GUARDARE I COCCI, RACCONTARE I COCCI: SUL DISINTERESSE

Nelle giornate un po’ storte, e aprile è per sempre il più crudele eccetera, avviene che si aggiungano alle cose storte altre cose storte, quindi il post non sarà proprio allegro.
Da ieri sera, costernata per centinaia di cose, dal pestaggio dei manifestanti milanesi (anche da parte del poliziotto con bomber che inneggia ai neonazisti polacchi) alla modifica costituzionale in Ungheria che infine porta alla negazione delle manifestazioni Lgbtq+, e ovviamente si può andare avanti e avanti, perché non ci mancano e non ci mancheranno le notizie che ci mozzano il fiato e ci fanno chiedere cosa succederà, anzi, cosa sta succedendo già.
Giusto, questa forse vi manca: l’amministrazione Trump ha congelato oltre due miliardi di sovvenzioni ad Harvard, perché l’università, prima fra gli altri atenei, si è rifiutata di aderire alle richieste del governo. Ovvero, “ridurre il potere di studenti e docenti ;  segnalare immediatamente alle autorità federali gli studenti stranieri che commettono violazioni della condotta; e di coinvolgere un soggetto esterno per garantire che ogni dipartimento accademico sia “diversificato da opinioni diverse””.

Tutto quasi noto, certamente. Mi chiedo, come spesso mi accade, cosa possono fare le persone che lavorano con le parole. Raccontarlo, certo: serve a pochissimo, ma almeno potrebbe essere qualcosa di meglio rispetto al lamento sulle persone che vengono alle presentazioni e poi non comprano i libri (si è liberissimi di essere stufi di fare presentazioni, per carità: ma fare di un caso personale un caso generale mi sembra eccessivo), o al trecentocinquantesimo libro sulla propria ava. Capita di essere sconfortate, come me oggi, e di cercare una risonanza, un barlume di interesse, uno sguardo verso il mondo: ci sono, eh, ma non sono così tanti.
Così, nello sconforto, ripesco Beniamino Placido, 1990:

“Ci fu nel 1964 in Francia un acceso dibattito. L’ aveva provocato Sartre con certe sue e ancora ben note dichiarazioni. A che serve la letteratura di fronte a un bambino che muore di fame? Di bambini che muoiono di fame è pieno il mondo, specie il Terzo Mondo. A che servono i romanzi, dico anche il mio romanzo La nausea? La nausea esistenzial-personale; figuriamoci. Ma soprattutto a che servono questi nuovi romanzi alla Robbe-Grillet che si pubblicano adesso in Francia? Fu organizzato (da Clarté) un pubblico dibattito al quale parteciparono Simone de Beauvoir, Yves Berger, Jean-Pierre Faye, Jeorge Semprun, oltre a Sartre stesso, naturalmente, ed a Jean Ricardou, teorico del nouveau roman. Le argomentazioni di Sartre le ricordiamo tutti, tutte. Non so se ricordiamo altrettanto bene quelle del suo contraddittore Ricardou: incomparabilmente più sensate. Disse Jean Ricardou: Sartre ha ragione ovviamente; la morte di un bambino è più importante della nascita di un romanzo; si tratti de La nausea o di un nouveau roman. Però se i romanzi non ci fossero, rimarremmo indifferenti. Come lo siamo di fronte alla morte dei vitelli, sistematicamente ammazzati ogni giorno, e in gran numero, a la Villette (la Villette è il nome del grande mattatoio, di Parigi Nord). Il romanzo crea lo spazio dentro il quale la morte per fame di un bambino è uno scandalo. Dà un senso a quella morte. Che non ne avrebbe nessuno, altrimenti. Non c’ è dubbio. Dovremmo proprio esserci convinti. Almeno per cinque minuti. Quanti ne occorrono per ricordare qualche verso di Montale. Che a Giorgio Morandi è stato spesso avvicinato. Lo sappiamo benissimo (non siamo nati ieri eccetera) che si possono dire, sentire cose importantissime in poesia come in pittura anche limitandosi a passeggiare nel sole che abbaglia (in questa stagione) per sentire con triste meraviglia com’è tutta la vita e il suo travaglio nel seguitare una muraglia calcinata dal sole. Che ha in cima occorre dirlo? cocci aguzzi di bottiglia”.

Ma avercelo, quello sguardo che guarda i cocci, invece che se stessi.

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