Due cose colpiscono, da ultimo. Una crescente attenzione narrativa sugli anni Settanta, più crescente del solito, intendo, e anche fra generazioni che all’epoca non era neanche nate, o vagivano in culla. E una riemersione di personaggi non certo di fiction che serenamente rilasciano interviste su nodi oscurissimi di quel passato.
Francesco Pazienza, per esempio.
E’ un faccendiere, si diceva di lui. Collaborava con il Sismi. Collaborava con uno dei tanti e insieme pochi nomi tossici di quegli anni, Roberto Calvi, banchiere di Dio, presidente del Banco Ambrosiano, coinvolto nello scandalo delle liste P2, pronto a rivendicare, prima della bancarotta, i favori fatti ai potenti. Calvi muore impiccato sotto il ponte dei Frati neri il 17 giugno 1982, con il corredo dei misteri e con i mattoni nelle tasche e una corda arancione al collo.
Un anno dopo sparisce Emanuela Orlandi, attorno alla quale ruotano oscure stelle molto simili. Un avvertimento per il Vaticano, dirà il figlio di Calvi. Nel 1984 il nome di Calvi risuona ancora con la conferma dell’esattezza e verità degli elenchi della P2 sequestrati nella villa di Licio Gelli, che confermano la relazione fra P2 e servizi segreti. A settembre Michele Sindona, membro della loggia P2, mandante dell’omicidio dell’avvocato Giorgio Ambrosoli, coinvolto nella vicenda Calvi e associato alla mafia, viene estradato dagli Stati Uniti e imprigionato nel carcere di Rebibbia dove morirà due anni dopo, bevendo un caffè al cianuro.
Quanto a Francesco Pazienza, accetta ormai interviste sul lungomare di Lerici, fumando sigarette e dichiarandosi orgoglioso della sua attività di volontario durante il terremoto dell’Aquila. E, sì, certo, racconta serenamente di aver trattato con il terrorismo palestinese, sì certo, lui ha condotto la trattativa. “Quella fu la moneta di scambio per la tranquillità e l’assicurazione che controllassero soprattutto Abu Jihad e George Habash, che erano i due veri e propri terroristi dell’epoca”.
Ah, la trattativa. Ah, certo, il Lodo Moro. Se ne parla con un’indifferenza agghiacciante: ma sicuro, c’era un accordo con Arafat. Anzi, guardate un po’, ce n’era uno pure con Gheddafi, è notizia di ieri. E si dice, sempre serenamente:
“prevedeva, in cambio della non belligeranza dei palestinesi contro l’Italia, sostegno politico nelle sedi internazionali e molti aiuti materiali. Mi risultano consegne di armi, nascoste dietro il sistema delle triangolazioni, e poi camion, ospedali, soldi, borse di studio per i loro studenti, i quali peraltro tutto facevano meno che studiare, libero transito per il nostro territorio di armi e di combattenti. L’accordo prevedeva anche la liberazione di terroristi palestinesi nel caso la polizia li avesse arrestati”.
Sul Lodo Moro e sulla morte di Graziella De Palo e Italo Toni, che al lodo è collegata, c’è ancora il segreto di Stato.
Tutti coloro che smaniano sui social parlando di complotti del presente, dovrebbero, magari, mettersi una manina sulla coscienza, studiare una bibliografia, leggere. Per capire di cosa parliamo quando parliamo, davvero, di complotti.
la questione è più complessa di altre anche perchè intorno alla causa palestinese insitono tanti interessi, da quelli dei teo o cripto-nazi per cui Israele è sempre l’arcinemico, o quello nutrito dalla galassia comunista, che in ogni caso non stravede per gli ebrei (pur essendo stato uno di loro a forgiarne una coscienza di classe). Su di tutto ha pesato comunque la simpatia che quasi tutti possiamo provare per un popolo che subisce un’occupazione calata dall’altro le cui rimostranze vengono neutralizzate con la forza di cui i rappresentanti politici si vantano, salvo rari casi come quello del compianto Rabin, e combatte per sottrarsi a quel giogo. Certo, in mezzo a questo confluire di interessanze il lodo moro inteso come patto di non belligeranza nel timore di attentati fornisce un po il polso di quanto fosse precario l’equilibrio dell’Italia quei tempi