La Lega su Saviano e sul caso della Biblioteca di Preganziol di cui si è parlato qui:
Il Gazzettino
La Tribuna di Treviso
Tg3 delle 19 di ieri, secondo servizio.
Maurizio Bono su Repubblica:
MILANO – Di nuovo con Saviano, di nuovo, secondo sensibilità e carattere di ognuno, sdegnati, sconfortati per la ripetitività degli attacchi o per l´escalation della loro violenza, preoccupati, arrabbiati, un po´ più di prima in trincea: per buona parte degli scrittori che pubblicano con il gruppo Mondadori le dichiarazioni di “orrore” del presidente dell´azienda per l´autore di casa che sta dalla parte dei magistrati milanesi sono una nuova doccia fredda. Per Carlo Lucarelli «abbiamo già detto tutto l´altra volta, quando il tema era l´accusa a Saviano di parlare male della mafia, e si rischia di ripetersi. Ma è assolutamente paradossale che per difendere un indagato che non trova normale presentarsi alla giustizia come è dovere di chiunque si accusi chi sta dalla parte dei giudici di tradire la legalità».
Non commentano a caldo, per scelta, i vertici di Segrate posti di fronte a una rottura che con secondo ogni logica prelude all´interruzione di ogni rapporto con l´autore di Gomorra. Riflette Michela Murgia, l´autrice Einaudi premio Campiello con Accabadora: «Sul punto specifico Saviano si difende benissimo da sé, ma è pacifico che dedicare una laurea honoris causa a una istituzione sotto tiro da parte di chi cerca di delegittimarla è un gesto nobile, civile, corretto e di grande significato». Con una dozzina di colleghi einaudiani dopo i precedenti attacchi Murgia aveva firmato uno scritto di solidarietà a Saviano. «No non ci siamo ancora sentiti, ma non ce n´è neppure bisogno. Ma stiamo mobilitandoci anche contro l´espulsione di Gomorra dalle biblioteche di Treviso col pretesto di censurare chi ha firmato appelli per Battisti, come peraltro Saviano non ha fatto. Mi sembra che quella pretesa esprima lo stesso genere di concezione della libertà di pensiero».
Collega diversamente i due casi Pennacchi, autore Mondadori vincitore dello Strega con Canale Mussolini: «Se la scelta è tra Marina Berlusconi e Saviano, è chiaro che sto senza esitazioni con Saviano. Ma io ho una fiducia meno assoluta di lui nella giustizia, perché sul caso Battisti non ci metterei la mano sul fuoco, e non mi dimentico le stragi mai punite». Torna al lato editoriale e politico dello scontro Helena Janeczeck, che pubblica per Guanda ma per Mondadori è consulente e ha fatto cirsolare per prima a Segrate gli scritti di Saviano. «Non si può sottostare al ricatto di tacere di fronte a un´escalation nell´assurdo: ha un senso accusare Saviano di calpestare la legalità per il fatto di apprezzare la magistratura? È il segnale della confusione totale di ruoli tra ruoli pubblici e in azienda, tra figlia e presidente». Rilievo simile a quello di Diego De Silva, autore Einaudi e avvocato di formazione: «Ciò che più mi lascia esterrefatto è la chiamata violenta a scegliere da che parte stare tra magistratura e azienda-famiglia, come se i principi del diritto si fermassero sulla porta di casa. Una sortita completamente fuori squadra, che sconcerta e mette disagio tutti noi». E Niccolò Ammaniti: «È perfettamente coerente che Saviano, che si batte per la legalità contro le mafie, dia sostegno ai giudici che la contrastano e che perseguendo i reati fanno il loro lavoro. Chi è innocente può sottomettersi come tutti al giudizio della legge».
Stefano Tassinari su Liberazione
Lista nera. Un termine da film sulla Germania nazista, o sull’Argentina di Videla e dei desaparecidos. In tutta franchezza, malgrado i tempi bui che stiamo vivendo, non pensavo di dover ancora fare i conti, nel 2011, con una definizione come questa. E invece mi sbagliavo, visto che da qualche giorno, grazie alla trovata dell’assessore alla Cultura della Provincia di Venezia – il pidiellino Raffaele Speranzon – una specifica lista nera (comprensiva anche del mio nome, assieme a quelli di una cinquantina di altri scrittori e di circa duemila persone) viene pubblicata su giornali quotidiani e siti internet, con accanto simpatiche definizioni, tipo “gli amici di un terrorista assassino”. La storia è ormai nota, ma vale la pena riassumerla. Il suddetto assessore, sollecitato da un’iniziativa assunta dal sindacato di polizia COISP, ripesca un appello diffuso sette anni fa e firmato, per l’appunto, da circa duemila persone, tra le quali scrittori, giornalisti, docenti universitari, artisti e intellettuali. L’appello chiedeva alla Francia di scarcerare Cesare Battisti e di non estradarlo in Italia (applicando così la “dottrina Mitterrand” anche in quel caso), sulla base di fondati dubbi in merito alla sentenza che aveva condannato – in regime di leggi speciali e in violazione dello Stato di diritto – lo stesso esponente di un gruppo armato di sinistra all’ergastolo per aver commesso quattro omicidi. In quell’appello, per altro, si poneva una questione più generale, relativa alla necessità di chiudere, a livello politico e non solo giudiziario, una fase pesantissima della nostra storia recente, e cioè i cosiddetti “anni di piombo”, puntando a fare una chiarezza – da tutte le parti in causa – che non è mai stata fatta. Ora, in presenza di una nuova coda della vicenda Battisti (con il governo brasiliano che ha deciso di non estradarlo in Italia, sulla base degli stessi dubbi espressi nel testo di quell’appello di sette anni fa) l’assessore Speranzon ha deciso di lanciare una campagna di boicottaggio dei libri di tutti gli scrittori firmatari, proponendo ai dipendenti delle biblioteche pubbliche veneziane e di tutto il Veneto di togliere i nostri libri dagli scaffali, chiedendo anche alle istituzioni culturali della sua regione di non invitarci a incontri e conferenze, dichiarandoci “persone sgradite”. La presidente della Provincia di Venezia, Francesca Zaccariotto, si è dissociata da questa proposta minacciando di togliere le deleghe a Speranzon, ma subito dopo l’assessore regionale all’Istruzione, Elena Donazzan, ha esteso l’idea anche alle scuole superiori venete (della serie: nessun insegnante deve parlare in classe delle opere letterarie dei firmatari, né adottarle, né inserirle negli scaffali delle biblioteche…). Un’altra questione: quell’appello esprimeva simpatia nei confronti di Battisti e delle azioni dei “Proletari Armati per il Comunismo”? Assolutamente no, e sfido chiunque a dimostrare il contrario, ma evidentemente chi oggi sta impugnando quell’appello come una clava (o meglio: una spranga) non l’ha mai letto. Per quanto mi riguarda (ma credo valga per tutti), non solo non ho mai condiviso le posizioni e le azioni di chi, ai tempi, scelse la lotta armata, ma le ho apertamente contrastate, consapevole del fatto che, tra l’altro, contribuirono a togliere spazio ai grandi movimenti giovanili degli anni Settanta. E infatti il problema non era (e non è) certo quello di simpatizzare per scelte totalmente sbagliate, bensì di difendere il diritto di tutti ad essere sottoposti a processi equi, non condizionati da legislazioni speciali e mostruose, né da sentimenti di vendetta (e questo, sia chiaro, deve valere per tutti e non solo per i militanti armati della sinistra). Solo che la questione, oggi, non è quella della correttezza dei processi, o di trovare una soluzione a quella fase in grado di tener conto anche di altre responsabilità (le stragi, i servizi deviati dello Stato, la P2, la Gladio, ecc.), ma è tutt’altro. La vicenda Battisti è solo un pretesto, dietro la quale si nasconde la volontà di mettere a tacere chiunque la pensi diversamente, chiunque osi mettere in dubbio le verità ufficiali, chiunque rifiuti l’omologazione (sub)culturale proposta dai sistemi mediatico e politico (per lo più coincidenti), basando quest’operazione su una sorta di caccia alle streghe (altra definizione che credevamo consegnata alla Storia, quella più cupa) e sulla diffusione di una forma di odio nei confronti di chi continua a pensare che la cultura sia un terreno in cui coltivare il senso critico e il confronto tra idee diverse. Ed è proprio il concetto di “diversità” ad essere al centro di quest’attacco, concepito – guarda caso – in un momento in cui il concetto dominante di democrazia è quello che si basa sull’alternativa “o voti come dico io, o perdi il posto di lavoro” e il nostro Paese viene rappresentato, a livello internazionale, come una specie di postribolo di lusso. Per fortuna, questa assurda vicenda ha provocato le reazioni indignate (e molta solidarietà nei nostri riguardi, anche in campo internazionale) da parte di tantissime persone, a partire da quelle che non firmarono il famoso appello. E’ una buona notizia, sufficiente a farci sperare che questo Paese non sia né morto, né del tutto normalizzato, senza dimenticarci, però, le lezioni della Storia: quando si comincia colpendo i libri e subito dopo i loro autori si sa perfettamente dove si rischia di finire. Pensiamoci.
sempre pensato che la lega fosse una cosa nazistoide in una versione molto burina e che andasse fermata da subito – all’ inizio degli anni novanta, più si era di sinistra e intellettuali e più si alzavano le spalle se gli dicevi guarda che questi son pericolosi – mi sono anche chiesto perché, se fosse un vecchio pregiudizio illuministico, quello di ritenere l’altro un interlocutore un avversario un nemico solo se intelligente, come se il fascismo lo avessero fatto chissà quali cime
Mi ricorda molto l’inizio del nazismo: ci sono persone silenziose che sono d’accordo, ci sono molte persone che non sono d’accordo ma che restano silenziose comunque…
l’inerzia – dovrei dire l’ignavia? – in questo paese è storicamente di casa, qualcosa che assomigli al fascismo vi attecchisce con una certa facilità
Molto vero, i segnali erano chiari e forti almeno dalla fine degli anni ’80, e l’errore è stato e continua ad essere quello di non dare il giusto peso a questi avversari politici, sottovalutando di volta in volta le numerose aberranti dichiarazioni di Gentilini, o le uscite fascistoidi di Galan. Ora questa gente siede in parlamento e in giunta regionale, e la responsabilità è di chi non ha voluto prendere in esame seriamente le istanze di cui si facevano portavoci. La storia della Lega in Veneto e in Lombardia è molto lunga, ed è ricchissima di episodi come questo, in cui delirio di innopotenza e abuso di potere da anni producono un clima di sopraffazione, che non è mai stato preso sul serio dalle opposizioni. A forza di fare spallucce e considerarli folclore locale sono diventati un problema nazionale. Agli intellettuali di sinistra chiederei di prendere posizione contro l’intero operato politico della Lega e non solo contro un episodio peraltro marginale rispetto a tutto ciò che accade quotidianamente a livello di amministrazione locale. La Lega non è un partito politico ma un cancro che va debellato con una campagna di educazione al rispetto delle regole minime di civiltà e democrazia, e con un’opposizione politica in grado di dare ascolto ad elettori che nell’assenza di alternative credibili dà credito a questi capetti locali.
ho già detto altrove – la Lega Nord, ossia un partito che si dichiara(va) fuori dello Stato con l’esplicito obiettivo di farne uno a parte, avrebbe dovuto essere messa al bando da subito: la sua lotta avrebbe dovuto condurla, per ovvie ragioni politiche, fuori dal parlamento, ne fosse stata capace, manu militari
Il dibattitto diviene sempre meno appropriato e si scrivono fesserie, sempre le solite. Poi, nell’intervento di Bono è interessante notare il “giustizialismo” riservato ad alcuni ed il “garntismo” turbo per altri. Alcuni magistrati sono eroi, altri magistrati corrotti e deviati. Riaffermo che quanto ha scritto l’assessore alla provincia di Venezia e disdicevole, sgradevole, come ritengo stupida la dedica di Saviano ai magistrati di Milano. Considerati eroi, poverini a rischio di essere schiacciati dal tiranno. Magistrati che hanno potuto utilizzare 150 poliziotti e mettere in campo mezzi in grande quantità e qualità per guardare dal buco della chiave. Cosa hanno scoperto? Che u pilu è sempre u pilu.
invece u pilu “alza il livello”, dinosauro, alle tue altezze: commosso
Lupo, lupo perdi u pilu ma non il vizio di prenderti troppo sul serio.
dinosauro, tu che sei spiritoso e magari fai “autoironia” come una valletta qualunque, pare che il cancello ad Arcore lo lascino aperto…
andrebbe ripreso in mano il dibattito sulla “liceità” del pubblicare con mondadori…l’abbandono della casa editrice sarebbe un bel gesto. mi rendo conto di qunato la questione sia articolata e non possa ridursi all’azione teatrale in sè, ma mi pare sempre più difficile, ora, il non venir taccaiti come “collaboratori” in un tale regime. un regime morbido e permissivo che ha ridefinito i termini della sua opposizione. a un regime morbido si deve rispondere con un’opposizione doppiamente rigida