E così è passato l’emendamento che permette ai No Choice di annidarsi nei consultori, agitando, si suppone, gli spettri che hanno sempre evocato, e sussurrando la parola “assassina” più o meno apertamente. Inutile che assicurino che non lo faranno. Lo hanno sempre fatto. Anche se ora, sul sito di Pro Vita & Famiglia, assicurano:
“non è assolutamente vero, come propinato da fake news ideologiche in questi giorni, che l’emendamento farà entrare le associazioni pro life nei consultori.”
Ah no? L’emendamento approvato dice che le Regioni possono “avvalersi, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, anche del coinvolgimento di soggetti del terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità”.
Vediamo la qualificata esperienza. Non so quanta possa chiamarsi “esperta” la «onlus laica e aconfessionale» Pro Vita&Famiglia. La stessa che nel 2018 riempiva le città con il manifesto «Sei qui perché tua mamma non ha abortito», che nel 2020 ha pubblicato le immagini di due feti con la scritta «Quale dei due è stato concepito da uno stupro?”», che ha depositato una proposta di legge di iniziativa popolare per far sì che il medico della ecografia pre-aborto sia obbligato a far sentire alla donna il battito cardiaco. E dunque, ecco, riesce molto difficile usare quella parola, “sostegno” , o magari “amore” e accostarla a toni come questi, perché l’amore è soprattutto rispetto di chi compie scelte diverse dalle proprie.
Penso al tristissimo caso di Indi Gregory, cui il governo italiano, questo governo, ha concesso in tempi record la cittadinanza affinché potesse essere assistita nel nostro Paese.
Sembra un gesto d’amore, ancora una volta, e ancora una volta ne dubito. Perché sarebbe interessante sapere perché quella stessa attenzione non viene riservata ai bambini che, dopo l’accordo Italia-Albania, corrono il rischio di venir separati dai genitori. O a quei diecimila minori stranieri che ogni anno sono dichiarati ufficialmente scomparsi in Italia. Diecimila, intendiamoci. Che volete che siano, diecimila persone? Riempiono meno della metà dell’ippodromo di San Siro, entrano giuste nella discoteca Privilege di Ibiza. Non fanno numero né mercato, diecimila persone, neanche se sono bambini, e al massimo producono uno sbuffo di insofferenza, ancora con questi migranti, ancora con il senso di colpa, non abbiamo già pianto per Aylan?
Ma se è giusto spendersi per una bambina, è giusto spendersi per ogni bambino, da quelli che muoiono a Gaza e in Ucraina a quelli che muoiono in mare. Vero, ci occupiamo di ciò che abbiamo davanti agli occhi, non di ciò che è lontano. Ci occupiamo del caso unico e di quel che rende visibili. E, vero, questo è il dilemma antico, il dilemma del male, il dilemma lacerante del testimone che assiste impotente all’orrore: «Mettiamo la maglia, che il sole va via», Franco Fortini ne era consapevole. Noi no, e ci limitiamo ad assistere, senza neanche capire.
NB. Alcune parti di questo post vengono da un articolo scritto per La Stampa a novembre.
Colgo l’occasione per dire che il blog prende una pausa fino a metà maggio, a causa di tre festival e una settimana di conduzione. La primavera è faticosa! A presto.