molti uomini, e credo che possa essere un contributo con una sua validità, in questa discussione.
Il capitalismo vive di una narrazione mendace e di una gratificazione compensatoria. La narrazione mendace sta nel fatto che l’accumulazione sia illimitatamente possibile e il profitto sia fonte di felicità e realizzazione personale. La compensazione sta nel fatto che chiunque può arricchire e che il piacere del consumo risarcisca dalla fatica spesa.
L’irruzione di tematiche ecologiche nel XX secolo è il segno principale della rivoluzione femminile, accompagnata dal realismo della sostenibilità e da un’idea di benessere più vicina all’armonia interiore e relazionale che alla soddisfazione di desideri illimitati.
Queste tematiche, mentre promuovono la liberazione della persona dall’antagonismo coatto e dall’alienazione produttiva, risultano intrinsecamente anticapitalistiche e sono in grado di portare a un ripensamento profondo dell’essere sociale.
In questo abbiamo creduto, quando le compagne negli anni Settanta dicevano “il personale è politico”, e in questo non abbiamo smesso di credere.
A queste condizioni, l’ingresso massiccio del femminile in politica potrebbe essere l’ultima occasione di salvezza per l’occidente.
Il resto, perdonate, è l’eterna disputa per chi ce l’ha più lungo.
Chi se ne frega.
Concordo con Maurizio: sarebbe ora di uscire dal dualismo uomo/donna. Un patto di genere è insostenibile per chi dalla categoria del genere è uscita/o, nel senso che non la riconosce né come naturale, né come legittima, ma la vorrebbe definitivamente superare. Su questo punto la differenza di vedute è abissale, perché c’ è chi non riconosce il genere e lo vive come gabbia e chi, in quella che altre/i individuano come una gabbia, insiste per rimanere, magari facendone anche il vessillo di una presunta eccellenza. Gran parte dell’universo femminista, sulla scia della disfatta del genere di Judith Butler, è già pervenuto a questa conclusione, così anche come molti uomini che si interrogano sulla loro identità. Mi viene in mente l’associazione maschile plurale, per esempio. Per cui, concordo doppiamente con Maurizio: il tormentone dell’alleanza tra uomini-camerati è sopravvalutato, proprio dalle donne, tra l’altro. E più che insistere su un cameratismo che molti uomini cercano si superare, una nuova politica dovrebbe lavorare sullo smantellamento di questo stesso. In molte e molti già lo facciamo, ed è per questo che non rispondiamo ad appelli a patti che ripetono dinamiche dicotomiche vecchie, a loro volta generatrici di inutili separatismi e di gerarchie di potere, a loro volta foriere di forme di violenza come il bullismo femminile. Non è un caso e non fa meraviglia che l’incontro di Snoq sia stato disertato dalle giovani generazioni di femministe: queste sono andate avanti e oltre il genere. lo intendono solo come termine di una dicotomia che si vorrebbe superare, insieme a tutt* coloro che alla polarità maschile/femminile non possono essere ricondott* e che finiscono così per rimanerne esclusi. Il genere genera esclusione, rosa o celeste che sia. Non c’è possibilità di coesione all’interno di una categoria di per se stessa escludente.
A questo poi si aggiungono anche le differenze inerenti l’ ideologia politica, che è questione a se stante, ma di non minor peso. C’è chi, non so quanto consapevolmente, ritiene che sia giusto “imporre il capitale umano femminile” e chi, alla sola parola “imporre” e all’espressione “capitale umano” rabbrividisce in virtù della matrice ideologica che c’è dietro. Magari è latente, ma c’è.
Accadrà come sempre: le giovani si ritroverano liberà guadagnata da altre al posto loro, cara Antonellaf. Deja vu
“Più ancora forse è un desiderio comune che deve emergere ora, quella voglia di cambiare il mondo che fa superare ostacoli e barrirere. Quel desiderio condiviso che tiene insieme le persone anche le più diverse. Quell sogno comune che fa superare senza troppe battaglie le eventuali divergenze. Di questo bisognerà parlare.” Lorella Zanardo dixit e condivido pienamente
La volontà di cambiare il mondo e di trasmettere valori non transitori e costantemente minacciati su queste basi dobbiamo unirci e muoverci e creare un partito politico che faccia del cambiamento la priorità e sia capace di osare e innovare per creare lo Stato
@Giovanna
sarebbe auspicabile invece che non accadesse come in passato. Anche perché la libertà guadagnata da altre in realtà è un regime di semi-libertà vigilata, altrimenti non staremmo nemmeno qui a parlarne.
Per me la domanda “cosa abbiamo in comune” ha molto senso se intesa in senso pagmatico, non filosofico: in comune abbiamo un problema da risolvere. Come fossimo quelli che vivono lungo un fiume inquinato.
Per quanto riguarda le differenze ideologiche, la subalternità femminile ha mostrato di non essere appannaggio solo di determinate ideologie o sistemi ecomomici, ma abbastanza trasversale: perciò mi sembra che abbia senso la trasversalità di un patto di genere, che non vedo affatto come donne contro uomini, ma come una chiamata primaer tutte quelle che sono più prossime al problema. Un po’ come in un referendum persone con diversissimi orientamenti possono però condividere uno specifico obiettivo, tipo non volere il nucleare nel futuro del paese. votare la stessa cosa. Poi sul resto ognuno per la sua strada…ma mi sembra impossibile portare a termine una rivoluzione o una lotta solo insieme a chi ha tutte ma proprio tutte le idee in comune.
votare la stessa cosa= refuso.
Credo che Francesca abbia centrato il punto: in comune abbiamo un problema da risolvere. Credo che la cosa più difficile sia capire se sia possibile risolvere questo problema in una maniera che piaccia a tutti, e siamo disposti a farlo, lavorando anche a fianco a chi la pensa diversamente da noi riguardo a tanti argomenti cruciali (esempio, economia, ecologia…), ma condivide la stessa volontà di uscire dal problema.
Più sottile è la differenza di vedute rispetto all’essere donna. Una rivoluzione ispirata – per dire – al femminismo della differenza, che volesse esaltare – per dire – le “capacità di cura, di accettazione, di comprensione del femminile”, non so se mi piacerebbe.
Per riallacciarmi ad antonellaf, io sono tra coloro che vede il genere come una gabbia e un cambiamento fondato sulle differenze di genere per me sarebbe quasi dannoso.
Per questo sopra ho detto che è fondamentale trovare una soluzione sulla quale si concordi.
Non so, ogni tanto spuntano parole che hanno un respiro diverso, le fasi di inspirazione e espirazione sono ampie, naturali. Che cappero di polmoni c’ha francesca f? Lo so che sono polmoni che stanno tra le orecchie, insomma è la mente. La mente fa questi scherzi di allargare la visuale, ma sono scherzi rarissimi, e continuo a stupirmi quando sento quel respiro.
scusate: antonella f
Antonellaf, la libertà richiede di essere attualizzata e questo è un compito che spetta anche a chi la riceve. Io non vedo ciò che invece sarebbe necessario da parte di chi la libertà e l’autonomia la deve guadagnare per sé, vedo un chiedere conto continuo alle generazioni passate e una incapacità di opporsi a quanto ci stanno facendo, perché quel che stanno facendo i governi e le banche lo stanno facendo a tutti, non solo a chi deve costruirsi un lungo futuro, ma anche a chi deve provvedere a un futuro più breve non potendo nemmeno contare sulle forze di chi è impegnato a difendere sé. Ai miei tempi c’era Cossiga, che scrivevamo con la K. Oggi c’è la rete come risorsa ma va usata bene, meglio di come si fa. Ti invito, peretanto, a non addossare colpe a chi non ne ha ma a provare tutti insieme, ciascuno con le sue forze, a reagire a questo stato di cose, con coraggio e rispetto.