“Molti, dunque, sanno già
benissimo
come sarà il morto di Genova. Si prevede
la faccia, la pettinatura, l’abbigliamento,
il curriculum. Tutti conoscono già – e si ripetono –
l’età, i precedenti, le frasi, le canzoni,
le predilezioni, gli affetti, gli effetti,
e su che ritmo stava ballando in quel momento”
(Dal “rap” di Alberto Arbasino intitolato “Un morto a Genova”, giugno 2001)
Sì, Alberto Arbasino scrisse il rap prima della morte di Carlo Giuliani. Sì, c’era chi lo aspettava. O forse lo presentivamo tutti, senza dircelo. O forse invece no, non immaginavamo che ci si potesse spingere fino a quel punto. Di certo non ci aspettavamo la Diaz, né Bolzaneto.
Mi perdonerete, ma in questa settimana non riesco a scrivere d’altro. E certo che ce ne sarebbero di cose da scrivere, ma è come se non mi riuscissi a capacitare non solo dei fatti (pestare a sangue, farlo scorrere, quel sangue, da persone inermi, colte nel sonno) ma della prescrizione, del fatto che non sussiste, delle carriere. Ieri sera ho cercato in rete, di nuovo, per capire se qualcuno di quei poliziotti avesse parlato. Qualcuno ha parlato, per dire che lo avrebbe rifatto. Molti hanno taciuto. Ma appunto mi piacerebbe, per una volta, sedermi a un tavolo e ascoltare. Come ti sei sentito? Quando alzavi il manganello e lo abbassavi su schiene e denti, cosa provavi? Cosa provi oggi? Sei ancora convinto che fosse giusto, diosanto, giusto?
E tutto il resto, quel mantra, quella ripetizione, l’estintore-selasonocercata-sestavanoacasa. Dopo vent’anni.
In vent’anni la storia, come avviene fatalmente, si è avvolta in spire ed è balzata in avanti ed è tornata a riavvolgersi. E questo è banale, oltre che fatidico.
In vent’anni abbiamo scoperto, di nuovo, le parole “paura” e “guerra”. Che c’erano anche prima, ma erano coperte da altre. Forse potremmo scoprirle di nuovo, se avessimo la voglia, e la forza. Abbiamo scoperto la fragilità, ma non mi sembra che ci stia servendo, almeno ora.
In vent’anni ci sono state le Torri gemelle e l’America sotto attacco e l’Occidente sotto attacco e dove colpiranno ora. E anche Guantanamo. E anche la “Seconda guerra del Golfo”. E Lampedusa. E i naufragi. E rimandateli a casa. E tutto quel che ci viene ripetuto e che vediamo.
In vent’anni abbiamo avuto Wikipedia e l’iPod e l’iPad e l’iPhone e Alexa.Abbiamo avuto Facebook e Twitter, i blog e YouTube e la stampante 3D e i viaggi privati nello spazio.
In vent’anni abbiamo avuto la mappatura del genoma umano.
In vent’anni abbiamo avuto le foto a colori di Marte, lo tsunami nell’Oceano Indiano. Beslan. Tre papi. Il covid-19.
In vent’anni hai visto i tuoi figli diventare prima adolescenti e poi adulti, e questo ti è passato davanti agli occhi senza che te ne accorgessi, e ancora ti chiedi come sia stato possibile, perché ancora, da qualche parte, ci sono le loro biglie e i loro Roald Dahl e, in qualche cassetto inesplorato, una maglietta o un paio di calzoncini o un diario delle elementari.
In vent’anni, che sono un bel po’ di vita, ci sono quelli che non si sono mai presi la briga di andare a informarsi su Carlo Giuliani, e ancora razzolano per la rete dicendo che sì, se l’è cercata, e una zecca in meno. Eppure la possibilità di informarsi c’era e c’è.
Dopo vent’anni, invece di quel tristissimo rap di Arbasino, avrei voglia di cercare i poliziotti che non risponderanno e i dirigenti che svicoleranno nell’ombra. E non trovandoli, cercare almeno i cinquantanove cigni di Yeats, le creature di luce cantate in “The wild swans at Coole”. Forse non ne troverò cinquantanove, ma intanto, scivolando tra la bacheca della signora fitta di selfie e di “fuori di qui” e quella dell’ingegnere che scrive “estintore” dove gli capita, i cigni ci sono. Sono quelli che ci fanno leggere storie di vicinanza, di affetto, di pietà. Non è affatto una questione di bontà e tanto meno di buonismo. E’ preservare noi stessi. La parte viva di noi stessi. “I loro cuori non sono invecchiati”, dice Yeats dei suoi cigni. Questo bisogna pensare, dopo vent’anni. Credo.
Grazie, Loredana. E te lo dico in questo modo un po’ démodé del commento sul blog. Grazie
A te, caro Mario
dalla radio sono uscite le voci allora, da radio Popolare, e oggi, accompagnate dalla tua gentilezza… Non è finita la riflessione, e per fortuna c’è stato questo ventennale. Grazie. Nicoletta