Nota conduttrice radiotelevisiva: “Buongiorno”.
La sottoscritta: “Buongiorno”
NCR: “Mi dispiace chiamarla solo a pochi minuti dall’intervista in diretta, ma volevo puntualizzare”.
LS: “Cosa?”
NCR: “Naturalmente non ho letto il suo libro, ma ho letto la sua intervista al Giorno. Ecco, ci tenevo a dirle che il nostro è un programma, leggero, festivo…”
LS: “E…?”
NCR: “Dunque lei non dovrebbe in alcun modo toccare argomenti a carattere sociale, ma mantenersi sull’intrattenimento”.
LS: “Cosa intende esattamente con intrattenimento?”
NCR: “Nessun riferimento sociale alla vecchiaia”.
LS: “E secondo lei cosa dovrei dire?”
NCR: “Oggi è la Befana e anche se siamo circondate da donne giovani è bello dire per un giorno viva le vecchie”.
LS: “Credo che non sia il caso”.
NCR: “Sa, abbiamo dei limiti molto precisi. Noi facciamo intrattenimento”.
LS: “Arrivederci”.
NCR: “Arrivederci, e la tengo presente, sa? Lei di cosa si occupa esattamente?”
LS: “Arrivederci”.
PS. Buona Befana!
Paolo, ma perché bisogna ragionare in termini di avercela con qualcuno? Non mi pare di aver detto questo. Ho detto solo che spesso vanno a scontrarsi discorsi che privilegiano la propria persona, anche sotterraneamente, e discorsi che vanno al di là delle consuetudini di ognuno, che sono private, non vengono insidiate e non sono sotto critica. Mai. Nè la mutanda birichina nè la giarrettiera (diamine, era un esempio come un altro) nè la collezione di ritratti a olio di Kant (per favore, anche questo è un esempio come un altro). Non c’è da difendere nessuno, così come non è stato attaccato nessuno.
(O quasi)
Qui l’unico che non ha mai parlato di giarrettiere sono io! vorrei che mi venisse riconosciuto! La mia educazione nei confronti di Lori è stata eccellente, da Natale che le auguro ognibbeni… è vero o sbaglio?
Posticipo che so che non ce l’ha con me, però era per rimettere le carte nel mazzo…
@ Loredana Lipperini:
le faccio una domanda, cui aggiungo per chiarezza una riflessione.
Lei non crede che quando si sceglie di focalizzare la propria critica sulla rappresentazione del corpo della donna nei media e nella cultura di massa il “rischio” di cadere in una critica che prenda la forma di una moralizzazione dei costumi sia presente (al di là delle buone intenzioni)?
Le pongo questa domanda perché mi sembra che al fondo (al di là poi delle diverse valutazioni circa l’essere o meno caduti nella moralizzazione dei costumi) questo rischio, quando viene evocato da qualcuno, venga liquidato come semplificazione di un discorso che, in verità, mirerebbe ad altro.
Io credo che sarebbe un passo avanti importante, qualora si volesse aprire un confronto serio sul tema, almeno riconoscere che questo rischio è ben presente quando si sceglie di intervenire su un campo (quello del corpo femminile) che, non a caso, è un campo su cui si combattono diverse visioni morali e religiose. Perché? Perché è chiaro che dietro la propria critica c’è un’idea ben precisa di donna (verrebbe da dire normativa) e di bene morale, che porta ad esempio di fronte a una certa pubblicità di biancheria intima ad indignarsi e a dire che è offensiva o che lede la dignità della donna.
Ora questa indignazione, legittima, rischia di diventare pericolosamente moralizzante se pretende di trasformarsi in denuncia che mira a eliminare la rappresentazione offensiva, in quanto si pensa come qualcosa che tutte le donne e tutti gli uomini dovrebbero provare se fossero davvero in grado di comprendere la realtà e i media. La spia che questo rischio è ben presente sono le affermazioni della Zanardo per cui solo pochi avrebbero gli strumenti per comprendere a fondo la realtà: questo significa infatti che non si riconosce ad altre donne e ad altri uomini la possibilità di avere orizzonti di valori diversi, bensì li si accusa di non capire davvero come stanno le cose. E’ proprio per questo rischio che molti oggi non solo non si sentono di sottoscrivere questa battaglia, ma la criticano come pericolosa. Cosa che riconosce anche la stessa Zanardo nel suo libro, ma per liquidarla subito: “C’è una reticenza da parte di alcune intellettuali e femministe a farsi carico di una protesta verso i media per l’errata convinzione che possa essere confusa con una richiesta di censura o di moralizzazione dei costumi” (p. 170). Il rischio di confusione è alto; e non perché chi confonde legge male o semplifica (può accadere, naturalmente) ma perché su temi del genere è un rischio strutturale di cui occorrerebbe farsi carico. Meglio quindi lasciar perdere le battaglie? Io credo di no. Credo ad esempio che ci siano spunti interessanti nel libro della Zanardo circa una declinazione di questa battaglia in direzione di una maggiore pluralizzazione della rappresentazioni della donna. Ma anche qui, stiamo attenti: una battaglia per la pluralizzazione non può essere una battaglia che vuole togliere una pubblicità di intimo perché troppo erotica e volgare e offensiva ecc. Qualcuno dirà (è già stato detto) che questo è un discorso liberale. Bene. A questo punto si tratta allora di chiarire se la critica alla rappresentazione del corpo della donna si inscriva nella cornice liberal-demcoratica o invece parli a partire dall’idea del suo superamento in vista di una comunità che ritrovi finalmente un orizzonte forte di valori di riferimento condivisi. Per essere chiari: io rifuggo la comunità come la peste.
Solidarietà, ammirazione, un po’ di malinconia, abbracci.
Regazzoni. I rischi ci sono sempre, in ogni iniziativa. Ma credo che la differenza fra noi sia davvero nell’ultima sua frase. Io credo nella comunità. Davvero, rispettiamo le reciproche differenze, e andiamo avanti.
Rita. Grazie.
Come mai quel rischio viene riproposto ex novo quasi in ogni discussione? Come mai si viene chiamate costantemente a dimostrare di essere lontane dal moralismo?
C’è qualcosa che non va e che spiega la stanchezza di chi (le blogger per lo più )si trova a ripetere sempre le stesse cose, rispondere sempre agli stessi attacchi formulati in salse diverse, ma sempre gli stessi, dagli stessi Ossessionati , loro sì censori moralistici. Per quanto patetici sono fastidiosi, e inutili. Con quella storia, poi, dell’accusare di mancanza di democrazia se li si banna, come se davvero rappresentassero il dissenso, ah! Vadano ad assaltare il potere, se ne hanno il coraggio, invece di stare qui a questionare sul niente. Ma se fossero coraggiosi non sarebbero qui a questionare sul niente.
Dire a chi muove critiche che è “patetico fastidioso e inutile” o che questiona sul niente non è diverso dal “bigotta bigotta” di cui giustamente ci si lamenta.
Come al solito Regazzoni ha ragionato con pacatezza e lucidità, ma devo dire che anch’io come Lipperini credo nella comunità, una comunità in cui ci sia appunto rispetto per le differenze. Una comunità che sia il più liberale e pluralista possibile riguardo ai temi di cui si è dibattuto nel thread Yamamay e il più socialista possibile riguardo ai temi dell’economia e del lavoro di cui si è parlato nei thread più recenti
“Come mai quel rischio viene riproposto ex novo quasi in ogni discussione? Come mai si viene chiamate costantemente a dimostrare di essere lontane dal moralismo?”luciana
L’accostamento che sto per fare potrebbe offendere, ma lo farò ugualmente: quando un antiabortista dice “rispetto le donne che scelgono di abortire, non voglio cambiare la 194, ma l’aborto è un omicidio”, mi pare ovvio che si sollevino obiezioni e che l’antiabortista debba ogni volta spiegarsi e precisare, è sicuramente una posizione difficilmente comprensibile.
Quando si dice o si lascia intendere “Il corpo erotizzato non è un problema, ma quel corpo erotizzato è offensivo, degradante ecc..” è altrettanto ovvio che ci siano obiezioni. e guarda caso in entrambe le circostanze è del corpo delle donne che si parla, segno di quella battaglia morale di cui parlava Regazzoni
se lei luciana ha letto il famoso thread delle mutande avrà visto che Olga invece di liquidare le obiezioni come boicottaggio o questionare sul niente, le ha affrontate e alla fine, almeno con me, ci siamo trovati d’accordo sulla costruzione di un immaginario sexy, erotico e anche pornografico plurale.
Io non dico che muovere critiche sia in generale inutile fastidioso, etc. Dico che fare sempre le stesse critiche lo è, come se il medesimo rischio fosse costantemente in agguato (perché?) e come se fosse obbligatorio rendere il servizio di spiegare, ogni volta, daccapo, ogni cosa. Non mi pare che nei blog gestiti dagli uomini accada tutto questo con la stessa, ossessiva frequenza, mi pare che ci si spieghi prima, che gli eventuali equivoci si chiariscano più rapidamente e, soprattutto, che non si richieda agli uomini tutta la pazienza che si richiede alle donne che parlano di corpo delle donne e di politica.
E comunque non sono le critiche il sale degli argomenti, lo sono gli argomenti, non gli appostamenti continui sui dettagli o sul problema che si vuol far credere fondamentale e che non lo è.
Bisognerebbe che si facesse lo sforzo di capire, prima di pretendere che dalla medesima critica risulti un servizio infinito fatto di risposte che devono ogni volta adattarsi ai tiramenti di chi ha capito benissimo e semplicemente non è d’accordo. Basta dirlo una volta che non si è d’accordo, o no?
@Simone Regazzoni.
Temo non se ne uscirà mai più.
D’accordo con te sul rischio insito in certe battaglie. Cosa che mi pare sia stata riconosciuta in diverse occasione sia da Loredana Lipperini che da Lorella Zanardo, che non riesco proprio a vedere come bigotte arroccate su posioni moraliste e retrograde.
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Nel tuo discorso non risco, però, a capire una cosa.
Scrivi “è chiaro che dietro la propria critica c’è un’idea ben precisa di donna (verrebbe da dire normativa) e di bene morale, che porta ad esempio di fronte a una certa pubblicità di biancheria intima ad indignarsi e a dire che è offensiva o che lede la dignità della donna”
e non riesci (almeno a me pare che non ci riesci ) a vedere il rovescio della tua affermazione, ovvero: “dietrro a una certa pubblicità di biancheria intima c’è un idea ben precisa di donna (verrebbe dire normativa) e di ben morale e che qualsiasi critica a questa pubblicità porta a indignarsi e a dire che è offensiva per coloro che apprezzano quella pubblicità e ne condividono i valori e, sempre quella critica, lede i principi pluralistici e liberali”.
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Anche io sono allergica alle comunità monovaloriali ma, forse sono matta, mi pare di viverci già dentro una comunità fortemente normativa e monovaloriale. Che, oltretutto, pretende di fare lezioni di liberalismo.
(Continuo, perché è partito un invio involontario).
Scrivi ancora:
” Ora questa indignazione, legittima, rischia di diventare pericolosamente moralizzante se pretende di trasformarsi in denuncia che mira a eliminare la rappresentazione offensiva, in quanto si pensa come qualcosa che tutte le donne e tutti gli uomini dovrebbero provare se fossero davvero in grado di comprendere la realtà e i media. La spia che questo rischio è ben presente sono le affermazioni della Zanardo per cui solo pochi avrebbero gli strumenti per comprendere a fondo la realtà: questo significa infatti che non si riconosce ad altre donne e ad altri uomini la possibilità di avere orizzonti di valori diversi, bensì li si accusa di non capire davvero come stanno le cose”.
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Non voglio dare intepretazioni autentiche del pensiero della Zanardo, ma, per come l’ho capita io, la sua frase significa che in questo Paese non tutti hanno gli strumenti culturali per scegliere tra modelli diversi (non fosse altro per il fatto che modelli diversi non ce ne sono) e non che “non si riconosce ad altre donne e ad altri uomini la possibilità di avere orizzonti di valori diversi”.
Ce ne fossero di valori diversi, ma vorrei capire: dove sta tutto questo ventaglio di valori tra cui scegliere?
Io non li vedo, e non vedo nemmeno gli strumenti per capire se ci sono o non ci sono.
E’ sull’impegno a creare questi strumenti che io insisto e non sulla censura.
E secondo me blog come questo e quello della Zanardo vanno nel primo senso e non nel secondo.
X luciana.
Guardi, non posso parlare per tutti, ma io su internet discuto allo stesso modo con uomini e con donne, quando mi accorgo che le vedute sono radicalmente opposte o non ho più nulla da dire smetto di discutere, ma qui insisto sia perchè in genere mi piace avere con tutti l’ultima parola (e questo mi rende a volte pedante, lo so) ma non sempre mi riesce, sia perchè credo che molti punti di accordo qui si possono trovare, infatti con Olga li ho trovati
Paolo. Scrivere per ottenere l’ultima parola non porta la discussione da nessuna parte. Purtroppo.
@ valeria:
i due piani non sono rovesciabili, infatti la pubblicità è sul piano della libertà di espressione. Di questa pubblicità è più che legittima la critica che può esprimersi in molti modi, anche boicottando il prodotto: il pericolo nasce quando si vuole rimuovere quella cosa che lede la nostra sensibilità o il nostro sistema di valori.
Si apre uno spazio pericoloso, perché come noto in una società plurale e complessa come la nostra ci sono mille cose che offendono sensibilità diverse. Per questo in democrazia è parte della libertà di espressione un certo diritto a offendere. Se non si accetta questo, si stanno già ponendo seri limiti alla libertà di espressione.
Quando si tratta di pubblicità ci sembra un problema da poco. Ma qual è il confine che separa la rappresentazione offensiva della donna in una pubblicità dalla sua rappresentazione offensiva, degradante, o altro in una serie tv la cui portata nella formazione dell’immaginario dei giovani non è certo trascurabile? Perché se legittimo che si possa chiedere il ritiro di una pubblicità di intimo non posso legittimare che si chieda, ad esempio, di tagliare una serie tv per adolescenti in cui ci sono ragazze a scuola che indossano sempre e solo il costume da cheerleader (è il caso della serie americana di culto “Glee” che inizierà a essere trasmessa su Italia uno alle 19 e 30 da lunedì) tanto più che in Italia il cheerleading comincia a essere proposto nelle scuole (con annesse polemiche)? I rischi sono tanti, troppi quando una battaglia mira a rimuovere, coprire, cancellare qualcosa piuttosto che a pluralizzare.
Tu mi dici: “ma quale pluralità, abbiamo un modello unico che tu stai difendendo”! Forse è qui il vero punto di disaccordo. Nello spazio della cultura di massa e dei media oggi, credo io, solo a prezzo di una accurata selezione si può proporre la tesi che esista un modello unico di rappresentazione della donna, per restare nel tema. Ci possono essere eccessi o squilibri; ci può essere l’esigenza di dare più spazio in un certo tipo di trasmissione o di fiction a modelli diversi. Ma se si guarda allo spazio in generale della cultura di massa si può dire che forse mai come oggi ci troviamo di fronte alla rappresentazione di modelli diversissimi. Solo una rappresentazione iper-semplificata dello spazio della cultura di massa può sostenere che siamo di fronte ad un modello unico. La cultura di massa oggi è una risorsa di immaginario plurale cui varrebbe la pena attingere. Per questo quando si parla della “televisione” come strumento del male per eccellenza si sbaglia il bersaglio. Battiamoci perché questa pluralità si estenda anche a campi che sembrano restarne immuni: in particolare certi talk-show italiani. Ma proviamo ad evitare di mettere insieme critica di genere e critica apocalittica dei media e della cultura di massa.
Regazzoni. Mi perdoni, ma io ho la sensazione che lei parli per teorie e non per fatti. Difendere la cultura di massa è cosa giusta, ma non può diventare la bandiera sotto la quale ignorare la prevalenza di un determinato modello. Parliamo con i dati alla mano, anziché con i saggi. Andiamo a contare quanto pesa un determinato modello femminile, quanto è presente, in quali forme. Non facciamone una guerra di posizione: lei che difende il “pop” e io che difendo la questione di genere. Credo di aver difeso il “pop” da tempi decisamente non sospetti. E lo difendo ancora. Ma negare che all’interno del medesimo esista una discriminante forte che riguarda il modello femminile significa non voler vedere la realtà.
Dopodiche, mi associo a Luciana in una domanda: chiedo venia, ma una volta detto che si è in disaccordo, a cosa porta insistere e insistere e insistere? Non siamo d’accordo, punto. Significa che ogni volta che io proverò a discutere della questione ricominceremo da capo?
@Lipperini:
provavo a rispondere alle obiezioni di Valeria. Se crede che poi che il disaccordo sia tale da rendere inutile ogni ulteriore confronto, non posso che prenderne atto a non intervenire più. Per parte mia se sono intervenuto qui e altrove in termini critici è perché oggi credo sia molto più importante una critica interna e senza sconti a sinistra che non una critica del nemico con armi che a me sembrano spuntate. Magari sbaglio, ma per chiarezza enuncio la mia posizione che a molti sembra “fuoco amico”.
Venendo alla discussione di questi giorni, a me sembra che siano emerse differenti posizioni e punti di contatto: penso a certe cose sostenute da Olga o zauberei (anche da paolo, naturalmente). Detto questo: sarebbe molto interessante vedere nel merito, su questo concordo, se c’è o meno una “forte discriminazione di genere” oggi nella cultura di massa. Magari scegliendo un campo. La mia ipotesi (parlo di ipotesi) è che ci possono essere casi in cui tale discriminazione si dà, ma in generale mai un orizzonte culturale è stato plurale come quello della cultura di massa, quindi direi piuttosto che oggi la cultura di massa lavora a decostruire la discriminazione di genere.
No. Non mi fraintenda. Non le ho mai detto, nè mai le dirò, di non intervenire. La sto esortando a uscire dal frame della cultura di massa “tutta buona”. Certo che c’è una discriminazione forte di genere al suo interno: mi sembra di aver riportato in ogni libro dati ben precisi sull’argomento (per esempio, quelli dell’Osservatorio di Pavia sulla presenza delle donne in televisione: il 3% scarso su argomento politico, il 6% sulla cultura, per citare i primi che mi vengono in mente). Il che non significa in alcun modo che la televisione sia “cattiva”. Come non lo è la pubblicità.
Quello che io le contesto, Regazzoni, è la ridicolizzazione dell’avversario: le sembra che una persona che ha scritto un libro sui Pokemon o conclude “Ancora dalla parte delle bambine” con un’analisi sulle fan fiction demonizzi la cultura di massa, o possa farlo ora? Il contesto non è mai stato questo, e invece ogni volta si torna alla dicotomia: apocalittici versus integrati-filosofici. Non è così.
Per restare alla sola vicenda Yamamay, che è stata sbandierata ai quattro venti virtuali come “le femministe si sono SCANDALIZZATE”. Mai e poi mai è stata usata la parola scandalo: non nel senso corrente di “occasione di cadere nel peccato”, almeno. Semmai sarebbe interessante usarlo in quello etimologico: scandalòn, trappola. Perché quella pubblicità, a detta anche di persone che nella pubblicità hanno lavorato, non era fatta per vendere mutande, bensì come gentile omaggio autocelebrativo per un pubblico maschile. Le parole, ricevute in privato, di una persona che ha titoli maggiori di me e di lei, quanto a competenza pubblicitaria, per intervenire sull’argomento, sono queste: “Me lo dicono il luogo dove appare, il tipo di biancheria indossata, il taglio fotografico. Insomma: NON è un annuncio per vendere mutande, ma per rendere pruriginosa la marca”.
Allora: l’intervento su Yamamay si riferisce a questo, non allo “scandalo” di un culo femminile. Quanto all’uso che del culo femminile viene fatto.
E veniamo alla censura. La segnalazione allo IAP, qualora venisse accolta, non comporterà il blocco della campagna, perchè quella campagna era un unicum. Un regalino di fine anno per i lettori del Corriere. A mio modestissimo avviso, le segnalazioni, che vengono fatte ad un organismo composto da pubblicitari, dovrebbero servire ad imporre una riflessione ai medesimi.
Vediamo se così ci siamo capiti.
Detto questo, non vorrei tornare ulteriormente sulla vicenda Yamamay: bensì invitarla a non semplificare le altrui posizioni. Oltretutto, ritengo sinceramente sconcertante che lei continui a riferirsi a me come “la sinistra”. Non sono la sinistra e non la rappresento. Se lei vuole scegliere per sè un ruolo, è ovviamente liberissimo: non cementifichi gli altri in quello che lei gli attribuisce, però. Perchè è profondamente scorretto.
Mi sembra di essere tornata al liceo, quando per avere la patente di popolarità bisognava farsi qualcuno in gita. Altrimenti si era suore, bigotte e sfigate.
Perfettamente d’accordo con Luciana, non c’è un accanimento del genere in blog gestiti da uomini. E soprattutto agli uomini non viene richiesta patente di sorta.
@Regazzoni: “in generale mai un orizzonte culturale è stato plurale come quello della cultura di massa, quindi direi piuttosto che oggi la cultura di massa lavora a decostruire la discriminazione di genere.”
Sinceramente mi pare un’affermazione un tantino annebbiata.
@Simone Regazzoni.
Simone, credo, forse sbagliando, di non essere abitata dal sacro furore apocalittico contro i media e la cultura di massa, anzi tutt’altro.
Premetto, o posmetto perché l’ho detto in quasi ogni mio intervento, che sono visceralmente contraria alla censura di qualsiasi tipo. Una cosa più forte di me che, questa sì, mi abita, a volte malgrado me stessa.
Sono a favore della pluralità di espressioni e del diritto, da parte di ciascuno, di criticare forme di espressione che non condivide.
E in questo nodo riconosco uno dei grandi problemi delle società liberali, o cosiddette tali, una fonte ineliminabile di conflitto con cui dobbiamo fare i conti. Certamente non con la censura, secondo me, ma nemmeno con l’autocensura o con l’accettare supinamente tutto quello che c’è per il fatto stesso che c’è oppure fare finta che in certe proposte reiterate, sistematiche e massicce di ‘un’ modello non ci sia una certe pre-potenza impositiva, normativa e moralizzatrice (nel senso etimologico del termine ‘morale’).
Tu dici che questo è il punto di disaccordo tra noi: io vedo come dominante un solo modello nell’uso pubblico del corpo femminile, tu ne vedi tanti.
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Allora, prendiamo per buona la mia miopia (io non sono d’accordo su questo, ma partiamo da qui).
Qualora io, di fronte anche a un solo manifesto che ritenessi lesivo della mia diginità di donna, del buon gusto, ecc. ecc. ecc. (in una società pluralista non c’è discriminazione dei punti di vista e delle loro motivazioni, giusto?), manifestassi apertamente la mia critica avrei il diritto di farlo.
Grassetto: in una società pluralista ciascuno ha diritto di manifestare il suo punto di vista, in base agli strumenti di cui è in possesso, indipendentemente da qualsiasi altra variabile.
Da qui dovrebbe partire la discussione, non l’insulto. Giusto?
E allora perché nel discorso pubblico corrente di fronte ad ogni critica sull’uso del corpo femminile che sembra (?) dominante sui media, parte in modo meccanico e irriflesso l’insulto?
E non parlo solo di quello becero e pecoreccio, a cui anche molti ‘intellettuali’ si abbandonano (sembra peraltro che non vedessero l’ora), ma anche di quello insito in certe argomentazioni serie, un po’ stiracchiate e dozzinali o, e qui ti cito, un po’ decisamente ‘vintage’.
Parlo dell’insulto all’intelligenza.
E, qui, scusami, Simone, ma tiro in ballo anche te, perché non mi piace parlare per allusioni.
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Dichiaro subito però che parlo dell’impressione generale che mi fa il tuo repertorio argomentativo, non quello degli ultimi due interventi, ma in generale, così per come lo ricordo. Potrei eccedere in semplificazione, ma riporto il retrogusto che mi hanno lasciato certi tuoi commenti.
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Sembra che nell’anno di grazia 2011 abitiamo tutti ancora nel paese di sant’Ilario in cui ci sono candide e disinibite bocche di rosa, maschi incolpevoli e beghine assatanate che, vecchie e invidiose, vogliono espellere le bocche di rosa denunciandole al maresciallo.
Paese dove la puttana è sempre santa e se qualcuno muove una critica a immagini che hanno a che fare col sesso sta mettendo in atto un meccanismo di difesa che la dice lunga sulla sua repressione sessuale.
Oh, sì, certo che sì, dopo Freud chi mai oserà negare questo? Il dr. Antonio sta lì a dimostrare che, gratta gratta, quella è sempre la morale della favola. E se qualcuno mette in dubbio che ‘Drive in’ sia stata una mitica palestra di trasgressione non sa che Fellini era un estimatore di Drive in. Oh, quanto ne era estimatore.
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Ecco, tra tutto il resto, quello che mi disturba di più, è questo tirare in ballo Fellini. Che c’entra Fellini, se non come argomento di autorità?
Scusa, ma allora il fatto che Dalì adorasse Bouguereau dovrebbe portarci ad affermare che quegli angeletti, angelette e angeloni così oleagraficamente erotizzati, siano un manifesto del sesso disinibito e trasgressivo e guai a criticarli?
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Scusami per la stropicciatura caricaturale dei tuoi interventi, ma a volte mi dai l’impressione che quando intervieni su questo blog non dai molto credito all’intelligenza dei tuo interlocutori. Diciamo che parti un po’ prevenuto.
Concordo in pieno con La Lipperini, Adrianaaa e Valeria.
Regazzoni, la sensazione che dai è di venir qui a predicare prescindendo dai tuoi interlocutori. Qualsiasi cosa ti dicano sembra rimbalzare su un muro, salvo quelli a cui sfugge un “sono d’accordo” e che vengono prontamente citati da te nei commenti successivi a dimostrazione che sei nel giusto.
Io penso che a te faccia comodo dipingere caricaturalmente un “nemico” fatto di donnette esaltate e un po’ ignoranti. Ma non è giusto.
@Regazzoni:
cit. “in generale mai un orizzonte culturale è stato plurale come quello della cultura di massa, quindi direi piuttosto che oggi la cultura di massa lavora a decostruire la discriminazione di genere”.
Secondo me questa affermazione è un esempio abbastanza tipico di “fallacia filosofica”: si definisce a priori un certo fenomeno o insieme di fenomeni (in questo caso la “cultura di massa”) e da questa definizione a priori si deducono conclusioni sull’influsso dei fenomeni così concettualizzati rispetto ad un certo problema.
Come ha notato Loredana Lipperini, questo è la tipica strategia dell'”integrato” nella sua battaglia contro l'”apocalittico”. Nessun riguardo ai fatti, e tutto un fiorire di diatribe in stile medioevale che oppongono apologeti a demonizzatori; l’auctoritas cartacea di qualche “monumento” del pensiero vale più dell’osservazione cinica e spassionata della realtà che ci circonda.
In un altro thread avevo poi avanzato un suggerimento – che, sebbene il post fosse specificamente rivolto a lei, è stato snobisticamente ignorato… ma pazienza.
La mia idea è che ridurre la questione all’alternativa tra censura e libertà d’espressione equivalga a perdere di vista molte sfumature del problema, alcune delle quali tutt’altro che secondarie.
Di nuovo, Loredana Lipperini ha sottolineato in modo esemplare il senso della segnalazione allo IAP, che inizialmente anch’io avevo frainteso: si tratta di un’azione intrapresa per suscitare una riflessione, non per imporre una censura.
E così dovrebbe essere in un blog come questo: prodotti culturali come la pubblicità di Yamamay dovrebbero serivire, più che come oggetto di contesa fra sedicenti paladini della libertà d’espressione e presunti censori bigotti e oscurantisti, come un’occasione per riflettere sui meccanismi della cultura di massa e sulla sua influenza sulle questioni di genere.
Certo è che, finché ci si trova ad aver a che fare con qualcuno che ritiene, dall’alto del suo ruolo sociale (di “accademico”, “scrittore” ecc.) di avere la verità in tasca su che cos’è la cultura di massa, avviare un’autentica riflessione è davvero difficile.
@valeria:
direi che mi ritrovo, più o meno, nel tuo ritratto. Tutto quello che dici è parte della mia critica. Compreso l’argomento d’autorità che per me resta una strategia argomentativa possibile, peraltro all’opera ogni volta che citiamo un autore o un esperto. Evito sempre (nei limiti del possibile) l’argomento ad hominem (il cui spettro in queste discussioni circola sempre, e dati i temi è inevitabile).
@ Don Cave:
mi dispiace ma la categoria di “cultura di massa” non l’ho inventata io ed è ancora in uso. Ci sono definizioni diverse, alcune anche di ordine antropologico (Eco), distinzioni di vario tipo (ad esempio tra cultura di massa e cultura pop), ma viene utilizzata in diversi ambiti scientifici. La fallacia, mi dispiace, ma in questo caso non c’entra (ma non aprirei il capitolo “fallacia” altrimenti dovremmo chiudere tutte le discussioni nei blog).
Per il resto, è evidente che la mia posizione è molto critica. Capisco anche che qualcuno possa sentirsi a disagio o “caricaturato” ecc. Direi che in una discussione ci sta.
Questo, Ragazzoni, si chiama svicolare. E’ semplice rispondere alle argomentazioni che le sono state opposte con l’affermazione, di sapore autocelebrativo, “la mia posizione è molto critica”. E, no: la caricaturizzazione è il primo passo perchè l’argomento diventi “ad hominem” o “ad foeminam”. Dunque, non ci sta.
@ Lipperini:
se vuole possiamo entrare nel merito della questione: “cultura di massa” e “discriminante forte che riguarda il modello femminile”.
Mi fermavo all’enunciazione della mia tesi generale sulla cultura di massa per evitare di entrare, ne converrà, in una raccolta infinita di esempi e controesempi. Di solito il richiamo alla realtà e ai fatti, in discussioni di questo genere, contro l’astrattezza delle tesi, produce un catalogo di esempi abbinati a interpretazioni discutibili che difficilmente portano da qualche parte.
Esempio: Qualcuno citerà la cantante X e darà una certa interpretazione: “X è un tipico esempio di uso del corpo ecc.”; a questo punto un’altra o un altro potrà scegliere tra:
1) Citare la stessa cantante e darne un’altra interpretazione, magari opposta (penso al dibattito in ambito femminista suscitato da Lady Gaga).
2) Dire che in effetti in un certo periodo la cantante X era così, ma poi è cambiata: “ah quando Katy Parry faceva gospel cristiano era interessante, poi si è adeguata allo stereotipo della pin-up…”.
3) Riconoscere che la cantante X è proprio così, ma ce ne sono altre che vanno in direzione opposta (e magari teorizzare opposizioni tra musica commerciale e musica indie).
4) Dire che nella musica pop in generale c’è discriminante ma non nelle serie tv o nei romanzi di genere ecc.
E si potrebbe andare avanti all’infinito, caso per caso, sfumatura per sfumatura,ecc.
Ora questo è possibile proprio perché la cultura di massa oggi è un campo talmente vasto e vario – un sistema complesso – per cui non solo è impossibile dimostrare che la cultura di massa propone un modello unico di donna, ma è anche molto difficile poter dimostrare che in essa c’è “una discriminante forte che riguarda il modello femminile”. Il sistema è troppo complesso per poter enunciare una costante di questo tipo a partire dall’osservazione e interpretazione dei dati. E anche quando tale costante venga enunciata occorrerebbe discutere se la fiction nella cultura di massa ha diritto, in quanto fiction, anche alla discriminazione di genere oppure no: e io direi di sì.
Per questo ho preferito tralasciare i “fatti” per enunciare la mia tesi che si fonda sull’assunto difficilmente contestabile per cui la cultura di massa globale oggi è uno spazio plurale. Se poi volete portarmi una valanga di esempi che dalla letteratura di genere al cinema, dalle serie tv al graphic novel, dalla musica alla pubblicità ai video games dimostrano inequivocabilmente il contrario: bene, discutiamoli.
Mi fermo a questa obiezione per ora.
@valeria
No, i maschi non sono incolpevoli per niente. Mettendo da parte la pubblicità, t’assicuro che i dottor Antonio terrorizzati non tanto dal sesso, ma da una donna che ne parla e ne scrive in maniera esplicita ci stanno ancora, sul sito del Fatto Quotidiano è pieno di commenti maschili su Mellissa P. che poco o nulla hanno a che fare con i suoi libri (io lessi solo il primo e non mi parve un capolavoro come stile di scrittura), ma sono incentrati sull’offendere la persona e trattandosi di Melissa P. è fin troppo facile immaginare che genere di insulti si è beccata. Ne so qualcosa perchè sono intervenuto anch’io per spiegare a questi signori che si può criticare una scrittrice (a patto di averla letta) senza insultarla.
Regazzoni, mi perdoni tanto. Ma io la valanga di esempi l’ho portata: nei miei libri e in sei anni e mezzo di blog. Anche all’interno di un sistema complesso si possono fare casistiche.
Dopodiche, se il catalogo è ritenuto di minor forza nei confronti della tesi (la sua), alzo le mani e la lascio alle sue – invidiabili – certezze.
Paolo. Non ti sei mai chiesto se la personalizzazione degli attacchi (Melissa P. individuo e non il testo scritto da Melissa P.) si debba anche alla pratica dell’annichilimento dell’avversario tanto in uso nella rete? E’ quest’ultima a preoccuparmi, e davvero al di là della questione di genere, in questo caso: perchè sta diventando la prassi predominante. Anche l’equazione femminista=puritana, uscita da questa discussione, viene amplificata altrove senza il contesto di partenza. E dunque diventa caricatura e gioco al massacro. Se il tentativo è quello di costruire un discorso diverso, gli stereotipi devono essere evitati. E questo non è stato sempre fatto, neanche qui. Per questo, temo che il discorso continui ad essere falsato.
@ Lipperini:
ma è naturale che un catalogo scelto di esempi in un mare magnum (per quanto ben scelti) non permette a nessuno di teorizzare cose come una “discriminante forte che riguarda il modello femminile” nella cultura di massa, bensì solo che nella cultura di massa ci sono “casi”, quelli scelti, in cui secondo una certa interpretazione (quella da lei proposta), c’è una forte discriminante di genere.
Mi dica solo questo così evito di semplificare: lei sostiene che gli esempi da lei portati le permettono di dire che nella cultura di massa c’è “discriminante forte che riguarda il modello femminile”?
@Paolo 1984. Mi pare che quello di cui parli rientri a pieno titolo negli argomenti ad hominem o, meglio, ad foeminam, che vanno molto in voga di questi tempi. Anche se i trattati di retorica sono stati costruiti quando non era nemmeno ipotizzabile che la donna potesse essere soggetto del discorso, e non solo oggetto. Ma questo tanti, tanti, tanti secoli fa.
@Simone Regazzoni. Mi ritrovo nella risposta che ti ha dato Loredana. In quanto al tuo commento successivo, che dire? Una volta che il cadavere non c’è, perché parlare di delitto?
E visto che per te l’argomento di autorità è legittimo, anche io voglio chiudere niente di meno con Shakespeare, sulla cui autorevolezza non ci piove: “Ci sono più cose in cielo e in terra, Simone, di quante ne sogni la tua filosofia”.
E il resto è davvero silenzio.
E’ una citazione che amo, valeria. Di solito si cita solo quella parte. Ma è preceduta da: “E allora, come a uno straniero, dagli il benvenuto”. E poi ce n’è un’altra, sempre dall’Amleto che amo alla follia: “Devo essere crudele solo per essere gentile”.
Avevo scritto senza leggere gli ultimi due commenti.
Simone, ti prego, dalla tu la risposta giusta, così evitiamo inutili discussioni.
Io azzardo: la risposta giusta è che gli esempi portati da Loredana Lipperini non permettono di dire che nella cultura di massa c’è discriminante forte che riguarda il modello femminile.
Stavolta devo avere indovinato. Lo sento.
La risposta è sì, Regazzoni. C’è anche nella cosiddetta cultura “alta”, se è per questo. E c’è anche uno stereotipo tutt’altro che innocente che riguarda il maschile, come è stato detto e stradetto.
Posso dire un’ultima cosa? Lei parla come se tutto quello che è alle sue spalle, teoricamente parlando, non esistesse. Come se, al pari di Siddharta, fosse uscito dal palazzo paterno e vedesse il mondo per la prima volta: è un’ottima posizione, perché permette di diffondere le proprie tesi come se fossero fresche di conio. Altri, prima di lei, hanno parlato della cultura di massa e della sua complessità: e hanno combattuto una battaglia affinché alla medesima venisse data la dignità che le spetta. Ma va fatto un passo avanti: va detto che l’interesse e l’importanza di quella cultura non possono coincidere con la totale accettazione dei suoi modelli dominanti anche se non esclusivi (dominanti qui, ora, nel nostro paese, non in America, non in Estonia: in Italia). Insistere a voler accettare l’esistente così com’è, è un abbaglio. E un abbaglio di retroguardia, se mi permette.
Secondo me, naturalmente.
Il resto è silenzio (ma non ci credo, Valeria)
Dio, che emozione Ragazzoni, amiamo tutti e due alla follia Shakespeare. Diamoci pace e finiamo in concordia. Su questo.
Valeria, non ci credo che finiremo in concordia. Come ha scritto Olga nell’altro thread, a me interessa trovare un territorio comune, e mi interessa perché a questa “battaglia” (oh sì, diamole un nome vintage) credo profondamente, e credo anche che sia la cartina di tornasole di un intero sistema sociale e culturale.
Ma come si fa a trovare un territorio comune quando la posizione dell’interlocutore continua a ignorare le ragioni altrui (intendo le ragioni profonde, non la semplificazione macchiettistica) e addirittura a non voler accogliere l’interlocutore come singolo ma come la sinistra Sinistra? E’ un tavolo, questo, a cui non ci si può sedere.
@ Lipperini:
grazie per la precisazione circa la sua tesi. La trovo molto debole per le ragioni che ho espresso ma questo è un altro conto.
Per quanto riguarda la mia tesi: è solo per evitare lo spiacevole name-dropping che contengo al minimo le citazioni. Ma se preferisce posso, per ogni concetto enunciato (dalla cultura di massa, alla cultura pop, al sistema complesso, ecc.), citare fonti primarie e secondarie (!). Io tenderò a semplificare la posizione dell’altro, ma lei con me non scherza…
Valeria, sì amiamo alla follia una stessa cosa, dunque un po’ ci amiamo (è una fallacia, ma passamela:-).
Sì, Loredana, in effetti intendevo ‘concordia’ sull’amore per Shakespeare.
Poi, la mia impressione è simile alla tua, mi pare che Simone (sto parlando anche a te, Simone, non ti metto in terza persona per tenerti sullo sfondo) tenda a misconoscere le ragioni profonde dell’interlocutore o, almeno, a rappresentarle in modo molto sommario se non caricaturale.
Su una cosa sono d’accordo con lui: sul rischio che si corre, e che bisogna sempre avere presente, quando si parla di certi temi.
Poi mi perdo, non so neppure più se parliamo delle stesse cose.
E qui non posso che chiudere, perché la sensazione che me ne viene è solo frustrazione.
Sì, Simone un po’ ci amiamo. E’ nel mio destino amare sempre uomini ‘sbagliati’. (E’ una verità, ma passemela:-).
Ma anche io sono d’accordo sul rischio, figurarsi. E’ ovvio che si cammina in bilico e si ragiona per tentativi: e so perfettamente di essere molto poco strategica (o furba) nelle mie analisi, e che questo può aumentare il rischio. Però ritengo che vada fatto. Perchè, Shakespeare per Shakespeare, che ci sia un lungo inverno del nostro scontento penso sia difficilmente contestabile. E semmai sarebbe importante auspicare nuovi discorsi, nuove narrazioni NELLA cultura di massa, che sovvertano quelle vecchie, che accostino nuovi modelli e li moltiplichino. E’ quanto, appunto, molte giovanissime donne (e giovani uomini) stanno cominciando a fare. Per fortuna.
Sono talmente d’accordo sul tuo ultimo commento, Loredana, che non capisco cosa ci sia di scandaloso nelle cose che hai detto.
A me pare che anche per chi non condivide le tue posizioni possa essere una buona base di discussione.
Ma vede Lipperini, a me non sembra che da questa discussione sia uscito lo stereotipo femminista = puritana, semmai si sono messi in luce quelli che sono i rischi che sempre ci sono quando si affronta il campo minato della rappresentazione dell’eros, del corpo e del corpo femminile in particolare.
“Femminista = puritana” è la banalizzazione superficiale fatta dalle persone che l’hanno attaccata su Facebook e altrove, ma non qua.
Guardi, pure a me quando polemizzo sul web con alcuni anti-femministi (sono tanti, c’hanno pure dei siti e blog tutti loro) capita che banalizzino ciò che dico, o mi accusano di essere “servo delle donne” oppure mettono in dubbio che io sia un maschio..più che replicare ogni volta che sono uomo e non sono servo di nessuno, che altro posso fare.
Su Melissa P. sì certo l’annichilimento dell’avversario che un certo uso di internet favorisce, ma io credo vi sia anche qualcosa di più vecchio. Quando una donna, sopratutto se è una bella donna parla e scrive esplicitamente di sesso, a certi uomini gli si scatena una rabbia o un desiderio di derisione che io non mi so spiegare.
Io adoro Benigni, ma il fatto che abbia bersagliato (in maniera certo simpatica e toscanaccia che io, da toscano, peraltro amo) Iva Zanicchi che portò a Sanremo una canzone che parlava in termini espliciti della passione erotica tra una donna matura e un uomo più giovane è significativo del disagio che uomini, anche aperti e progressisti, provano davanti ad una donna che non nasconde la propria sessualità e, detta brutalmente, la sua voglia di trombare.
E come vede io ho parlato di disagio maschile quindi non è solo o non è tanto un problema di femministe “bigotte” o presunte tali.
Un’altra cosa su Melissa P.: lei a un certo punto è intervenuta nel commentarium del Fatto rispondendo (in maniera intelligente e dignitosa, secondo me) ai suoi detrattori facendone notare il maschilismo.
La risposta meno becera che ha ottenuto si può riassumere così: “No cara Melissa, il maschilismo l’hai causato, aizzato tu diventando famosa con un libro porno”.
Che a me ricorda tanto “L’ha provocato perchè c’aveva la minigonna”, del resto sempre in quel sito ho avuto modo di litigare con una marea di gente che assolveva Vespa dando la colpa alla scollatura “vertiginosa” di Silvia Avallone.
Insomma a me sembra che il dottor Antonio è uscito dalla porta, ma ogni tanto rientra dalla finestra.
Ora mi taccio perchè non voglio rischiare di monopolizzare la discussione.
@Regazzoni: c’è un passaggio che mi sfugge. la cultura di massa è generata…dalla massa giusto? dovrebbe venir fuori da spinte che provengono (almeno in parte) dal basso. Quindi risponderà al sistema di valori e ai desideri che dominano la nostra società, la quale, mi sembra, viaggi piuttosto marcatamente a sfavore delle femminucce. Se secondo lei anche questa è una fesseria e la casistica non è abbastanza chiara in proposito…allora è corretta la mia impressione: si sta arrampicando sugli specchi.
La mia affermazione sarà sicuramente piena di strafalcioni filosofici, però davvero non vedo il bisogno di volare così alto quando si parla di cose di cui chiunque ha esperienza e su cui, quindi, chiunque dovrebbe poter dire la sua. Soprattutto perché, come le hanno ricordato altre prima di me, la benedetta cultura di massa influenza tutto di noi, la nostra vita amorosa e sessuale, il nostro aspetto, il modo in cui siamo guardati dagli altri e così via. Va bene i diversi livelli di lettura, però mi pare che sotto ci sia una volontà di rendere questo un campo per specialisti, ostacolandone di fatto la libera discussione, nascondendosi dietro una barricata di citazioni che sarebbe imprescindibile sapere a memoria.
La cultura di massa, proprio perché è di massa, è il principale veicolo della disciminazione di genere e degli stereotipi che gli stanno a fondamento. Talvolta, addirittura, la cultura di massa si ispira a ciò che ritiene più in alto e per imitazione lo interiorizza e lo traduce in comportamenti diffusi. La cultura alta, ha ragione Lipperini, non è indenne dallo stesso fenomeno. Si deve agire ai due livelli forse approfittando della capacità di astrazione per centrare i problemi ma mai sperare, secondo me, che ciò che discrimina sia diversamente dosato negli strati socioculturali.
la teoria del “rischio” sarà lungimirante, ma se guardo agli ultimi 2 anni non vedo nessun tentativo di sfruttare in forma reazionaria bigotta e fondamentalista il lavoro politico de il corpo delle donne. Vedo invece attacchi che nascono nella sede de “il giornale” all’indomani della partecipazione a programmi televisivi di Lorella Zanardo, da lì si dipanano a macchia d’olio in rete e ci perseguitano costantemente. stenderei invece un velo pietoso su tutte quelle manifestazioni a carattere personale che inevitabilmente invadono i blog
Se qualcun* può smentirmi con dati alla mano, sono pronto a rimangiarmi tutto
Interssante discussione. Anche se non mi è stato possibile leggerla proprio tutta provo ad esprimere la mia opinione facendola stare in una cartolina.
In una società di mercato la battaglia contro gli stereotipi (statistical discrimination) è praticamente inutile o impossibile.
Inutile quando lo stereotipo è irrazionale: chi lo adotta paga già sulla sua pelle l’ errore che commette. [La tesi di s.r.: “la cultura di massa è pluralista”, mi sembra compatibile con questa ipotesi].
Impossibile quando lo stereotipo è razionale: come si fa a condurre una crociata contro dei comportamenti razionali? Come si fa a stigmatizzare chi fa i complimenti ad una scollatura quando chi li riceve è lusingata?
La realtà poi è sempre un misto, ma per fortuna la conclusione è la medesima: abbandoniamo la lotta agli stereotipi e dedichiamoci alla costruzione del mercato.
Molto bene. Compatisca questi utopisti, Broncobilly, e si dedichi ai suoi mercati.
@Broncobilly
Chi stabilisce la razionalità/irrazionalità di un pregiudizio? Sulla base di quale consequenzialità logica la presunta dicotomia tra pregiudizi razionali e irrazionali si dimostra “impossibile” da affrontare all’interno di una “società di mercato”? Il fatto che viviamo in una società di mercato ci impedisce per ciò stesso di criticarne i presupposti, al punto da generare simili impossibilità e impasse logiche? E ancora: davvero viviamo in una società di mercato?
Diciamo che le tue affermazioni illustrano l’idea di “fallacia filosofica” in modo pure più esemplare di quelle di Regazzoni.
@loredana lipperini.
Purtroppo, oltre a “inutilità” e “impossibilità”, una “chiassosa” lotta agli stereotipi puo’ essere anche dannosa.
Mi spiego meglio.
Dissezionata, la lotta agli stereotipi (statistical discrimination) è spesso una “lotta infragruppo” anche quando sotto l’ insegna di lotta anti-discriminatoria sembra presentarsi come “lotta a favore del gruppo”.
In alcuni casi specifici sembra di avere di fronte una battaglia per le donne mentre in realtà si è di fronte solo ad un conflitto tra donne con diverse preferenze.
Per non complicare faccio un esempio.
Bisogna complimentarsi per una scollatura? Esiste un gruppo di donne che si sentirebbe infastidito ed esiste un altro gruppo che si sentirebbe lusingato.
Il complimento scatta spesso in base allo stereotipo, visto che non si sa con certezza la donna che abbiamo di fronte; e se il primo gruppo è troppo chiassoso avremo una malformazione di stereotipi e una “sottoproduzione” di complimenti, ovvero un danno sociale.
Lo stesso meccanismo è all’ opera con lo stereotipo della donna-amante o quello della donna-mamma eccetera.
Dunque: meno crociate (“chiasso”) e più mercato (ovvero responsabilità).
@ Don Cave
Mi chiedi chi stabilisce la razionalità/irrazionalità di un pregiudizio. La statistica, tanto per cominciare. Se in base ad uno stereotipo vigilo sul mio portafoglio quando entro nel ghetto e una statistica (a me sconosciuta) conferma che effettivamente gli scippi in quel quartiere sono più alti che altrove, il mio pregiudizio è razionale.
@S. Regazzoni:
Quando parlo di “fallacia filosofica” mi riferisco alla pessima abitudine, da parte di molti filosofi e pensatori di professione, di rimuovere, negare, occultare, il carattere assolutamente congetturale dei presupposti che stanno alla base delle loro teorie ed argomentazioni. Si tratta, dopo tutto, di un modo per attribuire alle proprie proposte di analisi una specie di preminenza su tutte le altre.
Dico “congetturale” e non “ipotetico” perché è raro che in filosofia si formulino delle vere e proprie ipotesi, come accade nelle scienze naturali. Si tratta semmai di “congetture”, di “endoxa”, che rivelano più che altro le credenze accettate dal filosofo – quando non addirittura i suoi pregiudizi.
Il nucleo della fallacia di Broncobilly, ad esempio, mi sembra consista nel ritenere “naturale” l’ordine imposto dai meccanismi di mercato. Il nucleo della sua fallacia, Regazzoni, consiste invece nell’attribuire alla “cultura di massa” un carattere “plurale” e “complesso”.
L’affermazione “la cultura di massa è pluralistica” non dice praticamente nulla. La cultura di massa, infatti, viene di solito definita in termini tali per cui il suo “pluralismo” è già contenuto nella definizione… resterebbe poi da vedere, in concreto, di che genere di pluralismo si tratta!
Ed è qui che l’analisi delle casistiche diventa fondamentale.
E’ inutile allora nascondersi dietro il carattere “complesso” della società di massa… di nuovo, un’altra affermazione ai limiti del giudizio analitico: la complessità, la molteplicità di livelli di lettura e fruizione, sono caratteristiche che fanno parte della definizione stessa di “cultura di massa”… e quando le “congetture” implicite sulla base delle quali vengono formulate le definizioni vengono poi ripresentate, esplicitamente e in forma assertiva, quasi si trattasse di chissà quale scoperta, si sta solo facendo della bassa retorica.
Anche qui: chiediamoci in cosa consiste, concretamente, questa “complessità”, anziché limitarci a presupporla ed enunciarla!
Pluralismo e complessità non possono diventare le foglie di fico dietro alle quali si taglia fuori qualsiasi proposta di lettura fatta a partire da casistiche concrete! Non si può dare a delle definizioni costruite in vitro, e ai presupposti che le animano, più importanza del dovuto, a scapito della lucidità nel cogliere le implicazioni di certi fenomeni… altrimenti si rischia di cadere nella solita vecchia storia: la prospettiva filosofica come “sguardo privilegiato” sui fenomeni… con i filosofi che, privati del monopolio conoscitivo negli ambiti della natura e della società, si aggrappano all’unico gingillo che gli rimane: la cultura di massa.
Quindi, ben venga l’analisi filosofica della cultura di massa… a patto che non si trinceri dietro il suo presunto “specialismo” (che spesso altro non è che un coacervo di argomentazioni fallaci e definizioni “ad hoc”) per liquidare ogni proposta alternativa.
Broncobilly, ma cosa avete voi liberisti, la tendenza a semplificare in modo brutale? Ridurre la riflessione sugli stereotipi a conflitto fra donne e portare come esempio il complimento per la scollatura e non la costruzione e la proposta di modelli significa non aver capito di quali stereotipi si parla. Le rinnovo l’invito: ci lasci fare chiasso, grazie.