No, certo, non ci si può occupare di tutte le vite fragili, di quelle che corrono il rischio di spezzarsi. No, certo, è insensato ogni paragone fra le vite sotto i riflettori e quelle che lottano silenziosamente. No, certo, ogni parola è superflua, eppure di cosa altro parliamo, in fondo, se non della nostra finitezza, ogni giorno?
Però oggi vorrei fare i miei auguri a Peppina, di cui troppo si è parlato e di cui troppo presto si è smesso di parlare, perché c’era altro di cui occuparsi, perché il terremoto, ho letto sulla bacheca di una critica letteraria, è, secondo un arguto commentatore, un “topos letterario” (e certo, un topos, naturale), perché abbiamo promesso e, ops, ce lo siamo dimenticati, perché mica vorrai paragonare la storia di Peppina alle magnifiche sorti del Deltaplano, mica vorrai, scrive il brillante social media manager.
Ansa, ieri:
“Da oggi pomeriggio ‘nonna Peppina’, al secolo Giuseppa Fattori, la 95enne diventata simbolo dei terremotati, è ricoverata per accertamenti all’ospedale di Camerino. Da una quindicina di giorni soggiornava a Polverina, in un albergo, assistita da un’amica.
La settimana scorsa si era lussata un polso. Oggi i familiari hanno chiamato il 118. La casetta in legno, realizzata per lei dai suoi familiari e ritenuta abusiva, non è stata ancora dissequestrata. Peppina era stata costretta a vivere in albergo perché la sua casetta abusiva a Fiastra, ora sanata, ha ancora i sigilli, mentre il vecchio container dove si appoggiava è stato rimosso per evitare il sequestro”.
Non mi porterete via di qui, diceva Peppina. Non mi porterete via.