DIVERTIMENTI

Da settimane rifletto sulla rete. Rifletto, anche, sulle sue derive. Rifletto sui risentimenti, sugli egotismi, sul livore. Su quella che sembra essere diventata una necessità primaria: trovarsi un alibi per giustificare le aspettative svanite,  non sentire la necessità di pesare una parola che sia una, sentirsi liberi di diffamare e, se richiamati, fare spallucce e rivendicare il proprio diritto all’oltraggio.
Ho i miei motivi per riprendere questo argomento: e, a differenza di quel che si possa pensare, non sono motivi personali, o non solo.
Perchè il rischio che si corre con l’uso irresponsabile e sbavante del web è molto semplice: non essere presi sul serio, anche quando in gioco non c’è la mancata recensione al proprio imprescindibile romanzo, ma qualcosa di più grave, e che riguarda, magari, migliaia di persone.
Si dirà che occuparsi di nuovo di programmi come La pupa e il secchione è cosa non necessaria: chi, sia pure per errore, ha sbirciato l’ultima edizione, sa che non è così. Ora, per iniziativa di una serie di blog, fra cui segnalo almeno Comunicazione di genere e Donnepensanti, è montata  una protesta dal web nei confronti del programma.
C’è stata una risposta, da parte di Simona Ercolani, capoprogetto e capoautore. Ve la posto. Oltre all’astuzia utilizzata da Ercolani, quel che mi colpisce è il sottotesto: che significa, appunto, non vi prendo sul serio. Almeno, secondo la mia lettura. Attenzione.

La protesta scatenata da un gruppo di blogger e di associazioni contro “La pupa e il secchione” è per me una buona notizia: la televisione normalmente ci scivola addosso senza provocare nessuna reazione.
Si tratta però di una protesta che si basa su fragili premesse. È vero che “pupa” e “secchione” sono due stereotipi: ma gli stereotipi, da che esiste l’arte della commedia, non “sviliscono” e non “appiattiscono” ma, al contrario, ci consentono di lanciare uno sguardo all’essenziale, mettendolo letteralmente a nudo. Il nostro programma non è “vergognoso” – non più di quanto lo siano le commedie di Plauto o i film di Alberto Sordi – perché non giudica e non “incita”, ma, semmai, mette in guardia. Le nostre “pupe” sono mostrate in tutta la loro palese insufficienza: tant’è che l’intera dinamica dello show ruota sulla necessità, per le pupe, di leggere, studiare e informarsi. Nella nostra televisione, invece, alle donne non viene richiesto mai altro oltre ad un corpo da esibire. Mi stupisce infine che i contestatori, e soprattutto le contestatrici, non abbiano colto un aspetto fondamentale del programma: siamo i soli a denudare i maschi, a mostrarne i corpi non proprio entusiasmanti, a ridicolizzare il modello imperante secondo il quale al maschio è concesso di essere brutto purché intelligente. Ma, soprattutto, non bisogna dimenticare mai che “La pupa e il secchione” è uno show: ci divertiamo a farlo, e lo facciamo soltanto per divertire il pubblico.
Simona Ercolani Capo progetto della Pupa e il secchione

26 pensieri su “DIVERTIMENTI

  1. La scrittura è un mezzo che richiede lentezza, Internet richiede velocità. Le due cose sono inconciliabili senza un controllo adulto delle proprie pulsioni. Si scrive con leggerezza (nessun filtro razionale), senza pensare al terribile potere che ha la scrittura (le Rune, tanto per dire). Si crea uno spazio simile ad un buco nero, molto molto pericoloso. Sono convinto che entro una decina d’anni l’OMS saprà individuare nuove forme di disturbo della personalità legati a questo iato, ma è un altro discorso.
    Il discorso vero si chiama “media” che è il vero motore del web. Il web funziona a media e nella media non sta la virtù, ma l’imperialismo delle menti. Il risultato è il disinnesco delle potenzialità. Buffo perchè, per una volta tanto, il disinnesco non cala “dall’alto” ma viene messo in atto dall’utente stesso. (un po’ come fa la Ercolani – che poi magari si lamenta di non avere lo stesso stipendio del suo collega…)

  2. Zero editing! Non ho riletto ho postato e guarda che papocchio! non si capisce niente. (loredana se vuoi cancella il commento sopra – se no fa niente:)
    Mah mi pare una risposta che puzza di cervello ma quando la mangi sa di cazzate.
    Intantol’idea che gli stereotipi non sviliscono, è facilmente smentibile se si indagano gli stereotipi a cui la signora è più sensibile. Nell’auspicabile ipotesi, per la verità non ci metterei la mano sul fuoco – ghe la zignora zi buana non ge l’abbia goi negri forze la zignora gombrende ghe guando zi fanno parlare gosì i negri è ber svilirli. Ghe se io bovero negro ho l’anello al naso e i labbroni io non gi faggio una grande bella figura.
    In ogni caso – è interessante il parallelismo con Plauto e Sordi, anche se a me sembra meno tafazzesco quello con Sordi, che almeno è isomorfo alla signora – giacchè si tratta di un maschilista notevole. Plauto anche ma forse sfugge la differenza di contesto storico.
    – C’è comunque un problema logico di fondo: Come fa un programma a non incitare se non giudica? Giacchè non giudicare è un lusso che da mo anche i più cretini hanno capito che nessuno si può permettere, perchè ci è psicologicamente impossibile, quello che la signora chiama non giudicare vuol dire giudicare bene. Vuol dire cioè incoraggiare.
    – Infine, il programma incoragga lo stereotipo della deficiente, la quale non è ingaggiata per diventare il contrario, ma per tentare di farlo FALLENDO. E’ questa la salsa del programma – è li la chiave di volta dello humour. Mettere in scena donne schiave della propria idiozia.
    Stante questo messaggio, mi prendo la responsabilità delle mie opinioni, la signora forse non ha riflettuto abbastanza su quanto quel programma riguardi lei più che tutte noi.

  3. Intervengo poco perché il tempo a disposizione è quello che è, ma impossibile star zitti quando si tocca un argomento simile, per me di importanza basilare.
    Le parole della Ercolani sono desolanti e in questi casi io non riesco mai a capire se uno ci è o ci fa…
    Proprio ieri sera parlavo, fra le altre cose, di queste derive con G.L. e mi trovo d’accordo sia con il suo commento che con le riflessioni di Lipperini. Cerco sempre di improntare i miei post alla lentezza. Pur conoscendo le varie regole SEO e webwriting, mi limito ad adottarle solo quando pagato per scrivere news su portali.
    Nel mio spazio personale non scendo mai, volontariamente, sotto le tre cartelle e spesso ho scritto opinioni su film e romanzi che superavano quota dieci, contro ogni regola dello span di attenzione.
    Per ora ciò mi ha ripagato, in termini di visite, interesse dei lettori, loro commenti, ma credo/ho paura che sia un caso e la tendenza generale corrisponda più a quanto prospettato da lei e da G.L.
    Devo ammettere una certa delusione e stanchezza, anni fa ero più fiducioso circa le possibilità della Rete, ora mi pare solo uno specchio accelerato dei meccanismi più deprecabili già visti altrove.
    Poi, ovvio, non si può permettere a delusione e stanchezza di avere la meglio, ma diventa sempre meno facile, divertente e in grado di arricchire.
    Esistono “isole felici” in termini di confronto e crescita, ma trovo difficile ragionare su e rallegrarmi di quelle che paiono appunto eccezioni, né riesco a comprendere, per carenze mie, quali potranno essere i possibili sviluppi, nel bene e nel male.
    Per natura reagisco amplificando gli sforzi e abbassando i toni, il rischio è però che agendo con troppa cautela si finisca per lasciare troppo campo a voci violente, prepotenti e detestabili che già ora hanno una certa egemonia.
    Suggerimenti e ipotesi sono ovviamente ben accolti…

  4. L’argomentazione della Ercolani è brillantemente paradigmatica. Si tratta di quel paravento malleabile e adattabile che è oggi l’ironia. L’ironia come panacea di tutte le porcate. Ma come? Non l’avevi capito che ero ironico? E’ la stessa risposta che ha dato Roland Emmerich quando gli fecero notare che “The Patriot” era un film falso, manicheo, retorico, e propagandistico. Emmerich disse che erano i critici a non aver colto l’ironia: lui aveva fatto un film falso, manicheo, retorico e propagandistico, proprio per mettere alla berlina un certo tipo di retorica patriottarda amercana. Uhm… Una cosa vagamente simile disse Zack Snyder a proposito di “300”.
    Ciò che se ne deduce, quindi, è che per costoro l’opera d’arte è fondamentalmente neutra. Siamo noi spettatori che – se siamo dei sempliciotti – possiamo prenderla sul serio o – se siamo dei veri post-moderni disincantati e cool – osservarla con il necessario distacco e cogliere l’ironia. Quindi vale tutto e l’artista non ha alcuna responsabilità rispetto a quello che fa.
    Dalle mie parti questa si chiama paraculaggine.
    La Ercolani sostiene che il suo programma è fondamentalmente catartico e sotto sotto perfino educativo. Io vi faccio vedere gli stereotipi viventi e li metto alla berlina affinché voi possiate sentirvi migliori.
    Bella forza. Chi non si sente migliore di uno stereotipo forzatamente rappresentato come tale?
    Ma perché non fare l’operazione inversa, e cioè rappresentare tipi e storie originali e interessanti? Forse perché in quel caso il pubblico non riuscirebbe a sentirsi superiore? Non verrebbe cioè compiaciuto al livello più basso, non si sganascerebbe davanti all’autoumiliazione della pupa e del nerd (era Canetti a dire che il ghigno, il riso, che sorge in noi quando vediamo uno inciampare o cadere, è un riflesso atavico della specie, che risale a quando eravamo predatori e mostravano i denti al soggetto debole, potenziale preda), ma vedrebbe invece chiamati in causa aspetti interessanti della vita al posto della solita banale pochezza?
    La Ercolani chiama in causa Plauto e Alberto Sordi, dimenticando un piccolo particolare: quelle stereotipizzazioni offrivano poi anche una catarsi, un superamento, una scelta finale che coinvolgeva l’esistenza dei personaggi.
    Ma soprattutto la Ercolani ci ricorda che lo show serve a divertire il pubblico. Non bisogna dimenticarlo. In effetti era così anche per gli spettacoli circensi nell’antica Roma… Se tornassero di moda a grande richiesta gli sbudellamenti tra gladiatori e belve feroci, la Ercolani sarebbe pronta a giustificarli con la stessa logica? Siccome bisogna supporre di no (?), ciò significa che non si può scaricare tutta la responsabilità sul pubblico (idiota/ironico). Checché ne dica la signora, si tratta di scelte, sempre. Fatte dai produttori e dai creativi, non da altri.

  5. Mi pare che l’unico grano di verità del commento della Ercolani sia nell’ultima frase: è uno show televisivo, si fa perché è divertente e basta. La Ercolani non aggiunge, ma è ovvio, che quel programma si fa perché è parecchio remunerativo, il che solleva gli autori da ogni altro dilemma circa la qualità del prodotto (lasciamo perdere le sue potenzialità educative o diseducative).
    D’accordo con WM4 sul solito discorso dell’ironia, ma francamente non parlerei qui, come fa lui, di deresponsabilizzazione dell’artista. Qui arte non ne vedo, forse basso, bassissimo artigianato, ma arte no. Sulla neutralità dell’opera d’arte o sulla neutralità di come accostarvisi, rifletto da tempo e non trovo soluzioni univoche, ma qui davvero metterei da parte quel discorso. la pupa e il secchione lo fanno perché gli rende, fregandosene di quanto possa essere dannoso o, semplicemente, triviale, punto e basta. Poi un modo per giustificare a posteriori citando Plauto che fa tanto dignitosi studi classici lo trovi (mi pare di ricordare delle veline che rispondevano a una polemica simile recitando un testo scritto evidentemente da altri in cui ci si riferiva alle maschere della commedia, o qualcosa del genere).
    Insomma a me pare che il problema della TV sia sempre quello: passa (o meglio i produttori ritengono che passi) solo ciò che è tarato verso il basso, banale, aggressivo, superficiale, e quindi a quello si tende, perché si rischia meno. Un linguaggio che purtroppo sta diffondendosi anche in rete, forse semplicemente perché la rete si sta espandendo quasi quanto la TV e finisce per assomigliarle. Bah.

  6. Wu Ming 4, stavo scrivendo una cosa sulla stessa linea d’onda. Immaginavo proprio una risposta a sudditi romani imperiali da parte di un organizzatore circense…
    «Facendo vedere cristiani che si lasciano divorare dai leoni poiché sperano in un loro fantomatico paradiso non forniamo certo modelli culturali da imitare, vogliamo solo mettere in ridicolo una posizione filosoficamente insostenibile portata alle estreme conseguenze».

  7. Notevole anche l’aspetto fondamentale del programma in cui viene messo finalmente il maschio a nudo, cui è concesso (badate bene il verbo) di “essere brutto purché intelligente”.
    Grazie tante!
    La cosa inspiegabile è che lo stesso staff di autori de “La pupa e il secchione” aveva creato quel piccolo gioiello che è “Sfide”.
    Mah!

  8. @Guglielmo Pispisa: non so dove finisca l’artigianato e dove cominci l’arte, ma capisco cosa vuoi dire. Ciò che però accomuna Emmerich, Snyder, et alii, ai creativi di programmi tv nostrani è il medesimo approccio “deresponsabilizzante”. Io do al pubblico ciò che vuole e poi sarà il pubblico a guardarlo con occhio succube o disincantato. Se i produttori come la Ercolani dicessero paro paro: faccio questo perché mi pagano per fare questo e non me ne frega niente di tutto il resto, apprezzerei la sincerità e non avrei niente da dire. Il tentativo di difesa d’ufficio con le motivazioni sopra elencate, invece per me è inaccettabile. Perché non esiste un modo solo di fare una cosa e non esiste soltanto una cosa da fare. Ciò che facciamo comporta sempre delle conseguenze ed è proprio ciò che questo tipo di mentalità vorrebbe negare. E’ solo uno show. E’ solo una fiction. E’ solo una pubblicità. E’ solo uno slogan. E’ solo una cazzata tra le tante… E tutte insieme, però, queste cazzate formano un immaginario. Non solo: propagano una modalità di comunicazione in cui la cazzata e la sparata prevalgono su tutto e si impongono su tutti i media, rete inclusa.

  9. “E tutte insieme, però, queste cazzate formano un immaginario. Non solo: propagano una modalità di comunicazione in cui la cazzata e la sparata prevalgono su tutto e si impongono su tutti i media, rete inclusa.”
    parole sante Federico, parole sante.

  10. Intanto grazie per aver rilanciato la nostra iniziativa che è inserita nella campagna “Io non ci sto agli stereotipi” e che è solo la premessa per iniziative volte a promuovere differenze, alternative percorribili per una comunicazione diversa in Italia, che non svilisca le persone e le donne in particolare. Detto questo, a me di quel commento colpì molto il fatto che la Ercolani ha utilizzato il sistema dell’indebita auctoritas prendendo a prestito Plauto e Sordi per nobilitare un programma che appaga solo il pubblico caciarone (e muove evidentemente grossi guadagni) e che poco ha a che fare con l’arguzia e la satira di Plauto e i personaggi stereotipati di Sordi. Lo ha fatto forse proprio per quello che dici tu, ovvero perché ci prende poco sul serio. Di solito si usa la cultura per rivestire di patina le cose quando ci si vuole “elevare” dal volgo, smettere la discussione vera. Ha dato furbescamente una risposta che alla fine è una NON risposta.
    Secondo me
    grazie per quello che fai

  11. La risposta di Ercolani mi ha ricordato,vagamente, un passaggio della polemica di Antonio Ricci con Nicola Lagiogia. Ricci (sul Fatto) rivendicava che Striscia non è organica a certa TV becera perchè anzi la mette in ridicolo, vi ironizza. Allora, penso, anche nelle Veline ci sarà dell’ironia, ok, però se quando si è beceri sul serio si fan vedere dei culi, e quando si fa ironia sui beceri si fan comunque veder dei culi, può non essere facile cogliere la differenza…e comunque intanto si raddoppia il numero di culi in TV, non bastassero quelli “seri”.
    Poi alle già tante acute considerazioni sulla risposta di Ercolani, vorrei solo aggiungere che, quando dice che si sbeffeggia uno stereotipo, sarebbe interessante sapere se ciò viene fatto con la complicità o all’insaputa dei protagonisti, che, a differenza di quelli delle opere teatrali e cinemtografiche citate, non sono attori che recitano un parte (o almeno così si fa credere). Si presentano con nome e cognome, come persone autentiche, insomma, e quindi, immagino, che non siano almeno inizialmente così convinti di incarnare uno stereotipo vergognoso da sbeffeggiare su scala nazionale.

  12. Sono una promotrice dell’iniziativa nei confronti de La pupa e il secchione (l’autrice della poesia-manifesto “Io non ci sto” per intenderci) e ritengo che la risposta fornitarci dalla Ercolani, indipendentemente dal fatto che ci prenda o meno sul serio, sia importante perché ci consente di creare un dibattito pubblico su un tema ancora troppo poco sviscerato, partendo da un’opinione scritta pubblicamente.
    Chiaramente non sono d’accordo con la sua opinione perché ritengo che con gli stereotipi si possa scherzare laddove una società sia sufficientemente matura da averli superati, altrimenti diffonderli, seppur “ironicamente” (e sul concetto di ironia ha ben scritto wu ming 4) significa comunque contribuire a perpetrarli e diffonderli.
    Sul discorso della credibilità della Rete e di certi comportamenti oltraggiosi la parentesi è lunga. Per me Internet non è un media, è un luogo di relazione in grado di produrre cambiamenti potenti, dove si trovano tutti i tipi di persone. E’ davvero importante avere dei regolamenti che ci tutelino dai comportamenti “oltraggiosi” e che non mettano sullo stesso piano, per esempio, blogger e cyberbulli. Fare di tutta l’erba un fascio è rischioso e contribuisce a minare la credibilità della Rete perché non c’è miglior modo per rendere innocuo qualcosa o qualcuno, al giorno d’oggi, che screditarlo.

  13. Dopo aver doverosamente ricordato che il linguaggio della Rete per ovvi motivi non è MAI stato troppo diverso da quello della televisione ed ora è sempre più simile da quando è diventato più facile caricare immagini e soprattutto filmati, la cosa che mi lascia perplesso in queste risposte è la sicurezza nel definire ‘basso, bassissimo artigianato’ un programma come La Pupa e il Secchione. Sì, certo, probabilmente lo è, ma la bandiera sventolata fino a ieri non era la fine di qualsiasi distinzione fra ‘alto’ e ‘basso’ nel nome della ‘contaminazione’? Vuol dire che ‘alto’ e ‘basso’ ritornano ma hanno come contenuto solo e soltanto il ‘mi piace/non mi piace’ (che è un altro modo più preciso per definire il concetto per cui conta solo la ‘qualità’)?
    Se, come sosteneva Beniamino Placido, ‘Beautiful’ dev’essere considerato con lo stesso rispetto dell’Odissea con cui tanto ha in comune perchè dovremmo storcere il naso a un paragone fra La Pupa e il Secchione e Plauto? Perchè Beautiful è meglio della Pupa e il Secchione? Ma davvero? Forse perchè le ‘intenzioni’ dell’Ercolani e di Mediaset sono ‘cattive’? Ma parecchi film di Alberto Sordi non erano discretamente turpi in termini di stereotipi?
    Se uno accetta i valori della cultura di massa allora non può fare tante distinzioni: conta quel che ha successo, ci piaccia o no. Altrimenti è solo ‘mi piace/non mi piace’. O se no guarda la cosa dall’altro lato e ci si ritrova con l’odiata definizione di cultura ‘alta’ e ‘bassa’.

  14. @sascha: il punto è che in televisione non ci sono alternative, per cui è molto difficile sviluppare lo sguardo critico che hai tu nel fare commistioni in maniera agile. Il linguaggio comunicativo della pupa e il secchione (che ricordiamolo – si rivolge a un pubblico ampio) se è volutamente basso per generare ironia lo dà molto poco a vedere (o forse alla maggioranza di noi mancano gli strumenti, il che comunque è equivalente nei risultati) ed è fortemente pervasivo nel promuovere stereotipi che si naturalizzano e sono la base, l’humus su cui si regge la nostra società e la definizione di una relazione tra i sessi che vada oltre l’umiliazione, il contrasto culturale o estetico. Hai perfettamente ragione nel dire che pupa e secchione e beatiful hanno molte cose in comune, però il secondo almeno si autodefinisce fiction il primo si proclama “reality”, rendendo il tutto ancora più subdolo perché auspica un legame con la realtà.
    la domanda è:
    le donne e gli uomini italiani sono DAVVERO così?
    A me non interessa che ci siano programmi come questo, vorrei che ci fossero ANCHE altri programmi. Ma le voci alternative sono ZITTITE

  15. @sasha: le commistioni tra alto e basso avvengono da sempre, da quando esiste qualcosa di definibile come “cultura”. La cosa può non piacerci oppure sì, ma è un dato di fatto incontrovertibile. Io non ho contestato il paragone tra “La Pupa e il Secchione” e Plauto per un – diciamo così – ritrovato snobismo, ma perché, come ho spiegato, le storie di Plauto hanno qualcosa in più che a un programma televisivo come quello manca. Contesto cioè l’accostamento in quanto tale. Faccio presente, tra l’altro, che ai suoi tempi Plauto faceva proprio cultura popolare, cioè teatro per il popolo, e soltanto in seguito è finito a farsi studiare nei Licei classici…
    Credere che la cultura pop (o di massa, come la definisci tu) contenga del buono, non significa essere indifferenzialisti. Il popular è un mare magnum, dove agiscono pulsioni basse e ferine, come pratiche e istanze interessanti. I capitali per altro non vengono investiti indistintamente in questo mare, ma in base a dove si immagina possa essere più alto il profitto. Culi, tette, botte, risse verbali, fenomeni da baraccone, tirano molto. Bene, lì investiamo. Questa tendenza finisce per informare di sé anche altri ambiti oltre a quello televisivo? Senz’altro. Ad esempio il giornalismo o quello del talk show politico (perfino D’Alema è stato contagiato!). Di solito proprio alla politica dovrebbe spettare il compito di bilanciare gli effetti della dura legge del mercato, mentre, almeno in Italia, avviene il contrario.
    Credo che sia del tutto venuta meno l’idea dell’esemplarità della narrazione e della rappresentazione. Esemplarità non come propaganda morale, ovviamente, ma come veicolazione di senso.

  16. Rivoglio pierino, banfi (quello d.o.c) edwige fenech e gimmi il fenomeno.
    Voglio le zinne nella doccia e il capufficio che in vacanza con la moglie rospa si contende la segretaria col figlio obeso e l’aitante impiegato.
    Quella era ironia? no, si chiamava Cinema Scorreggione.
    Si vedeva nelle sale insieme a varia umanità, in purezza tribale e senza ipocrisie.
    Gli attori lo facevano peccampà, erano professionisti della recitazione e in quanto tali conservavano la dignità di maschere, non sapremo mai se Bombolo tornato a casa leggeva Proust o i fumetti de “il tromba”.
    Se lo volevi te lo guardavi se no guardavi altro.
    La nostra egregia autrice spaccia la sua spazzatura per ironia, come faceva Ricci nella polemica con Nicola Lagioia citato da Francesca, ironia sulla donna oggetto. Cosa? Ma se l’oggetto ammiccante e libidico per eccellenza della tv è la velina!! chi vuoi prendere per il culo?
    L’autrice burattinaia parla perchè dal suo scranno è pacifico che si tratti di fiction, peccato che di qua dal tubo catodico ci arriva ‘reality’, è solo questo il problema.
    Bisogna rompere l’incanto e la truffa svelando il più possibile i retroscena della tv. Il mondo e le logiche degli autori. Siamo come i bifolchi di un tempo che facevano la fila davanti all’imbonitore che vendeva pozioni miracolose.
    Venghino siòòrii, venghino. e giù a bere cazzate.
    La tv è fiction che milioni di persone prendono per realtà. E le sue attrici facendo carriera sono i modelli nostri e dei nostri figli. Le cenerentole porche di oggi, porche perchè inseguono la carriera non di fare qualcosa, qualsiasi, ma di scalare la montagna di spazzatura per raggiungere il posto al sole.
    Queste carriere, il loro potere e quindi la forza dei modelli di successo sono moolto reali, e l’autrice lo sa, la tv per loro è un mezzo, e come vere e proprie attrici al limite della schizofrenia, vestono vari ruoli stabiliti per salire la catena alimentare della popolarità, che tutti vorrebbero ottenere:
    1. si parte dalla ragazza qualunque da reality che la fa annusare a tutti ma non si espone per non bruciarsi altre strade nel dopo reality, l’importante è farsi notare senza sputtanarsi. (avete fatto l’amore nel reality, state insieme? no siamo amici 🙂 , ovvero: non so ancora se questa cosa mi gioverà o no, che, so’ matta a impegnarmi se non so cosa passa il convento una volta uscita da quest’isola/casa/fattoria di merda?
    2. ci vuole visibilità, si gioca la carta fidanzamento illustre, calendario e gossip dei rotocalchi per prendere il cuore degli italiani, (diciamo si zoccoleggia)
    3. se arrivano si fanno tutti gli spot possibili e le serate
    4.se hai culo conduci un programmino popolare stile paperissima o roba pomeridiana rai o quello che ti lasciano le matrone in cima alla catena alimentare. e qui devi cominciare a zoccoleggiare meno apertamente perchè devi diventare una signora.
    5. ti sposi l’industriale, il dirigente il calciatore, il top manager di turno sei una signora e sei a posto. Basta poppe, solo per Gente e Chi quando te le rifai.
    6. se sei tosta tenti di far fuori l’ape regina di turno: defilippi, clerici ventura.
    se no pace, qualche spot e continui a vendere i cazzi tuoi ai rotocalchi.
    D.

  17. “La Ercolani chiama in causa Plauto e Alberto Sordi, dimenticando un piccolo particolare: quelle stereotipizzazioni offrivano poi anche una catarsi, un superamento, una scelta finale che coinvolgeva l’esistenza dei personaggi” (Wu Ming 4).
    E sì. Lo scioglimento delle commedie plautine, se ben ricordo, aveva uno schema ricorrente: il soldataccio, il lenone, il libertino erano puniti, gli amanti predestinati si rincontravano, gli equivoci si sbrogliavano, etc etc… insomma, a un iniziale rovesciamento dei valori P. faceva seguire un riassestamento degli stessi e ci riusciva eludendo ogni forma di moralismo stucchevole: spesso a riordinare la situazione è il personaggio più truffaldino del racconto, il servo scafato e amorale.

  18. per quello che ne so io è dalla sua nascita che si dibatte se la commedia sia specchio o modello. però, appunto, ‘commmedia’ che, alta o bassa che fosse, prevedeva una distanza dalla realtà e una sua messa in forma, di cui autori, attori e pubblico, anche il più sprovveduto, erano consapevoli.
    il ‘reality’ (non ‘fiction’: perché?) si propone come un calco della realtà, non una sua rappresentazione mediata (che poi tutte le rappresentazioni siano mediate è un altro conto e, semmai, nel caso, mi pare un aggravante), e prevede (impone) una fruizione non critica.
    ma queste considerazioni sono state già fatte.
    Più che come autrice di commedie, io vedo la signora Ercolani come personaggio da commedia, non so, magari ‘Tartufo’. Spero che l’accostamento a Moliére la gratifichi e sia di suo gradimento.

  19. Ciao Loredana, sono una delle promotrici dell’iniziativa “Io non ci sto” e bloggher di “un altro genere di comunicazione”.
    Grazie per l’articolo che ci hai dedicato.
    Purtroppo il rischio di non essere prese sul serio è dappertutto. La Ercolani, con il suo paragone alle commedie di Plauto e Sordi ci ha letteralmente prese per i fondelli, questo per me è significativo perchè secondo me riassume come la televisione gioca sui nostri cervelli, come ci lobotomizza come vuole nascondere l’evidenza. La televisione considera i telespettatori come una massa diindividui senza encefalo.
    Personalmente non ho mai visto la Pupa e il secchione, mi sono bastati solo alcuni spezzoni per capire che non solo il programma non ha nulla a che vedere con le commedie di plauto e Sordi ma è un programma di bassa lega che vende umiliando uomini e donne. Qualcuna ha detto perfino che era femminista!!!
    La cosa più triste è che il programma è finito tranquillo nonostante l’ondata di proteste, questo è il segno che c’è molto da fare purtroppo e noi ci impegneremo.
    Un abbraccio!

  20. Ah, aggiungo: la Pupa e il secchione è finita nella programmazione de LA5…
    Ma ci sono o ci fanno? Pensano davvero che sia un programma per donne o lo fanno per inculcarci meglio l’ennesimo modello di donna piacente cui aspirare? O c’è un’altra ragione che mi sfugge?

  21. Gentili amanti di libri di qualità,
    vorrei segnalarvi un libro bellissimo o meglio un opera elettronica di una nuova casa editrice che ho letto poco tempo fa. Si tratta dell’e-book ….pubblicato dalla geniale casa editrice …. Un e-book su cd rom contenuto in un packacing elegante e innovativo realizzato dalla stessa editrice ….. Per la prima volta in Italia un libro elettronico viene venduto nelle librerie tradizionali e non solo on line. Una vera rivoluzione ! Contiene i testi poetici di ottimi autori pugliesi accompagnati da splendide fotografie di paesaggi. Ve lo consiglio a tutti ! Un opera d’arte olre che letteraria. Date uno sguardo al sito …. Un caro saluto a tutti !

  22. Ho modificato il commento precedente rendendo irriconoscibile libro, editore, editrice, sito.
    Lo lascio come warning: in questo blog non si fa pubblicità nè viral marketing. Ovviamente, i prossimi commenti di questo tenore saranno cancellati e basta.

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