Sentite. So che è difficilissimo realizzare un’immagine (un’immagine d’arte, in questo caso, che sia anche il simbolo di una campagna sociale e culturale). So che le critiche andrebbero forse risparmiate e occorrerebbe concentrarsi sul fine. Però. Anche alla luce di quanto scritto ieri e di quanto si va ripetendo da svariati mesi sull’immagine del maschile, io non sono convinta.
Su La Stampa di oggi si pubblicizza la performance che si svolgerà a Roma il 21 novembre, quattro giorni prima della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne (qui un intervento di Lea Melandri). In quell’occasione, gli artisti Gaspare Lombardo e Viola Di Massimo diffonderanno “Nel cielo di Roma il manifesto da loro creato, liberando il messaggio in uno spazio infinito, senza limiti né confini ideologici”.
L’immagine era già stata diffusa lo scorso anno. E’ sicuramente d’impatto. Però?
però è un bel corpo maschile, troppo bello e quel cervello in mezzo alle gambe si fa fatica a riconoscerlo per cervello, d’impatto sembra un masso, quasi finisce per rovesciare il messaggio; insomma è una immagine glamour, un po’ ammiccante
Lipperissima illuminami, perchè me lo devi di te che ci vedi dietro al però. Io non nascondo che secondo me il fine è completamente centrato il corpo ben scelto. Non è poi superpalestratissimo, e peloso nella norma. Un corpo più normale – sarebbe stato quasi troppo particolare.
E’ il glamour a cui faceva riferimento Ilse che mi lascia perplessa. E, sì, anche l’immagine del cervello-genitale. Penso che le cose siano più complesse di così: ma è anche vero che non faccio i conti con la necessità di essere d’impatto…
Certissimamente le cose sono parecchio più complesse di così.
Ma l’impatto non è in questo caso ostile alla elaborazione della complessità.
Faccio un esempio. Quando in psicoterapia si pensa a delle azioni terapeutiche, esse non corrispondono mai, a una spiegazione pedissequa di quanto sta accadendo da parte del terapeuta. In genere questa è l’idea che si fanno quelli che leggono libri di psicologia o psicoanalisi, ma non hanno la più vaga idea di cosa sia nella prassi. Perchè la spiegazione della complessità è un ottimo scudo per le difese, fa sembrare che si elabori chi sa che e invece rimane tutto sulla superfice della razio, Invece un buon gesto terapeutico è un sasso, un amo, che aggancia qualcosa legato a un complesso di esperienze dalle consapevoli alle più profonde. Il massimo è quando si riesce a fare questo a fine seduta, di modo che poi la persona colla coscienza e col sogno elabora questo punto nevralgico, toccato. Lo scopre lo rielabora se lo cura. Ecco io penso che questo manifesto sia capace di svolgere questa funzione. Che poi generi negli uomini una discussione che faccia dire loro, anzichè farlo dire a noi perchè è semplicistico ben venga, tutta salute. Tutta elaborazione. Faremo come certi dottori che fanno finta di cascare dalle nuvole e dicono: interessante!
Io sono già stato bastonato qui e altrove, quando ho detto che se per veicolare contenuti intelligenti ho da passare per il glamour, che glamour sia. Ma la cosa continua a sembrarmi sensata. Ovvio che la sensibilità individuale è tarata in modo differente a seconda di cultura, formazione, sensibilità e quindi. Però, questa immagine fa quel passo che è importante fare, interrompe il messaggio immediato (ma sarebbe più giusto dire pre-mediato, formattato) veicolato dal corpo nudo e mi impone di fermarmi a riflettere.
Mi piacerebbe ragionare sul perché oggi le cose funzionano così, per salto, logcia e interruzione anziché in alleanza e continuità tra bellezza, corpo e significato (il primo esempio che mi salta in mente è la Venere di Botticelli). Ma è compesso, non credo di farcela in un comment.
Potrebbe oggi Keats dire con la sua disarmante semplicità Bellezza è Verità e Verità è Bellezza? Penso alla chirurgia estetica, al volto plastico di Nicole Kidman (per dirne una) oggi e mi rispondo: no.
Il resto, è tutto da pensare.
Lippa, se devo essere sincera, pure io considero il manifesto azzeccato.
Per quelle/quelli secondo cui l’immagine funziona: cosa vi comunica? Quale messaggio? Cosa vi fa dire “funziona”?
Per quelle/quelli secondo cui non funziona: come articolereste una campagna (graficamente, intendo) di sensibilizzazione sulla violnza conro le donne?
P.S.: come sempre, lo chiedo NON per polemica, ma per capire.
@ Franco, io l’ho letta così:
Sono in una posizione meditativa, diciamo per semplificare: di riflessione e attenzione. Posizione non troppo atletica o ostentata (non c’è l’incrocio della posizione credo detta del loto nello yoga), ma che dice: sono fermo.
Mi prendo tra le mani la testa in un gesto di disperazione/riconoscimento di un errore, gesto abbastanza riconoscibile nella nostra cultura. Gesto che fanno anche i bambini, che vuol dire: ma dove ho la testa. Ovvero, è al suo posto? No, non lo è, perché non posso riconoscermi in una testa-senza-volto.
E dove ho la testa? Il cervello sta dove dovrebbe stare il pisello. E ragionare a cazzo non è un buon modo di ragionare. Se mi fermo perché ho perso la testa e la ritrovo dalle parti del pisello (qui la dinamica potrebbe essere molto più raffinata, dal cappucio sulla testa dei condannati all’impiccagione alla negazione dell’umanità/individualità allo sguardo impedito, ma nonsono cose a cui ho pensato immediatamente, non credo) oppure e nemmeno so che sta dalle parti del pisello, qualcosa non va…
Tutto questo a cosa è riferito? Alla giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Mettiamo la testa a posto.
Questione complessa quella del glamour. Se rendo patinata l’immagine di una violenza carnale, ho violentato anch’io la realtà, ne ho abusato, perché interpretandola in chiave glamour ho costruito un senso che in origine non aveva, e l’ho proposto a chi guarda come qualcosa di esteticamente avvincente. Siamo nel territorio della falsificazione.
Il trattamento di questa foto al contrario non forza, non costruisce attraverso l’estetica un senso “altro” rispetto a ciò che viene mostrato. E’ semplicemente una foto riuscita, perché mette in ombra ciò che distoglie l’attenzione per mettere in primo piano gli elementi chiave del messaggio. E’ graficamente essenziale, e questo può a volte rafforzare il messaggio se si sceglie il simbolismo invece del realismo.
Quello che non capisco bene però, pur occupandomi di pubblicità da un quarto di secolo (ma questo può spiegare molte cose, anche il calcare nelle sinapsi), è il messaggio. Quel “Basta” vorrebbe dire: “Basta ragionare con l’uccello”? Ho capito bene?
Eppure a me pare che il cervello in quella posizione in realtà dia fin dal primo sguardo un prezioso suggerimento. E suoni piuttosto come un invito a usare quell’area in associazione d’impresa col cervello. Ne deriva che la scritta “basta” posizionata lì, dia quasi fastidio. O non suoni coerente.
Per rispondere a Francesco Barilli.
Mi rialllaccio a quello che dice Paolo. La sensazione diffusa in merito alla violenza sulle donne, e in generale dinninnanzi a una serie di comportamenti che sono percepiti come prevaricanti, è che siano sempre dovuto alla non mediazione intellettuale di un impulso sessuale. In effetti è così. E’ per questo per esempio che le riviste mettono dei bei culi in copertina seduti su un grafico a torta per ricordare agli acquirenti che dentro c’è un servizio sulle sorti del PIL. Ovvero si pensa che le corde della borsa del compratore ce le abbia l’uccello e non il cervello – che sarebbe il destinatario reale di un articolo sull’economia italiana. Il manifesto rimanda a tutto questo.
Ma come dicevo prima, concordo con chi pensa che la questione sia molto più complessa, ma confido per le cose che ha detto PaoloS, nel fatto che questo possa essere un inizio per cui siano gli stessi destinatari poi a rielaborare la tematica. Diciamo che rende il destinatario più reattivo di un’altra campagna più soft.
posto che interpretare (verbalizzandola) l’arte visiva e’ un ossimoro, che l’impatto dev’essere a livello emotivo non razionale, io direi che il ‘glamour’, se vogliamo chiamare cosi’ la presenza di un corpo non brutto in figura, e’ anche piu’ d’impatto, perche’ e’ un monito non solo al brutto violentatore grasso e sudato, ma a colui che si identifica, anche a livello di aspirazione, con quel corpo, vedi che stiamo parlando di te, pensaci!
pensieri disordinati:
sì, mi piacciono e mi convincono abbastanza le cose che scrivete, però:
perché un uomo bello e nudo? da donna quella figura nuda mi piace, mi solletica dal punto di vista sessuale e così mi distoglie dalla realtà e cioè che dietro la violenza sulle donne c’è un sesso che non è più piacere ma è angoscia, violenza, sopraffazione, umiliazione, dolore;
per gli uomini invece (qui chiaramente faccio più fatica) potrebbe esserci una identificazione più facile, cioè l’uomo sulla foto è un violento, però è bello, però ispira una punta di simpatia, non è una figura disgustosa con la quale non voglio avere niente a che fare… boh
(ah, sì: la parola “basta” sulla panza, io non l’avevo nemmeno vista… che il messaggio “basta” sia viscerale, che venga dal profondo, dalla zona dell’equilibrio e che media tra i due poli/organi invertiti mi sembra che rafforzi la mia analisi di prima)
Riprendo Ilse sul corpo maschile nudo e bello: è un bello incompleto e interrotto. Per un maschio: preferiresti essere bello ma incompleto e interrotto (e angosciato) oppure… cosa ti manca per essere intero? E si torna alla testa che non hai al posto giusto).
Da parte femminile il messaggio è importantissimo, è quello su cui batte Concita De Gregorio dalla prima all’ultima pagina di Malamore. La violenza più preoccupante nasce in famiglia, e spesso germina da un amore andato a male. Ma lei lo dice meglio. Oppure, penso anche alla Cappucetto rosso di Angela Carter…
Di primo acchito, il dettaglio che mi ha colpito maggiormente è stato il cervello collocato nella zona genitale e il messaggio in tal senso è molto esplicito, arriva. Al contrario di ilse (ma ovviamente la sua percezione è del tutto legittima), io non ho trovato l’immagine del nudo glamour (non è il corpo palestrato/depilato di un “tronista”, per intenderci) e quindi il fisico maschile svestito non mi ha distratto dal messaggio/denuncia.
Concordo poi con l’interpretazione di Paolo S. per ciò che riguarda il gesto delle mani visto come “riconoscimento di un errore”.
In sintesi: mi sembra, tutto sommato, un’ immagine valida.
La nudità del modello mi trasmette una sensazione di umanità e vulnerabilità dell’uomo che forse c’entra poco con il messaggio (o, peggio, potrebbe essere considerata “giustificatoria”), ma è solo la prima impressione (che però forse in questo caso conta).
…non so bene come valutare questa fotografia, anche se la lettura di Paolo S mi sembra molto interessante.
I miei two cents sulla questione del glamour. A me questa foto non sembra affatto glamour. La luce fredda, la posa sconfortata e soprattutto il cappuccio nero da condannato mi comunicano disagio, paura. Secondo me è un bel pugno nello stomaco ( un piccolo ma tagliente ‘basta’ nello stomaco ).
Forse una provocazione, Uomo, non ti senti umiliato, sminuito dal comportamento bestiale di altri uomini che perdono la loro umanità – il loro volto – e sembrano agire guidati solo dal proprio istinto più basso – il cervello al posto del pene?
La prestanza fisica del modello forse agisce un po’ da rassicurazione, come a dire che porsi certi interrogativi non rende di certo meno uomini.
Naturalmente questo è solo quel che mi è venuto in mente, e forse non avrei letto l’immagine in questo modo se non avessi letto prima gli altri commenti. Avrei dovuto provare a intepretarla prima di leggere :’)
Anche io lo trovo un tentativo interessante. La foto non mi pare per niente glamour (il corpo è molto più da modello di artista che da modello di Dolce e Gabbana), e mi piace che si parli di violenza sulle donne mettendo in primo piano un uomo, tra l’altro un uomo con le mani sul capo e il volto oscurato, come le donne nelle immaginette morbose che illustrano di norma gli articoli sulla violenza. Non so se sia efficace al 100% ma, ripeto, apprezzo il tentativo.
Ma no!!!
Siamo condannati ad annegare negli stereotipi.
Vi ricordate l’immagine di Sigmund Schlomo Freud con il profilo della donna nuda in testa?
Sta roba mi fa lo stesso effetto.
Ringrazio chi ha risposto alla mia domanda.
Okay, sostanzialmente confermate quanto pensavo: per quelli/quelle secondo cui l’immagine funziona, funziona perché trasmette a livello emotivo un nesso logico sulla fonte primaria della violenza sulle donne. E questa fonte primaria sarebbe la mancanza di mediazione intellettuale rispetto all’impulso sessuale. (Sia chiaro: riconosco che TUTTI/E dite che la cosa è più complessa, NON sto accusando nessuno di generalizzazioni; però possiamo dire che, a vostro avviso, il fatto che molti uomini “ragionano con l’uccello” è il problema principale, seppure all’interno di un coacervo di condizioni che concorrono al fenomeno “violenza sulle donne”).
Ciò premesso, io non sono d’accordo. O, per meglio dire, temo che la realtà non sia SOLO più complessa, ma persino peggiore.
In questo Paese si parla spesso di emergenze, al plurale e con ondate mediatiche persino difficili da seguire. Io credo che di emergenza ne esista una sola, enorme, che in un gioco di scatole cinesi ne contiene altre mille: l’emergenza diritti. Immigrati, carcerati, donne, precari, gay (un elenco parziale e volutamente casuale) si scontrano ogni giorni con la faccia e con il braccio, sempre più duri, del potere (occhio: stavolta sto usando quel termine in modo molto meno novecentesco di quanto ho fatto in precedenza nell’altro topic, e soprattutto in un modo che prescinde dall’identificazione del “potere” con “l’autorità costituita”).
Intendiamoci: è pacifico che esiste un vulnus nel rapporto fra i maschi e la propria sessualità. E’ pacifico pure che, riguardo la violenza sulle donne, quel vulnus sia stato in passato la causa principale e oggi sia un elemento importante.
Il punto è che siamo arrivati a una società che, per come è costituita, non si limita semplicemente a produrre ingiustizia ed esclusione, ma E’ BASATA su ingiustizia e meccanismi di esclusione e sopraffazione, altrimenti non sopravvive. Arrivare, emergere, ottenere successo, assumere una posizione predominante sono ormai paradigmi esistenziali: ci sono momenti, nella storia, in cui purtroppo passano i disvalori. La società semina un raccolto amaro: morti e violenza sono i suoi frutti.
Faccio un esempio che secondo alcuni non c’entrerà molto, ma che vi prego di seguire. Perché è stato pestato Stefano Cucchi? Per molti motivi (sarebbe banalizzante e persino irrispettoso per la vittima e la sua famiglia tentare di sintetizzarli tutti), ma ce n’è uno che mi sento di indicare come principale. Chi l’ha massacrato l’ha fatto perché sentiva di poterlo fare; perché riteneva che il potere di cui è depositario lo autorizzava ad esercitare la propria autorità al di fuori di qualsiasi limite e di qualsiasi controllo; perché non ritiene che il sistema di tutele e diritti sia qualcosa di “universale”, ma – al contrario – ritiene che tutele e diritti non spettino a tutti.
Credo che chiunque abbia vissuto un’esperienza come paziente in ospedale abbia sperimentato sulla propria pelle lo “squilibrio di potere” riscontrabile tra il degente e lo staff medico: è un paradosso, lo so benissimo, ma se elevato di potenza può farci capire la situazione di un detenuto in un carcere, e se elevato a metafora può farci capire la condizione che si crea in qualsiasi “microsocietà” (può essere anche una famiglia) quando le sue condizioni di esistenza vengono vissute solo ed esclusivamente come “rapporti di forza”.
VORREI CHIUDERE CON UNA PRECISAZIONE. Superficialmente, il mio intervento potrebbe apparire limitato, “giustificazionista” o “benaltrista”. In realtà io – almeno credo – sto formulando un’accusa contro l’universo maschile persino PIU’ ESPLICITA e radicale. Ossia: guardate che il manifesto comunica “anche” la disperazione per un errore commesso (alcuni hanno notato le mani sulla testa). Questo è fuorviante, anche se può essere vero in certi casi (l’uomo che “non voleva”, “non si rendeva conto”, “non lo farebbe se solo ci pensasse”, “dopo ha persino pianto e sembrava pentito” ecc). In realtà spesso dietro la violenza sulle donne non c’è nessun “errore”, perché quella violenza viene esercitata per scelta consapevole, in molti casi: l’ennesimo frutto marcio di una società malata che ha sdoganato la violenza, che ha da tempo dimenticato (ridicolizzato?) concetti quali solidarietà o comprensione, per enfatizzare una realizzazione individuale che, secondo una perversa scala di valori, può passare anche attraverso la sopraffazione fra esseri umani.
Giuro che non spammo più giuro questo è l’ultimo commento almeeeeeeeeeno fino a stasera:).
Non è Francesco che io non sia d’accordo con te – sono completamente d’accordo con te. No completamente no, sono per un 60 per cento ecco d’accordo con te. Ma ho un problema e il mio problema si chiama prassi. Ora la prassi implica che o mi metto a fare la rivoluzione e per altro mi assicuro che questa rivoluzione ha successo – cosa di cui per il momento sono scettica, non sono manco riuscita a fare, quando ho tentato, uno sciopero di categoria – oppure il numero di persone che si attaccheranno al cazzo sarà esagerato – come al momento è esagerato.
In mancanza di una rivoluzione esiste una sede per tutte le cose: una per le analisi globali e una per le attività mirate. Le attività globali puzzano di buono ma lasciano i più troppo freddi oltre che fondarsi per statuto su competenze piuttosto annacquate: perchè è difficile essere simultaneamente competenti con la stessa profondità necessaria, di psicologia dinamica e organizzazione dell’apparato giudiziario, o di geologia, o di oncologia.
Un messaggio che impatta su più argomenti insieme, fa sicuramente buono nel generale, ma alla fine alle questioni particolari da Cucchi, allo stupro condonato, per non parlare del numero imbarazzante di malati di cancro in puglia per le scariche di diossina, e quante ne potremmo aggiungere? noi facciamo i messaggi carini, ma nel frattempo ne sono morti troppi.
Speriamo che mi sono spiegata.
Mi taccio e vado a produrre qualcosa di sensato.
Idea per la controlocandina.
Immagine divisa in due.
A sinistra.
Sullo sfondo, fungo atomico. In primo piano, una montagna di armi. Spade, spadoni, daghe, scudi, elmi, lance, mitraglie, bazooka. Poi lui. Il Maschio.
Completamente nudo. Senza un piede. E per questo leggermente reclinato in avanti. Completamente coperto di sangue, ferite, cicatrici. Tipo Gatsu in Berserk. La sua testa di evidente forma fallica. La sua ghigna ancora inferocita. Bava alla bocca.
Con una mano, armata tipo Freddy Krueger, cerca di attaccare lei, nell’ultimo disperato gesto di violenza.
A destra.
La Donna. Con una divisa gialla, tanto per citare Quentin. Piena di bende, cerotti, fasciature, occhio pesto. Ma dignitosa, eretta.
Con una mano blocca energicamente quella di lui. Con l’altra, gli porge un oggetto gelatinoso, che evidentemente è un cervello.
Didascalia.
“Per San Giorgio, Per San Galvano, io ti nomino Essere Umano”.
sottoscrivo Francesco. La nudità suggerisce (oltre alla vulnerabilità) anche una sorta di “naturalità” giustificatoria della violenza.
La violenza sulle donne (e tutte le violenze che si possono esercitare perché tanto non se ne dovrà dare conto) è solo una delle violenze scaturite dal fascismo latente della società italiana di oggi.
Faccio una piccola integrazione al mio intervento per renderlo più chiaro:
Concordo poi con l’interpretazione di Paolo S. per ciò che riguarda il gesto delle mani visto come “riconoscimento di un errore”, gesto che associato alla parola “basta” risulta essere un invito a non reiterare il comportamento violento: tale aspetto però l’ho elaborato in un secondo momento.
Al primo sguardo, ripeto, ciò che mi ha colpito con forza è stato l’abbinamento cervello/genitali e questo ha a che fare con quella “necessità di impatto” a cui si riferiva Loredana.
L’ho vista stamane mentre compravo i giornali, e non ho capito subito, perchè il cervello mi è sembrato semplicemente un sasso. Anche il cappuccio… Forse il cappuccio poteva essere un punto interrogativo (dove hai il cervello?). Poi qui ho capito :-))
In definitiva l’immagine mi piace, ma mi chiedo quanti la capiranno a prima vista, senza ragionarci sopra troppo, e soprattutto quanti dei destinatari che l’immagine vuole rappresentare…
Mi infastidisce. Semplificazione estrema e in quanto tale sbagliata: “uomochepensacolcazzo (coincide con) uomoviolentosulledonne”. Il fenomeno che voglio combattere traslato, e invisibile nell’immagine se non con un salto associativo. In un discorso parallelo allè pubblicità con donna discinta per catturare attenzione e sollecitare il sistema limbico.
Una vera “furbata” contradditoria: uso un’immagine che ti fa “pensare colcazzo-conlafiga” (con la parte di cervello che gestisce la libido) e al contempo stigmatizzo la sovrapposizione di questa attività mentale con gli impulsi violenti e con il loro risultati sociali.
Scusate la crudezza del linguaggio, ma quando ci vuole ci vuole.
Non sono un esperto di comunicazione e non so argomentare sui perché della mia reazione. Però la prima cosa che ho pensato vedendo l’immagine è stata: non aiuterà la causa delle donne.
Ripeto: non saprei spiegare perché, ma la mia impressione è stata questa. E credo che corrisponda con il “Però” di Lipperini.
Sarò tonta, ma io ho capito che quel “coso” era un cervello solo dopo aver letto i commenti… mi sembrava un sasso e non capivo cosa c’entrasse! Poi il “cappuccio” in testa e la nudità mi hanno fatto venire in mente quei prigionieri iracheni torturati “per gioco” da soldati americani ad Abu Ghraib e ho scambiato il tipo della foto per una vittima lapidata… Conto sul fatto che la gente normale abbia associazioni d’idee più efficaci 😉 Comunque, per quanto azzeccato possa essere un manifesto, non credo che nella pratica conti molto.
Minchia, che figo! Mi farei violentare da uno così!
(è una battuta acida, la mia, che esprime un apprezzamento. Negativo)
Possiamo lasciar fare la pubblicità ai pubblicitari per favore?
Un messaggio per essere chiaro deve essere sì d’impatto, ma non si deve prestare a interpretazioni.
Non ci devono essere più punti di lettura, ma ce ne deve essere uno solo ed estremamente chiaro.
Se la gente deve fare ipotesi per capire che cosa sto raffigurando, sto facendo qualcosa di sbagliato.
L’arte può permettersi fraintendimenti, la pubblicità no.
Quindi se questo messaggio è un messaggio pubblicitario è una gran cavolata.
E da pubblicitaria che da 13 anni fa questo mestiere, e che da altrettanti lotta perché si faccia un giusto e degno uso del potere della pubblicità, dico che io questo manifesto non l’avrei mai approvato.
Mi spiace per quelli che l’hanno pensato e realizzato, anche a fin di bene.
Ma perché tutti pensano che sia così facile fare comunicazione?
Il fine non giustifica nè il mezzo, nè il messaggio.
Spiacente.
@Valentina Maran:“Possiamo lasciar fare la pubblicità ai pubblicitari per favore?”
Scusa, ma perché dovremmo essere dei destinatari passivi?
Allora non sono l’unica ad aver travisato il messaggio in prima battuta (vedi Ilaria), e mi chiedo di nuovo se la distanza fra chi ha elaborato il messaggio e i destinatari non sia un fatto grave, e non dimostri che il livello intellettuale degli ideatori si colloca a una distanza siderale da chi guarda e dovrebbe capire, avere un sussulto, porsi un problema. L’immagine è comunque sofisticata, forse sarebbe meglio elaborarne un altra ad uso e consumo dei meno intellettuali ? (brrr…)
Valentina, e altri, c’e’ da dire che non so se questa sia una pubblicita’, non in senso stretto. E’ un lavoro di un artista (se segui il link di loredana), che mostreranno per Roma in occasione della campagna. Secondo il link, e’ parte di un gruppo di quattro opere (non so se dello stesso artista) che rappresentano, cito dal sito:
Un Manifesto per il dolore
Un Manifesto per la vergogna.
Un Manifesto per lo sconforto.
Un Manifesto per denuncia.
Fra l’altro dal sito ci sono altre opere della serie (non fatte per la campagna, credo, visto che sono datate anni diversi) in cui compare lo stesso cervello.
saltabeccando fra i blogs:
http://comunicazionedigenere.wordpress.com/2009/11/17/anche-le-campagne-contro-la-violenza-sulle-donne-sono-stereotipate/
Sono d’accordo con Valentina, anche se mi pare molto difficile pensare e realizzare una campagna pubblicitaria contro la violenza sulle donne.
Come suggerisce supermambanana, consideriamo quel manifesto dunque come un’opera d’arte.
E allora mi viene da dire, con tutto quello che s’è detto in questo giorni sulla forza della parola, che un’opera d’arte o, comunque, uno sguardo d’artista potrebbe essere più efficace di una pubblicità.
In effetti, ora le mie impressioni sono molto viziate dall’aver letto, anche se frettolosamente, tutti i commenti precedenti.
Però la cosa che ho notato subito è che per la prima volta si mette su un manifesto contro la violenza sulla donna il corpo di un uomo. Ce ne è voluto di tempo, ma ci si è arrivati.
La seconda cosa è che quel corpo mi ha provocato empatia e non rabbia. Anche a me ha ricordato le vittime di Abu Graib e mi ha dato l’impressione di un grande smarrimento.
La terza cosa è che più che sulla violenza sessuale, il manifesto mi pare un invito agli uomini a riflettere sulla loro sessualità e su se stessi, uscire fuori dalle ipersemplificazioni di genere e cominciare a pensare seriamente a cervello, emozioni, sesso, relazione e a come sono intrecciate tra loro.
E forse questa della riflessione, e non dell’impatto, potrebbe essere una strada, non lo so, ripeto: sono solo impressioni.
Hei, supermambanana! Sono immagini bellissime! Un buon link, veramente.
Grazie Supermambanana per aver chiarito quello che mi sono chiesta anch’io fin qua. E’ molto diverso leggere questa immagine a seconda che sia (o voglia diventare) immagine di una campagna o un’opera parte di una serie in cui un artista dà la sua lettura di ciò che per lui è un uomo violento sulle donne. Secondo me il ‘però’ è dato dall’ambiguità della cosa: se quest’opera d’arte viene usata come ‘manifesto’ e quindi diventa campagna, non riesco a capire chi è il target di questa campagna. Si parla agli uomini violenti? Si parla alle donne vittime di violenza? Si parla genericamente all’opinione pubblica ribadendo che un uomo che ha il cervello nei pantaloni perde la propria identità? (Posto che di questi tempi il ricordarlo potrebbe non suonare superfluo). Come donna, ricevo un’immagine molto poco dalla parte delle donne: so benissimo dove ha il cervello un uomo violento, e so benissimo che spiegarglielo non serve. Servirebbe farmi vedere come ne posso uscire. Tuttavia, se l’immagine fa parte di un percorso espressivo, allora è limitativo giudicarla in modo isolato, e dunque mi fermo qui.
Ecco un’immagine che fa inorridire per la violenza usata contro le donne:
http://www.who.int/gender/documents/en/PosterviolEnglish2407.jpg
Il focus è sul dolore delle donne, e non sul pisello degli uomini. Please.
A me non piace, istintivamente. Perché nudo? lo dico anche quando vedo la pubblicità di una donna. Perché utilizzare le stesse categorie?
No, davvero non convince neanche me.
Elisabetta
Secondo me ci sarebbe da riflettere anche su tutti questi interrogativi sulla nudità. Comincio a sentirmi a disagio. Perché nudo? E perché non nudo? Un corpo vestito è meno mercificato? Adesso neanche un artista può più usare un corpo nudo? Non si starà facendo di tutta l’erba un fascio? Non staremo acquisendo delle sfumature controriformistiche (dove per riforma si intende, per esempio, la liberazione sessuale)?
Sì, sono d’accordo con Fata, è rischioso applicare meccanicamente certe categorie.
E’ veramente brutto.
Per Anna Luisa:
Non ho detto che si debba essere destinatari passivi, anzi.
Quello che non va bene è che “artisti” o comunicatori non esperti si mettano a fare cartelloni pubblicitari per sensibilizzare il pubblico sulla questione della violenza sulle donne.
Quello della pubblicità è un lavoro con delle regole precise.
Se non le si rispettano salta fuori il casino che vedo qui sopra.
E’ un’opera d’arte? Beh, è brutta. E secondo me ha toppato in entrambi i casi.
Per essere un manifesto, è un manifesto fatto male che comunica male.
Ci sono centinaia di campagne pubblicitarie bellissime ed estremamente efficaci sull’argomento “violenza sessuale”
a questo link ne trovi un po’.
http://www.ibelieveinadv.com/index.php?s=violence+
@ Valentina Maran:beh, messa giù così in calce a tutti i commenti, la tua frase mi era parsa una critica alle variegate interpretazioni esposte dai frequentatori del blog. Ecco il perché del mio commento.
Valentina io posso concordare sul fatto che quando una pubblicità è ben fatta il messaggio deve arrivare forte e chiaro. Ma che un qualsiasi segno, pubblicitario o meno non possa essere soggetto a più di una interpretazione mi pare un po’ illusorio.
Finalmente un’immagine che va oltre la retorica rappresentazione della vittima e la banalità espressa da sempre dai soliti pubblicitari, grandi comunicatori dell’ovvietà. Da uomo mi fa riflettere sull’essere “uomo”
Ho guardato l’immagine e ho sorriso. Ho sorriso perché molto infantilmente ho pensato: “ah-ha, l’uomo che pensa con l’uccello..”. La mia prima reazione è stata questa, e non credo si leghi bene, un sorriso, con l’idea di violenza..
Non sono un’esperta di comunicazione, ma mi pare che il giochetto della ‘presa in giro’ (maschio, in questo caso, che pensa con l’uccello o, ad esempio, in un contesto altro, ridicolizzare Berlusconi, ecc.) in Italia venga abusato e rischi di dare un messaggio fuorviante quando non, nel peggiore dei casi, contrario. Forse oggi sono di un pessimismo inconsolabile, ma mi pare che ormai siamo a un punto, in Italia, dove il riso sardonico non possa più avere l’effetto rivoluzionario, rovesciante e proficuo che dovrebbe avere… non in una società in cui ormai anche gli orrori più atroci, sbattuti bianco su nero in prima pagina e all’ordine del giorno, continuano a lasciare, in definitiva, indifferenti, anestetizzati, ‘immemori’. Sono comunque d’accordo con l’idea che ci sia l’uomo come soggetto della foto e non la solita donna-vittima, almeno. Ma forse sarebbe stato il caso di associare il maschio più a un’idea di ferocia, di bestialità, come è di fatto in casi di violenza, invece che di attesa passiva – quasi vittima con quel cappuccio in testa – come nella locandina. Non so.. forse sarebbe stata un’associazione scontata, ma credo l’avrei avvertita più ‘vera’, in un certo senso..
Mai titolo di thread fu più azzeccato.
Ho visto le foto proposte da Valentina e mi chiedo: ma siamo sicuri che proporre l’immagine della donna come vittima sia un modo di sensibilizzare il pubblico sulla questione della violenza sulle donne?
D’accordo, uno degli aspetti della questione è: il fenomeno esiste ed è in molta parte sommerso, prendiamone atto e facciamolo uscire alla luce del sole.
Questo è un primo passo, la campagna agisce a pioggia sul pubblico: toh, guarda, che cosa orribile è violentare una donna!
Certo è un inizio, ma io non sono affatto sicura che oltre all’eventuale orrore provato e archiviato nel ripostiglio del cervello in cui mettiamo tutti gli orrori a cui siamo esposti mediaticamente, faccia fare un passo avanti nella comprensione del fenomeno.
Oltre tutto nello stupratore c’è molto spesso una volontà di sopraffazione e umiliazione, che vedere il risultato del suo operato (la vittima) messo ben in evidenza su un manifesto non credo lo potrebbe turbare più di tanto.
Perchè, in effetti, chi è il target cui si rivolgono queste campagne? Il pubblico nella sua generalità, le donne, gli uomini (tutti potenziali stupratori?), gli stupratori veri e propri… chi?
Ecco, per cui spostare il focus non sullo stupratore (che sia ‘un mostro’ lo sappiamo), ma sulla sessualità maschile, sul modo di essere maschi, cosa che mi sembra voglia fare quel manifesto, mi pare molto opportuno.
@Valeria:”Ecco, per cui spostare il focus non sullo stupratore (che sia ‘un mostro’ lo sappiamo), ma sulla sessualità maschile, sul modo di essere maschi, cosa che mi sembra voglia fare quel manifesto, mi pare molto opportuno.”
SonoPerfettamente d’accordo con te.
@Valeria:”Ecco, per cui spostare il focus non sullo stupratore (che sia ‘un mostro’ lo sappiamo), ma sulla sessualità maschile, sul modo di essere maschi, cosa che mi sembra voglia fare quel manifesto, mi pare molto opportuno.”
Valeria, sono d’accordo con te.
Il mio sguardo si è soffermato soprattutto sulle mani, la loro posizione sulla testa, hanno fatto venire anche a me subito in mente lo squallore delle immagini dei detenuti di Abu Ghraib, condivido il ragionamento di Valeria.
E’ giusto e azzeccato incentrare la rappresentazione sulla sessualità maschile, però come è stato già detto in vari post, qui il focus rischia di essere avvicinato alla vittimizzazione. La nudità, il cappuccio e soprattutto le mani in testa non evidenziano la brutalità ma la fragilità, la sofferenza, lo smarrimento. E di conseguenza, la scritta “basta” sul ventre può apparire anche ambigua.
Sembra ovvio che il manifesto sia prevalentemente rivolto agli uomini, ma sul fatto che riesca a raggiungere il proprio scopo, ossia la rielaborazione dei nessi che alcuni hanno sottolineato qui tra violenza, auto-umiliazione, perdita di identità, rimango perplessa. Però almeno il tentativo c’è.