“Hai subito almeno un episodio di stalking, molestia o violenza sessuale nel corso della tua vita universitaria?”. Rispondendo a domande come questa, infilate in un questionario rigorosamente anonimo, le studentesse dell’Alma Mater hanno preso coraggio. E ammesso, purtroppo: “Sì”. In tante.
Su 3.531 ragazze, sono 1.937 quelle che hanno confessato di aver subìto delle molestie: dunque, molto più che una buona metà. 164 hanno risposto affermativamente rispetto alla violenza sessuale e 662 per lo stalking. Insomma, sul campione delle studentesse bolognesi che hanno completato il questionario, 78 su cento risultano vittime della violenza di genere, proprio negli anni dedicati allo studio accademico.
Questo non vuol dire che la violenza è stata subita dentro le aule, in Ateneo. Anzi, gli autori sono soprattutto ex partner (in cima alla lista, con netto distacco), ma anche colleghi di studi o qualcuno con “cui sono uscita o della mia famiglia”. Rari i casi in cui, tra gli autori di molestie o di ricatti psicologici, vengono indicati i professori, i tutor o i collaboratori alla didattica.
Il quadro emerge da una ricerca europea, dal titolo “Gender-based violence, stalking and fear of crime”, cui ha partecipato, tra le università coinvolte, anche Bologna, con il Centro interdipartimentale di ricerca sulla vittimologia e sulla sicurezza (Cirvis).”
Il resto dell’articolo è qui.
Qui e qui, invece, trovate due articoli su sessismo e razzismo in rete (in inglese): da non confondersi, per favore, con il concetto di “politicamente corretto”. Inoltre: un articolo (di qualche tempo fa, ma validissimo) di Femminismo a Sud sul cyberstalking.
Prossimamente, su invito, la sottoscritta e altre blogger diranno la loro su troll e stalker che preferiscono le bionde, le brune e le web-attiviste di sesso femminile come bersagli. Liberatorio, in effetti.
Gli anonimi che si scatenano, con toni tra il sarcastico, l’intellettual-virtuoso, il paternalistico finto-bonario, o semplicemente il cafone appena ripulito, nei confronti delle affermazioni di principio fatte da donne (blogger, giornaliste ecc.) in rete.
Conosco il genere. E’ una tristezza, per esempio, andarsi a vedere i commenti del Fatto quotidiano on line: un giornale molto seguito anche da fasce informate e consapevoli della popolazione, che su altri temi espongono osservazioni piu’ che pertinenti e circostanziate.
Ebbene, nei confronti di articoli scritti da donne che prendano in esame la questione femminile, una buona meta’ dei commenti e’ sintetizzabile con: ma che e’ sta roba? ma siamo seri! Non facciamo le vittime… le consiglio di far dell’altro (i.e. la calzetta) invece di scrivere.
Cioe’ si arriva a mettere in dubbio non gli argomenti, ma prima di tutto le capacita’ stesse, quando non la persona, della scrivente.
Cosa che con i blogger maschietti ospitati dal sito, non dico che non avvenga, specie sui temi caldi, ma certo non cosi’ frequentemente e in modo cosi’ massiccio e sistematico.
Il problema, espresso in questi termini, secondo me esiste eccome, piu’ di quanto non si creda.
In passato ho lavorato con Telefono rosa, per la difesa di un giornalista il quale fu denunciato da un accademico perchè aveva reso noto sui giornali le denunce che uno sportello antiviolenza all’università aveva raccolto a suo carico. Il mio compito era quello di recuperare testimonianze di ragazze disposte a confermare l’accusa.
Ho raccolto storie come questa, della mia amica A. ora avvocato:
“Avevo fatto lo scritto e ai risultati avevo visto che non ero passata. Ho chiesto di vedere il compito e non c’era nessuna correzione. Allora sono andata al ricevimento del prof.
Il prof mi chiede di avvicinarmi alla cattedra e di guardare con lui il compito. Nella vicinanza sento che mi mette le mani addosso e dice: “ha ragione non c’è nessun errore!” Mi scanso indignata e esclamo a voce alta “professore!”
Allora lui mi ha detto seccato “vorrà dire che rifarà l’esame”.
La mia amica non aveva testimoni, e non fece parola con nessuno salvo che con me di questa cosa. Nel timore di ritorsioni ulteriori non aveva detto niente. Come mei poche si dimostrarono disposte a collaborare.
Non è una cosa che succede spesso in università e non troverei corretto ritenere questo un fatto tipico della vita accademica. Dico però che in ogni, ogni, ofni università (per dire a me è capitato sia a Filosofia e che a Psicologia) c’è un docente che ha questa come prassi quotidiana. E’ un po’ troppo direi.
Ho paura che statisticamente la percentuale di porci (chiamiamo pane il pane, suvvia) che ci sono negli atenei corrisponda a quella generale. Non penso che il fatto che si parli di ambienti universitari sia significativo, mi chiedo invece molto spesso come faccia qualcuno ad usare la propria posizione a scopi sessuali e riuscire ancora poi a guardarsi allo specchio. Visto il governo che passiamo alle spalle dovrei vedere la cosa come normale, ma proprio non ci riesco…
E interessante notare che il campione preso in esame è composto da studentesse universitarie, cioè persone provenienti in gran parte dal ceto medio. Ed essendo all’università, appunto, vengono da tutte le parti d’Italia.
78 su 100 è una percentuale impressionante, soprattutto perché può essere letta in due modi. Da un lato quasi quattro donne su cinque – in questo caso giovani donne – si sono ritrovate a subire almeno una volta nella vita una molestia sessuale di qualche tipo: praticamente un destino segnato. Dall’altro lato però questo “destino” sembrerebbe segnato anche per gli uomini: perché, a meno che le molestate non siano state particolarmente sfortunate nei loro incontri, è verosimile che la percentuale dei molestatori non sia tanto inferiore, o comunque che non si stia parlando di una sparuta minoranza. Certo, nella ricerca si fa riferimento anche alle piccole molestie, anche allo stalking, al trolling, etc. Però a leggere i dati mi pare evidente che molti uomini manco considerano “molestie” determinati comportamenti, manco se ne accorgono di essere quello che sono. Probabilmente lo considerano normale o nemmeno lo vedono. Quindi perseverano.
Quanto alle molestie in università, io ho ascoltato racconti da parte di diverse amiche e conoscenti che non lasciavano margine a dubbi. Un paio di questi racconti riguardavano accademici molto noti, molto mediatizzati e incensati. Penso che andando a scavare in zona accademia, come in ogni ambito di potere, la richiesta di favori sessuali in cambio di elargizioni si trovi eccome. Forse ha ragione Zauberei, non è pratica diffusa, ma c’è e riguarda anche certi insospettabili.
nel mondo la sopraffazione psicologica o i tentativi di pepetrarla si manifestano in modalità estesa fin dalla notte dei tempi,all’interno di quasi tutti i rapporti.In attesa che si sviluppi un surrogato di arte marziale per l’autodifesa spirituale da insegnare capillarmente dobbiamo accontentarci di una legislazione speciale che presenta molti limiti e parecchie forzature nata e cresciuta per non aver saputo fin dalla prima ora come affrontare seriamente l’argomento.E va beh
http://eng.shiwaw.net/A/Alanis%20Morissette/Alanis%20Morissette—Hand%20in%20my%20pocket.mp3
Ah, dimenticavo di segnalare un’altra cosa, anche questa viene da Bologna.
Ho tra le mani la brossure fatta dallo Sportello Donna della CGIL Bologna, in occasione del 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Su un lato c’è una poesia del 1939 di Anna Achmatova. Sull’altro la fotografia di una bonazza bruna che guarda in camera, con i capelli umidi, ciocche spioventi sul viso, labbra socchiuse e maglietta attillata con capezzolo in trasparenza. In effetti quando mi è capitato in mano ho pensato che fosse la pubblicità di un concorso Miss Maglietta Bagnata in un lido della Riviera romagnola… Il fatto che siamo in autunno mi ha spinto a guardare meglio.
nel 2000, a pochi mesi dalla laurea, tramite l’università ho fatto uno stage nella redazione di una trasmissione radiofonica. in rai.
l’autore e conduttore era molto noto. lo è anche oggi.
la tramissione non c’è più, ma lui continua a pontificare sui giornali e nel web. ha delle posizioni anche molto rigorose nel giudicare la morale altrui.
lo stage è stato un incubo. e non solo per il fatto di dover raggiungere saxa rubra prima dell’alba.
racconto solo due cose, ma potrei dirne altre.
una volta che indossavo la gonna (era estate) ha fatto mettere ai suoi collaboratori, maschi, una webcam sotto la mia scrivania. le immagini erano proiettate sullo schermo del computer nel suo ufficio, dove aveva chiamato anche gli altri a guardare. la sola donna presente nello staf, forse la regista o comunque quella che montava le trasmissioni, sapeva e non mi ha detto nulla.
un’altra volta ebbi la malaugurata idea di indossare un vestito di lino, dritto e lungo fino ai piedi. sul modello di un saio. lui, visibilmente eccitato, mi girò intorno fino a quando mi disse che quel vestito gli faceva venire voglia di fare il gioco del carciofo.
chiesi cosa fosse.
mi rispose che dalle sue parti (umbria o marche, non ricordo) anni fa alle contadine veniva legata la gonna sopra la testa in modo che fossero immobilizzate e cieche e poi venivano violentate.
Quando ho terminato lo stage (prima del tempo, per mia volontà), il professore che me lo aveva procurato mi ha chiesto come mai una persona intelligente come me non era riuscita a sfruttare l’opportunità offerta, provando a rimanere alla corte di mamma rai.
gli raccontai i fatti. lui disse che gli sembravano gesti goliardici senza importanza.
d’altra parte l’allora rettore della mia facoltà era uno dei porci accademici e mediatici più noti di tutta la sapienza. evidentemente il corpo docente si era tarato su quel livello.
Una mia coinquilina C. frequentava ingegneria meccanica al Politecnico di Milano. Erano più di dieci anni fa, la maggioranza degli iscritti erano maschi. Un giorno a lezione. Non so se avete presenti quelle aule da 300 posti, a scalea, con la cattedra in basso. C. arriva che la lezione sta per iniziare: il prof. è già in cattedra, gli allievi quasi tutti a sedere. Dunque il suo ingresso non passa inosservato. La mia amica per la cronaca è vestita con sobria eleganza, “ma” è bionda e graziosa: tanto basta per far partire un coro generale di NU-DA NU-DA. Il professore invece di zittire la platea ridacchia sotto i baffi.
@ roberta, il carciofo mi ha fatto venire i brividi…
(Ma anche voglia di uso improprio dell’ortaggio su quel signore lì della radio, ovviamente senza togliere le foglie spinose. )
Per quanto raccapricciante, in un certo senso è già un minusclo passo avanti il fatto che le ragazze abbiano la consapevolezza di aver subìto molestie.
Fino a poco tempo fa (ma tipo 15 anni, mica di più), una ragazza che subiva qualcosa del genere non era in grado di identificare la molestia come tale, quantomeno questo è quanto accedeva intorno a me quando frequnetavo le superiori (diplomata nel 2003).
Penso sia capitato a tante di noi di pianegere con un’amica dopo aver subìto una molestia di qualche tipo (ma non la chiamavamo molestia), o di essere dalla parte di colei che asciuga le lacrime di una compagna vittima di molestia.
Davvero, è quasi scontato. Anzi, è straordinario non averne subite o non conoscere qualcuna che le ha subìte.
Il problema è che molti di coloro che hanno molestato neanche lo sanno. Per loro è “normale”.
Dicono che i cyberstalkers delle donne agiscano in maniera squadristica in rete, si diano addirittura il cambio per le molestie, si organizzino in maniera sistematica per clonare siti femministi. Si vocifera di blog clonati perfino 3 volte, di pagine facebook dove si parla del più semplice argomento che riguarda il genere femminile attaccate e fatte chiudere a furia di segnalazioni da centinaia di account maschilisti come se fossimo in guerra. Si parla di minacce, vere o reali, si racconta perfino della più grande pagina facebook contro la violenza sulle donne (quasi 300.000 fans) gestita da uomini rancorosi che spacciano link su quanto siano cattive le donne e sulla bigenitorialità inseguita a tutti i costi.
Tradunt. Ma io non ci credo, son tutte leggende.
http://www.uaar.it/news/2010/05/12/gruppo-maschilista-tenta-assalto-a-wikipedia/
“Gli anonimi che si scatenano, con toni tra il sarcastico, l’intellettual-virtuoso, il paternalistico finto-bonario,: citato da milena d
una definizione perfetta.
sul mio blog ne ho raccattati parecchi, variavano dal grammar nazi a quelli che chiedevano “ma non ti manca un uomo?” e se rispondevi a tono eri acida “nontrombante”.
secondo me c’è una certa categoria di uomini disturbati dalle donne che pensano e scrivono e che ci tengono a rimetterle “al loro posto”. il mio professore di chimica sosteneva che fosse una materia da uomini, e non nel medioevo, ma quindici anni fa. in rete l’anonimato li rende potenti e la possibilità di “googolare” qualsiasi argomento li permette di diventare esperti pontificatori di qualsiasi argomento trattato. fanno decisamente tristezza, anche se fanno più rabbia, direi…
ah che dire? Tanto per tenerci all’ambito accademico, posso addurre un solo episodio, risalente ad un quarto di secolo fa, e forse più, dato che sono vecchia eh: incrocio per i corridoi il docente con cui avevo sostenuto un esame (con brillanti risultati) l’anno prima, e mi sento seguita da un fischio modulato inequivocabile, dettato dal fatto che era estate, e sotto una camicia di cotone unisex indossavo una gonna di lino leggermente trasparente. Archivio subito l’episodio sotto la voce maleducazione e stupidità, e il docente è da gran tempo passato a miglior vita. Per il resto sono stata fortunata, o forse mi sono andata a cercare le persone intelligenti e bene educate. Aggiungo che una moderata diffusione indiretta delle informazioni relative al mio orientamento può aver aiutato. Ma non credete più di tanto, c’è pure il caso della discriminazione in base all’orientamento: il vantaggio è che, una volta fatta notare, discretamente, rientra subito. Epperò, dico alle ragazze che mi ricordo benissimo come faceva male, quando avevo vent’anni, la molestia anche solo verbale che incontri ovunque, in tutti gli ambienti, a cominciare da quando esci di casa. Crescendo ci si fortifica. Ma incominciate a reagire subito, non siete sole.
Giulia ha toccato un aspetto fondamentale: fornire alle bambine e alle ragazze gli strumenti per riconoscere una molestia.
Anche io, che sono del 75, sono diventata consapevole di quanto subito solo da qualche anno, di pari passo con il cammino femminista che ho intrapreso. Fino ad allora ho sempre pensato di essere una delle poche fortunate… e invece avevo vissuto sulla mia pelle, disconosciuto, ritenuto “normale”, riposto in quell’angolo destinato alle cose che in fin dei conti “non sono una tragedia” e dopotutto “c’è di peggio”.
Non solo le molestie danneggiano in quanto tali, ma il processo di semplificazione e minimizzazione (per non dire rimozione) che inducono ad intraprendere le persone che ti circondano, e in generale il comune sentire, non fa che peggiorare la situazione.
segnalo un’altra testimonianza sulla delicatezza dei commentatori in rete
chiedo scusa, è sparito il link e manca il mio nome!
http://www.independent.co.uk/opinion/commentators/laurie-penny-a-womans-opinion-is-the-miniskirt-of-the-internet-6256946.html
Inviterei tutt* a riflettere sull’osservazione scritta da Wu Ming 4: la molestia è un fatto maschile, è un problema maschile. Va Benissimo,ovviamente, educare le ragazze a riconoscere una molestia, ma bisognerebbe prima di tutto educare i ragazzi a non molestare! Invece spesso la violenza di genere viene vista come un fatto naturale, qualcosa che accade, e alla cui difesa semmai sono le donne, ancora una volta, a dover essere educate. Siamo sempre noi a dover imparare. Spostiamo il focus dalle ragazze ai ragazzi, please.
Gli uomini sono bravi a raccontarsi storie.
Adrianaaaa ha ragione. C’è un immaginario maschile cui attingono, che viene poco scalfito dalle idee civili e sentimentalmente evolute che le donne auspicano. Ma soprattutto quell’immaginario ha la libertà e la capacità di diventare pratica (condivisa). Quasi tutta la violenza di genere verbale o le molestie subdole non sono percepite come tali da molti uomini. Né mi pare ci sia percezione delle conseguenze: cioè, se si banalizza o si nega la conseguenza sull’altr*, è fondamentale: non si vede certo la gravità dell’atto. E’ qui che sono bravi a raccontarsi storie.
Nella rete mi pare che le cose siano a un livello critico: ma quanta ‘pazienza’ ci vuole per una blogger o una giornalista?
una chiosa.L’inscalfibile senso di superiorità dell’ego maschile non merita nemmeno un rimprovero tanto è irrecuperabile.Invece dispiace quando una notizia relativa a una donna in mano a quei giocherelloni di Al-Qāʿida che tempo fa avrebbe fatto un’audience pazzesca non trova un’adeguata solidarietà di genere.O forse non ci ho fatto caso io..
http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=%22rossella%20urru%22&source=web&cd=7&ved=0CE4QFjAG&url=http%3A%2F%2Ftg24.sky.it%2Ftag%2Ftg24%2Frossella_urru_1.html&ei=ll_OTreWHM7ntQafu8iNDQ&usg=AFQjCNF_tcHJ_QOm60B7AjyTU_tFIjXLDw&cad=rja
Ho letto alcuni interventi che mi hanno fatto rabbrividire. E ho pensato che devo essere stata fortunata, visto che né a me né alle mie amiche è mai successo niente del genere. Poi ho ricordato un episodio lontano, risalente ai tempi del liceo. Una mia compagna aveva la gonna (niente di non consono al luogo e alla situazione). I banchi erano messi a ferro di cavallo, e un professore – manco a dirlo, ovviamente: giovane, di sinistra, rivoluzionario – si è posizionato su un banco di fronte a lei per spiegare, mostrando viscido apprezzamento.
Le mie compagne, credo, hanno pensato che in fondo lei se l’era cercata.
Invece bisogna recuperarlo diamonds, altrimenti ci condanniamo allo stesso inevitabile destino…
sulla copertura mediatica della notizia che hai linkato…credo che dopo l’ubriacatura post 11 settembre nessuno più neanche si interessi di scoprire dov’è il Mali. sinceramente la frecciata sulla solidarietà di genere la trovo un po’ inutile.
Quando avevo sedici anni un uomo sui quaranta – frequentante come me giri di sinistra – aveva un atteggiamento che percepivo ambiguo. Non sono stata molestata in senso stretto e non mi è toccato in sorte alcuno degli episodi descritti. Tuttavia sono ancora molto grata a mio padre con cui avevo parlato perché la prima cosa che mi disse fu: “Non è colpa tua. Qualunque cosa tu possa aver detto, fatto, lasciato intendere. In qualunque modo tu fossi vestita, tu hai sedici anni e lui quasi cinquanta. Tu sei una minorenne, lui un adulto. Non sentirti MAI in colpa è un suo problema che potrebbe ricadere su di te ma adesso intervengo io”. Il tizio chiamò casa mia e la telefonata la prese il babbo, intimandogli di tenersi alla larga. Ecco solo per dire che, a volte, i padri e le madri possono efficacemente fare argine, togliendo dalle spalle delle figlie il senso di colpa, facendo sentire loro di essere sostenute nel diritto di non essere molestate. All’epoca purtroppo – si informò mio padre presso un avvocato – non esistevano gli estremi per una denuncia di stalker né di molestie visto che – a dio piacendo e per mia fortuna – non c’era stato nessun tipo di contatto fisico.
Mi duole dirlo che il circolo di sinistra non prese la questione benissimo.
E’ bene che se ne parli di queste cose. Roberta dice una cosa allucinante, quell’uomo le ha detto che il suo vestito gli faceva venire voglia di violentarla!!!! ma come si fa a dire una cosa del genere, magari sorridendoci pure?! Mi piacerebbe sapere come ha reagito Roberta nell’immediato, cosa gli ha risposto. E’ tristissimo, ed ancora più triste è vedere quanto la violenza sulle donne non conosca barriere generazionali, geografiche, di classe o culturali. Anzi, mi pare di capire che spesso l’ ignoranza diventa un po’ un alibi da usare per giustificare quei comportamenti violenti e dove c’è una mente nutrita la cultura diventa un’altra scusa per giustificare violenze dandogli magari altri nomi. Personalmente ho notato che come instauro rapporti di intimità con le ragazze, escono spesso racconti di abusi e violenze subite, e in alcuni casi manca completamente la consapevolezza, anzi, se gli suggerisci un modo diverso ( quello reale) di interpretare un atto, a volte sei tu quella che esagera o che diventi addirittura la ‘maliziosa’ della situazione. Un’altra cosa che ho riscontrato nella mia cerchia di amicizie è la frequenza degli abusi che avvengono in famiglia, inizialmente ero sorpresa e schifata e rattristata, ora, oltre a questo, sono molto interessata all’argomento ‘incesto’ che è una cosa così drammatica e a volte ambigua di cui se ne parla pochissimo! Ho notato che quando viene nominata la parola, spesso si devia il discorso, insomma, si tende a nasconderlo, come a volerlo rimuovere, credo. Certo, è una cosa bruttissima e molto dolorosa ma secondo me è il caso di parlarne di più perché purtroppo non è così rara come può sembrare. E bisogna informare i bambini e le bambine -che non hanno gli strumenti per capire cosa vivono- e che rischiano così di interprerare alcuni gesti in modo totalmente differente da come li interpreteranno una volta cresciuti, se riusciranno a diventare adulti.
@Francesca Violi: ciò che racconti è tremendo, ma il mondo è bello perchè è avariato. Tipo: come ci poniamo nei confronti di nostre simili che in certe situazioni ci sguazzano alla grande?
Circa 15 anni fa mi trovavo a dare un esame e con una collega abbiamo improvvisato una specie di ripasso: lei domandava e io rispondevo e le davo una mano dato che non era esattamente pronta 🙂 cose che capitano..
Lentamente intorno a noi si forma una capannello sempre più grande di colleghe che stavano a sentire: ad un certo punto hanno cominciato a sparlare del prof, noto provolone in sede di esami.
Una di loro ha detto:”Ma io gliele metto sulla cattedra, che me ne importa se non so un cazzo” e ha sfoderato un’agghiacciante maglietta (in tutti i sensi, eravamo a febbraio) semitrasparente con sotto wonderbra doppia imbottitura.
Ho dato l’esame intabarrata nel mio piumino come un palombaro, sudando per la tensione, ho preso 30,ho ho risposto a tutto con una sola inesattezza. Lui ha fatto qualche commento sui miei occhi, ma ad esame finito quando stavo andando via e ho lasciato stare, pur molto seccata da quell’atteggiamento. Mi sono sempre pentita di non avere aperto bocca e mi sono sentita fortunata che la cosa non si sia verificata tra un quesito e un altro….avevo 20 anni.
In un ipotetico ricorso o esposto al rettore, la collega vestita di veli avrebbe partecipato?Io non avrei avuto nulla da perdere, ma l’altra? E quanto avrà preso poi?Io suo escamotage ha avuto successo?
L’università non è obbligo scolastico: se non ti va di sgobbare perchè non fai scelte diverse? Ho raccontato un’esperienza personale ma ce lo vogliamo dire che ce ne sono, e molte, di quelle che fanno il gioco sporco e non solo negli studi?Le complicità da parte femminile hanno contribuito e contribuiscono a rendere le cose più difficili.
@ Robi
Spero di non aver frainteso il tuo pensiero, quindi scusami in anticipo se dovesse essere accaduto. Ma secondo te dovremmo tutte vestirci da palombare (non che sia nulla di male) per evitare commenti fuori luogo o per non essere in “collusione col nemico”?
Io credo che l’abbigliamento non sia molto importante, nel senso che se una donna è vestita in modo poco appariscente, senza trucco, il più semplice possibile, non è detto che ciò la metta al riparo dalle molestie. A me e ad altre donne che conosco è accaduto di essere importunate nelle situazioni più “normali”, più banali. Ad esempio, quando frequentavo l’università, una sera stavo tornando a casa in treno, faceva molto freddo e quindi non avevo tolto berretta sciarpa e giacca a vento .. però ho comunque incontrato un uomo che ha incominciato a fare apprezzamenti e commenti decisamente pesanti e fastidiosi, ho dovuto allontanarmi e cambiare carrozza.
Il problema è nella testa di chi importuna, di chi molesta… la persona che ti disturba può farlo per un’infinità di ragioni tutte sue, che in gran parte non dipendono da noi.
Bisogna annullare la cultura del “se ti vesti così te la vai a cercare”.
Bisogna essere contro ogni violenza. Indiscriminatamente.
Chissà, in futuro magari a volte potrò essere “contro” il modo in cui le mie figlie vorranno vestirsi per uscire, ma lotterò sino alla fine per il loro diritto a potersi vestire come vorranno senza timori.
PS Ovviamente non solo per le mie figlie, ma per tutte le donne. Ed in realtà per tutti, per non leggere più notizie così
http://milano.repubblica.it/cronaca/2011/11/24/news/io_aggredito_in_pieno_centro_a_milano_mentre_passeggiavo_col_mio_compagno-25490837/?ref=HREC2-13
Ce ne sono moltissime robi, figurati. Alle mie tette hanno offerto una collaborazione a psicologia – ora vuoi che un altro paio non l’abbiano accettata?
Ma vedi – quello che bisogna fare, è rendersi conto che sia io che non accetto, che quella che accetta siamo parte lesa allo stesso modo. Io so che passo per politicamente scorretta, ma fondamentalmente la zoccola non è un gran mestiere. La zoccola non ottiene mai il potere, è proprio costitutivamente impossibilitata a farlo, ha infatti concentrato la sua strategia e la sua efficacia su quello che non serve, di quello che serve non importa a nessuno. Nei rari casi in cui darla ha portato a profitto vero e duraturo, la prestazione sessuale, l’atteggiamento succube nei confronti dell’uomo che elargisce, sono accompagnati da un gran quantitativo di doti aggiuntive, non necessariamente attinenti alla preparazione e alla cultura ma certamente attinenti alla crescita professionale; per cui se quella li non faceva la troia, sicuro che faceva carriera lo stesso.
Ossia, questa è una prassi che nutre gli studi degli psicoterapeuti – non so se sono stata troppo ellittica.
@ Luciana ,Stefano: nel mio racconto ho specificato che la mia amica era vestita sobriamente, non per dire che in caso contrario avrebbero avuto diritto a urlarle NUDA NUDA; ma per dire che neanche la mente più malata avrebbe potuto raccontarsi che in fondo se l’andava cercando, quel tipo di attenzione.
@francesca violi Io pensavo al diritto di una donna di potersi mettere in minigonna ed andare a ballare o semplicemente in giro senza che nessuno si senta in diritto di anche solo sfiorarla
Sì, certo, anch’io intendo quello, ci mancherebbe; nel mio aneddoto precisavo questo aspetto proprio perchè chi molesta spesso impugna il modo di vestire della vittima come giustificazione, in mala, o purtroppo persino in buona, fede.
@ zaub
siamo tutti molto lieti di apprendere che le tue tette potrebbero entrare nella lista dei patrimoni protetti dall’Unesco. Ciò detto, se qualche appartentente al gentile sesso (horribile dictu) volesse spiegarmi cosa intende per molestie, le sarei grato.
…. nel senso, che su stalking e violenza c’è poco da spiegare. c’è solo da condannare e sbattere in galera. ìma la molestia, ecco, per me può esserlo il sibilo di una zanzara, mentre per un altro il fischio di una locomotiva. nome e cognome delle molesie, insomma. senza nulla a pretendere, ci mancherebbe
@Wu Ming 4 & Adrianaaaa:
appunto. 78% di studentesse molestate a vario titolo = 78% di uomini conoscenti delle studentesse molestatori a vario titolo. Più semplice di così.
@Enrico Gregori:
cosa sia una molestia è impossibile da definire, hai fatto una domanda inutile, scusa se te lo dico. La nomenclatura, la classificazione qui non c’entrano nulla. Discutevo (fra i tanti) con un uomo, recentemente. Diceva che per un uomo “normale” è “evidente” la differenza fra complimento e molestia, ovvero: l’uomo “normale” si rende conto e tiene in considerazione la *volontà* della donna a cui si sta rivolgendo. E diceva, sempre lui, che poi ci sono quelle eccezioni, i porci, i maniaci, per i quali questa soglia non è evidente.
Vedi, Enrico, dopo anni di Lipperatura (non solo Lipperatura, tante altre cose, ma essendo a casa Lipperini basta prendere in esame anche solo questa) com’è possibile che non stia passando il messaggio che la molestia, il sessismo, non è la falla del sistema, essa è IL sistema? E’ una questione culturale, prima di tutto.
@tutti
Partecipai anch’io al questionario Unibo, fu nel 2008. Mi resi conto di taaante cose, compilando quel questionario. Iniziava gradualmente. Iniziava chiedendoti della strada, se camminando senti il bisogno di abbassare lo sguardo quando passi di fianco agli uomini. Se quando sali su un autobus ti senti osservata. Iniziava da qui. Poi passava alle molestie per telefono, e gradualmente fino alla fine.
Poi infatti passai a raccontare la mia vicenda di stalking. E chiamiamolo con il suo nome (@enrico gregori, mi inquieta affibbiare nomi e definizioni, non so se c’ho la collezione completa delle figurine per completare l’album dello stalking). E il questionario mi ha fatto domande su cose, di quell’esperienza, che non avevo mai analizzato. Erano rimaste da qualche parte a galleggiare, senza che riuscissi a mandarle giù.
Lo stesso funzionamento dei miei studii di genere. C’è qualcosa che non percepisco ma che galleggia senza andare giù né venire a galla, poi piano piano riesco a vederci un po’ più chiarmente.
Grazie a tutti.
@enrico gregori, lo dico con parole mie, la molestia è essere oggetto di attenzioni sgradite che ti pongono tuo malgrado come oggetto erotico. Nel migliore dei casi ti mettono a disagio, ma può essere imbarazzo, umiliazione, vergogna, o addirittura puoi arrivare a modificare il tuo comportamento in funzione di queste (ad esempio andare in ufficio vestita da palombaro per non dare adito a insinuazioni, evitare di trovarti col tal prof da sola, di entrare in quel bar dove ci sono solo uomini ecc.). Fanno leva spesso sull’asimmetria (di numero, di forza fisica, di opportunità, di posizione di potere…) e sull’equivoco grossolano che queste attenzioni siano gradite se non cercate, mentre è ovvio, basta che uno le pensi rivolte a se stesso o a propria madre-figlia-sorella, che non è così.
Non trovo la domanda di Enrico ovvia, e trovo stupido liquidarla. Perchè credo che nel contesto culturale in cui viviamo chi occupa la posizione di potere, possa tendere a sottovalutare qualche volta in buona fede le implicazioni che il potere implica. Può capitare che chi occupi il potere si senta attratto da una donna e cerchi nell’arsenale delle cose che può offrire per reincontrarla il fatto di vedersi per lavoro. Credo che questo sia il caso che a Enrico provochi confusione.
La definizione però c’è eccome, e sulla base di quella si muovono molti ordinamenti giuridici. Non sono competente in materia giuridica, ma qualifico la molestia quando la posizione di potere del mio interlocutore mi impedisce di agire liberamente il sesso in un contesto di lavoro. Se un accademico Enrico ti propone una collaborazione facendo chiaramente capire che lo fa perchè ti vuole scopare, io che sono una studentessa mi trovo nella difficoltà di rifiutare perchè il sesso è imposto con un ricatto latente. Il metro della molestia combacia con il mio metro di libertà capisci? Uno che mi tocca il culo sull’autobus senza constare prima se è cosa gradita e uno che mi dice che se non mi toccherà il culo non mi darà il posto sono la stessa cosa.
Poi c’è anche la questione che esula dalla molestia e riguarda l’etica condivisa: non è molto bello sapere che una ragazza che non ci sta, o un ragazzo che non ci sta non avranno quel posto avendone le competenze.
la mia domanda era forse inutile ma di sicuro non era provocatoria. però, non certo perché l’abbia posta io, avrei anche qualche dubbio sulla sua inutilità. mi spiego. esiste un codice penale che prevede i reati. ora, il punto è che il codice penale viene interpretato dai giudici in sede di processo. io ho visto denunciare e condannare per molestie impiegati che hanno cinto ai fianchi una collega mentre lei era intenta a fare delle fotocopie. e ho visto condannare per molestie chi, sul bus, appoggia insistentemente il suo gingillo alle terga della malcapitata. io una differenza ce la vedo, ma non so se ce la vedono tutti. giacché sono cose che non si misurano con la bilancia, ma con la sensibilità
Enrico, non so della molestia giuridica, immagino ci sarà una legge che descrive e specifica. Ma se tu chiedi qual è una molestia per me, ti dico: un’attenzione in cui tu mi dai il ruolo di tuo oggetto erotico senza consultarmi, cioè senza curarti che questo ruolo sia o meno richiesto e gradito. Il flirt, il corteggiamento, presuppone un certo grado di consultazione, di autorizzazione, di incoraggiamento anche sottile da parte dell’altro a lasciarsi corteggiare e sedurre: quando c’è seduzione, nessuno dei due è solo un oggetto. Invece quando uno agisce a prescindere dall’altro, è una molestia. Se a te Enrico un tuo collega ogni volta che fai le fotocopie ne approfittasse, malgrado il tuo imbarazzo e fastidio, per cingerti la vita o anche solo sussurrarti battutine allusive, secondo la tua sensibilità non sarebbe molesto?
il discrimine sta nel grado di libertà. se l’uomo ha cinto una sola volta la collega il giudice mi sia permesso, è un coglione. Se l’uomo era solito fare lo stesso gesto reiteratamente con la collega incazza come una mina, il giudice ha fatto bene. Le situazioni sono sfumate è vero, ma anche per la difficoltà che si ha nel fare esprimere la natura dei sentimenti o nei paraocchi che per secoli il mondo ha avuto in tema (donne stuprate per decenni hanno voluto essere stuprate.
francesca, io non faccio il magistrato né lo psicologo. quello che intendevo dire è che esiste una legge che, peraltro, è abbastanza confusa e troppo soggetta all’interpretazione del giudice. ma quello di “molestie” è un reato contro il quale si procede OBBLIGATORIAMENTE su querela di parte. ecco perché (credo) è così fondamentale la personale concezione della molestia. potete anche ritenerli casi limite, ma ci sono stati uomini denunciati per molestie per aver chiesto 3 volte in un’ora a una donna di uscire a cena. sono denunce (queste) che spesso cadono nel vuoto, eppure vengono sporte.
@Barbara
Mi sono tenuta il piumino da palombara x “legittima difesa” e perchè fosse chiaro che il voto l’ho preso ( le colleghe chiedevano una volta fuori dalla porta) senza la maglietta AD HOC. NON è assolutamente Il “vestita te la cerchi”, semmai è il suo esatto contrario: me la cerco perchè sono furba.
Un conto è vestirsi come ci pare per strada o in disco, un conto è conciarsi da zoccole perchè ci piacciono gli esami passati senza spararsi 8-9 ore al giorno di sgobbo….sai com’è anche le secchione che credono, poverette, nella meritocrazia, nel loro piccolo s’incazzano.
Per quel che mi riguarda anche se l’uomo ha cinto una sola volta la collega ma questa gli aveva fatto capire che la cosa non era gradita per me è molestia.
Io lavoro in un ambiente prettamente maschile (e anche piuttosto maschilista)e ho imparato a tenere alla larga i soggetti non graditi, a cui non do nessuna confidenza, proprio perché non ci sia nessun tipo di comunicazione o messaggio ecc da poter interpretare.
Per farla spiccia io considero molestia quei casi in cui volontà della donna non è tenuta in considerazione.
robi, ci credi che “conciarsi da zoccole” è un’espressione che sta perdendo terreno anche presso noi maschietti lubrichi e molestatori? 🙂
sono d’accordo con zauberei quando dice che le situazioni ci appaiono “sfumate” perché in realtà le guardiamo con il paraocchi e senza l’abitudine di ascoltare.
perché se coloro che affermano di avere bisogno di una definizione più chiara di molestia ascoltassero, saprebbero che la molestia è qualcosa che fa male. questo. ti fa star male lì per lì, ma non solo. ti costringe ad abbassare lo sguardo quando incroci gruppi di uomini per strada, ti fa preoccupare sul tuo posto di lavoro e, ancora più alla lunga, ti rende anche meno ambiziosa, più propensa a lasciar perdere e così via.
sarà un caso che un’altra indagine di Alma Laurea mostri come le laureate siano più soggette alla disoccupazione e all’essere NEET, che guadagnino meno e facciano lavori meno qualificati rispetto ai laureati (tra l’altro laureandosi con risultati migliori)? e soprattutto qui prodest? lo vediamo che anche la molestia (la tacita autorizzazione alla molestia) è uno strumento?
@Zaub
tra chi mi tocca il culo e in autobus e chi che me lo tocca durante un colloquio di lavoro c’è un mare di differenza. Al primo posso dare una ginocchiata ai santissimi se sono coraggiosa, col secondo ci devo andare cauta, specie se mutuo e bollette incombono. E lo dico con dolore.
P.s
“Oleanna” di David Mamet è un ottimo lavoro teatrale dove si vede la deriva estrema del politically correct americano in materia di sexual harrassment tra professori e studentesse, ma lì almeno le tette non valgono, beati loro
ahahha dai Enrico, era un’espressione enfatica, comunque accolgo con giubilo la tua notizia che attesta un’evoluzione estetica anche tra i maschietti lubrichi, molestatori e lasciami aggiungere sempre enfaticamente: laidi :DDD
non ti accorgi robi che siamo d’accordo. E dunque il discrimine tu lo vedi. Come volevasi dimostrare.
E poi ultima cosa e scappo – che giornata devastante di scarsa concentrazione oggi – io credo Enrico, che l’aspetto soggettivo non è il concetto di molestia il quale è bello chiaro a tutti qui e lo sarà anche ai giudici. L’aspetto fluido è il momento in cui a una certa persona scatta l’interruttore. Ma quell’interruttore concerne la di volontà un soggetto rispetto l’azione di un’altro, dove certe cose possono farsi solo con pari volontà. Ivi compreso lasciarsi mettere le mani addosso.
Faccio un esempio – tanto qui anche te mi hai vista e sai che non sono sta gran figa:) – quando lavoravo in una rivista colta e sciccherrima bei tempi in effetti ero anche più magra, facevo l’editor e correggevo articoli di intellettuali sofisticaterrimi. Ecco, stavo al computer a scrivere molto tranquillamente e alle mie spalle arriva uno, finissimo eh finissimo proprio e sinistrissimo eh, questo che io avevo visto mezza volta mezza, ci eravamo detti ciao io faccio questo e lui io invece insegno cazzologia fiamminga, e fine, dicevo viene questo e per salutarmi dice: ciao bella e mi ficca una lingua in un’orecchio.
Era una molestia si Dio Mandrillo! Perchè l’aveva fatta il collaboratore sbagliato! eh:) se l’avesse fatto quello fico davero al quale avevo fatto un sacco di occhioni e fatto delle battute e molto industriata…. avrei detto solo che cattivo gusto che cazzo! ma che nevrotico non me po’ invità a prende un caffè? In questo caso invece ho pensato alla lesione del mio spazio. Non avevo aperto nessuna porta.