I NOSTRI DEBITI

Ieri i settant’anni dalla morte di Virginia Woolf. Fra poco, il 14 aprile, i venticinque dalla morte di Simone de Beauvoir. Michela Marzano interviene su quest’ultima, oggi, su Repubblica, così:
“Non si nasce donna, lo si diventa”. Lo slogan di Simone de Beauvoir è famoso. Esattamente come sono noti i suoi rapporti complessi con Sartre, le sue battaglie politiche, i suoi romanzi. Ma Simone de Beauvoir non è solo questo. È soprattutto una delle maggiori intellettuali del XX secolo, la cui opera, talvolta complessa, talvolta ambivalente, ci ha lasciato in eredità una libertà immensa: quella di pensare con lei o contro di lei. Perché essere veramente liberi, significa volere la libertà degli altri.
«Solo la libertà dell´altro è capace di necessitare il mio essere», scriveva nel 1947 in Per una morale dell´ambiguità. È forse per questo che, a venticinque anni dalla sua scomparsa, Simone de Beauvoir continua a suscitare interesse e polemiche. E che Le Monde le dedica un numero speciale per celebrarne l´opera e la vita, nonostante le critiche devastanti che l´hanno sempre accompagnata nel corso dell´esistenza.
Quando, nel 1949, esce Il secondo sesso, l´obiettivo di Simone de Beauvoir è chiaro: di fronte alla dominazione maschile, l´unica possibilità che resta alle donne per accedere all´uguaglianza è quello di celebrare l´universalità della ragione. È solo decostruendo le categorie di “uomo” e “donna” che si potrà un giorno permettere a tutti di accedere al “neutro”. La ragione, infatti, non ha “sesso”, e anche quando “ha” un corpo, non “è” mai il corpo in cui si incarna. Opponendosi ad una tradizione filosofica millenaria secondo la quale esisterebbero due essenze radicalmente differenti, quella femminile e quella maschile, la filosofa francese si batte contro l´idea che le donne siano, per natura, sprovviste di autonomia morale e incapaci di argomentare. Basta con quest´idea che l´obbedienza, la fedeltà e il silenzio siano virtù tipicamente femminili: la donna non è solo una creatura sottomessa che assiste impotente alle trasformazioni del proprio corpo; non è solo la giovane che aspetta di essere fertile, la sposa che diventa madre, l´anziana che, una volta in menopausa, esce dalla circolazione.
Basta con quest´oscurantismo che riduce la donna a “sesso”: «La donna si determina e si differenzia in relazione all´uomo, non l´uomo in relazione a lei; è l´inessenziale di fronte all´essenziale. Egli è Soggetto, l´Assoluto: lei è l´Altro». Certo, la donna è “altro” rispetto ad un semplice corpo programmato per la sessualità e la riproduzione. Ma proprio perché non esiste alcuna necessità biologica di fare figli e di occuparsene, l´altro cui deve aspirare la donna è la propria razionalità. Ma cosa resta oggi del suo pensiero universalista? Chi prende ancora il tempo di leggere Il secondo sesso per tirarne le conseguenze necessarie per un vivere-insieme decoroso, senza impantanarsi in inutili querelles?
In questi ultimi anni, all´interno del femminismo, si è creata una vera e propria frattura. Da un lato, portando al parossismo le posizioni di Simone de Beauvoir, un certo numero di femministe “universaliste” sostengono che il vero problema non è la differenza di genere (l´insieme delle condizioni psicologiche e sociali che fanno sì che ci si senta uomini o donne) ma la differenza di sesso (l´insieme dei caratteri biologici e genetici): per loro, non esiste alcuna differenza tra gli uomini e le donne, perché il “sesso” ci viene imposto esattamente come il genere; ogni persona è al tempo stesso uomo e donna. Dall´altro lato, rifiutando in blocco le analisi della filosofa francese, alcune militanti “differenzialiste” fanno della “capacità riproduttiva della donna” il simbolo del potere femminile. E se la “verità” del pensiero di Simone de Beauvoir fosse altrove?
La paladina del femminismo francese non ha mai smesso di esortare le donne a “costruirsi” e a decidere ogni giorno della propria vita. Lo ha fatto rimettendosi sempre in discussione, anche nella propria vita. Svelando le proprie fragilità e le proprie fratture interne, non ha voluto essere né una “leader”, né una “madre simbolica” per le proprie lettrici. E se ha sempre difeso l´universalismo, è stato per esortare le donne a superare le contingenze storiche per raggiungere l´uguaglianza tra gli uomini e le donne. Non ha proposto alcun “modello unico” da seguire. Non ha mai rifiutato la singolarità dell´esperienza individuale. Nei suoi romanzi, ci ha parlato di “sua” madre, dei “suoi” amanti, della “sua” vecchiaia. E lo ha sempre fatto in prima persona. Perché “ogni incarnazione dell´esistente ha un significato sessuale”, come ha scritto più volte, iscrivendosi all´interno dell´esistenzialismo di Sartre e di Merleau-Ponty.
Per sottrarsi ai condizionamenti storici, le donne devono innanzitutto rifiutare l´idea di un “destino” predeterminato ed elevarsi alla ragione universale. Devono gettare “dentro il vecchio armadio delle entità” le idee di “istinto” e di “eterno femminile”. Devono affermare insieme agli uomini e “al di là delle loro differenze naturali”, la loro fraternità. Ma non devono, per questo, rinunciare alla propria singolarità. Certo, “per sapere in che misura la donna manterrà la propria singolarità bisognerebbe azzardare dei pronostici molto arditi”, scrive la filosofa nelle ultime pagine del Secondo sesso. È per questo che resta tanto da “dire” e da “fare”, come dichiara la psicanalista Julia Kristeva. Ma l´eredità che ci lascia oggi Simone de Beauvoir è proprio questa: una serie di chiavi di lettura per pensare il mondo in cui può vivere oggi la “donna emancipata”. Senza ricette. Senza pretese. Cosciente solo del fatto che, per essere “libere”, le donne non devono mai smettere di lottare contro gli stereotipi.

12 pensieri su “I NOSTRI DEBITI

  1. l’essenza che ci leggo io: decostruire le categorie uomo-donna, abbandonare battaglie corporative fondate su queste categorie, uscire dalla logica militante (e militare) oppresso-oppressore. Respirare.

  2. Ovviamente la ragione non ha sesso, ma nemmeno esiste se non incarnata in una personalità sessuata. Questo universalismo può diventare un trappolone (lo stesso per cui, come si dice nel post precedente, si eliminano tutti i simboli religiosi per non privilegiarne nessuno). E’ figlio di un intellettualismo molto datato, di cui l’esistenzialismo di Sartre è stato un esempio, a differenza di Merleau Ponty, che ha pensato sempre concretamente, a partire dall’incarnazione. In effetti il secondo è studiatissimo, il primo è sulla teca di chi molto lo amò e non oltre. Mi sa che la De Beauvoir ha trasposto in termini femministi un’antropologia altrettanto lacunosa quanto quella del compagno.

  3. grazie. per il titolo: i nostri debiti. Sono sicuramente in debito con Simone de Beauvoir, soprattutto per le riflessioni sulla consapevolezza della fragilità singolare, individuale, e la necessità di un punto di vista che venga della donne e che sia il più possibile universale, senza dogmi.

  4. Per come la vedo io, punto di vista personale, limitatissimo e non certo filosofico, (non ne ho conoscenze ne’ capacita’ ne’ pretese), credo che nessun essere umano sia totalmente uomo o donna. Credo che in ciascuno di noi coesistano, in misura maggiore o minore, caratteristiche “maschili” (indipendenza, orgoglio, attivismo, desiderio di affermarsi…) e “femminili” (sensibilita’, accoglienza, istinto di cura…).
    Molti fattori, sia genetici sia di educazione o di manifestazione della sessualita’, fanno prevalere le prime negli uomini, le seconde nelle donne. Si tende costantemente a soffocare come sbagliata ogni manifestazione di istinto o caratteristica contraria al proprio sesso di nascita.
    Non solo. Per antica tradizione di una societa’ patriarcale, le caratteristiche “femminili” pur esaltate da una ipocrita morale della sottomissione come valore, sono di per se’ considerate inferiori rispetto a quelle maschili, brillanti, attive.
    Ecco, da tutto questo, da queste pressioni e da questa confusione derivano i mali: ruolo inferiore della donna, disagi psichici di chi non si riconosce in queste categorie e ne soffre, disparita’ della societa’, conflitti, e anche spreco di risorse, nella misura in cui il contributo di una parte dell’umanita’ e di una parte della natura umana viene soffocato e misconosciuto.
    Una societa’ che ritrovasse un equilibrio dei valori “maschili” e “femminili”, smitizzando i primi e rivalutando i secondi, sia per quanto riguarda l’umanita’ nel suo insieme sia per quanto riguarda le componenti in ciascuno di noi, sarebbe sicuramente piu’ giusta, equilibrata, serena, e ridurrebbe i conflitti.
    Ma nelle societa’ aspra, estremamente sessualizzata, omofoba, razzista, competitiva, violenta in tutti i sensi in cui viviamo, che tende a soffocare qualsiasi empatia umana, questo equilibrio e’ molto al di la’ da venire.
    E preciso, se non si fosse capito, che questa mia visione, appunto parziale e personale, non ha niente a che vedere con la mistica della capacita’ riproduttiva o una presunta superiorita’ delle virtu’ femminili.
    Non credo occorra ne’ rinnegarle come inferiori (lo sbaglio di certe femministe del passato) ne’ esaltarle.
    Solo ricuperare l’equilibrio negli esseri umani.

  5. Quando ho letto Il secondo sesso ero un’adolescente.All’epoca, erano gli anni 80, pensavo che essere femminista significasse essere come un uomo,una dura.La De beavoir mi ha insegnato che non era quello il cuore della questione, essere donna non sottomessa non significa certo rinnegare il proprio sesso.ma riconoscere nella diversità una risorsa

  6. L’articolo mi è piaciuto molto – per la chiarezza e l’esordio fulminante. Proprio per quell’esordio così vero – io prescriverei il Secondo Sesso in lettura a tutte le ragazze diciamo intorno ai venti quando più quando meno. Perchè il secondo sesso – quando gli dai ragione o quando allo stile assertivo reagisci dando torto – in ogni caso aiuta a strutturare una singolare e cerebrale identità e personalità. E’ un innaffiatore di sinapsi – e insegna la libertà. Per quanto mi riguarda – da una parte ho accolto molti dei suoi suggerimenti – sulla costruzione sociale del femminile, da un’altra ho rifiutato altre sue conclusioni sul perchè il femminile agisce in certi modi. Con il tempo ho anche scoperto che la parte del volume in cui parla di psicoanalisi era quanto di più distorto archeologico e disinformato – anche rispetto al suo anno di pubblicazione – e scoprivo con un po’ di delusione che a sostegno delle sue tesi citava Helene Deutsch, una delle analiste più sessiste della storia – e sicuramente più di Freud. Queste cose sono importanti per un discorso solo tangenziale al femminismo e che riguardano più che altro il problema della secolare disinvoltura degli intellettuali a parlare della psicologia senza aver letto molto, ma rimane il fatto che Il Secondo Sesso è un libro di capitale importanza.

  7. Ho letto un po’, sia della De Beauvoire, che di Virginia Woolf ma anche Luisa Muraro, che giunge alle stesse conclusioni sull’individulità dell’azione. Possiamo cercare di fare la nostra parte, ma credo che alle giovani generazioni manchi la consapevolezza degli strati del nostro agire, possiamo discutere creare momenti di incontro e confronto, che in una città piccola come la mia mancano, e motivare le ragazze alla lettura perchè solo conoscendo le cose possiamo muoverci consapevolmente. Io ringrazio la Lipperini per il bel blog, che è sempre di stimolo e di riflessione. Buon lavoro!

  8. devo dire che mi intendo molto poco di pensiero femminista – curiosamente, però, quel poco che so va in contrapposizione (almeno secondo me) al pensiero della de beauvoire.
    nel campo delle scienze politiche il femminsmo è perlopiù una critica construttivista al concetto di razionalità (maschile, occidentale, positivista) che ha dominato l’analisi politologica per molti secoli: questo femminismo, quindi, vuole decostruire, ma non ha nessuna pretesa di “universalità”, nel senso che non c’è nulla che trascenda l’essere uomo o l’essere donna, così come non c’è nessuna verità che trascenda l’essere giovani o l’essere vecchi, l’essere italiani o arabi o cinesi – siamo costruiti socialmente, ma lo siamo totalmente, quindi uscirne (e creare una razionalità, e quindi anche una scienza, “neutrale”) non è possibile.
    in questo senso sì, le donne sono diverse, e no, non peggiori o migliori – come gli uomini queste definizioni sono contenuti vuoti che possiamo riempire come vogliamo, ma che non saranno mai “neutri”.
    tu che ne pensi?
    clà

  9. Una perplessità sulla frase finale: “Cosciente solo del fatto che, per essere “libere”, le donne non devono mai smettere di lottare contro gli stereotipi”.
    Chi può smettere di farlo o, qualora non lo facesse, non iniziare a farlo?

  10. Orfeo io non so cosa pensi Loredana, ma mi sa che la pensa come me qui – poi però non voglio parlere per lei. Il pensiero della differenza cui tu alludi, non è comunque tutto il femminismo ma una sua – certamente molto fiorente – stagione. Però si è andate oltre. C’era un forte rischio sessista in quello che tu dici, e una considerazione che molte donne hanno considerato come ingiusta – la stessa De Beauvoir volle chiudere ogni rapporto con Irigaray. Siamo sicuri che certi desideri e processi intellettuali siano etichettabili come esclusivamente come maschili, e le donne che li attuano sono donne che si mettono in bocca un linguaggio non proprio? Siamo sicuri che le filosofe della differenza abbiano usato gli strumenti opportuni per stabilire e reificare la differenza nei processi cognitivi logici e relazionali? E’ tutta una questione di filosofia? E le scienze che avrebbero molto da dire in proposito – quando lo dicono, hanno tutte le risposte sotto mano? E se invece quella filosofia della differenza avesse in realtà offerto un prestigioso alibi alla discriminazione di genere, perchè diventava prescrittiva essa stessa? E cosa facciamo delle forme soggettive individuali che ora rivendicano pieno diritto ma mettono sotto scacco le logiche binarie?

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