Posto qui i versi di Lello Voce apparsi qualche giorno fa su L’Unità, dal titolo “Carlo Giuliani ragazzo”.
Ps. Qui in terra sabauda non riesco ad essere molto presente in rete: ma stamattina ho avuto modo di leggere come si sono sviluppati i commenti a questo post. Non auspico il bis. State sempre bene.
A Carlo e Haidi, con affetto infinitinissimo
È ormai passato un lustro eppure mi sembra ieri
che correvo stringendo limoni
tra Brignole e la Foce, tra colpi secchi e fumi neri,
tra elicotteri e blindati, manganelli e fasci mascherati
da black blok, tra Tolemaide e Alimonda, senza neanche
una fionda, fuggendo a perdifiato, come un perseguitato,
mentre le grida combattevano gli idranti, mentre i gas
tossivano pianti polmonari, mentre il vostro mondo
di celerini e commissari si vendicava dei nostri sogni,
mentre i nostri sogni diventavano, vostro malgrado,
i vostri stessi bisogni e voi ci chiudevate l’ultima via di
fuga, mentre dalla jeep usciva la pistola, spargeva terrore,
poi quel ragazzo che per proteggerci ha afferrato l’estintore.
Banale prosa di rare assonanze. Non poesia.
PinOcchio, guarda che gli inviti alla correttezza valgono anche sotto altro nick, sai?
Ciao Lippa!
grazie dell’ospitalità.
purtroppo il format blog fa saltare la versificazione.
la versione ‘impaginata’ è qui
http://www.lellovoce.it/article.php3?id_article
=409
Lucignolo, PinOcchio, QuelloCheSa, Signora Lipperini, sempre è PinOcchio.
La correttezza è che il testo è quel che è, per il giudizio già espresso.
Fa la poliziotta come al G8? Speriamo di no: da lei sarebbe grave, tradimento di molte delle sue idee. Eppure così va il mondo.
Questa secondo me è cattiva letteratura anche se con le più belle intenzioni di questo mondo.
Non funziona questa poesia, e nemmeno quella pubblicata su NI2.0 da Raimo.
L’ho detto nell’altro post, per me il modello è Gomorra, senza incursioni di fiction a depotenziare il testo. Va bene la congettura, ma non la fiction.
Posso dissentire sul fatto che il testo possa essere considerato una poesia?
A mio modesto parere è scritta talmente male dall’apparire quasi ridicola e ridicolizzare la tragicità che la morte violenta, sempre, si porta appresso.
Ma faccio altro e non sono sicuramente esperto di letteratura.
Buona giornata. Trespolo.
Saviano, veramente, anche nelle interviste e nelle presentazioni rivendica il ruolo di quelle che tu chiami “incursioni di fiction” e che lui chiama “delirio del narratore”. Vedasi anche gli mp3 postati su Carmilla. Ma che te lo dico a fare? Tu hai già la tua posizione:
SAVIANO = CARLA BENEDETTI DICE CHE E’ BUONO, QUINDI E’ BUONO
TUTTI GLI ALTRI = OPINIONE DI CARLA BENEDETTI NEGATIVA O NON PERVENUTA, PERCIO’ CATTIVI FINO A PROVA CONTRARIA
Tra l’altro, dove starebbe la “fiction” in questa poesia di Voce, boh.
@ Trespolo: se la morte tragica non fosse stata quella di un “comunista”, dubito avresti espresso opinioni “letterarie”. Buffo come non si abbia il coraggio di dire a voce alta: “Se l’è cercata, ben gli sta” ma si giri intorno alla questione fingendo una neutralità che non c’è.
Il giudizio è solo sulla poesia: non la si può dire poesia perché non lo è.
Seppur con buone intenzioni, con tutte le buone intenzioni di questo mondo, il testo si distingue soltanto per la sua bruttezza.
pinOcchio risponde a nome di Trespolo? Uhm…
Barbieri
va bene tutto, anche gli insulti dei soliti noti, ma che c’entra Gomorra con la poesia? e chi ti ha mai detto che questa poesia sia un intervento ‘politico’ tra fiction e faction?
davvero non si sa se tu sia più farisaico o gesuitico…
peggio per te
lv
trespolino… chi si rivede
io può darsi scriva brutte poesie, ma non ridicolizzo nulla, credimi. qui l’unica cosa ridicola è il tuo ridicolissimo nick. Pappagallo mio
lv
@tu uovo etc…, ribadisco: la poesia (a mio modesto parere) è brutta, quasi ridicola. Se poi ci leggi altro, in quello che ho scritto, beh, direi che può capitare
@Lello, quanto astio per un Cognome. Mi consola una cosa: il tuo è ridicolo almeno tanto quanto il mio e per di più questa poesia (?), nonostante il tuo basso sarcasmo, rimane brutta.
Buona giornata. Trespolo.
La poesia di Raimo su NI ha altre intenzioni ed altro esito.
Complessivamente è molto più riuscita.
Ad ambedue manca un centro solido, un nucleo concettuale/emozionale, capace di dare senso e perché ai versi.
Ma Raimo ci va molto più vicino e ha una tesi.
Voce mi sembra non ce l’abbia e risulta fenomenico, senza evocare.
Raimo non prende le distanze non dice noi sogniamo e voi poliziotti vi vendicate su di noi dei nostri sogni, Raimo sa che puoi essere (diventare) sia Placanica che Giuliani, che non esiste una pre-destinazione genetica, né una vera separazione.
Se ho capito bene, per Raimo occorre prima di tutto riconoscersi in entrambi.
Aderisco in pieno questa visione, perché è l’unica davvero “politica”.
I versi di Voce sono forse adatti, un po’ ripuliti, per comporre una targa commemorativa de sinistra.
Per dire.
a
“Bisogna riconoscersi in entrambi”, alla luce di quel che emerge su quella vicenda e su come la si è insabbiata, è poco più di una fesseria cerchiobottista. Non perché ci siano le forze del male contro quelle del bene, ma perché da un lato c’è un manifestante trucidato in quella che ha tutta la parvenza di una trappola, cosa ingiustificabile sotto ogni punto di vista, e dall’altra ci sono forze dell’ordine che hanno agito nella più conclamata illegalità e incostituzionalità, e per anni si sono comportate in maniera omertosa, fabbricando prove per coprire la faccenda. Dire che in questo frangente si poteva capitare indifferentemente da una parte oppure dall’altra è una boutade qualunquistica.
mio caro Tash! ma allora ci siete proprio tutti! Che piacere! Grazie infinite per avermi rassicurato sul fatto che io ( e quelli come me) nemmeno volendo potrebbero diventare come Placanica e compagnia (brutta e CCIR)
un ossequio
lv
“io ( e quelli come me) nemmeno volendo potrebbero diventare come Placanica e compagnia”.
e invece è proprio su questo che occorre riflettere, lello.
al di là del giudizio sui tuoi versi (il mio lascia il tempo che trova), affermo che per poter anche solo sperare di ridare senso al non-essere poliziotti, occorre riconoscere che è solo il caso che ce ne tiene separati e non, come sembri credere, una qualche virtù o coscienza intrinseca et originaria.
la sinistra può ripartire solo dal non essere, convenzionalmente, de sinistra.
Lello, ho fatto, ho provato a fare un ragionamento (questo continua quello che dicevo nel post su carlo Giuliani). Non ti ho mai insultato, sei tu che hai insultato me, sotto, però come vedi non ti ho seguito.
Secondo me Gomorra c’entra, ma non con la tua poesia, ma con quello che mi immaginerei, però lo ripeto, a patto che non ci sia fiction, anzi diciamo in italiano va’: finzione.
Ripeto un conto è la congettura un conto è la finzione.
Per me nella tua poesia si sente molto la tesi, quasi che fosse una trasposizione. Ma ti ripeto, rispetto la tua passione e l’impegno che ci metti.
Quindi chiunque di noi, anche di sinistra, poteva essere un torturatore a Bolzaneto, quella notte. Interessante ragionamento. Domanda: a cosa serve? Perché se non serve a giustificare la violenza di stato, davvero non se ne capisce la funzione.
@bleah
Comunque la si voglia leggere, la poesia di Raimo si occupa anche di Placanica.
Sulla quarta di copertina del breviario Bompiani dedicato a Marx (so che Marx non si porta più e le conseguenze si vedono bene) c’è la seguente citazione: “Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza” Marx, 1859.
Concordo con la tua visione (de sinistra) per quanto riguarda la percezione, corrente e peraltro corretta, dei fatti di Genova come di una trappola crudele, probabilmente predisposta con cura.
Non è di questo che sto parlando, sto parlando degli opposti destini di Placanica e Giuliani, sto parlando di qualcosa sulla quale, ai miei occhi, può valere la pena di scrivere versi.
La nostra coscienza si adatta, di solito, a quello che siamo e non il contrario.
La coscienza di Placanica e Giuliani si era adattata al loro essere sociale e li aveva condotti in quel punto, quel giorno, agiti da un gioco molto più grande di loro, nei rispettivi ruoli di vittima e carnefice.
Resta in gran parte oscuro, per quanto se ne possano intravedere gli agenti e i motivi, quale fosse il gioco e chi lo stesse giocando.
Fine.
Con questo, però, non credo che Marx intendesse assolvere nessuno. Il fatto che la coscienza sia plasmata dalla società non vuol dire che nessuno ha colpe o responsabilità, e Carletto Marx aveva ben chiaro da che parte rimanere.
L’essere sociale ha plasmato la coscienza di Fini e Ascierto e li ha condotti, quel giorno, nella cabina di comando della repressione. Questo che significa, che “è colpa della società”? Evidentemente no. L’iper-determinismo porta a non riconoscere più torti e ragioni. Ma visto che parliamo di poesia, io dico che non è per forza migliore poesia quella che sta nel mezzo.
La fiction potenzia.
L’idea che sta alla base della poesia di Raimo serve eccome. Serve a creare un ordine del discorso secondo cui espellere dall’ambito legittimo qualsiasi discorso in cui una persona afferma che una parte è meglio dell’altra (e il relativo corollario: che la merda non è dappertutto o perlomeno non con la stessa concentrazione). L’unica parte legittimata a parlare è quella che afferma la merda è ovunque ugualmente (e il relativo corollario: siamo tutti (non)buoni uguale).
Questa idea ha un’efficacia operativa immediata. Quando su NI2.0 Montanari fece un sacrosanto e intelligente sfogo contro il giocatore di calcio che salutava romanamente la sua curva, scattarono le reprimende, i “si vergogni” moralizzanti. Addirittura venne fuori che Raimo portò in una classe di scrittura creativa il testo di Montanari per additarlo ai futuri scrittori come esempio di negazione del compito della letteratura.
Ah, l’ordine del discorso si fonda su una pseudo evidenza psicologica: chi dice non tutto è merda odierebbe l’altra parte.
Ovviamnete questo è vero solo in alcuni casi e forse anche molto limitati, ma ugualmente si estende la cosa a tutt9i, appunto perché lo scopo è ingabbiare le possibilità di ragionamento.
Una volta ingabbiate, delegittimato il pensiero critico, chi merda lo è per davvero ha il campo libero.
A volte – non sempre, ma spesso -, cara Lipperini, mi chiedo chi te lo faccia fare di sopportare commenti meschini, scambi autoreferenziali, inutili polemiche, sfoghi di invidie che non dovrebbero avere niente a che fare con lo spazio pubblico in quanto tale. (I tuoi post restano molto belli e “composti”, comunque, mai noiosi – dove è la noia il vero reato contro questo pubblico spazio di scrittura.)
A volte mi chiedo perché dio abbia creato i pecettari che candidi come tigri vivono per regalare l’unica parola che conoscono, quella nera della censura.
Basta non credere che Scarpa abbia sempre ragione su ogni argomento, e si diventa subito “censori”…
Non voglio entrare nel merito delle solite diatribe ripetute sino alla nausea quì e in altri blog. Mi soffermo su qualche meccanismo allucinante che mi sta dando da pensare e mi piace pochissimo in letteratura e in generale. Per chi ha vissuto una certa stagione politica viene spontaneo pensare a certi gruppi che si scannavano tra loro facendosi pulci politiche articolate su sofisticate spaccature di peli. Non solo chi ce l’aveva più duro, ma chi scriveva la cosa nei termini in cui andava scritta, nell’ortodossia in cui andava contemplata e via sciorinando. Oltre a leggere le cnosiderazioni sugli interventi di lello e dei wu ho letto anche la recensione del libro ‘ il broglio’ fatta da Scarpa sul ‘primo amore’ e direi che le logiche si somigliano. Sono quasi uguali e mi fanno tristezza entrambe. La poesia di Lello non sembra (o non è) un Capolavoro? il testo dei wu ha qualche parola che viene considerata imprecisa? il libro il broglio non è anche lui un Capolavoro (e poi e un thriller) e non figura bene nello scaffale della perfetta letteratura? bene, la risposta che mi viene spontanea è: chi se ne frega.
Chi se ne frega se questi scritti non sono tutti delle novelle Gomorre (Saviano, tu non c’entri ho stima sia di te che del tuo libro)il novello archetipo cui tutti devono fare riferimento e copiare (ma non era la logica dei gialli e dei fantascienzi?) anche se oltre una certa aprossimazione non si andrà (Saviano non farti inculare come nuovo Dio letterario, fossi in te preferirei rinunciare all’altare e restare un uomo libero, anche di scrivere cose meno importanti di gomorra, di pisciare fuori dai vasini o fare una umanissima villeggiatura).
Il mio chi se ne frega non è un invito a fregarsene della forma o altro, no, a me della formalità (è questo che diventa spesso la forma, nel tentativo di diventare un brutto emulo/sostituto della ‘sostanza’) difronte alla denuncia , al contenuto, al coraggio di dire e di fare non potrebbe fregare di meno. Sono così poche e flebili le voci che si levano a protestare, descrivere, spiegare che quando le vedo comparire all’orizzonte (anche con tutti i loro limiti) mi sembra quasi un miracolo e la prima cosa che viene spontanea non è dire: hai scritto delle cose verissime e utilissime però sei un noir oppure: siete tra i pochi a denunciare una notte nera della Repubblica, però quello lì portava i pantaloni a scacchi o avrei preferito un endecasillabo sciolto (che non so che forma anni, ma affiora dai ricordi scolastici).
Solo dopo aver debitamente ringraziato mi sento in grado (se ne ho voglia e se lo ritengo opportuno) di muovere appunti a qualsiasi forma che trovo farraginosa o ridondante. Ma se anche queste voci preferissero nelle loro opere future tenersi tutti quelli che per me sono limiti (e che nel tempo potrebbero diventare anche pregi) sarei comunque contenta del fatto che esistono e che Parlano e dicono cose che gli appollaiati nelle cattedre universitare tralasciano per dedicare energie a un aggettivo o alla modalità di un verbo.
Vista la premessa posso dire che quello che ha scritto Lello (chiamatelo poesia o Esculapio o sofonisba, o quel che vi pare) mi ha colpito e che anche sulla forma non ho niente da ridire, idem per ciò che scrivono i wu, per ‘broglio’ sono talmente felice che sia stato scritto che la forma mi va bene comunque.
Posso andare a dormire serena.
besos
Ps: ma se in giro c’è della gente tanto brava a dare lezioni e a dire (in fondo è questo che si arriva a comunicare): io sarei stato capace di farlo e lo avrei fatto meglio, perchè (costoro )non li vediamo impegnati a produrre Capolavori?
Non ricordo bene la frase di Bruno Munari, ma il senso era più o meno questo:
non date retta a chi dice che quello che avete creato è semplicissimo e sarebbe stato in grado di farlo anche lui. Se fosse stato in grado di farlo l’avrebbe fatto.
scusate:
che non so che forma anni
diventa:
che non so che forma abbia
Spettatrice, stai seguendo la miniserie “Iooooo e Borges” sul mio blog? Barbieri ne è estasiato:- )
Guarda Spettatrice che Munari ha criticato costantemente la cultura nel modo più radicale possibile con testi opere performance (quando gli altri facevano l’arte politica realizzò la performance Vedere l’aria in cui buttava da una torre forme diverse di carta per mostrare le diverse traiettorie in relazione alla forma…). Pensa che ha smesso di fare l’artista, non spinto da un’assurda teoria per cui l’artista non esiste/è la collettività, ma per dedicarsi molto somplicemente e in modo rivoluzionario a trasmettere metodi e curiosità ai bambini. Gente così combatte sempre, da gran rompicoglioni, pensaci quando gli fai i complimenti citandolo, perché non penso che sia del tutto il tuo tipo. O forse sì e non lo sai..
E secondo te cosa significa “trasmettere metodi e curiosità ai bambini”? Significa, appunto, ritenere che tutta la collettività è potenzialmente dotata dal punto di vista artistico, estetico, creativo, e impegnarsi per fare emergere queste potenzialità. Un lavoro pedagogico ed educativo al quale avrebbero diritto tutti i bambini (e pure gli adulti), un lavoro che è sempre utile contro certi “innatismi” di ritorno e certi culti del genio e del grande artista. Insomma, Barbieri, mi sembra che Munari non sia del tutto il TUO tipo. Se sempre più soggetti diventano – fin da piccolini – artisti, dove va a finire il Primato di Scarpa e Moresco? E se tutti creano, come fa la Benedetti a seguire quel che succede?
Bel post, quello di Spettatrice.
Se tutti fossero ricchi e nessuno povero, chi lavorerebbe più? Le merci finirebbero presto e lo sfacelo collettivo sarebbe assicurato:-/
Caro “non è inutile…” ho combattutto tutta la vita per l’individualità e la diversità. Volevo persino alberi di specie diversa lungo i viali… Ogni attimo della mia vita lo dimostra, ogni opera, ogni pensiero. Ti prego, non rendermi un precursore di quei cinque ragazzotti bolognesi boriosi e maldestri: i nomi propri addirittura li personalizzavo inventando una grafia diversa per ognuno.
Quello che ho fatto per le scuole era destinato a formare l’individuo, non certo il soggetto seriale col numero accanto.
Nessuno ti obbliga ad apprezzare il mio lavoro, ma almeno non ne parlare per farlo diventare qualcos’altro da quello che è.
Domanda: Lei crede che la cultura orientale possa rappresentare ancora oggi un punto di riferimento per la nostra civiltà? Si può immaginare un viaggio ‘inverso’, muovendo da oriente verso occidente?
Munari: Oggi più che mai, ci sentiamo cittadini del mondo. Non si tratta più di imporre la civiltà occidentale all’oriente e viceversa, ma di fondere le due culture in una. Questo è quello che i giapponesi stanno facendo. Loro da mille anni hanno il senso della collettività mentre noi siamo ancora individualisti. Un individuo vale per quello che dà alla collettività e non per quello che prende. Una squadra sportiva fatta di indivualisti, dove ognuno vuol fare quello che vuole (per paura di perdere la propria personalità) non vincerebbe mai.
… comincia a farsi strada nella mente della gente che la collettività è più importante dell’individuo, che l’individuo vale per quello che dà alla collettività e non per quello che prende. Che gli individui muoiono ma la collettività sarà sempre presente finché ci saranno gli individui.
E’ la collettività che conserva e tramanda la tradizione intesa come somma delle esperienze, in tutti i campi, utili a tutti. Somma che va continuamente aggiornata, modificata, arricchita di valori oggettivi, con apporti personali degli individui, proprio perché non resti una cosa morta.
Scriveva Bruno Munari nel 1992.
e per finire:
Una persona creativa prende e dà continuamente cultura alla comunità, cresce con la comunità. Una persona non creativa è spesso un individualista ostinato nell’opporre le proprie idee a quelle degli altri individualisti.
E’ più giusto occuparsi dei problemi sociali, più che dei problemi individuali. I problemi sociali riguardano la collettività, la quale è qualcosa che è sempre esistito e che esisterà sempre finché ci saranno individui.
La crescita culturale della collettività dipende da noi come individui, dipende da quello che diamo alla collettività. Noi siamo la collettività.
tratto da Fantasia di Bruno Munari – Universale Laterza
besos
Lucio, dopo avere cercato di ricordare allo spirito di Munari con la Barba quello che lui diceva da vivo e non quello che vogliono fargli dire da morto mi permetto di dirti che, sì, sto seguendo i tuoi divertimenti su cazzeggiletterari. Sei sulla strada di …Munari, ma ancora con un pizzico di individualismo. Quanto sano non so, magari è il caso di chiederlo a quell’altro individualista di Garufi. Però, confermo, queste continue contaminazioni su web ci stanno rendendo un pò meno individualisti e più empatici a dispetto dell’età, visto che neanche il buon Munari si illudeva che noi adulti fossimo in grado di uscire dal bieco individualismo acquisito. Per i bambini invece c’è speranza, soprattutto se non leggono certe diatribe moooolto individualiste su blog 🙂
Chiaro che sto scherzando (ultimamente un sacco di gente mi prende troppo sul serio, voi no, per fortuna) e che il mio è un momento di bassa ironia, se stiamo quì a parlarci da limitati individualisti è vero che esponiamo i limiti, ma anche l’umano bisogno di comunicare e di essere, appunto, in qualche modo (e a dispetto di tante ambiguità o incazzature), collettività. Peccato che questo fatto di non essere bambini, pronti a prendere la piega collettiva, ci guasti la festa 🙂
besos
Spettatrice. Garufi ha scritto un pezzo IRRESISTIBILE nei commenti al post “Statistiche di giugno” in Nazione Indiana.
L’ha scritto lui come INDIVIDUO. L’ha messo a nostra disposizione gratuitamente. Poi, magari, a livello personale se la tira un po’ perché in gioventù ha avuto un contatto ravvicinato del Terzo Tipo con Jorge Borges, ma a noi che ‘cce frega. L’importante è che il suo pezzo ci diverta e ci intrattenga, no?
Errata corrige: “Statistiche primaverili” (del 18 luglio)
Lucio,
l’essere INDIVIDUO non esclude l’essere collettività, basta non esagerare e avere un bel rapporto interattivo. Che diamine,è proprio vero che se nascevi giapponese non dovevo spiegarti queste cose 🙂
Vado a leggere con animo Collettivo pur essendo la mia apparentemente identità individuale. Non scherzo, questa cosa la rivendico, ho un io multiplo e lo trovo simpatico soprattutto quando non mi scassa troppo i maroni e si relaziona col mondo 😛
baci
Cascate malissimo, sono un munariano da anni, e da munariano sono mortificato nel vedere stravolto il suo pensiero da cinque dementi.
Gli esempi che citate danno la dimensione di qualcosa di fondamentale per Munari: il senso di appartenere alla collettività civile. Verso questa collettività dobbiamo impegnarci tutti, educarci a rispettare il prossimo, rispettare le leggi quando sono giuste.
Questa collettività è formata da individui, non è il partito comunista cinese che commina la pena di morte a chi azzarda sentirsi individuo. Negli esempi che fate tutto ciò si capisce benissimo – ma a qualcuno interessa dire balle in conto terzi.
Ora veniamo alla dimensione dell’educazione, fondamentale per far crescere l’individuo, per “curare il suo se”, per fare in modo che possa contribuire secondo le proprie capacità alla società civile (“l’individuo è importante per quello che dà non per quello che prende”).
In un testo fondamentale pubblicato da Einaudi, “Il castello dei bambini a Tokyo”, Munari ci parla dell’educazione, della sua base, il famoso “metodo Munari”, ascoltiamolo:
“Siamo così arrivati al Castello dei Bambini il cui indirizzo è: 5-53-I Jingu-mae, Shibuya-ku, Tokyo 150; tredici piani sopra la terra e quattro sotto terra.
Questo edificio, che può accogliere anche cinquemila visitatori contemporaneamente è certamente il luogo più avanzato nel mondo dove i bambini di ogni nazionalità possono sviluppare la propria personalità secondo le tendenze individuali.
Ci sono laboratori di ogni tipo: dai giochi infantili all’elettronica, dalla pittura alla musica, dall’atletica al canto, e poi piscina, teatro, giochi all’aperto sulle terrazze, dalla bambola al computer.
E’ un luogo dove i bambini possono passare intere giornate giocando da un laboratorio all’altro e imparando allegramente molte attività utili allo sviluppo individuale.”
Vi rinnovo l’appello precedente: non è obbligatorio parlare di cose che non si capiscono e non si amano e non si conoscono. Parlate di altro, dei vostri eroi americani, ma non continuate con questo atteggiamento pietoso nel cercare di infinocchiare la gente.
Spettatrice (e Munari) 3 – Barbieri (e Scarpa) 0.
Già che ci siete dopo la puttanata sull’educazione, potreste sostenere che il vostro Munari-remix scrisse:
“Un popolo civile / vive / in mezzo al suo artigianato”.
Orpobacco, da quando in qua spettatrice fa parte dei Wu Ming? 😀
Non conosco molto Bruno Munari, ma credo non avrebbe apprezzato per niente questo comportamento: farsi scudo del suo nome e delle sue esperienze per insultare anonimamente persone assenti, in un dibattito di vigliacchi e di fantasmi.
Ai cinque bolognesi fischieranno le orecchie tutti i giorni, a furia di essere tirati in ballo gratuitamente anche quando e dove non c’entrano. Il nostro anonimo li presenta come fautori dell’omologazione modello Partito Comunista Cinese, loro che sono per la moltiplicazione delle differenze e hanno scelto come marchio di fabbrica la firma dei dissidenti al regime di Pechino 🙂 Comunque è una vera ossessione, questa dei WM! Non mi pare abbiano mai citato Munari, e cercando “Munari” sul loro sito non viene fuori niente, però frasi come “il senso di appartenere alla collettività civile. Verso questa collettività dobbiamo impegnarci tutti, educarci a rispettare il prossimo, rispettare le leggi quando sono giuste” e “l’individuo è importante per quello che dà non per quello che prende” credo le sottoscriverebbero senz’altro, anche perché ne hanno dette e scritte di molto simili, e qui basta usare i motori di ricerca (sì, ditemelo pure: sono fissato!)
Cercando “educare”, “educazione” o “educativo” sul sito dei WM esce un’intervista in cui dicono:
“Raccontare ha sempre un valore educativo (o dis-educativo, dipende dai punti di vista: ciò che è considerato educativo da un antirazzista è il massimo della dis-educazione concepibile da un razzista, etc.), noi tutti educhiamo o dis-educhiamo noi stessi ventiquattr’ore su ventiquattro per mezzo di storie, storie raccontate in treno, al bar, a scuola, di fronte al distributore di caffè dell’ufficio, sugli spalti di uno stadio, all’oratorio. La nostra vita non sarebbe vita senza le storie, gli aneddoti, i pettegolezzi, le barzellette, i ricordi, le favole e tutto ciò che ci raccontiamo l’un l’altro. Raccontare è l’atto sociale primario e primordiale.”
http://www.wumingfoundation.com/italiano/outtakes/interviste_fine2004.htm
Cercando “individuo” o “individui” esce un’intervista in cui dicono:
“la moltitudine è una cosa ben diversa dalla massa e dal popolo. La massa era quella che ascoltava Mussolini o che partecipava alle celebrazioni nella Piazza Rossa, la moltitudine è un insieme di singoli, più caotico. E’ diverso anche dal concetto di popolo che solitamente è legato alla nazione. La moltitudine è anche una connessione di soggettività, resta quindi fondamentale l’attivazione degli individui”
http://www.wumingfoundation.com/italiano/54/sabatosera_54.html
Nella stessa pagina di presentazione di chi sono e cosa fanno, la prima cosa che scrivono è:
“Al centro di un tessuto sociale sbrindellato, qui e là scaldato appena dal fuoco freddo d’un conflitto acefalo, insistiamo a scommettere su una dinamica comunitaria, sull’incontro e lo stare insieme, sull’opus collettivo e connettivo, sull’assunzione di responsabilità di fronte alla repubblica dei lettori, sulla comunicazione – per quanto possibile – orizzontale e il continuo rendere conto di ogni nostra scelta.”
http://www.wumingfoundation.com/italiano/biografia.htm
Infine, cercando la parola “comunità”, tra le tantissime cose che escono c’è un’intervista dove dicono:
“L’essere umano non potrebbe nemmeno esistere senza la vita associata, senza l’aiuto dei suoi simili, a cominciare dal primo cerchio concentrico, la coppia bimbo-madre. L’essere umano, al contrario di altri mammiferi, nasce senza pelliccia, con la vista offuscata e totalmente incapace di ambulare. Se non ci fosse la famiglia ad aiutarlo, sostentarlo e farlo crescere, non sopravviverebbe un giorno. L’essere umano è “animale sociale”, come diceva quel tale. “Letteratura sociale” è dunque una tautologia: non esiste nulla di non-sociale.
Certo, esiste una letteratura del narcisismo autoriale, dell’egocentrismo espressivo, dell’autocontemplazione, del disgusto per le relazioni con altri umani… Ma anche quella è letteratura sociale: è la letteratura di chi preferirebbe non riconoscere alcunché ai suoi simili e non dover dare un contributo alla comunità intorno. C’è addirittura chi crede che questa sia LA letteratura. Credano quel che vogliono, noi abbiamo un altro approccio.”
http://www.wumingfoundation.com/italiano/outtakes/interviste_terre_e_censura.htm
Ho scoperto che non è un anonimo, è sempre il solito Barbieri, che col suo nome e cognome fa il moralista contro anonimi e troll, poi da anonimo e troll insulta e impesta i blog. Ma che gusto ci prova? Fossi nella Lipperini mi incazzerei per l’ipocrisia prima ancora che per il disturbo arrecato. Le cose che ha scritto qui anonimamente le aveva scritte anche altrove, firmandosi. Google è uno strumento prezioso, basta digitare Munari + “Andrea Barbieri”.
Un esempio: questa discussione sulla copertina di “Perceber” di Colombati, dove Barbieri cita lo stesso libro, “Il castello dei bambini a Tokyo”. Su tanti altri blog ha citato le “macchine inutili” di Munari, e qui si è firmato “macchina inutile”. Ecc. ecc.
Barbieri è tardi, sono stanca, assonnata
Comunque
a me non va di trattarti male, ma che tu mi confonda coi WU mi da fastidio e non perchè non abbia buoni rapporti con loro, ma perchè loro sono maschi e io NO e ci tengo a restare nella mia metà del cielo.
Ho inviato IO (chiedi a LL la verifica degli iP), non i WM le parole di Munari, pensi che non sia in grado? o pensi che a un munariano non ‘gliela si fa’ (cosa, poi, visto che sono aliena alla società dei furbi a cui Munari oppone la società delle persone responsabili collettivamente e individualmente) e che per citarlo o per meditarci sopra bisogna per forza avere un patentino?
Quelle parole sono sue e non parlano solo di segnali stradali o di bon ton, ma anche di strumenti conoscitivi che sono fatti propri e tramandati dalla collettività e dell’importanza del collettivo rispetto al singolo. Ho il diritto di estrapolare dalle parole di Munari degli stimoli che credo siano utili? non so tu, ma io credo che sia quello che si fa abitualmente. Nè tu nè io abbiamo la verità in tasca e ognuno di noi legge Munari senza confonderlo con la stele di Rosetta sicuramente, ma su piani e livelli diversi di comprensione e lettura, come normalmente accade. Aggiungo, a partire dal mio punto di vista mediocrissimo (che non intendo far coincidere con quello dei WU e neanche copincollare a quello di Munari) che si fa torto a chi pensa che ‘la collettività è potenzialmente dotata dal punto di vista artistico, estetico, creativo’ supponendo che questo significhi omologazione e mancanza di invidualità. Non lo sosteneva Munari che insegnava a tutti, indistintamente, e non solo a ricchi a geni o presunti tali, non lo sostiene chi oggi pensa che la sua attività pedagogica e creativa abbia il senso di risvegliare un potenziale socialmente/collettivamente presente. Da quì all’appiattimento delle personalità c’è un abisso e per riempirlo ci vuole una buona dose di miopia o di malafede. Siamo una entità collettiva e come tale cresciamo, ma siamo anche individui e l’interazione procede, se non forzata da valori di estrema competizione e da artificiosi obiettivi di ‘alto’/’basso’, anche in armonia e senza arrecare danno all’individuo e quindi alla collettività. Infatti è il contributo diverso di ciascuno che permette la crescita e lo sviluppo di nuove forme e idee individuali e collettive. Dove sta il problema? a quelli che pensano che al mondo ci devono per forza essere degli idoli irragiungibili e ‘modelli’ a me viene da rinfacciare la loro società immaginata (e , purtroppo, realizzata) che comprende una selezione Darwiniana con risultati di masse
ignoranti, ignorate e rese mandria e nuclei di privilegiati dei saperi (di
qualunque tipo). Trovo che chi ha simili idee della società sia a un passo dalle caste e dalle intoccabili aristocrazie. Questo mondo va in quella direzione. Immaginare noi stessi e quindi anche la collettività in termini di collaborazione e crescita condivisa (non omologata e omologante, ma condivisa come strumenti e possibilità) creativa, estetica e artistica comporta un agire diverso e, in prospettiva, un mondo e relazioni meno piramidali e saperi diffusi e riacquistati (riconquistati). Munari per fare quello che faceva: insegnare metodi e creatività era mosso da un sentire (razionale, razionalizzato o inconscio, poco importa) di questo tipo, se si fosse considerato modello irragiungibile e Maestro di pochi eletti non avrebbe seguito la strada che ha seguito. Che quindi lo spirito si acquieti, niente viene contestato a Munari (che egli
lo abbia fatto con le migliori o peggiori intenzioni) anzi viene reso omaggio
a questa sua sensibilità sociale e a quella che mi piace considerare come la
sua migliore intuizione e pratica. Barbieri perdona, dico ciò senza
nulla levare alle macchine inutili, alle sculture da viaggio, al design, agli oggetti
d’uso comune da lui creati ecc. Resta il fatto che per me i bambini del
laboratorio di ceramica sono le sue opere migliori e quando lanciano in aria
la pizza di fango argilloso e gridano danno delle emozioni che neanche le
Gioconde, con o senza baffi.
Besos
ps: un appunto:
quando scrivi
non è obbligatorio parlare di cose che non si capiscono e non si amano e non si conoscono.
posso sorvolare e condividere il ‘non si amano’ (anche se si può amare in modi e intensità e ‘lucidità’ diverse) e il conoscono (si può aver letto o praticato poco o anche nulla), ma il ‘capiscono’ proprio non mi va giù. Vedi Barbieri dare del tarato (questo per me significa ‘non capire’) lo trovo veramente eccessivo soprattutto quando usato per mettere un’ipotetica museruola a una persona che magari cerca solo di dare una versione di ciò che, leggendo, lo ha interessato e colpito. Nell’insieme quelle tre paroline cercano di intimidire l’interlucutore che dovrebbe zittirsi per manifesta inferiorità rispetto al munariano doc. Se tu sei tra quelli che dovrebbero, causa le loro competenze, illuminare il mio cammino di povera ignorante ti faccio presente che non solo preferisco la mia sana ignoranza, ma che continuerò ad attingere le mie informazioni alla fonte e a usare, per capire, quel poco cervello che ho. Mi spiace non poter condividere l’arroganza intellettuale che traspare da un simile atteggiamento, soprattutto non mi va di essere oggetto di tale arroganza.
Barbieri è tardi, sono stanca, assonnata
Comunque
a me non va di trattarti male, ma che tu mi confonda coi WU mi da fastidio e non perchè non abbia buoni rapporti con loro, ma perchè loro sono maschi e io NO e ci tengo a restare nella mia metà del cielo.
Ho inviato IO (chiedi a LL la verifica degli iP), non i WM le parole di Munari, pensi che non sia in grado? o pensi che a un munariano non ‘gliela si fa’ (cosa, poi, visto che sono aliena alla società dei furbi a cui Munari oppone la società delle persone responsabili collettivamente e individualmente) e che per citarlo o per meditarci sopra bisogna per forza avere un patentino?
Quelle parole sono sue e non parlano solo di segnali stradali o di bon ton, ma anche di strumenti conoscitivi che sono fatti propri e tramandati dalla collettività e dell’importanza del collettivo rispetto al singolo. Ho il diritto di estrapolare dalle parole di Munari degli stimoli che credo siano utili? non so tu, ma io credo che sia quello che si fa abitualmente. Nè tu nè io abbiamo la verità in tasca e ognuno di noi legge Munari senza confonderlo con la stele di Rosetta sicuramente, ma su piani e livelli diversi di comprensione e lettura, come normalmente accade. Aggiungo, a partire dal mio punto di vista mediocrissimo (che non intendo far coincidere con quello dei WU e neanche copincollare a quello di Munari) che si fa torto a chi pensa che ‘la collettività è potenzialmente dotata dal punto di vista artistico, estetico, creativo’ supponendo che questo significhi omologazione e mancanza di invidualità. Non lo sosteneva Munari che insegnava a tutti, indistintamente, e non solo a ricchi a geni o presunti tali, non lo sostiene chi oggi pensa che la sua attività pedagogica e creativa abbia il senso di risvegliare un potenziale socialmente/collettivamente presente. Da quì all’appiattimento delle personalità c’è un abisso e per riempirlo ci vuole una buona dose di miopia o di malafede. Siamo una entità collettiva e come tale cresciamo, ma siamo anche individui e l’interazione procede, se non forzata da valori di estrema competizione e da artificiosi obiettivi di ‘alto’/’basso’, anche in armonia e senza arrecare danno all’individuo e quindi alla collettività. Infatti è il contributo diverso di ciascuno che permette la crescita e lo sviluppo di nuove forme e idee individuali e collettive. Dove sta il problema? a quelli che pensano che al mondo ci devono per forza essere degli idoli irragiungibili e ‘modelli’ a me viene da rinfacciare la loro società immaginata (e , purtroppo, realizzata) che comprende una selezione Darwiniana con risultati di masse
ignoranti, ignorate e rese mandria e nuclei di privilegiati dei saperi (di
qualunque tipo). Trovo che chi ha simili idee della società sia a un passo dalle caste e dalle intoccabili aristocrazie. Questo mondo va in quella direzione. Immaginare noi stessi e quindi anche la collettività in termini di collaborazione e crescita condivisa (non omologata e omologante, ma condivisa come strumenti e possibilità) creativa, estetica e artistica comporta un agire diverso e, in prospettiva, un mondo e relazioni meno piramidali e saperi diffusi e riacquistati (riconquistati). Munari per fare quello che faceva: insegnare metodi e creatività era mosso da un sentire (razionale, razionalizzato o inconscio, poco importa) di questo tipo, se si fosse considerato modello irragiungibile e Maestro di pochi eletti non avrebbe seguito la strada che ha seguito. Che quindi lo spirito si acquieti, niente viene contestato a Munari (che egli
lo abbia fatto con le migliori o peggiori intenzioni) anzi viene reso omaggio
a questa sua sensibilità sociale e a quella che mi piace considerare come la
sua migliore intuizione e pratica. Barbieri perdona, dico ciò senza
nulla levare alle macchine inutili, alle sculture da viaggio, al design, agli oggetti
d’uso comune da lui creati ecc. Resta il fatto che per me i bambini del
laboratorio di ceramica sono le sue opere migliori e quando lanciano in aria
la pizza di fango argilloso e gridano danno delle emozioni che neanche le
Gioconde, con o senza baffi.
Besos
ps: un appunto:
quando scrivi
non è obbligatorio parlare di cose che non si capiscono e non si amano e non si conoscono.
posso sorvolare e condividere il ‘non si amano’ (anche se si può amare in modi e intensità e ‘lucidità’ diverse) e il conoscono (si può aver letto o praticato poco o anche nulla), ma il ‘capiscono’ proprio non mi va giù. Vedi Barbieri dare del tarato (questo per me significa ‘non capire’) lo trovo veramente eccessivo soprattutto quando usato per mettere un’ipotetica museruola a una persona che magari cerca solo di dare una versione di ciò che, leggendo, lo ha interessato e colpito. Nell’insieme quelle tre paroline cercano di intimidire l’interlucutore che dovrebbe zittirsi per manifesta inferiorità rispetto al munariano doc. Se tu sei tra quelli che dovrebbero, causa le loro competenze, illuminare il mio cammino di povera ignorante ti faccio presente che non solo preferisco la mia sana ignoranza, ma che continuerò ad attingere le mie informazioni alla fonte e a usare, per capire, quel poco cervello che ho. Mi spiace non poter condividere l’arroganza intellettuale che traspare da un simile atteggiamento, soprattutto non mi va di essere oggetto di tale arroganza.