In uno dei bar vicino via Asiago, siede ogni mattina un vecchio signore, e quando prendo la strada di quel bar, lo incontro e lo saluto. Il signor Esse, così lo chiameremo per rispettare la sua privacy, è una presenza familiare da quando avevo vent’anni. Era lui, infatti, a rifornire di macchine da scrivere (in affitto, suppongo) il Partito radicale: dal suo negozio arrivavano Olivetti meccaniche e le prime, seducentissime, macchine da scrivere elettriche, quelle su cui ho cominciato a scrivere con dieci dita, senza guardare la tastiera, come se non avessi aspettato altro in vita mia.
Penso al signor Esse dopo aver letto, come accennavo ieri, almeno tre romanzi recenti che riguardano gli anni Settanta. Di uno ho già detto, ed è La scuola cattolica di Edoardo Albinati, e fa storia a parte, perché non è semplicemente il romanzo-degli-anni-Settanta e non è nemmeno soltanto il romanzo del delitto del Circeo, bensì l’epopea di uno spirito del tempo, ed è perfetto così.
Gli altri due sono I campi di maggio di Igor Patruno e La guerra è finita di Lucia Guarano. Sono romanzi evidentemente diversi con un tema e un tempo comuni: fine anni Settanta, la spaccatura del movimento, chi diventa un fantasma in clandestinità, chi si buca, chi muore, chi no. C’è una differenza anagrafica, anche. Igor Patruno ha vissuto quegli anni. Lucia Guarano in quegli anni nasce e, così come fece Nadia Terranova ne Gli anni al contrario, ricostruisce un antefatto che evidentemente ha avuto e ha un peso sulla generazione a cui appartiene.
E’ interessante, e direi importante, che esista questo sguardo, quello di chi non c’era, e che cerca di capire cosa significasse esserci. Detto questo, è anche molto difficile farlo: leggeteli tutti, i libri che ho citato, perché sono buoni libri e libri utili. Manca un tassello, ma quel tassello è quasi impossibile da restituire in narrativa (fatevelo dire da chi ci sta provando forsennatamente): ed è l’onnipotenza. Quella delle macchine da scrivere (che nel romanzo di Lucia Guarano, per dire, appaiono).
Improvvisamente, erano ovunque, le macchine da scrivere, e una generazione vi posava sopra le dita, con la certezza di avere qualcosa da dire che non sarebbe scomparso, sarebbe stato parte integrante della vita futura di altre e altri. Le macchine da scrivere delle ragazze e dei ragazzi dei movimenti, delle radio, delle semplici camerette. E, certo, quelle delle Brigate rosse da dove uscivano i comunicati numerati che si trovavano qua e là, nei cestini di rifiuti, nei bar.
L’onnipotenza era quella, anche. Parole che avrebbero cambiato il mondo, pronunciate e scritte dalla “new kind of generation” che non aveva conosciuto né guerra né miseria, per la prima volta nella storia. Non è andata esattamente così, e non è neanche una questione di colpe e di fato. E’ che, ancora, troppi fatti sono sospesi o cancellati dalla nostra memoria, per riuscire a pensare, di nuovo, una possibilità. Per tutti, non per noi “new kind of”, e questo dovrebbe essere il punto.
e se per caso non trovo le tue parole,allora mi sento dalla parte sbagliata.
Oggi ci sei come sempre,grazie Loredana,
dario.
ciao loredana, pensavo volessi parlare di quel tizio un po’ svitato che sta seduto a un bar vicino a via asiago e urla sempre le stesse frasi su un’autoradio rotta 🙂
Interessante sarebbe analizzare il rapporto tra la scrittura , tra il pensiero e la sua mediazione tecnica. Già anche le macchine da scrivere devono aver fatto il suo danno. Passare dalla “linearità faticosa della penna, alla comoda scrittura “ radiale con le dieci dita a quanto pare, già è un passo pericoloso, l’illusorio “ senso di onnipotenza” dei ragazzi nelle camerette degli anni ’70, ce lo lascia intuire. Ma certo sembra un inezia, di fronte al senso di onnipotenza cha i ragazzi di oggi provano digitando frasi che possono apparire istantaneamente sui monitor di mezzo mondo. Questo scarto di dimensione tra la “possibilità e l’effettiva condizione personale- se non individuato , è un precipizio in cui molti pozzono precipitare senza speranza. come nelle ideologie degli anni ’70. Ma tornando alla scrittura, il danno maggiore è forse quello del copia incolla .
Se invece lo scrivere fosse ancora quella fatica riarsa , cui anche il corpo si deve sottomettere , le cucine sarebbero più in ordine, le strade più pulite, il mondo più giusto
ciao,k.