Abbiamo un problema, Houston. E il problema è che, quando si pone la questione di un sistema editoriale traballante E contemporaneamente dei rischi monopolisti di chi dovrebbe gestire le nuove sorti, inevitabilmente magnifiche e progressive, il tutto viene visto come una contrapposizione tra Vecchio e Nuovo. Lo so, l’ho già scritto, che noia che barba che noia, ma non se ne viene a capo. Dici “guardate che Amazon non vi vuole bene, non lavora per rendervi felici ma per fare un pacco di soldi e accentrare il controllo distributivo e produttivo” e ti rispondono: luddista! Vuoi leggere solo Leopardi in edizione originale! Oppure, e questo fa rizzare i capelli, invocano la pulizia anagrafica: quando schiatteranno gli ultimi lettori affezionati alla carta, finalmente, trallallà, avremo un mondo di ebook dove potremo leggere George Martin (che, voi, cattivi, disdegnate) in originale.
Bene, bravi, complimenti. Reazioni di questo tipo fanno capire che abbiamo, Houston, un problema: non vieni neanche letto quando tenti di spiegare che criticando Amazon non stai difendendo Mondadori, e che magari, guarda un po’, leggi su eReader (ma non compri da Amazon perché non si capisce bene perché scegliere le pesche a chilometro zero è cosa buona e invece preferire altri canali, fisici o on line, è roba da cavernicoli), adori Martin e King e Tolkien, che ti si accusa di tralasciare in favore di lunghe dissertazioni sulla solita terrazza romana compulsando, a piacere, Calvino o l’ultimo premio Strega.
Non vieni letto, e pazienza, non è mica una tragedia. Hai voglia a spiegare che c’è non solo una banale questione etica su Amazon (leggasi En Amazonie) ma soprattutto esiste, e ridalli, una questione di mo-no-po-lio che dovrebbe porci qualche dubbio sulla possibilità futura del mercato librario di sopravvivere. Il che non significa che l’attuale sistema editoriale (editori, distributori, librai, scrittori e lettori) FUNZIONI. Non funziona, molti editori hanno scelto una via suicida (come dimostrano questi dati), molte librerie (specie di catena) vendono allegramente gli spazi a pessimi prodotti, eccetera.
La dicotomia è insensata e bisogna trovare una benedetta terza via. Ma la terza via è difficilissima negli altri paesi, dove non solo si legge di più: figurarsi nel nostro dove, cari auspicanti la morte del lettore cartaceo come se fosse la soluzione, l’accesso a Internet è bassissimo e il mercato degli ebook è giocoforza fermo a percentuali a una cifra.
Come si fa? Non lo so. L’ingresso di Paul Kingsnorth nella long list del Man Booker Prize è interessante, perché Kingsnorth ha pubblicato il suo romanzo su Unbound, finanziandolo con i contributi dei lettori, che potrebbero, chissà, davvero essere i mecenati del futuro. Ma Unbound divide al 50% i proventi delle vendite con l’autore, mentre le percentuali, per dire, di Bookabook, la piattaforma italiana che somiglia più a Unbound, sono diverse: gli autori, vien detto, prendono “dal 25% al 50% delle somme raccolte”. Dunque, è una strada perseguibile allo stato delle cose e in questi termini? Non lo so. Ma il ragionamento va fatto su questo punto, non sul “dovetemorìmale” rivolto ai lettori su carta e alle librerie indipendenti.
E diamine.
Sono stra-stra d’accordo sul senso di fastidio per le semplificazioni a cui vanno incontro in genere le discussioni su queste questioni e le accuse di luddismo a chi vuole introdurre pensiero critico. Insopportabili i discorsi allegramente nichilistici di chi vede solo il lato positivo del digitale, solo una presunta “liberazione” da qualcosa, da qualcuno. Visioni del tutto acritiche di persone che hanno ormai sempre uno schermo in mano e che scommettono sulla fine del lettore cartaceo, visto come un lettore “passatista”, conservatore, polveroso, che intralcia le sorti magnifiche e progressive di un fenomeno inventato battezzato “lettura digitale”, come se il supporto facesse la differenza. Ha ragione Gian Arturo Ferrari che in “Il libro” (Bollati Boringhieri) parla di “ideologia dell’e-boook”. Perché rispetto a tante altre tecnologie il digitale ha questo: che è anche una ideologia: ingloba, richiama, cerca di imporre un sistema di pensiero acritico, basato da un lato su assiomi indiscussi, una visione della storia come una retta unica dal passato al futuro, una visione darwiniana dell’evoluzione, unite a una stolida quanto infondata fiducia negli effetti di fenomeni non governabili, e infine una adesione fideistica, irrazionale e incrollabile che non ammette critiche. Elemento comune è il rifiuto di conforntarsi seriamente con i critici come Lanier, Morozov e altri che da tempo criticano e smontano l’ideologia del digitale, mostrandone vedere gli effetti negativi. Giusto quindi non mollare: dimostrare le semplificazioni estreme su cui si basano questi discorsi, la loro irrazionalità, l’assenza di qualsiasi sano scetticismo, e pensare ad alternative, sperimentazioni, novità vere.
contrappasso remoto
riflettendo sulla mia piccola libreria, la differenza fra comprare da me e comprare da amazon alla fine oscilla fra il 5 e il 10% sul prezzo di copertina, qui in libreria però, chi vuole, e sottolineo chi vuole, ha bagno, caffè, circa 80-100 incontri organizzati ogni anno, consulenze bibliografiche, pacchetti regalo, conti vendita per eventi culturali
in momento di disastro economico in atto mi colpisce sempre la sproporzione economica per la quale chi compra bio invece che lidl spende molto di più in proporzione, per motivi etici
perché lo stesso metro di etica del consumo non si applica sul consumo culturale?
vado ad aprire le novità!!
buon lavoro Loredana e grazie
Certo che se l’ unica libreria rimasta al mondo tratta i libri come surgelati non deperibili, la cosa preoccupa. D’ altronde il bene del mercato, se ne fa, è sempre involontario, quindi le buone intenzioni contano poco.
Dunque, la contrapposizione luddisti/supertecnologici non funziona.
Funziona quella scrittori/lettori?
Un lettore oggi potrebbe dire: “acquisto a prezzi stracciati, su cataloghi sterminati a disponibilità immediata. In vita mia non ho mai goduto di una “bibliodiversità” tanto vasta. Perché mai dovrei scendere in trincea? Contro chi? Ho ben altri problemi, io. Ho problemi di abbondanza, ho la tavola perennemente imbandita e non so dove infilzare la forchetta”.
Tuttavia, si potrebbe anche ritenere miope un lettore che parla così: chi oggi lo coccola domani potrebbe levargli la pelle. Appena se ne convince la contrapposizione lettori/scrittori salta.
C’ è un’ altra dicotomia: scrittori che scrivono per farsi leggere/scrittori che scrivono per farsi pagare. Si, lo so, anche i primi vogliono farsi pagare e anche i secondi vogliono farsi leggere, tuttavia la dicotoma ha funzionato ed è già emersa chiaramente, almeno quando si è trattato, per esempio, di combattere l’ indicizzazione dei libri da parte di Google. Gli “scrittori che scrivono per farsi pagare”, fissati sul copyright, sono rimasti così soli nella loro lotta da far pena.
La contrapposizione è un approccio sbagliato. Cartaceo e digitale convivranno ancora per molto e sarebbe interesse di tutti cercare di sfruttarne le differenti potenzialità in un’ottica di complementarietà. Non stiamo parlando di un’ideologia, ma di uno strumento. Gli atteggiamenti eccessivi ci sono come ci sono in tutto, ma esiste anche la categoria di chi vede nel digitale una grande risorsa senza per questo essere un ingenuo o un integralista o un mitomane o un serial killer di annusatori di libri. E poi, Amazon non è il digitale: è un attore, e il fatto che il suo sia indubbiamente un ruolo da protagonista è anche e soprattutto dovuto a chi lo ha lasciato vacante, quel ruolo, per molti anni. Parliamone. Perché di ebook si parla da decenni e Amazon in Italia ha aperto tre anni fa trovandosi davanti una prateria incontaminata. Adesso in America, tra l’altro, ha varato il servizio Kindle Unlimited: 10 dollari al mese e hai accesso a una biblioteca di 600mila libri. Per dire, uno degli ultimi romanzi in cartaceo che ho comprato l’ho pagato 27 euro. È di questo che stiamo parlando e il rapporto è talmente evidente che non c’è nemmeno bisogno di andare a prendere il solito studente squattrinato e quanto per lui sia conveniente eccetera. Chiariamoci, Amazon lo fa per rendere il mondo un posto migliore? No, quello è uno scopo che dovrebbe avere, per esempio, un’istituzione pubblica che si occupasse di digitalizzare i testi non più coperti da copyright per renderli disponibili gratuitamente. Il che consentirebbe di utilizzare un ebook reader in un modo alternativo. E questo sì: è un pensiero ideologico.
Sono restio ad intervenire su quest’argomento perché di editoria so davvero poco, però mi interessano le questioni tecnologiche, (oltre alle condizioni di chi lavora per Amazon). A riguardo, mi pare che gli “integrati” tendano a non vedere i molti rischi per la privacy e la libertà di utilizzo dei libri elettronici acquistati. Penso siano cose note, ma Amazon fornisce i contenuti in “licenza d’uso”, e può impedire l’accesso ai contenuti acquistati, se ritiene che il cliente abbia agito in modo “irregolare”. Complessivamente, l’ecosistema di Amazon (ma temo sia così anche per gli altri) è chiuso ed implica un forte controllo sul cliente/lettore.
Personalmente, ho l’impressione che il mercato dei libri elettronici stia nascendo nel peggiore dei modi… anche se ci sono esempi di floridi editori che possono permettersi di vendere i loro libri senza imporre vincoli all’acquirente:
http://www.defectivebydesign.org/guide/ebooks
E se al di là di tutto ciò, anzi, a fianco di tutto ciò, si iniziasse a parlare del mercato del libro come di un qualsiasi altro mercato? Senza necessariamente e immancabilmente riferirci ad esso come ad un mercato “diverso”, nel quale le logiche dovrebbero essere differenti dalle logiche del mercato della pasta, della salsa di pomodoro o della telefonia?
Attenzione, non si esprime per il momento, nessun giudizio di valore riguardo a tali logiche.
Molti sono gli editori, tante sono le librerie, troppi sono i libri pubblicati,… viene detto. E perché? I bar in ogni singola città, paese, frazione, non sono forse tanti? La legge della domanda e dell’offerta che destino riserva a questi esercizi? A loro non si richiede qualità, etica, e di non uccidere il consumatore con un caffé o con dell’acqua di rubinetto alla legionella? Loro non combattono ogni giorno per guadagnarsi visibilità e rispetto, possibilmente superiori ai vicini concorrenti, per non chiudere e magari trarci sostentamento?
Perché quando si parla di libri, entro le poche prime righe di un intervento, scritto o parlato, o delle lamentele delle varie parti coinvolte in questo mercato, ci si rifà immancabilmente a questioni paraetiche?
L’ETICA, intesa come pratica (sì, “pratica”, non concetto astratto, utopico e realizzabile solo in un mondo dorato fatto di idealisti inconcludenti), pratica dell’agire bene, secondo regole di sostenibilità, in un’ottica, presente e futura, di rispetto della collettività, della crescita, del miglioramento dell’esistenza nostra e degli altri, E IL COMMERCIO SONO IN ANTITESI?
Un prodotto commercialmente valido può essere un prodotto etico, viceversa, un prodotto etico può essere un prodotto commercialmente valido. Ciò se ci troviamo in un mercato regolato da leggi e usanze (quelle regole non scritte talmente radicate nelle abitudini da influenzare un mercato ancora di più delle leggi) che ben conciliano etica e commercio e se le azioni di tutti noi vanno in quella direzione.
Nel caso in oggetto il mercato è fatto di editori, librerie, distributori, lettori, legislatore, proprietari di immobili, e quant’altro.
Ad ognuno di tali attori è richiesto di agire eticamente, senza sentirsi colpevolizzato se agisce anche in un’ottica commerciale.
– Ogni editore (piccolo, grande, che si ritenga o meno un editore di qualità) ha il dovere etico di sforzarsi di pubblicare libri sì commercialmente validi ma che lascino qualcosa alla collettività, senza sprecare carta e spazio prezioso nelle librerie.
– Le librerie fisiche devono fare le librerie fisiche, altrimenti inutile lamentarsi di Amazon o delle librerie online, senza mettersi in discussione e chiedersi quanto a volte il servizio offerto non sia per nulla differente, anzi. Puntare sulla diversificazione no? Troppo rischio? Allora offriamo gli stessi libri di Amazon senza però avere quella scelta? Gli editori che ci forniscono i libri, che sono i primi ad impegnarsi economicamente per produrli, vogliamo pagarli? Quanto è etico che l’attuale maggiore problema di questo mercato (tipico di questo mercato) stia proprio negli insoluti da parte delle librerie? Da parte delle librerie fisiche. Sì, fisiche. Perché Amazon e quelle online, pagano puntualmente.
– La distribuzione? Quanto è etico chiedere all’editore fino al 70% del prezzo di copertina? O chiedergli di stampare per forza migliaia di copie? Lo si fa per reale necessità o per costringerlo a non entrare nel mercato? Ha senso concepire la distribuzione come quella di 30, 50, 80 anni fa? Quando c’erano due libri in croce? Quando si poteva fare vera promozione? Certo che fanno promozione, ma per chi è già promosso, il personaggio pubblico o comunque già noto grazie a diversi canali di visibilità, quindi poca fatica. E se invece la distribuzione si prendesse carico di supportare editori e librerie nel percorso di conoscenza reciproca, di interazione etica e commerciale, curando la logistica senza sprechi, in chiave non magazzino-scatola-furgone-centrica? Della serie tanto così si casca in piedi e qualche euro di cresta ci esce? Se fosse una prestazione di servizi avanzati, tecnologici, di comunicazione, gestione ordini, fatturazione, rendicontazione, insoluti, accentramento del lavoro burocratico, capace di far conoscere il valore e la linea editoriale di un marchio, per lasciare la promozione a chi attualmente la fa realmente e meglio di ogni altro la sa fare: l’editore?
– Il legislatore: legge Levi sì, legge Levi no, max 15% sì, max 15% no, 25%, 30%, i numeri al lotto. Non c’era e le cose andavano male, c’è e le cose vanno allo stesso modo (fatta la legge trovato l’inganno). Interpretazioni, sentenze. Sugli ebook, IVA al 4%, IVA ordinaria, sì, no. Mettiamoci eticamente ad un tavolo e la strada giusta si trova.
– Lettori: non assecondate i grandi gruppi editoriali nel loro intento di lasciare fuori dal mercato i piccoli inondando le librerie di libri non-etici e non-commerciali ad 1 euro, nati esclusivamente per saturare gli scaffali delle librerie e non dare spazio ad “altri” (qui vorrei citare un notissimo marchio che pubblica amenità scopiazzate e ritradotte, prevalentemente classici, ma non lo faccio). Non aspettatevi acquistando un libro di spendere per forza meno di una ricarica telefonica da 10. Il libro si legge, si rilegge, magari lo si ama, magari lo si odia, forse lo si passa, lo si regala, riempie la libreria, lo si lascia in eredità, ci si riveste il fondo della gabbietta degli uccelli, ci si pareggia una gamba corta del tavolo, ci si fanno i lavoretti a scuola, ci si fanno tante cose. Soprattutto, costa molto produrlo, nel senso di pensarlo, realizzarlo, migliorarlo, editarlo, tradurlo, stamparlo, distribuirlo, macerarlo,… Basta frasi del tipo: “ma quanto sarà costato sto libro all’editore, io non gli do 15 euro per un po’ di carta”.
ETICA, COMMERCIO, CULTURA, BUON SENSO, possono e devono coesistere.
Tutto bello, ma è una promozione della piattaforma? 🙂
Le motivazioni che stanno dietro alle affermazioni, agli interventi, alla dialettica e agli stessi eventuali intenti “promozionali” vanno giudicate e pesate non escludendo (e nemmeno interrogandosi in forma retorica) un sincero ed etico intento di risolvere problematiche offrendo vie “diverse” da quelle a cui ci hanno abituati, assuefatti, veicolate da spunti di riflessione. Se si afferma, interviene, critica e “promuove” in piena onestà intellettuale. Purtroppo, non siamo più abituati all’onestà intellettuale.
Lipperatura… lipperando… semplicemente promuove sé stessa (è intrinseco nell’esistenza di un blog che questo venga fatto)? O, al contrario, offre anche molto altro? A beneficio di tutti?