Da qualche giorno ho voglia di fare tre domande a Tiziano Scarpa sulla questione beejay, che sta per book-jockey. Scrive Tiziano, su Nazione Indiana: “Nessuno, credo, si sognerebbe di dire che Linus o Albertino sono musicologi, né critici musicali. Loro per primi, ne sono convinto, rifiuterebbero queste qualifiche. Le considererebbero indebite, esagerate. Linus e Albertino sono due deejay”. E, più avanti: “Allo stesso modo, non sono sicuro che si possa parlare di critici letterari per una parte delle persone che recensiscono romanzi sui giornali. Sono esperti di letteratura? Non mi sembra. Che cosa hanno dato alla letteratura italiana, alla saggistica, all’interpretazione dei classici o dei grandi scrittori contemporanei? Nulla. Semplicemente, scrivono sui giornali. Esprimono pareri personali su un libro. Sono giornalisti che si occupano di romanzi. Niente di più”.
Fin qui, nulla da dire: anzi, la definizione “giornalisti che si occupano di romanzi” è quella che non soltanto rivendico per me non da oggi, ma che trovo addirittura più utile al lettore di quotidiani per quel riguarda l’informazione sui libri. Però, appunto, ho tre domande da fare.
Primo: siamo sicuri che la competenza musicale di Linus, di Albertino e in assoluto dei deejay sia necessariamente inferiore a quella di un musicologo?
Secondo: siamo sicuri che i deejay, i fantini del disco, subordino sempre i propri gusti personali alla compiacenza nei confronti del pubblico? O, in altri termini, che l’equivalente letterario, il beejay, parli soltanto di quel che risulterà gradito e digeribile ad un grande numero di lettori? Che, insomma, lodi soltanto quel che funziona per i cosiddetti palati facili?
Se la risposta alle prime due domande è sì, taccio, convinta da tanta certezza.
Ma aggiungo un terzo interrogativo, semplice semplice: come deve comportarsi la critica letteraria vera, quella patentata, quella con bolli e ceralacca, quando si trova di fronte un prodotto nuovo, meritevole ma anche, forse, destinato al successo? Tace sdegnosamente, perchè quel romanzo è già stato segnalato dal fantino dei libri e dunque è già, in qualche modo, segnato come prodotto da hit parade, o ne parla comunque?
Ciò detto, nella mia personale top of the pops è appena entrato Junglee girl della scrittrice Ginu Kamani (Einaudi Stile Libero, da poco in libreria). Yeah.
l’osservazione di scarpa è ovvia quanto sono vane le tue domande. è chiaro che potrebbe accadere, ma raramente accade. il critico serio che trova un bel libro e lo immagina destinato al successo? ma il critico serio non parla dell’attualità, a differenza dei giornalisti.
e se i network radiofonici, come in tutto il panorama mediatico del resto, non facessero che interagire colle major discografiche e, attraverso una collaudatissima operazione di marketing, spacciassero al pubblico quel che il pubblico è convinto di volere?
dopo la denuncia della monocultura del best-seller prefabbricato, la fenomenologia della sua pubblicizzazione?
Lippa, ti sposerei.
Scusate, io non sono assolutamente d’accordo sull’ipotesi che l’intervento di tiziano sia dettato da alcuna motivazione personale. Nè ho mai inteso scrivere questo, se leggete attentamente il post. Credo che ci sia dietro una riflessione sui ruoli di chi scrive di letteratura, su cui è importante confrontarsi, possibilmente con toni pacati. Quanto a dhalgren: aggiungo una quarta domanda. Perchè un critico serio non deve occuparsi di attualità?
traduco il senso dell’intervento della Lipperini: c’è chi rosica per Piperno.
Scapa ha poco da rosicare, sto leggendo Piperno e tra lui e Scarpa non è possibile nessun tipo di confronto. Ho letto tutto Scarpa proprio perché “ricattato” dalla critica militante e certi beejey: “é l’unico scrittore giovane italiano, è il più bravo ecc.”. Poi sono stato costretto a sorbirmi, Nove, Ammaniti, la santacroce.
Adesso leggo Piperno e finalmente leggo un romanzo, una storia, della vita, letteratura. Mi sembra uno scrittore vero, non uno che gioca a fare lo scrittore. scusate lo sfogo.
è innegabile però la superficialità di molti presunti critici, per esempio le stroncature di D’Orrico e il caso Marco Archetti stroncato anche da lei, La Lipperini, senza fornire ragioni.
rispondo alle prime 2 domande: no, in entrambi i casi.
Albertino e specialmente Linus hanno una conoscenza ben piu vasta della maggior parte dei sedicenti critici musicali, hanno anche un gusto ben preciso, che spesso lasciano passare, ma e’ ben evidente, in quei casi, che sta passando il LORO gusto. Danno un trend, originale. E l’ascoltatore si conforma. E’ lui che segue i Dj, quelli bravi, e non viceversa. E va a cercare le radio maggiormente caratterizzate. Infatti io non ascolto Radio DeeJay e il mio discorso va ampliato a molti dj. sEp
giornalisti che scrivono di romanzi? siamo d’accordo.
ma hanno lo stesso identico diritto degli autori che scrivono di altri romanzi o dei lettori stessi che scrivono opinioni su libri.
se sono sinceri e non fanno markette a me sta bene…
tra l’altro le più belle pagine sul calcio le hanno scritte giornalisti; da qui il famoso detto di brera:”per parlare di ippica bisogna essere stati cavalli?”
d’altronde per esempio la critica musicale mica viene fatta dai musicisti…(lester bangs suonava ma era atroce)
per concludere, e senza offendere nessuno, non credo che gli accademici abbiano il tempo e la voglia di recensire nessuno dei libri di cui parliamo noi qui (e altri altrove)
Vanni, non posso rispondere per D’Orrico ma soltanto per me: mi capita assai raramente di parlare male di un libro, e nel caso di Archetti, tra l’altro, a infastidire era soprattutto il modo in cui la casa editrice lo ha proposto. Poi, certo, il libro non mi è piaciuto: ma visto il moltiplicarsi di reazioni e il tono violento delle reazioni stesse (vedi Giovanni Choukhadarian su Vibrisse) non posso che augurarmi di essere prontamente smentita da un comunque auspicabile successo del romanzo.
1. Sì, siamo sicuri. Una certezza si erge ancora a bastione dell’Occidente: Mario Bortolotto non è Albertino.
2. No, ma lo sospettiamo con cognizione di causa, grazie a pluridecennale esperienza. Rarissimi i casi di beejay che abbiano promosso libri fuori dagli schemi. Il beejay è populista.
3. Dovrebbe sentirsi in dovere di segnalarlo pubblicamente. Se può, e se i media gli concedono lo spazio per farlo.
Ciao Loredana
Tutto può accadere, ma l’eccezione conferma la regola: non si dice così. Non credo però che una o qualche eccezione, possano “sconfermare” la regola. Insomma, mi trovo piuttosto d’accordo con le risposte date da Tiziano. Devo anche dire che non mi sembravano domande particolarmente difficili. Quarta domanda compresa. Mi è sorta però una domanda, anci, alcune: perchè, di tante domande che si possono fare a se stessi o a Tiziano, ti viene da fare proprio queste? Insomma, a chi giova interrogarsi e rispondere su queste domande? Queste domande, e le possibili risposte che potevano suggerire queste domande a se stessi o a altri, a che ipotesi si rifacevano? Che tesi avevano?
ciao loredana (anche io ti sposerei se non fossimo già sposati….)
non è che al critico serio sia vietato parlare di attualità. è solo che di norma non lo fa, perchè 1) c’è da parlare per secoli ancora del vecchio. il vecchio è più sconosciuto del nuovo. 2) il critico vero non dovrebbe parlare così, al volo, come fai tu o chi dopo aver letto un libro butta giù le impressioni, come faccio io o tutta questa gente che scrive qua. lui in teoria dovrebbe parlare non solo del testo, e da vicino, da molto, con tutta la fatica e la ricerca che questo comporta, ma anche di quello su quel libro si è già scritto, per non ripetere sempre l’ovvio o l’evidente. è praticamente impossibile smembrare un libro al volo, ci vuole un minimo di sedimentazione. 3) per altro, che un libro sia destinato o meno al successo è cosa che pochissimi critici indovinano, e infatti non è il mestiere loro. anzi, è circostanza irrilevante, a meno che uno non voglia fare un po’ di sociologia spicciola e parlare non del testo ma del libro, del prodotto e delle sue sorti, che è forse attività degnissima, ma non critica. 4) e comunque, perchè diavolo ilc ritico dovrebbe levare il lavoro a te e agli giornalisti del futile, giacchè i libri sono case futili, e mettersi a parlare di faletti? onestamente, che vantaggio ne verrebbe a lui, il critico, a voi, e pure a faletti? zero. non c’è bisogno, non si fa. è anche un poco vergognoso parlare di quello che ende, come parlare di soldi. e secondo me è una vergogna giusta, onesta, antica e salutare vergogna.
ma voi crescete tutti a pane e complotti?
e basta con ‘sto Faletti, lo tirate fuori anche quando non si parla di lui, ma che è?
L’articolo sui beejay lo interpreto così: a Scarpa scoccia immensamente che i media tacciano di tante importanti opere d’arte perché così diventano élitarie, si toglie la possibilità a tutti di goderne.
Un po’ di tempo fa lo stesso concetto era stato detto così “una nazione civile vive in mezzo alle sue opere d’arte”.
Si può non essere d’accordo su questa posizione?
calix, ci stavo prima io. Quanto alle tue domande sulle domande, nascono immagino dall’intervento di tiziano che anch’io avevo letto su nazione indiana e che anche in me aveva suscitato delle domande. allora chiedo io a tiziano: perchè hai fatto quell’intervento sui beejay?
sulle risposte penso di essere parzialmente insoddisfatto:
primo. penso che i dj non siano ignoranti musicali
secondo. non mi pare che sui giornali si parli solo di libri populisti
terzo. non mi pare che i critici letterari veri e propri manchino di spazi sui giornali stessi.
quinto: vale la pena di leggere le ragazze della giungla?
Loredana, non volevo attaccare con violenza nessuno e di certo non te. Ciò premesso, e non come scusa non richiesta, Tiziano ha ragione: un critico musicale serio ha una formazione tecnica e poi scrive. Altrettanto si vorrebbe dai critici, laureati o no, giornalisti o no.
Il libro di Archetti e quello di Piperno sono a diverso titolo tutt’e due innocui, comunque.
e quindi solo chi scrive libri puo criticarli?
quindi solo chi ha una preparazione tecnica può scrivere di libri?
Cara Loredana,
un critico, a mio parere, dovrebbe prevalentemente orientarsi verso il passato, in questo sono d’accordo con dhalgren , occorre lasciare sedimentare, decantare il testo, confrontarlo con un epoca per ricavarne realmente qualche indizio. Tempo, pazienza, assenza di fretta e sguardo attorno raffredato! Ci si allontana così da ogni interesse che pressa!
Certamente può occuparsi di attualità e letteratura contemporanea, mica c’è il veto, non è questione di immoralità, ma con l’avvertenza e autoconsapevolezza che scriverne è come volere azzeccare un terno al lotto. Di questa operazione ne posso apprezzare le suggestioni linguistiche del critico, il suo delirio immaginativo, le sue personali utopie che svela nel suo gusto, ma tenendo presente alla mia mente che quasi mai ci azzecca e snocciola un giudizio oggettivabile!
In sostanza meno se ne occupa di attualità e più facile che di quel critico ne rimanga alla memoria qualcosa.
Inoltre da quando nel 68 la democrazia è entrata nelle Università e la trasmissione accertata del sapere è stata interrotta, come si fa a riconoscere un magister?
“…writing is a lot like fucking – it’s only fun for amateurs.” dr. gonzo (H.S.T.)
Accidenti! Neanche una parola sprecata per Mario Luzi. C’è di che avere i brividi, veramente. E mica per finzione.
‘Notte.
Iannox
Caro Iannox, molte dovrebbero essere, è vero, le parole per Mario Luzi. E molte ne troverai scritte sui quotidiani di oggi. Molte altre, a dire il vero, sarebbero state preferibili prima.
Parlo per me, ancora una volta: non sono molto incline ai coccodrilli, non ho mai guardato con simpatia agli armadietti dove, in radio, si custodiscono i servizi premontati con le voci di qualcuno che è ancora vivo e che saranno mandati in onda quando il proprietario di quelle parole si sarà congedato. E’ una questione, come vedi, personale. Posso aggiungere una nota ancor più personale (alle laudi pubbliche stanno pensando altri): Luzi era di una straordinaria disponibilità. Non si negava mai se richiesto di interviste o interventi radiofonici (purchè sensati). Era, anche, una persona gentile. A me piace ricordare questo.
Poi.
Vorrei rispondere prima a caliceti, quando mi chiede: perchè, fra le tante possibili, fai proprio queste domande a Tiziano? Beh, perchè Tiziano (a me pare superfluo ribadire qui “a cui sono legata non da oggi da affetto e stima”, ma se qualcuno non lo ha capito, lo ribadisco, perchè è vero) in quell’intervento ha parlato di qualcosa che a me sta a cuore. Perchè è il mio lavoro, Calix: e come, giustamente, tu ti appassioni quando si parla di linguaggio e di scrittura, io mi interrogo quando si parla di cronaca e di critica. Di cronaca, meglio. Non sono affatto in disaccordo sul fatto, sollevato da Dhalgren e ripreso fra l’altro da Luminamenti, che un critico debba preferibilmente rivolgersi al passato. Nè che al racconto e alla segnalazione dell’attuale si dedichi chi si occupa di cronaca della letteratura. Anzi, lo trovo addirittura preferibile.
Credo però, Tiziano, che:
non tutti i cronisti o beejay si occupino solo di libri “negli schemi”. E credo, Giovanni, che non necessariamente un cronista debba essere un tecnico: se onesto, se attento, se dotato di “senso per la letteratura” forse riuscirà ad essere più competente del tecnico stesso. Non voglio assolutamente difendere “per principio” una categoria che peraltro mi limito ad attraversare: ma conosco decine di persone che fanno questo lavoro e sono attente proprio e soprattutto a quello che esce dagli schemi, tutto qui.
Infine, per Dhalgren: sei liberissimo di pensare di me tutto il male possibile. Però vorrei dirti che in tre lustri ho scritto un solo articolo su Faletti e penso non più di cinque, su svariate centinaia, che riguardano i best seller o i libri che “vendono.” Nei restanti casi ho parlato di quelli che non conosceva nessuno, di cui la critica mai si sarebbe occupata, e che spesso erano pubblicati da case editrici microscopiche. Poi, ripeto, mi rendo conto che l’essermi occupata di “Io uccido” mi condanna alla gogna: me ne farò una ragione 🙂
Il supporre è sempre cosa molto pericolosa.
Forse, e dico forse, se Tiziano parlasse con Linus, avrebbe più di una sorpresa. E forse, parlare di musica e letteratura come blocco monolitico, non fa bene né all’una né all’altra.
Non credo che il signor Alberto Campo, giusto per non parlare di Linus e Albertino, si sia mai sognato di recensire le opere di Nicholas Lens. Questioni di competenze?
Trovo geniale il coccodrillo che il Corriere ha fatto stendere a Zanzotto a proposito della dipartita di Luzi, definito “straordinario poeta della campagna toscana”. Non sminuisce, perché la campagna è per Zanzotto arcadia ed epica al tempo stesso. Eppure dice tutto dei coccodrilli. Se lo volete leggere integralmente, il pezzullo, è qui: http://www.miserabili.com/archives/2005/03/ricordo_di_mari_1.html#017507 .
Cari amici, compito di uno scrittore è anche combattere il conformismo. Viviamo in un’epoca molto conformista. Continuiamo a celebrare fantasmaticamente Woodstock, ma l’evidenza è che le nostre prime pagine sono piene del Sanremo di Bonolis.
Mi trovo a dover EVITARE un’enorme valanga di brutture: voi no? State bene, vivete bene? Vi piace così com’è?
Ovunque mi giri, io mi trovo ad affrontare e subire un’idea e una pratica della vita e della morte che non condivido, ma che VUOLE coinvolgermi come individuo e annettermi nei suoi rituali solo perché sono condivisi da una maggioranza, spesso una pseudomaggioranza costruita ad arte.
(Per esempio, i modi di omaggiare i poeti solo quando muiono, in prima pagina: perché non è mai stata dedicata una prima pagina a una RACCOLTA di poesie di Luzi, che è quel che conta di lui, non il fatto che sia vivo o morto? Perché non fa notizia ciò che scrive un poeta, ma solo la sua morte? Non è un’evidente dimostrazione del fatto che nel nostro paese le poesie non si leggono ma SI SEPPELLISCONO? Ma il mio non è un disagio che riguarda soltanto i poeti: non condivido il modo conformista di congedarci dai nostri cari, sequestrati da funzionari pseudoreligiosi che ne celebrano l’interramento con parole generiche, senza averli mai averli conosciuti – è solo un esempio fra i cento che potrei fare sui modi conformisti in cui è organizzata la nostra esistenza).
Non capisco perché debbo essere costretto a prendere in considerazione alcuni dischi e libri E NON ALTRI solo perché ne hanno parlato alcuni funzionari dei media, che tra l’altro, spesso, non hanno nessuna autorevolezza nel dire ciò che dicono, fuorché il fatto che parlano o scrivono in luoghi molto ascoltati o molto letti.
Non mi piacciono le classifiche (pur essendo io autore di alcuni bestseller): l’arte non è una gara. Ecco: che l’arte e la letteratura siano giochi di società, gare, questioni di successo e vendita, è un’altra perversione di deejay e beejay vari della cultura, in tutti i campi. L’arte e la letteratura sono le armi dei cittadini disarmati, quali noi siamo, altro che narcisismo, gioco di società, successo… La letteratura è la parola pubblica degli individui senza potere, è una faccenda politica importantissima, e infatti i conformisti (spesso di destra, ma non solo) mettono in giro l’idea che sia una questione di successo o di sfiga proprio per indebolirne il valore politico.
Uniamo le forze, se ci state.
Per il resto, il mio valore letterario è quello che è, certamente assai scarso. Non ho mai rosicato contro nessuno, se volete credermi
: se no, fate pure. Il fatto è che io posso documentare ciò che dico: mi sembra di essere uno dei non moltissimi autori italiani che quando possono si battono per segnalare il valore del libro di un “collega”, e non certo dei miei “amici”. Se ogni tanto anche i miei “colleghi” (e non solo loro, ovviamente) prendessero la penna e segnalassero esordienti in gamba o inediti che meritano di essere pubblicati, io penso che vivremmo in un posto migliore.
Tutto questo lo dico con il sorriso sulle labbra, sentendo di poter parlare a dei compagni di strada, anche se non vi conosco personalmente. Grazie Loredana dello spazio e della pazienza. Baci
Cara Loredana,
Il fatto che su tutti i canali – Rai e Mediaset – si sia detto poco e male circa Luzi, intorno all’uomo e al poeta, non mi scandalizza, non più di tanto, in quanto me l’aspettavo che la morte del poeta sarebbe stata “taciuta”, “censurata” almeno dalla televisione, che è una televisione di regime fascista per quanto mi riguarda. Sui giornali ho già letto parecchie notizie, alcune fortemente di agenzia che dicono praticamente niente, altre più o meno costruttive. Concordo con te: si sarebbe dovuto parlare di Luzi prima, non ora, non solo adesso perché è morto. Ma più in generale, si dovrebbe parlare dei poeti quando sono vivi e non quando sono morti: è un vizio vecchio quello di parlare dei poeti solo quando morti e sepolti. I servizi premontati fanno inorridire anche me, ma è anche questa una pratica consumata e abominevole che viene tirata fuori non solo in occasioni ferali, ma anche quando si è ancora in vita. I “filmati di repertorio” vengono montati, e poi dati in pasto al pubblico: di ciò ho orrore, ma non sono sconvolto. Non lo sono perché è già da tanti di quegli anni che si va avanti così… Ci si chiede quando finalmente smetterà di piovere, parafrasando malamente da The Crow. Tornando a Luzi, era una persona, un poeta, per me uno degli ultimi veri poeti italiani. Opinione mia personale.
Cari saluti
Iannox
Proprio perchè ti occupi di critica e di cronaca letteraria, Lippa, io credo che trovare, mettiamo, un ottimo (mettiano) dj, che è anche un grande conoscitore di musica (capita spessissimo), che è anche molto più preparato di un preparato critico musicale, metta in qualche modo in discussione la preparazione di tutti i critici musicali. altro esempio: magari c’è un dentista che non è un vero dentista che non ha dato esami per fare il dentista e poi è meglio dei dentisti veri; può capitare, è capitato; ciononostante, mi pare che le tue domande risultino di fatto un po’ provocatorie, (e non ho niente contro le provocazioni, per carità….), nei confronti di chi di fatto studia e lavora per fare il dentista. ripeto, l’eccezione per me conferma la regola. insomma, anche come critica o cronachista culturale, ti propongo per esempio di parlare, mettiamo, di quello che dice ultimamente un violinista come uto ughi a proposito di musica e cultura. è vero, non è forse così alla moda nè brillante come albertino o linus, ma magari è interessante anche quello che dice lui. ciao.
Caro Scarpa,
ti spiego perché non credo di voler unire le mie “forze” al tuo ragionamento.
Qualche giorno fa, ospite da Fabio Fazio, c’era uno scrittore che si vantava di non possedere un televisore. Secondo me, questa sua libera scelta lo pone soltanto in una posizione di svantaggio: come farà – mi sono chiesto – a ridare sulla pagina ciò che avviene oggi in Italia e nel mondo? Tu dici che siamo sommersi da una valanga di brutture e citi Sanremo, in opposizione a Woodstock. Premesso che il film-documentario su quel megaconcerto me lo sono sorbito qualche anno fa, ricavandone una noia mortale, io credo che quando si parla, ad esempio, di televisione bisogna essere onesti: un canale in cui a Bonolis si preferisse Zanzotto che parla di Luzi e a Fiorello una replica di un monologo di Salvo Randone farebbe il 2% di share, a dir tanto; le inserzioni pubblicitarie scomparirebbero, e il canale televisivo chiuderebbe nel giro di sei mesi. La televisione generalista poteva forse alfabetizzare una nazione negli anni ’50, ma non può – e non deve – aver la pretesa di educare un popolo. Da quando ho due figli piccoli, mi sono “fatto” Sky, perché le possibilità di andare al cinema o a teatro si sono ridotte al lumicino. Be’, col satellite hai la possibilità di scegliere tra una partita di calcio, un film con Stallone, uno di Bogdanovich, un documentario su Roosvelt, un servizio sulle opere di Kounellis, un’intervista a Umberto Eco, una sinfonia di Mahler, un pornosoft californiano, una replica di un monologo di Paolini, una puntata del Letterman Show, un cazzeggio di Arobre & Co. e chi più ne ha più ne metta. Non è una spesa da poco, ma è di molto inferiore a quella che dovremmo subire pagando un canone per una Rai “di vero servizio pubblico”, cioè un’emittente che, appunto, a nonno Libero preferisse un film di Fritz Lang.
Aggiungo anche che quando vedo certe trasmissioni come “Per un pugno di libri” o le “Bariccheidi” – dove si tenta disperatamente di donare un appeal televisivo a, che so, Flaubert – mi viene una tristezza! Cento volte meglio il Dopofestival…
Altro punto su cui non sono d’accordo con te. Tu scrivi che “l’arte non è una gara” o una “questione di successo e vendita”. Anche qui, innanzitutto mi sembra miope l’asserzione che il ridurre il valore di un libro alla quantità di copie vendute sia un metodo ascrivibile a conformisti “spesso di destra”. E poi, lo sappiamo tutti che perfino Balzac – che pubblicava a puntate sui giornali – era pungolato dal suo editore perché scrivesse qualcosa che facesse vendere! La letteratura non è affatto “la parola pubblica degli individui senza potere”; chi pubblica un libro ha il potere – e non è vero che questo potere è misurabile solo in termini di copie vendute: Luzi (per fare un esempio) vende tre copie, eppure ha sfiorato il Nobel, Striscia la Notizia gli ha dato il Tapiro, Ciampi lo ha fatto senatore a vita, le pagine dei giornali, questa mattina, sono tutto un coccodrillo per lui. Più seriamente, Luzi rimarrà, nonostante abbia venduto poco. Per fare un altro esempio, Gravity’s Rainbow di Pynchon ha venduto in Europa tredicimila copie in trent’anni. Eppure, molti scrittori europei (ed italiani) hanno fatto i conti con quel libro.
Quando dici di non capire perché bisogna essere costretti “a prendere in considerazione alcuni dischi e libri E NON ALTRI, solo perché ne hanno parlato alcuni funzionari dei media”, a chi ti riferisci? Chi è che si sente costretto? La voglia di cercare la felicità in un libro piuttosto che in un altro è, a mio giudizio, insindacabile. C’è chi s’aggira per le librerie per ore, chi s’informa sull’Indice, chi si fida di un amico e c’è chi apre il Magazine de Il Corriere della Sera e si fa consigliare da D’Orrico. Embè? Non si può mica pretendere che per decreto tutte le mattine agli italiani sia imposto di andare in edicola e comprarsi un “Gazzettino dei Libri”, no?
Insomma, c’è molto più conformismo nel far propria la battuta morettiana sull’essere sempre d’accordo con una minoranza, che nel ritenere che se D’Orrico scrive per un milione di lettori non per questo deve essere bollato come un “funzionario”.
le junglee sono divertentissime. Complimenti, stile libero
Confesso di non aver mai letto nulla di Tiziano Scarpa. Ma dopo quel che leggo (e in specie ciò che ha scritto tra parentesi) prometto di farlo. (Anzi, già che ci sono, se mi consigliasse un titolo l’autore…)
A Colombati vorrei fare qualche domanda:
Per quale ragione l’atto della scrittura dovrebbe essere finalizzato essenzialmente a ‘ridare sulla pagina ciò che avviene oggi in Italia e nel mondo’? E poi, chi l’ha detto che l’atto di sottrarsi a quel mondo, e di scrivere di tale sottrazione, non dica di più, e meglio, intorno a ciò che avviene? Perchè lo scrittore, per sapere ciò che avviene, dovrebbe usare la tv in quanto mezzo privilegaito di conoscenza del mondo? Magari gli basta scendere in strada e parlare con qualcuno. Forse apprende di più in questo modo. Dalle reazioni dei corpi. Dalle posture. Dalle parole. Dai preconcetti espressi e inespressi. E da mille altre cose.
Marco, sono d’accordo con te. Non dico che la televisione sia un “mezzo privilegiato di conoscenza del mondo” (è solo un mezzo comodo). Ma se io voglio scrivere di una liceale che sogna di diventare una rockstar, o guardo “Amici” in tv oppure mi apposto di fronte ad una scuola. Ecco, questa seconda operazione mi costerebbe forse un’eccessiva fatica e qualche equivoco di troppo…
A fidarsi solo della “strada” (e dunque di ciò che si vede negli ambienti che si frequentano) si corre il rischio dell’autoreferenzialità: per quanto io possa volere il contrario, le possibilità che io conosca una diciassettenne innamorata di Costantino (sto facendo un esempio a caso, ovviamente) sono piuttosto limitate. Me ne posso fare un’idea solo accendendo il televisore o sfogliando Eva 3000.
Caro Tiziano,
è chiaro, viviamo in un’epoca che ha fatto del trash la sua bandiera. Evitare “una valanga di brutture” diventa una scelta, condivisibile. Però, credere o supporre che chi agisce in modo diverso, non abbia metri e strumenti di analisi, mi sembra un’affermazione alquanto pensante e, soprattutto, immotivata. Hai mai parlato con Linus?
Quando ho letto il tuo pezzo su Nazione Indiana, mi è sorto un dubbio, come decidiamo chi debba criticare e cosa, in base a quali parametri dovremmo scegliere questi illuminati?
E se questi illuminati, poi, non si uniformassero alla nostra idea di arte?
“Primo: siamo sicuri che la competenza musicale di Linus, di Albertino e in assoluto dei deejay sia necessariamente inferiore a quella di un musicologo?”
Ipotesi di risposta 1:
E va bene,
allora diamo la direzione dei cahiers du cinema ai proiezionisti e basta li’.
Ipotesi 2:
Lo dimostrassero.
Ipotesi 3, forse un po’ piu’ seria:
Il dj lavora come un entomologo sistematico, cataloga e propone, cerca soprattutto differenze e novita’ e cerca di evidenziarle.
Il musicologo analizza e studia per generalizzazioni, per categorie, e non si occupa tanto del divenire quanto dell’invarianza della proposta musicale: cerca le cose in comune, cerca di comprenderle e spiegarle.
Il dj e’ tattico, il musicologo e’ strategico.
“Vi hanno conciati bene”, scrive Andrea. Ma chi, chi è che ci ha conciato: Berlusconi, il Grande Fratello, il Mago di Oz, l’Arancia Meccanica, Flavio Cattaneo, Rupert Murdoch, la Strega dell’Ovest, il cittadino Kane… chi? Questo tipo di paranoia orwelliana fa ridere. Mi sa che hai preso troppo sul serio certi film di Sidney Lumet, Andrea (li ridanno su Sky, ogni tanto…).
PS: Sul fatto che sono un coglione avevo già qualche sospetto; che io sia un branco è invece una novità.
Esageri, Andrea: e soprattutto in una discussione che mi sembra estremamente argomentata, a parte le intemperanze iniziali.
Be’ vi hanno conciati bene bene: ora pensate addirittura che a spegnere la televisione si diventa stupidi.
Fino ai tempi di Tondelli non si era ridotti così male. Tondelli ha scritto egregiamente dei giovani parlando di tv?, non mi pare, faceva altro, li cercava in discoteca, leggeva le loro cose, togliendosi il tempo per scrivere, progettava per loro.
Esagero a dire che con questa mania della tv siete un branco di coglioni?
(Oh, sono tornato ai miei toni abituali da rullo compressore, ma non vi meritate altro).
Mi è piaciuto molto quanto ha detto Leonardo Colombati.
La sua analisi è la mia stessa impressione, ma capisco Tiziano Scarpa, il suo stato d’animo, ma attenzione a questo anticonformismo che molto spesso non è tale.
Sul fatto che poche copie di un libro possano anche incidere, mi sembra vero. Lo stesso direi per esempio per Walter Benjamin.
L’ho postato su NI dove,tra l’altro, Piersandro Pallavicini dichiarava a Tiziano di voler fortemente essere beejay.
“Perché non proviamo a guardarla così? Esiste il beejay (ottima definizione, Tiziano, anzi invenzione) ed esiste il critico. Questo è lo stato delle cose. Bisognerebbe che il beejay svolgesse bene il suo lavoro e il critico pure, che avessero entrambi una loro deontologia.
Compito del beejay è quello di “far girare i libri” presso il suo pubblico: ha un rapporto stretto e dialettico con il suo pubblico e attraverso tale rapporto è legittimato.
Dico il “suo” pubblico perché non esistono solo Linus e Albertino ma anche quelli che mettono su il jazz e bossanova di cui parla Piersandro, quelli delle trasmissioni world o frontiera (che, d’accordo, passano nelle ore più strane delle sempre più scarse radio libere ecc.).
Il beejay (come il deejay) tiene quindi conto del gusto del (suo) pubblico e al tempo stesso,conoscendolo, cercherà di indirizzarlo, di allargarlo e raffinarlo.
Il buon beejay fa gli interessi del suo pubblico e non delle case editrici. Non promuove un libro per dimostrare la sua pessima opinione su tutto il resto, perché di tutto questo al suo pubblico non gliene frega niente.
In Italia, lo sappiamo, manca una cultura della divulgazione. Anche i più grossi squali del buisiness editoriale, anche i mediatori più populisti si sentono, in fondo, appartenti a un elite. Il loro populismo ha un cuore cinico.
In Germania esiste una trasmissione televisiva condotta da una giornalista di nome Elke Heidenreich che ha mandato in classifica libri di Bunin e Lermontoff nonché il grandioso e difficile romanzo della giovane Terezia Mora di cui vi parlerò, quando uscirà da noi. Ma la gran parte dei libri che Heidenreich sceglie e presenta con garbo e semplicità, sono per un pubblico largo, quello della tivù. Facili, coinvolgenti, avvincenti, ma -davvero-di buona qualità. Scelti, perdippiù, anche fra la produzione delle piccole case editrici.
E la critica? Bisognerebbe che anche quella avesse più spazio, non fosse così rilegata (e degradata) ai sempre più striminziti compitini standard -riassunto più apprezzamenti- dei vari supplementi. Sui libri si può ragionare molto più in profondità e non è vero che nessuno ha la pazienza di seguire. Lo dimostra molto bene il tuo pezzo su “Fiona”. Facciamone altri, facciamone di più.”
Leonardo non ce l’ho con te. Non ce l’ho con nessuno, ce l’ho con l’idea che il confronto con la tv è cruciale per produrre pensiero: non è così, è solo un’idea strambissima che – in buona fede – portate avanti. Voi producete delle élite, altro che letteratura popolare.
Ma Andrea di quale TV parli?
RAI, Rete Quattro, Classica, Juve Channel, National National Geographic Channel?
Personalmente anche se il più fine musicologo mi spiegasse in dettaglio perché dovrei esaltarmi ascoltando Michael Nyman, la mia avversione per il genere resterebbe identica.
E visto che il mio percorso scolastico si è, allegramente, concluso da anni, posso decidere, con gli strumenti acquisiti, di ascoltare musica punk, industrial, techno e nu-metal e fottermene allegramente del resto. Questo discorso vale anche per la Letteratura.
Piuttosto di citare Tondelli, scrivi tu un po’ meno e vai in discoteca, nelle sale giochi, al mercato…
Una sana dose di real life potrebbe essere un’ottima acetilcolinesterasi per le tue sinapsi sovraccaricate da cazzate.
Marco, no, non lo è. Volevo dire altro, ma non importa.
D’accordo, Leonardo. Però non è possibile scrivere della dicissettenne immaginandosela? (in fondo di grandi scrittori che non uscivano dalla loro stanza abbiamo tanti esempi). Ma soprattutto, ribadisco la domanda: Per quale ragione l’atto della scrittura dovrebbe essere finalizzato essenzialmente a ‘ridare sulla pagina ciò che avviene oggi in Italia e nel mondo’? Insomma, il compito primario della scrittura oggi è quello di scrivere della ragazzetta diciassettenne?
Non vorrei che la levata di scudi di Andrea facesse passare sotto silenzio quanto si è scritto prima. Come spesso avviene, mi trovo molto vicina alle posizioni di Helena: è proprio perchè a noi manca una cultura della divulgazione (e non è una banalità, accidenti, non c’è!!!) che si creano spaccature fra presunti populisti e presunti elitari, laddove ognuno ha le sue buonissime ragioni.
Non so se al beejay e al critico con maiuscola debba aggiungersi una figura terza, il cui appellativo lascio a voi identificare, se vi va. Credo che questa sarebbe la strada da percorrere e su cui, probabilmente, potremmo trovarci come i compagni di cammino che Tiziano auspicava (poi continueremmo naturalmente a discutere e anche a darci dei coglioni, ma va bene così).
Scusa Leonardo, perchè non importa? Di solito si reagisce così se qualcuno ti attacca. Ben lungi da me la volontà di farlo. (L’ho fatto? Non mi pare). Altrimenti si fa così perchè non si considera l’interlocutore abbastanza rilevante. Non voglio pensare (per rispetto) che sia così – sarebbe triste, e non per me. E allora, vorrei che tu mi spiegassi perchè non importa.
La cultura della divulgazione non esiste?
Esiste eccome, solo che non si fa sui giornali, non la fanno i giornalisti blasonati, i cronisti e mazzi vari. La fa gente che nessuno conosce. Ecco un esempio per i san tommaso di questo blog:
“NEXT STOP WANDA BREDA
L’Associazione culturale Wanda Breda organizza quattro pomeriggi di reading poetici, letterari e di varia umanità.
Sabato 26 febbraio Michele Governatori presenterà e leggerà brani dal suo romanzo “Il paese delle cicogne” (2004, Foschi Editore) e dai racconti pubblicati per la rivista Fernandel.
Sabato 5 marzo è la volta di Francesca Genti, poetessa, con la performance ispirata alla sua raccolta di versi “Il vero amore non ha le nocciole”(2004, Meridiano Zero).
Sabato 12 marzo ci sarà uno slam poetry, vera e propria gara di poesia dove una giuria sorteggiata fra il pubblico sceglierà il migliore tra i poeti intervenuti. I poeti sono stati invitati dalla rivista ScrittInediti (www.scrittinediti.it).
Sabato 19 marzo conclude il primo ciclo di incontri Matteo B. Bianchi, con Mi ricordo (2004, Fernandel), lettura interattiva.
Gli incontri si terranno alle 17.30 all’Acquolina, in via Rolfini, a Viserba (vicino al lago Riviera).”
Ecco chi fa la divulgazione: dei ragazzi appassionati, che non passano il sabato a guardare la tv né a giocare con la playstation.
E voi cosa sapete fare zucconi?
Alessandra C, se Linus è davvero quel fine musicologo che tu garantisci sia, per me è questa è una pesantissima aggravante. Quindi propone la sua marea di cazzate sapendo che sono cazzate! Il suo cinismo, se le cose stanno così, non avrebbe limiti. Almeno, lasciateci sperare che a Linus piacciano davvero tutte quelle immondizie musicali, e che la sua sia solo ignoranza al potere, o soddisfazione di imporre i propri miseri gusti a più gente possibile.
Premesso che come sempre non si può non concordare con la saggezza di Helena;
premesso anche che il secondo intervento di tiziano tocca corde a me care e nel mio piccolo sono disponibile ad unire le forze….
Detto ciò, disobbedendo a loredana, il libro einaudi della scorsa settimana è “Il declino delle guerre civili americane” di George Saunders.
Dalla cui lettura *maliziosamente* ricavo che:
– se aspettava ancora un po’ a pubblicarlo Einaudi faceva giusto giusto 10 anni dalla sua uscita…
– il palahniuk di “soffocare” ha preso qui l’idea del parco a tema in costume
– Matthew Sharpe ha preso qui il cognome Schwartz (scaricando dati per la signora Shwartz tra l’altro è il racconto più bello di Saunders)
– Biondillo ha preso qui il titolo del suo ultimo romanzo
A proposito di Biondillo domani mattina al COSTANZO. cosa dite lasciamo andare o una tiratina ci sta?? :-)))))
Leonardo non dare risposte furbette, lo slam-poetry non ti piace?, ok, ma in quel programma ci sono ottimi incontri. Governatori piglia il treno da Roma per venire a parlare di libri, lo stesso faranno gli altri invitati.
Come questi ragazzi della WB che ho conosciuto sabato scorso, ce ne sono altri, tanti altri. Certo a te potranno fare schifo, ma sabato scorso c’erano 40 persone.
Ora io vorrei che quando si dice che non c’è una letteratura oggi in Italia chi sostiene questa bislacca teoria leggesse i libri di Scarpa, di Genna, di Moresco… di Colombati, che uscirà tra poco.
Così vorrei che quando si dice che non esiste una cultura della divulgazione, chi sostiene questa curiosissima teoria (in buona fede si intende, perché Helena lo fa sicuramente in buona fede e anche Loredana) si infilasse in qualche pub e prendesse su un depliant: si stupirebbe nel trovarci dentro programmi ottimi di film, di concerti, di incontri con autori.
Per la cronaca, ieri sera come moltissimi italiani mi sono dato alla musica almeno per un po’, ho infatti ascoltato Tabula Rasa di Part e un bootleg dei Velvet. Poi sono andato al cinema, in ottima compagnia (mi capite no?). E’ un cinemino parrocchiale dove danno buoni film preceduti di solito dall’introduzione dell’autore. Ieri sera c’era Le conseguenze dell’amore.
Ho perso qualcosa non guardando Bonolis?
Be’, se ho perso qualcosa posso sempre recuperare, tanto farà almeno quattro serate…