FORCE è un gruppo femminista che si batte contro lo stupro. Con vari mezzi: dalla sorta di hackeraggio delle pagine social di Victoria’s secret per vendere biancheria intima molto particolare (le mutandine con su scritto “No vuol dire no”, per esempio), al memorial temporaneo, ma efficacissimo, sul Washington Mall: una scritta fluttuante sull’acqua, con le parole I CAN’T FORGET WHAT HAPPENED BUT NO ONE ELSE REMEMBERS. La discussione, non solo fra donne, sulla necessità di avere o meno un monumento, sia pur effimero, contro la violenza, è tuttora aperta (e, mi sembra, approfondita e civile).
Ci sono altri esempi: nel 2010 l’amministrazione di Ciudad Juárez ha annunciato che avrebbe convocato gli artisti messicani per un monumento contro il femminicidio, poi inaugurato nell’agosto 2012. Nel 1992, un anno dopo la serie di morti femminili che aveva sconvolto Ottawa, viene realizzato un monumento deciso dalla WUAC e portato a termine in cooperazione con l’amministrazione comunale e l’Università delle donne. Nel 1997, un altro monumento, scelto da una giuria, viene inaugurato a Vancouver, in memoria delle donne uccise. La lista è lunga: cito solo, per quanto riguarda l’Italia, il concorso per gli studenti del liceo artistico di Piacenza per realizzare un’opera- simbolo contro la violenza sulle donne.
Ora, possiamo discutere quanto volete se un monumento sia o meno necessario. Credo che iniziative come quelle di Force siano – proprio per il loro carattere volutamente caduco – più forti. E credo, sempre a titolo personale, che assai più efficace sia il lavoro nelle scuole e il finanziamento dei centri antiviolenza. La carrellata di storie e memorial è finalizzata però alla ormai famigerata vicenda della statua di Ancona, peraltro presentata come “prima in Europa e forse nel mondo”.
Di “Violata”, opera di Floriano Ippoliti, si è discusso fino allo sfinimento in rete e sui giornali (locali, quasi sempre). Ieri sono state presentate le settecento firme della petizione che ne chiede la rimozione. Si è parlato, non solo sul web, della preesistenza della statua (col nome di “Donna con borsa”, visibile sul sito di Ippoliti), cui sarebbe stato rapidamente cambiato il nome e il valore simbolico. Si è parlato di tante cose, ci si è interrogati su chi abbia deciso di scegliere, senza concorso, quell’opera per rappresentare la violenza contro le donne (la Commissione pari opportunità, a quanto sembra, in concordanza e concorso con i nomi incisi sulla targa della statua: Regione Marche, Consiglio Regionale Assemblea Legislativa, Comune di Ancona, Corecom Marche, Camera di Commercio di Ancona, Anconambiente, famiglia Alberto Rossi, Comitati Snoq Marche, Fidapa Ancona Riviera del Conero, Inner Wheel Club di Ancona, Movimento Italiano Casalinghe Marche, Penelope donne nella pesca Ancona, Soroptimist International Ancona). Ci si è chiesti perché investire i 17.000 euro del budget della commissione in un’opera che era già stata (a quanto riferisce il Carlino) precedentemente rifiutata da Provincia, Comune e Regione e che, si ripete, esisteva già con altro nome e non certo con destinazione pubblica. Si sono fatte performance (come quella dell’accappatoio, bollata come gesto bigotto e contro l’arte libera). La risposta della presidente delle Pari Opportunità, Adriana Celestini, così come riportata dal Messaggero, è raggelante: “Quella statua non è un’ offesa alle donne perché quello che si è voluto leggere dai più è la cultura del rispetto. Chi ci vede altro è una persona che deve essere curata.”
Questo, a dispetto delle sfinenti spiegazioni sulla differenza fra opera scelta come simbolo pubblico e opera d’arte, sul fatto che non ci fosse stato un bando, sul fatto che tutto fosse stato fatto in fretta e furia, alla vigilia della campagna elettorale di Ancona, per incassare il telegramma di apprezzamento della presidente della Camera (che con ogni probabilità non ha visto la statua). Non so cosa accadrà, a firme consegnate. Ma credo che quella di Violata sia una brutta pagina, che dovrebbe dimostrare cosa avviene quando si piega un’emergenza reale, e la morte delle donne, a fini di visibilità partitica. Avviene che, assai tristemente, viene a cadere la fiducia di chi dovrebbe parlare a nome delle altre donne, e rappresentarle. Ed è l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno, oggi.
Pagina orribile, scritta da chi crede che io debba farmi curare, probabilmente. Cioè da chi “fa politica” in modo retorico e stantio.
Prima di entrare in terapia vorrei solo sottolineare che quella della statua con borsa, altro non è che la materializzazione dell’uso strumentale delle donne a fini elettorali. La convocazione dei 10 saggi cazzutissimi e il relegamento della questione violenza a problema secondario sono altrettante statue con borsa.
Che sia una bruttissima pagina sono tristemente d’accordo. Non ci giurerei sul fatto che la statua non sia stata vista. Sarei anche curiosa di sapere la salienza di quanto è differente, l’arte per tutti, dal simbolo collettivo – considerando che oltretutto, l’opera in questione è di rango infimo.
Tuttavia, mi sono chiesta quanto fosse opportuno richiederne la rimozione. Non so sono perplessa-