Un po’, lo ammetto, ci sono rimasta male. Con le migliori intenzioni, avevo cominciato a leggere A immaginare una vita ce ne vuole un’altra, il nuovo libro di Elena Stancanelli. A me Elena piace. Ai tempi, ho recensito con molto piacere Benzina. E leggo tutte le sue cronache romane su Repubblica. Questo volume le raccoglie, le amplia, tesse un filo comune fra le diverse esplorazioni e, soprattutto, fornisce loro un senso (o una giustificata assenza del medesimo, nell’addentrarsi consapevolmente in quella che Elena definisce la foresta priva di regole dell’immaginazione).
Insomma, arrivo a pagina trenta,in un capitolo dove si parla di quartieri e di anni Settanta. Nel caso, San Lorenzo all’epoca di Radio Città Futura, 1979, l’attentato fascista alle cinque donne del collettivo casalinghe, il volantino di rivendicazione firmato da Giusva Fioravanti. Che Elena chiosa così:
"Il discorsino di Fioravanti mi ricorda moltissimo gli interventi scalmanati sui blog in rete, i famigerati commenti, o post, il cui anonimato è protetto da fantasiosi nickname. Uno spazio franco, spesso colonizzato dall’imbecillità. Parole senza responsabilità, vagonate di rancore, razzismo, gomitate date a caso. I commentatori anonimi dei blog scrivono come un terrorista, ma stanno col culo sulla sedia. Non mi viene in mente niente di più disgustoso".
A me viene in mente una domanda, invece. Perchè usare un libro e, ma sì, un lettore che sta seguendo chi scrive in una narrazione con molti spunti interessanti, per togliersi i propri sassolini dalle scarpe? Perchè il libro è mio, potrebbe rispondere l’autrice.
Ma è anche mio, che lo sto leggendo.
E che pur non considerando, in sè, la blogosfera come il migliore dei mondi possibili, pur non risparmiando, ultimamente, critiche, insofferenze e quant’altro verso alcuni dei suoi usi, trovo profondamente inesatto il modo di comprimerla in dieci righe liquidandola esclusivamente come un rigurgito di istinti bestiali.
Sono stupida e continuo a pensare che sarebbe interessante che ogni scrittore aprisse un blog: non per dire che i suoi libri sono i più belli del mondo, ma per raccontare cosa c’è prima e intorno alla scrittura su carta.
Sono stupida, e continuo a stupirmi dello snobismo e della chiusura di una bella fetta della cosiddetta società letteraria italiana, anche giovane, che si ostina a guardare esclusivamente nel proprio piccolo mondo e nelle piccole storie personali o degli scarsi affini.
Sono stupida, e mi piacerebbe che si parlasse delle cose solo quando si conoscono fino in fondo, quando ci si sta dentro, quando ci si espone.
Sono stupida, e dopo averlo chiuso, alquanto furibonda, ieri sera, riaprirò il libro e continuerò a leggerlo.
Chi può mai dire se la stessa Stancanelli non riversi i propri umori atrabiliari nei commenti a qualche blog, comododamente nascosta dietro un nick?:- )
comodamente
Non so se questo snobismo appartenga solo a quella parte di società letteraria italiana che non scrive sui blog, mi sembra anzi che questa sia un’opinione straordinariamente condivisa sulla blogosfera, ultimamente. Ho giusto letto ieri questo post di dazieri.
Opinioni simili le ho sentite da molti altri, anche tra i frequentatori di questo blog e sinceramente le trovo apocalittiche.
effettivamente fa passare la voglia di leggerlo…
Un po’ superficiale applicare un concetto definitivo alla realtà della blogosfera, si finisce forse per essere stucchevoli. Del resto le persone che camminano in rete sono le stesse che camminano per strada. All’aria aperta ci si nasconde dietro sorrisi di circostanza, aggettivi leziosi, o più semplicemente occhiali scuri, in rete è sufficiente, per chi lo desidera, un nickname. Ci vuole poco per darla a bere, soprattutto a se stessi e questo avviene ovunque. Sospetto che forse da parte della società letteraria vi sia un timore reverenziale verso la rete, soprattutto per la rapidità con cui sta diffondendo la sua identità a discapito di una società letteraria, magari imbolsita in un vasto sapere, ma che non ha più voglia di conoscere….
Condivido al 2.000 per cento ciò che scrive il saggio Sandrone nel suo blog (che consiglio caldamente a tutti di frequentare) e non mi pare che le sue opinioni siano snobistiche o apocalittiche. Il saggissimo Sandrone evita generalizzazioni ed è molto puntuale e preciso nelle sue notazioni. Porre una serie di domande a partire da una serie di problemi che tutti incontriamo nelle nostre avventure nella blogosfera non mi sembra segno di timore reverenziale, di imbolsimento o altro da parte di una fantomatica società letteraria, mi sembra al contrario un segnale sensato, trasparente e onesto di un disagio da parte di una persona che non si pone al di fuori per giudicare e condannare ma, anzi, vive e partecipa a questo universo e cerca di trovare il modo per migliorarlo. Sottolineo: sto parlando dell’intervento di Sandrone.
Cavolo, mi accorgo che l’ho definito saggio e saggissimo: il mondo è davvero alla rovescia….
Concordo con Edoardo. Avevo letto quell’intervento e lo trovavo assolutamente corretto. Che le cose, in rete, non funzionino affatto come dovrebbero, è cosa che anch’io ripeto spesso. E anche recentemente ci sono state occasioni-sgradevoli-per discuterne.
Ma Sandrone in rete ci viene, eccome. Ha un suo spazio e legge quelli altrui.
Mi sembra molto diverso il punto da cui sono partita. Inserire in un libro un giudizio più che drastico ed effettuare un parallelo con il terrorismo fascista degli anni Settanta. Non dico altro.
Non trovo che l’autrice abbia scritto niente di sbagliato.
Lo spazio dei blog, come dei forum, è pieno di gente che coprendosi con l’anonimato si permette ogni sorta di vigliaccheria.
P.s
Non è il caso di asupicare che il blog sia una prassi per ogni scrittore. Non tutti saprebbero usare il mezzo e farebbero solo disastri.
se fosse un saggio sarebbe un accostamento osceno.In letteratura e nell’arte in genere non deve esistere censura(le digressioni vanno digerite insieme al resto)
L’articolo di Dazieri si intitola “La morte del blog?”.
In effetti, proprio ieri sera un blog è morto per i veleni sparsi nei commenti (i dettagli di là da me). Però: 1) Ho trovato decisamente esagerata la reazione del blogger; 2) Ribadisco quanto scritto nei commenti a Dazieri: “Ci vuole così poco a saltare qualche commento meschino o livoroso… Epperò, un blog senza commenti non è un blog! (calco su “Un Natale senza regali non è un Natale”, incipit di Piccole Donne)”.
Buongiorno, arrivo da Remo Bassini e trovo questo spunto interessante che mi accomuna in toto alla “stupidità” della titolare di questo spazio. Non ho letto la Stancanelli, ho visto una piece teatrale tratta dal suo “Benzina”, l’ho trovata interessante. Detto questo, l’accenno al blog e l’accostamento con il discorso di Giusva Fioravanti sono del tutto ingiustificati nel contesto. Senza parlare del volo pindarico tra terrorismo e bloggers anonimi. Giusto in questi giorni ho ricevuto l’attacco ingiustificato e anche pesante di un anonimo (si firma Angelino, ma non si risale a lui in alcun modo) riguardo un brano di un mio romanzo messo in Rete. Le critiche si accettano, gli sbeffeggiamenti e gli insulti no. Purtroppo ho imparato che c’è gente che con un nick dice di trovarti letterariamente straordinaria e con un altro ti stronca. E’ la rete e certo non serve usare un libro (e un lettore) per sfogarsi. Meglio parlarne tra bloggers. Concordo con te, Loredana, sul fatto che un blog aperto da uno scrittore (esordiente nel mio caso) può sevire a capire cosa c’è intorno e prima della pagina scritta. E’ il mio sforzo. Ma non tutti lo capiscono.
Laura Costantini
anch’io proprio qualche giorno fa riflettevo sulla necessita’ o meno del nickname, sull’interazione del blog sul mio quotidiano, a molto altro. la discussione e’ stata molto interessante devo dire e ho visto che molti hanno reputato la questione abbastanza importante da approfondirla in commenti lunghi ed argomentati anche in sede privata. proprio perche’ siamo persone vere e ci poniamo delle domande.
proprio perche’ se scegliamo di avere un nickname non e’ necessariamente per nasconderci, ma magari per avere la possibilita’ di continuare a creare mondi e storie, perche’ e’ sempre un gioco in fondo, no? tra l’altro da quando ho aperto il mio blog non ho mai MAI avuto un commento volgare o aggressivo. sara’ forse anche che se si sceglie di usare toni civili le risposte poi in genere sono civili.
ringrazio remo bassini per aver citato questa riflessione e mi complimento con l’autrice.
cara loredana
mi dispiace che tu ci sia rimasta male.
vorrei precisare alcune cose:
– non ho nessun sassolino da togliermi dalla scarpa
– sono una grande frequetatrice della rete e del tuo blog
– stavo per aprire un blog, poi ho rimandato.
– nel quale però avrei messo come condizione NECESSARIA per partecipare la dichiarazione di identità di ogni interlocutore
considero da sempre gli attacchi anonimi non solo una forma di vigliaccheria, ma un modo fascista di stare al mondo.
proprio come ho scritto nel mio libro.
la rete, i blog, sono forse al di sopra di qualsiasi critica, che potrebbe, forse, migliorarli?
grazie dell’attenzione
elena
Tre giorni fa ho acquistato anch’io il (peraltro eccellente) libro di Stancanelli, rimanendo altrettanto interdetto dalle affermazioni di cui sopra dell’autrice.
Interdetto è la parola giusta, perché dopo averci pensato sopra tre minuti mi ci sono trovato d’accordo.
Forse mi viene in mente qualcosa di più disgustoso di quel che dice lei rispetto ai commentatori anonimi, e ha a che fare con la violenza sui bambini e quel genere di cose.
Ma sono d’accordo sul fatto che la messa in discussione di una modalità di comunicazione tutt’altro che perfetta non può che portarla a un miglioramento. A proposito dei b***, circola da anni tanta di quella retorica sui quotidiani che ben vengano persone (che ai medesimi collaborano) a dire che non è tutto oro quel che luccica.
cara elena,
ovvio che la rete e i blog non siano al di sopra di qualunque critica, ma non mi sembra così difficile capire che se ci sono tanti imbecilli per strada, è plausibile che ce ne siano anche nei blog.
Il tuo paragone a me continua a sembrare eccessivo.
Un imbecille è un imbecille e non va considerato, un terrorista è un’altra cosa.
acccccccccccc
per non essere “anonima” avevo messo l’indirizzo del mio blog, ma non ci sono riuscita; ci riprovo.
Rispondo ad Elena, intanto.
Certo che i blog sono migliorabili, eccome. Da svariati mesi, anche qui, si insiste sul fatto che se molti commentatori (e titolari) non cambiano atteggiamento, tutte le potenzialità della blogosfera, specie quella cosiddetta letteraria, andranno, per parlar forbito, a farsi fottere.
E’ sul nickname che non concordo: so di riaprire una vexata quaestio, ma a me poco interessa se ci si firmi primulaverde o con il proprio vero nome. Interessano i contenuti di quello che si scrive: e spesso i più velenosi vengono proprio da chi usa il proprio nome e il proprio cognome reali.
Ma attaccare un mezzo generalizzando, per come la vedo, è altrettanto sbagliato del difenderlo generalizzando.
Ci torno, comunque (e torno anche sul libro, che trovo molto bello).
Roberto. Sì e sì. I quotidiani fanno retorica, i blogger fanno retorica, il miglioramento va cercato: e chi lo nega? Non mi pare di aver difeso, recentemente, il mezzo in sè. Per essere più precisi, detesto parlare di “mezzo in sè”, qualunque esso sia.
Ma spezzo una lancia in favore dei commentatori anonimi, biliosi e quel che vi pare.
Non sarà che ci sono parecchi titolari che per lungo tempo hanno aizzato il branco nella speranza di fare-commenti-ottenere-visibilità eccetera?
Io ho avuto questa sensazione non da oggi. Mi pare che sia questo il vero punto: cosa si cerca di ottenere, cosa si vuole, quando si apre un blog?
Loredana, cosa intendi esattamente per “aizzare il branco”? Fa’ pure situazioni, se non vuoi far nomi 🙂
Quanto alla domanda finale, ti avverto: stai sfruculiando i massimi sistemi. Intendo ciononostante darti una risposta, e vado quindi a ripassarmi i fondamenti della meccanica quantistica 🙂
Sul paragone tra il volantivo dei NAR e il trollaggio in rete: ambedue possono suscitare disgusto, ma non sono accostabili come pratiche. Non credo sia utile usare in senso generico la parola “fascismo” per definire fascista qualunque pratica susciti disgusto: non aiuta a capire il (neo-)fascismo (per cobatterlo: ma va capito), e non aiuta a capire il trollaggio. Trollare è una sorta di delirio compulsivo a volte narcisistico (e quindi più simile alle lettere a Lotta Continua o a Frigidaire, che però rispondeva a tono), a volte suscitato da un desiderio di micro-potere o di fascinazione del potere.
Il punto è che la blogosfera non riesce (quasi sempre) ad essere un di più rispetto alla somma dlel sue componenti: è poche volte, rispetto al passato, intelligenza collettiva, e molto più spesso una mera somma di individui che cercano di sfuggire alla propria tristezza unendo le loro solitudini in una solitudine ancora più grande. E in quetso caso avere o no un nick non fa differenza: si può ostentare un nome e cognome ed essere una vacuità che crede di trovare un senso allucinandosi in rete.
se la si piantasse di attribuire tutta questa importanza ai nomi, se la parole riacquisissero una dignità…
Torna ciclicamente la questione dei nick.
La garanzia del nome e cognome è illusoria, a meno che non si tratti di persona nota al blogger che gli può telefonare e chiedergli, sei stato tu a commentare?
Se uno non vuole anonimi nel suo blog basta che limiti l’accesso.
Tiro sempre fuori il caso di Elena Ferrante, perchè lei può avere due identità e il blogger no?
C’è gente che ha una personalità multipla, sarebbe il caso di lasciargliela avere in pace, senza queste pulsioni normalizzatrici e questi desideri di controllo.
Se invece insulta, è un altro discorso, ma gli insulti più pesanti anch’io li ho visti proferire in rete da gente che si firma.
In proporzione nei lit-blog accade ben poco rispetto ad altri spazi.
L’accostamento col terrorismo potrà anche essere forte ma leggendo delle cose in rete ho visto degenerare la mera comunicazione virtuale in minaccia e rissa reale a seguire. I blog e i forum sono delle piazze aperte. Per quanto uno stia nella propria panchina a parlare di Proust può sempre arrivare qualcuno a dargli una bottigliata nella nuca.
Violenza gratuita o colpa di Proust. Chi lo può dire.
A me pare che il paragone della Stancanelli sia soprattutto vòlto a stigmatizzare Fioravanti. Se il suo volantino somigliava davvero a certe sparate anonime che si trovano spesso sui blog “senza responsabilità, con vagonate di rancore, razzismo”, non potrebbe esserci critica politica peggiore.
D’altra parte è vero che la blogosfera deresponsabilizza e permette alle pulsioni più basse di esprimersi liberamente, non pare ci sia da scandalizzarsi per questo. Anzi, permette di distinguere gli uomini dai quaquaracquà, che sanno colpire solo protetti dall’anonimato.
Ed è una piacevole sorpresa, almeno per me che poco frequento i blog, trovare quante persone sanno essere gentili ed equilibrate pur di fronte alla possibilità e alla tentazione di lasciarsi andare.
tempo fa, a una riunione dei redattori di nazione indiana in cui si discuteva di possibili finanziamenti al blog, proposi dei sondaggi sulle questioni più dibattute in rete, in cui i lettori della rivista venivano sollecitati a dire la loro opinione chiamando alcuni numeri telefonici a pagamento. naturalmente quella sui nickname era al primo posto, e sono certo che qualche soldo ce l’avrebbe fruttato. pur firmandomi sempre con nome e cognome, ho difeso in diverse occasioni il diritto all’anonimato, anche perché penso che sia una modalità di comunicazione costitutiva del web, almeno al momento. inoltre credo che non vada considerato un male necessario, ma una risorsa da sfruttare, che ci permette di dialogare senza valutare le parole dell’interlocutore attraverso elementi non pertinenti (l’età, lo stato sociale, la residenza, l’abbigliamento), che sono poi quelli che condizionano il nostro giudizio nella vita di tutti i giorni. allo stesso tempo mi sembra un’esagerazione non riconoscere che quell’anonimato in molti casi favorisce l’aggressività. la dimostrazione di ciò fu l’episodio famoso dell’apertura indiscriminata dei microfoni a radio radicale, durante la quale tranquilli padri di famiglia con lo scudo dell’anonimato inveirono contro negri, froci, ebrei, comunisti e quant’altro. lo spazio dei commenti nei blog è spesso teatro di contrapposizioni feroci e ridicole, a tal punto da dover scremare moltissimo per leggere qualcosa di interessante. allo stesso tempo, quando sento denigrare i dibattiti in rete, a me viene in mente theodore sturgeon, lo scrittore di fantascienza americana al quale, durante un’intervista, chiesero perché un autore di talento come lui praticasse un genere letterario che per il 90% era merda, e lui rispose: “il 90% di qualsiasi cosa è merda”. ecco, forse il problema è che tutti sono convinti (me compreso) di appartenere al restante 10%.
Ci sono anonimi e anonimi: i nick riconoscibili, che “tornano” spesso e che magari hanno anche un loro blog non li sento anonimi o nascosti, perché alla fine identifico la persona con quel nome. Ci sono poi gli anonimi e basta, senza nick e senza niente con cui identificarli, e quelli mi fanno venire in mente gli automobilisti che suonano il clacson o mandano insulti a tutti quasi senza motivo, anche se magari di persona sono gentilissimi.
Simone
Intervengo con colpevole ritardo. E mi scuso.
Ritengo che il problema reale non sia determinato dall’uso di nickname. Che male c’è a usare un nickname? La questione vera riguarda i contenuti dei commenti. Concordo, dunque, con Loredana e con quanto scritto da Sergi Garufi.
Aggiungo quest’ulteriore considerazione.
Un commentatore di Letteratitudine ha paragonato il blog a una casa dove il padrone è responsabile del comportamento degli ospiti.
Più che come una casa – a mio avviso – il blog dev’essere visto come una sorta di “locale pubblico”. Badate bene, non “piazza pubblica” ma “locale pubblico”.
Dunque – sempre a mio modesto parere – il blogger, o gestore del blog, così come il titolare di un locale pubblico, deve scegliere il tipo di ambiente che intende garantire ai “clienti” (leggi: frequentatori del blog). È un blog/locale assolutamente libero in cui è consentito di tutto? Dagli insulti, alle provocazioni gratuite, ecc? Bene: che lo si dica chiaramente.
È un blog in cui il gestore si impegna a garantire un clima pacato (al limite intervenendo con tagli, modifche e rimozioni di commenti ritenuti sgradevoli o sconvenienti)?
Bene: anche in tal caso… che lo si dica chiaramente.
In tal modo il “frequentatore” saprà in quale “luogo” sta per entrare e non avrà da lamentarsene.
So bene che ciò che propongo io non è nulla di nuovo, ma – onestamente – non vedo altre soluzioni.
Io la vedo così.
Lippa,
ma di che ti stupisci. Piuttosto disegnamo il paradosso di noi giornalisti/scrittori (nel mio caso proprio di tecnologia) stretti tra la sordità della società non solo letteraria, ma dell’establishment in generale. E dall’altra parte l’illusione dei fessi che pensano che la rete “si autoregoli”.
A volte, Lippa, la mia impressione è che noi ci muoviamo e scriviamo in una intercapedine vuota.
E se, semplicemente, Elena Stancanelli fosse disinformata?
Non ho letto il libro della Stancanelli, in ogni caso mi pare che ciò che si mette in discussione non sia la totalità delle cose scritte, anzi mi sembrano condivise, quanto quelle poche righe che riguardano i blog.
Arrivo in ritardo e le logiche del web (soprattutto dei blog) mi tagliano fuori dal contesto della discussione che dura, in genere, il tempo di prima visualizzazione, vale a dire fino a quando non si pubblica un altro post. In ogni caso, la discussione è interessante e pertanto, sebbene non soffra di mal di partecipazione generalmente diffusa nel web, mi permetto di intervenire.
Lo snobismo di cui lei parla c’è e si percepisce non solo fra quanti non hanno accolto di buon grado o semplicemente non hanno accolto la tendenza, a mio avviso positiva, dei blog, ma anche fra quanti (scrittori, giornalisti, artisti e vips vari) un blog lo hanno aperto. Tuttavia, non lo ritrovo in quanto scrive la Stancanelli che si riferisce ai commentatori anonimi. Personalmente li detesto. Li detesto cordialmente, nel senso che li ignoro giacché profondamente persuasa che l’anonimato corrisponda al nulla e che il nulla possa produrre solo nulla, a meno di non voler soggiacere proni alle logiche dei numerosi troll.
I blog, Internet, la rete sono, secondo me, il futuro della letteratura, del giornalismo e di molte altre professioni. Ho già avuto modo di scriverne. Ma la rete non è, la rete si fa. E si fa attraverso l’interazione intelligente che non può venire da un’utenza anonima. Personalmente non ho problemi a incontrarmi/scontrarmi con chiunque abbia il coraggio di mostrarsi, di esprimere le proprie opinioni con la propria faccia, il proprio nome e cognome. Possiamo non pensarla allo stesso modo, anzi preferisco così perché la discussione diventa più interessante e arricchente, non saprei cosa farmene di un blog dove tutti vengano a depositare cordiali e doverosi saluti senza nulla aggiungere, come non saprei che farmene di bravo, bene, bis che troppo spesso leggo in rete. Ho invece grossi problemi a interfacciarmi con chi non si palesa perché, anche per me, è un intervento fascista che parte da assunti di verità e verbo che non mi appartengono. Perciò condivido quanto scrive la Stancanelli e auspico che la rete migliori e che si possa pensare che l’interazione intelligente sia una fenice in grado di risorgere dalle proprie ceneri. Ceneri sparse in troppi blog.
Assunta Altieri
mi sorprendo della sorpresa: chiunque abbia un blog sa che esistono personaggi che si nascondono nell’anonimato per scrivere cose orrende che non direbbero mai dal vivo. Non è l’anonimato in sé che è fastidioso, è il combinato disposto anonimato/contenuto diffamatorio e spesso vessatorio. Serve un controllo, che non è censura, e infatti io, per esempio, uso la moderazione dei commenti. Quella della Stancanelli a me sembrava un’osservazione di buon senso (in una forma un po’ virulenta) e mi pareva che lei si riferisse solo a questo fenomeno e non a tutta la blogosfera. (detto questo, ma non c’entra, il libro della Stancanelli è bellissimo).
allora siamo d’accordo.Se non è scandaloso paragonare dei pazzi criminali(che magari solo perchè hanno esagerato col Bianco Sarti di papà)hanno “eroicamente” sparpagliato corpi altrui con gli ovviamente fastidiosi digitali parolai anonimi,per un innato senso del sillogismo la prossima volta potrò permettermi di pensare a coloro che stanno fuggendo da un’immobile perchè hanno dei vicini di casa,forse drogati,che turbano la quiete condominiale in termini di assassini in erba
Leggiadra LL, la questione dei nick (ma perchè qui li si chiama nick e altrove pomposamente “pseudonimi?”)mi ha veramente nei mesi sfinito. Troppe battaglie da combattere con persone che vorrebbero il web simile a uno “Stato di Polizia” ipercontrollato con passaporti a portata di mano.
Non condvido l’idea della Stancanelli tipo “se aprissi un blog obbligherei tutti a dichiarare la propria identità” meglio che lasci perdere, sarebbe come il turista italiano che va sì in Finlandia, però vuol mangiare gli spaghetti.
Mi disturba essere costretto ogni volta a spiegare che sui miei contratti Rai c’è scritto “alias William Nessuno”, dovermi sempre difendere come se fossi un “presunto colpevole” solo perchè uso il mio pseudonimo, del quale tu conosci perfettamente l’origine.
Resta solo un fatto.
In una società dove l’aggessività, la vigliaccheria, la scorretezza, l’arroganza sono così diffuse (a partire dai vertici), sarebbe ridicolo pensare di escluldere queste cose dalla blogsfera. Purtroppo.
La mia Nonna diceva che se qualcuno ti chiede come ti chiami, di chi sei figlio, devi rispondere IO SONO FIGLIO DELLE MIE AZIONI.
Quindi, il mio pseudonimo non conta, ed è ridicolo volerlo considerare un vulnus.
Quello che conta sono le mie (modeste) azioni nella blogpalla.
Abbracci, Will
I fatti mi costringono a intervenire. Intanto i libri collettanei (mi si perdoni l’orrido neologismo) – quelli cioè che raccolgono i pezzetti sparsi nei giornali pretendendo di unificarli dietro un URsenso (secondo me escogitato del tutto a posteriori e quindi del tutto falsificante) – sono sempre pretesti editoriali. E’ vero, lo ammetto, che certe volte è bello rileggere (o scoprire per la prima volta: un’opportunità regalata, dopotutto) finalmente tutti insieme certi articoli dei nostri migliori scrittori “contemporanei viventi” (come Alvaro Rissa), come fu per ISOLE (Einaudi) del notevole Marco Lodoli, o come il SuperAlbo di Sandro Veronesi. Ma non funziona sempre, anzi non funziona quasi mai. Però non voglio andare FUORI TEMA. Vengo al punto (come argomentano i politici): la nostra cara Elena temo abbia della scrittura (forse persino suo malgrado) un’idea spettacolare e un esercizio modaiolo. Altrimenti come spiegare quelle intervistine con l’ineffabile (!) Christian Raimo spezzettate su YouTube (relative proprio a questo libro collettaneo) cui si viene reindirizzati dalla homepage di minimumfax (editore esimio del libro medesimo)? Sono tutte chiacchiere personalistiche con la pretesa d’essere elevate a sistema planetario, però svolte poi anche con atteggiamento sportivo, molto snob. E soprattutto il tocco da maestri è parlare non lasciandosi centrare mai dall’obiettivo, per cui mentre viaggiano nell’etere le chiacchiere alate, le loro fonti d’emissione, i due ineffabili autori, non sono mai inquadrati, ma si intravedono i loro capelli, nel caso di Raimo la barba in controluce, cieli e alberi, le sontuose quinte di un parco, di quelli da canari che frequento anch’io. Vera arte visuale. Vero visionarismo d’autore. Segnaletico magari del poco davvero starci dentro, alle cose. Farle per mostrare d’averle fatte ma senza aderirvi pienamente. Dette, anche, come nel caso del proditorio assunto cui è dedicata questa discussione, ma cn l’aria di non averle dette, cioè d’averle dette ma non necessariamente d’averle meditate o desunte, e di volersene assumere la maternità, d’esserne responsabili…
@ sundancekyd:
in quanto responsabile del sito di minimum fax sento di dover chiarire qualcosa.
i video incriminati li ho messi io, ovviamente con il consenso di elena e christian, ma “improvvisando” un esperimento di video-intervista che sul nostro sito non era mai stato fatto; nessuno dei due, al momento delle “riprese”, era consapevole che il video sarebbe andato online. lo abbiamo deciso dopo, pensando di sostituire la canonica intervista per iscritto con qualcosa di più originale e “informale”.
quindi escluderei qualsiasi intento di “lasciar viaggiare nell’etere le chiacchiere alate” evitando di inquadrare le facce per “mostrare di averle fatte ma senza aderirvi pienamente”: molto più semplicemente, inquadrare le facce non era necessario, e non è stato fatto. ma alla fine quel vedo-non vedo ci è sembrato, paradossalmente, bello da vedere.
per finire: elena e christian non erano lì per caso, non sono stati registrati di nascosto e non parlavano dei fatti loro, e sono abbastanza certa che nessuno le avrebbe definite “chiacchiere personalistiche con la pretesa d’essere elevate a sistema planetario” se le stesse identiche frasi fossero state sbobinate e messe per iscritto come tradizione comanda.
insomma ti fa antipatia il video, ne prendiamo atto. ma ci dispiace che tutto venga sempre interpretato nel peggiore dei modi.