Battendo ogni record personale di percorrenza in automobile da casa mia a via Asiago, mi cade l’occhio su una pizzeria dove, in anni lontani, festeggiavo i compleanni dei figli, e mi abbandono a una fitta di stupida nostalgia dove si mischia tutto, l’infanzia perduta, i tempi perduti e, certamente, la situazione di questi giorni.
Parto da me, in queste giornate, non posso che partire da me per guardarmi intorno: non per narcisismo finzionale, ma perché credo che senza analizzare le proprie emozioni e reazioni e pensieri si rischi fortemente di finire nell’ampia schiera dei giudicanti: quelli che guardano con sprezzo a chi è spaventato, quelli che guardano con rabbia a chi non lo è, ed entrambi si permettono di alzare il ditino e dire “cosa state facendo?”.
Dunque, la pizzeria. Non mi pesa rinunciare alle pizze, essendo oltretutto persona pochissimo mondana: viaggi a parte, la mia quotidianità romana è identica a quella di questi giorni, casa lavoro casa, con molte meno persone nelle strade, con non poche restrizioni. Ancora una volta, però, ho pensato ai miei genitori: e a quella che, da ragazza, consideravo una consuetudine borghese, come il pranzo della domenica al ristorante. Si chiamava “Da Carlo”, il ristorante, era un localone sulla Nomentana, verso Tor Lupara, e proponeva piatti casarecci, giganteschi piatti di fettuccine, enormi bistecche, prosciutto e salame e olive. Non capivo, e come avviene nell’adolescenza sbuffavo e recalcitravo. Però, giusto stamattina, ho capito, fatte salve le enormi differenze: per i miei genitori era un risarcimento della loro giovinezza, che avevano trascorso fra coprifuoco, rifugi, fame.
Differenze, lo sottolineo di nuovo, enormi. Ma nel mondo in cui sono cresciuta, e siamo cresciuti tutti, non era mai avvenuto di essere sottoposti ad una restrizione che riguarda i nostri corpi, i nostri spostamenti, i nostri – anche – desideri. Le restrizioni sono state e sono economiche, ovviamente. Ma fin qui non erano state decise dallo Stato. Per diversissima che sia, questa vicenda permette di guardare con altri occhi al passato.
Ora, guardare con altri occhi, e accogliere ogni sguardo diverso, è indispensabile. Nessuno di noi possiede, in questo momento, un’unica verità. E tendiamo a serrare la bolla invece di aprirla. Non temiamo i cambiamenti, per filosofia di vita o religione o quel che vi pare, e guardiamo malissimo quelli che sono terrorizzati. Abbiamo uno straccio di stipendio e NON guardiamo chi non lo ha. Come scrivono i Wu Ming in un importantissimo intervento su Giap:
“La campagna comunicativa era ossessionante: «Restate a casa, non siate incoscienti!». Ma chi lavorava nei front office, chi mandava avanti gli uffici pubblici e i servizi, o rimaneva alla catena di montaggio, iniziava a sentirsi quello a cui era toccata la pagliuzza corta, e minacciava di mollare tutto. Cosa sarebbe successo se uffici e fabbriche non avessero più funzionato?
Intanto, la chiusura di palestre, centri sportivi, scuole, cinema e teatri aveva messo a casa una miriade di lavoratori autonomi o parasubordinati, che per le caratteristiche contrattuali faticavano ad avere accesso agli ammortizzatori sociali. I sindacati di base chiedevano il «reddito di quarantena», cioè misure di sostegno al reddito di tutti i cittadini, fossero lavoratori dipendenti, precari, autonomi, partite IVA, operatori sociali, lavoratori dello spettacolo ecc.
I lavoratori messi a casa scrivevano disorientati e disperati ai sindacati anche solo per sapere cosa fare:
«Salve,
vi scrivo per segnalare la perdita del periodo lavorativo corrispondente all’emergenza coronavirus.
Una delle società per cui sono responsabile di settore mi corrisponde €250 al mese. L’altra – una scuola dove insegno 15 ore a settimana – me ne corrisponde 300.
Per tutta la durata dell’emergenza non percepirò il compenso pattuito.
È una situazione che ci mette in ginocchio. Io ho famiglia e figli. Non è possibile essere trattati così.
Aiutateci. Grazie.»
Erano decine e decine le mail e le telefonate di quel tenore che riempivano le caselle postali e le linee delle Camere del Lavoro.
Dopo anni e anni di desindacalizzazione, emorragia di tesseramenti, disintermediazione, all’improvviso la gestione delle conseguenze dei decreti statali ricadeva sui “mediatori” sociali. Questi si ritrovavano impegnati all day long nell’attivazione delle casse integrazioni, anch’essi impreparati a reggere una valanga di quella portata, e a loro volta intralciati dalle ordinanze, che imponevano la distanza e il contingentamento degli ingressi. Anche loro rischiavano il collasso”.
Non solo. Lontani dai nostri pensieri sono i migranti che sono nel nostro paese e non comprendono bene la nostra lingua: il mio vecchio amico Luca D’Andrea sta conducendo una battaglia sacrosanta perché le regole di comportamento vengano tradotte in francese, inglese, arabo (ci si sta cominciando a muovere in enorme ritardo, vedo). Lontanissimi, ovvio, cronache a parte, i detenuti. Lontanissimi i senza dimora, che una casa dove restare non ce l’hanno. Su un’altra galassia i terremotati, che si sono visti togliere l’ospedale di Camerino in un territorio già enormemente fragile (ma a chi è venuta in mente questa decisione?).
C’è sempre bisogno di riflettere, anche sull’emergenza e su come viene gestita e sugli effetti che ha su di noi. Mai, in queste ore, ho pensato che bisogna tacere o ignorare i sacrosanti timori sullo stato di sicurezza in cui ci troviamo: ma quel che più conta, per me (che come tutti son fallace) è non puntare il benedetto indice sui miei simili, non fare la ronda sui social per denunciare gli anziani che vanno a spasso, come vedo accadere troppo spesso, non farsi delatori, non farsi odiatori, come chi esprime il proprio misero godimento per una piccola cosa rispetto alle altre, i libri che stanno uscendo ora e incontrano enormi difficoltà.
Chi ha raccontato le epidemie, nei libri, conosceva tutte queste reazioni: dal momento che abbiamo a disposizione enormi possibilità in più per conoscere il punto di vista degli altri, usiamole. Con la prudenza e la pietà di cui parlavo ieri. Stai bene, commentarium: proviamoci, a stare bene, in ogni senso.
Gentile Loredana, mi permetto di mettere questo link dove esistono traduzioni in 13 lingue delle regole:
https://www.arci.it/nuovo-coronavirus-le-10-regole-da-seguire-in-tante-lingue/
Sperando di essere stata utile, saluto.
Grazie, Gip. Molto utile. Sarebbe ancora più utile se le pubblicassero i quotidiani cartacei (ognuno gioca ad Art Attack e lo affigge nel proprio esercizio commerciale, condominio, etc), e meglio ancora se lo facessero i vari Comuni o le Prefetture o i Ministeri. Il mio comune (Bolzano), forse per abitudine al bilinguismo, forse perchè la consulta dei migranti è cosa reale e utile alla comunità, forse per la sensibilità di Sindaco e Giunta, lo sta facendo in questo momento. E’ un bel modo per far sentire chi in Italia vive parte di una comunità (utile per evitare un bel po’ di guai che, passato il coronavirus saranno pronti a tornare dalle fogne – razzismo, estremismo religioso etc).
E grazie a te, Loredana per lo spazio.