Non è per l’icona della Madonnina infranta, su cui tutti i media, new e old, stanno battendo la grancassa (e anche su questo, a freddo, bisognerà dire qualcosa). Quello che è avvenuto ieri a Roma impone riflessione al di là dei luoghi comuni, dell’avevo detto io, di chi infiltra cosa.
Vi porgo due interventi, per pensare. Lucidamente, se è possibile.
I commenti su Giap.
Alessandro Leogrande.
Lucidamente, un’altra cosa: le narrazioni “le donne non lo avrebbero fatto”, in questo momento sono decisamente controproducenti. Per mille motivi. Ne riparliamo.
Io credo che sia giunto il momento in cui bisogna cambiare il modo di manifestare, di lottare. Agire non concentrandosi in un solo luogo, città, ma con molteplici azioni sparse in tutto il territorio. A meno che non si riesca a organizzare le grandi manifestazioni con un efficiente servizio d’ordine, ma non mi sembra che i tempi lo consentano.
Ottimo pezzo di Alessandro Leogrande, grazie per la segnalazione. Il dibattito su Giap mi pare molto, troppo ambiguo: c’è addirittura chi parla di “compagni”, riferendosi a chi ieri ha distrutto, oltre alla città, una grande manifestazione. E non si tratta certo del primo venuto. Questo è preoccupante, e molto. Al di là di qualsiasi analisi, pur necessaria, si impone, a fronte di tante, troppe ambiguità, una presa di posizione netta oggi. Altrimenti l’analisi diventa un’alibi. Per questo mi permetto di intervenire. Sottoscrivo le parole di Alessandro Leogrande: “Non siete compagni che sbagliano, siete fascisti, e della peggior specie”.
*un alibi* (scusate)
LOEGRANDE SCRIVE:
“Mi ha colpito il fatto che molti di voi fossero ragazzini di 16-17, al massimo 20 anni. I cani sciolti e i capi ambigui tra voi erano molto più anziani, come sempre, ma molti di voi – ho visto le vostre facce dietro i fazzoletti e le maschere, sotto i caschi – non avevano più di 20 anni.
E allora mi sono chiesto: da dove uscite fuori? In quali luoghi, su quali libri, attraverso quali lotte vi siete formati in questi anni? Cosa pensate della politica, dal momento che non avete altre idea di manifestazione politica che questa?”
Io ce l’ho la risposta: sono i ragazzini che hanno vissuto la crisi della famiglia e lo sfascio della scuola. Ragazzini che hanno avuto la tv come balia. Passate 4 ore al giorno davanti alla tv italiana, poi un paio allo sbando su internet, poi altre 2 su un videogioco. Poi capirete. Nessuna luogo di elaborazione del disagio, nessuna alternativa.
Poi non chiediamoci chi sono. Chiediamoci invece dove siamo stati noi adulti negli ultimi 30 anni.
Io ho trovato invece utilissimi i commenti su Giap perchè mettono a fuoco il vero problema. Non è questione di fascisti o non fascisti, quello è un modo sbagliato di prendere in considerazione la cosa: il vero punto è che c’è una parte enorme di persone che si è stufata della protesta col sorriso e il girotondo. Terribile? Certo. Ma reale. Allora, li vogliamo prendere in considerazione o facciamo ancora la cantilena, oddio, gli infiltrati i fasci.
Secondo punto, le donne. Errore madornale cominciare con i distinguo: se ci fossero state le femmine i maschi col testosterone non avrebbero fatto danni. A parte il fatto che c’erano anche le donne fra il cosiddetto “black bloc”, ma ci rendiamo conto di quanto sia fuorviante questa cosa?
@ Sara
la risposta, credo, deve essere molto semplice, anche semplificante: chi adotta quelle pratiche è oggi il principale problema di un movimento che voglia avere una portata politica e un avvenire. Il fatto che un certo disagio legato a quelle pratiche sia “reale” significa solo che è un problema reale. Il fatto che non fossero pochi infiltrati, ma una massa numericamente rilevante, significa che occorre mettere in atto, e alla svelta, nel movimento una sana operazione di semplificazione egemonica che individui un nemico interno, ne stigmatizzi le pratiche, e obblighi ciascuna e ciascuno a prendere una posizione in merito. Questo è il modo di prendere il considerazione la cosa in termini politici. Se invece di una scelta politica si preferisce l’analisi sociologica sul perché ecc. il movimento, in Italia, è finito ieri
Non ci può essere scelta politica senza analisi.
Concordo con Regazzoni, aggiungo un altro modo di vedere la questione: alle forze del male cosa fa più comodo? Tanta gente di tutte le estrazioni sociali e di tutte le età e di tutti i “generi” oppure migliaia di incazzados che spaccano tutto?
Chi è più facile manipolare?
Chi riesce meglio a far diffondere idee contro il potere?
Eppoi non mi quadra il fatto che dei ragazzi si siano già stufati di lottare democraticamente, come se fossero anni che stanno ad organizzare girotondi.
Forse la verità è che chi ha più di 40 anni si è stufato di vedere sempre lo stesso frame, ho letto anch’io Guy Debord e “situazionisticamente” organizzerei un bel corteo anti capitalista pieno di sbarbati, pettinati, in giacca e cravatta con la zia Adelina al seguito. Tanto per essere sanamente utopisti.
L’ho già scritto su un altro blog (anche lì amargine del link a Leogrande) ma mi sembra utile ripeterlo qui.
La parola chiave è: vuoto di rappresentanza.
Berluscones e sinistra fanno il gioco ormai sempre più autoreferenziale dell’assedio di Fort Apache (dove Fort Apache è il parlamento) e nessuno prova a interpretare il disagio delle masse.
Che restando masse, prive di soggettività e strategia politica, producono quel che le “moltitudini” han sempre prodotto, cioè sfascio, a beneficio di soggetti che restano cautamente invisibili.
A meno che qualcuno sia ancora disposto a credere ai romanzi globalisti di Toni Negri, e pensare che basti essere tutti contro qualcosa per essere e fare qualcosa.
Ma non è mica cosa di oggi, questa.
L’ultima volta che sono stato in manifestazione, orgogliosissimo d’esserci stato, una volta a casa in televisione ho scoperto che nella coda del mio stesso corteo alcuni (allora si chiamavano “autonomi”, si era negli anni Settanta) passando davanti a un negozio avevano rotto la vetrina per fregare macchine fotografiche di lusso. Ho deciso che da quel momento non avrei partecipato più a nulla che potesse trasformarsi sotto i miei occhi nel contrario di quello che doveva essere.
Siccome sono tutt’altro che misogino, ho cercato di capire la differenza tra comunità, società, massa.
Comunità è da sempre che provo a costruirne, la società è solo un posto di passaggio, la massa è pura inerzia di movimento, attraversata da forze telluriche o eterodiretta, meglio starne lontani se si vuole restare un soggetto responsabile.
Su questo, “Massa e potere”, di Elias Canetti, gran libro.
Sull’oggi in senso stretto, si potrebbe finalmente capire che il linguaggio della protesta che si sta ancora usando (la manifestazione di piazza) è quello elaborato in un’altra epoca: oggi ha perso il suo significato politico per acquisirne uno puramente rappresentativo, in ultima analisi spettacolare, un feticcio tutto sommato, come “il marchio” che ci fa sentire tutti dalla parte giusta. Se lo spettacolo è il luogo di gestione del potere, la vera lotta dovrebbe innanzitutto prevedere un’astensione da questo luogo, in secondo luogo assumere le caratteristiche di un atto responsabile e firmato, piuttosto che di una testimonianza. Forse la Rete, andando al di là di appelli e sottoscrizioni, potrebbe fornire strumenti. Per esempio quando si manda in tilt un sito istituzionale o quando si chiude un rapporto di commercio e di consumo con soggetti imputati di frode, ecc.
@ Sara
tutte le analisi che vuoi, ma poi in politica c’è il momento della decisione. Non penso che gli “Indignados” spagnoli non siano radicali. Penso che abbiano fatto una serie di scelte politiche, e di pratiche, molto lucide, che, per quello che ho letto e visto, condivido. Le azioni di ieri a Roma non erano uno scoppio di violenza liberatoria o di rabbia repressa: erano (e se fai politica militante lo saprai bene) il tentativo di mettere fuori gioco il modello spagnolo. Uno poi è libero di scegliere da che parte stare. Io quelle dinamiche di piazza le considero politicamente un suicidio. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: c’è un movimento globale di grande rilevanza, e c’è quello italiano che ha una malattia infantile.
La malattia infantile italiana esiste eccome: per esempio, consiste anche nel dover scegliere per forza una parte dove stare. Prima, io seguo il consiglio e penso: senza dover per forza unirmi a questo o quel coro.
Da un commento su Giap a firma Rosalinda:
«Chiudo con due domande ai “due cortei” che spero siano spunto di riflessione. 1. agli indignati sui comportamenti violenti voglio chiedere: se scendiamo in piazza con parole molto forti contro le banche e il sistema finanziario che ci sta strozzando, contro la precarietà che ci toglie non solo il futuro ma anche il presente, contro un sistema politico e una democrazia che non ci rappresenta per niente e che si fa,invece, garante di un sistema di sfruttamento, perchè bisogna essere obbligati ad agire nelle regole che questo sistema impone, perchè se qualcuno s’incazza veramente ed esce da queste regole “democratiche” di questa democrazia deve essere stigmatizzato e non riconosciuto più come vicino a noi? Se ce l’ho con le banche e urlo che la loro crisi non la pago, perchè mi devo indignare tanto di una vetrina di banca spaccata o di un’agenzia interinale devastata. 2. Agli “incazzati veramente” , a coloro che credono che innescare un conflitto, vuol dire minare la “pace sociale” e creare anche un problema di ordine pubblico: in un corteo così variamente composto, in una giornata di lotta come quella di ieri, non un punto di arrivo di un percorso ma l’inizio di un percorso, senza giudicare se fosse giusto o sbagliato, chiedo era opportuno fare tutto quel casino? Lo ritenete veramente un passaggio utile per un movimento che spero diventi sempre più grande?»
Ieri sera sono andato a letto con le stesse domande in testa. E ho deciso di prescrivermi 48 ore di silenzio, lettura, ascolto, navigazione, riflessione: lucida mente, per l’appunto. Convinto che prima della scrittura serva il pensiero.
Vedo invece in giro tanti che si sono svegliati con un’idea già ben formata e definitiva in testa. E cominciano a stilare ordini di servizio, compilare liste di proscrizioni, additare al pubblico ludibrio (o peggio).
Caro Girolamo,il problema è proprio che, nonostante tutto quello che ieri è successo, vi sia ancora chi abbia bisogno di meditazione zen per prendere una posizione… Purtroppo le vecchie, stanche dinamiche di certa (non tutta, per fortuna) sinistra radicale impongono la “lucidità” (!) del: “sì, certo, brutta cosa… e però sono ‘compagni’, dobbiamo ragionare”. Al pubblico ludibrio, e peggio, non è necessario additare nessuno: si sono già messi in mostra da soli. Così, per la prossima occasione, nessuno potrà fari finta di non sapere o di essere ancora occupato a pensare, “lucida mente”…
l’ho già letto e ho già provato a scriverlo nei commenti sul segnalato sito di Giap -leggeteveli tutti- Non si possono continuare a considerare quei manifastanti (e li chiamo manifestanti apposta) altro da noi. Non sono fascisti, non sono infliltrati, non sono stranieri e black bloc (si scrive così e non block che è un invenzione tutta italiana) non vuol più dire niente. Se non ci si parla fra le diverse anime del movimento (magari anche picchiandosi – ma non in piazza per favore!) non SE NE USCIRA’ MAI. Non lo capite? Non si sono “materializzati” erano DENTRO il corteo. Hanno le stesse parole d’ordine e lottano contro lo stesso sistema economico-politico che tutti noi vorremmo cambiare. Se vogliamo le manifestazioni che ci rappresentino, che non siano pre-confezionate dal sindacato, dai partiti, dalle istituzioni ma che siano invece espressione di tutte quelle realtà autorganizzate e di singoli accomunati dalla critica radicale a questo sistema di sfruttamento poi ci troviamo dentro “tutto” e per tutto intendo anche coloro che credono che una pacifica sfilata per il centro cittadino, con i soliti politici comunque sempre in bella mostra, non serva a niente (manifestazioni per la pace da 1 milione di persone in piazza insegnano) ma che serva invece creare un conflitto che mini la pace sociale e crei anche problemi di ordine pubblico. Personalmente non la ritengo una pratica opportuna, nè utile, soprattutto in un contesto come la manifestazione di ieri, che era veramente dalle mille voci, e che poteva segnare l’inizio di un bel percorso che credo, ahinoi, rovinato; continuare, però a parlare di buoni e cattivi, violenti contro non violenti, facile facile lettura, non a caso l’unica data da tutti i mezzi di informazione di tutti gli schieramenti, non ci aiuterà ad andare avanti superando le spaccature. Bisogna recuperare il percorso, ripartire dai punti comuni, prepararsi meglio prima di scendere in piazza, considerare tutte le anime e trovare nuove modalità che non permettano di rovinare un percorso. Parto da qui: io non esprimo la mia rabbia spaccando cose, anche se dal valore altamente simbolico, ma quel ragazzetto è un mio compagno, la sua rabbia è anche la mia rabbia e voglio manifestare anche con lui, confrontandomi prima, parlando, elaborando un percorso di “organizzazione” della rabbia (mi si passi il termine con cui intendo quell’elaborazione” del disagio di cui sopra ). Non mi piace che ci sia la patente per il buon cittadino educato che può stare nelle manifestazioni e invece il ragazzo arrabbiato, che è fuori dal sistema, sia anche considerato fuori dalla possibilità di riscatto. Se lotto per cambiare, io voglio lottare anche con chi non è come me, dobbiamo discutere di pratiche. Questo è quello che penso.
Ultime 2 notazioni: 1.non è che le forze dell’ordine si siano comportate proprio benissimo, indirizzando gli scontri verso piazza san giovanni e soprattutto sgomberando letteralmente la piazza da quelli-tanti- che erano già lì (la prima carica in piazza con gli idranti è partita a freddo: chiedetelo a quelli che avevano banchetti e gazebo travolti senza neanche sapere perchè) ma non ne parla nessuno.
2. tutte e tutti scendiamo in piazza con parole fortissime contro la precarità, il sistema finanziario e le banche, il sistema politico”democratico” che non rappresenta più nessuno e niente se non iniquità, poi ci stupiamo se qualcuno va a devastare un’agenzia interinale o una banca: mettiamoci daccordo pure sulle parole per favore!
Simone Regazzoni, la meditazione, zen o meno, è indispensabile in queste ore, e credo che chi pratica la filosofia dovrebbe essere il primo a raccomandarla, invece di venire a indicare con nettezza dove sia il torto e dove la ragione.
Volevo segnalare all’attenzione del commentarium questo articolo, con video:
http://www.valigiablu.it/doc/567/indignata-con-chi-ha-aggredito-pannella.htm
La questione non è dove siano i buoni e dove i cattivi, se le donne possano abbassare il livello di testosterone e se la madonnina rotta ha colpito la città sacra. La questione è che bisogna guardare con enorme attenzione a una parte del paese che continua a essere sollecitata, da anni, alla rabbia. Ri-cito Marco Revelli, per l’ennesima volta (ma leggetelo e diffondetelo, il suo libro Poveri, noi): quando l’onda monta, travolge tutto. E sono anni che sta montando. Per situazioni gravissime e oggettive, ma anche perchè alla rabbia si incita, da tutte le parti, in tutti i modi. Alla pancia, in questo momento, va privilegiata la testa. La lavagna con i nomi, dopo.
Rosalinda e io abbiamo postato contemporaneamente: la ringrazio perchè ha detto quel che intendevo con parole molto migliori delle mie.
opss, scusate, frequentiamo gli stessi forum. L’avevo scritto di avere già espresso la mia opinione su Giap e non mi ero accorta di girolamo che aveva riportato il mio commento, mentre scrivevo questo. Scusate per “l’invasione”. Almeno… spero di essere stata chiara. Perdono, starò più attenta.
Sei stata chiara e, direi, necessaria 🙂 Benvenuta.
anche a me sono piaciute molto le parole di rosalinda, prima di là e poi di qua.
Grazie a te e a tutti per lo spazio di discussione. Di non solito non scrivo ma avevo veramente bisogno di condividere riflessioni sulla giornata di ieri.
Condividere è quello di cui abbiamo bisogno, tutti. In questo momento stiamo scontando anni di invito a tirar fuori le trippe, anni di grillismo, anni dove siamo stati sollecitati a individuare un nemico dando il peggio di noi stessi. Fingere che tutto possa essere risolto con un sorriso e la buona creanza, e che il “male” sia fuori di noi e possa essere isolato, è suicida.
@ Lipperini
Ha una ben strana idea della filosofia se pensa che chi la pratica, in queste ore, dovrebbe *meditare* piuttosto che prendere una netta posizione. Ci sono pensieri e parole che sono atti: e non meditazioni. Di fronte ai gravi eventi di ieri, occorre avere il coraggio di rompere con vecchie dinamiche già viste, e prendere posizione. Il nemico c’è, e minaccia un movimento di vitale importanza dall’interno. Saperlo vedere, o meno, e agire di conseguenza, farà la differenza.
@rosalinda
“Non mi piace che ci sia la patente per il buon cittadino educato che può stare nelle manifestazioni e invece il ragazzo arrabbiato, che è fuori dal sistema, sia anche considerato fuori dalla possibilità di riscatto. Se lotto per cambiare, io voglio lottare anche con chi non è come me, dobbiamo discutere di pratiche. ”
Ma prima, durante o dopo l’assalto alla banca?
Perchè il punto vero è questo.
Se no è un volemose bene tutti quanti (all’inferno).
Perchè poi, sia chiaro, la lavagna coi “cattivi” si scrive comunque.
In questura.
Regazzoni: mi tengo la mia strana idea, e aggiungo che probabilmente abbiamo anche due concetti diversi di meditazione. Detto questo, mi piacerebbe un commento sul video che ho postato, invece dell’insistenza su chi dovrebbe prendere posizione e rimane legato a vecchie logiche (che poi, quanto mi piacerebbe che le discussioni fossero “lucidamente” legate all’oggetto del contendere e non ai propri personali vissuti, ma pazienza).
A me l’articolo di Alessandro Leogrande non è piaciuto, e vorrei cercare di spiegare perché. Ieri, dopo avere seguito un’estenuante diretta per il nostro blog collettivo, vado un po’ in giro per la rete a sentire che si dice, come tutti quelli che si sono sentiti coinvolti per attivismo, per volontariato, o anche solo per lavoro; mi trovo davanti questa frase: “E non capite che, così facendo, avete distrutto tutto. Non solo una manifestazione che poteva essere bella e invece è stata brutta, ma soprattutto la possibilità che un movimento al pari di quello spagnolo o americano potesse pacificamente sorgere in Italia.” Dunque, Leogrande si rivolge a “i fascisti, gli infiltrati, il blocco nero” come se a un paio di ore dall’accaduto si potesse sapere davvero chi li ha mandati, come se il blocco nero esistesse davvero, e dando per scontato che fosse una compagine motivata ideologicamente. E soprattutto dando per scontato che il fallimento di una manifestazione equivalga al fallimento dei movimenti e delle motivazioni che le hanno dato vita. Non mi è piaciuto per nulla, innanzi tutto perché l’organizzazione della manifestazione è stata null’altro che lo scimmiottamento in salsa nostrana, con l’aggiunta di tutte le inveterate abitudini nostrane, di un movimento che nel resto mondo sta smuovendo coscienze e che qui smuove solo una rabbia che non aspettava altro per esplodere. Il problema, quindi, c’era già alla radice. Non credo che in coscienza si possa affermare che questa manifestazione abbia distrutto alcunché, se non i beni materiali che sono rimasti per terra. Di certo non ha distrutto lo spirito di chi pratica l’attivismo come forma di vita, di chi si propone come obiettivo la modifica sostanziale di pratiche dello stare nel mondo. Quella piazza non è e non può essere l’espressione delle motivazioni più nobili che hanno smobilitato migliaia di persone, convinte da una cattiva propaganda che la modalità di manifestare le proprie convinzioni sia quella recarsi fisicamente in una piazza a fare numero. La lotta è quotidiana: la si fa nelle scuole; nelle biblioteche; nei luoghi di arte e di cultura; nelle prigioni; nei tribunali; nei luoghi istituzionali e nei luoghi privati, che sono lontani, molto lontani dall’essere distrutti da manifestazioni di violenza repressa. Chi desidera riprendere il discorso e tentare di realizzare l’idea di “occupy everything” che sta dietro il movimento, lo faccia. Lo faccia domani stesso. Nessuno impedisce a nessuno di agire nella non violenza. Non è certo elucubrando sulle trame occulte che si realizzano obiettivi radicali come quelli proposti dal movimento. E in quanto sentirsi soli: non ci si sente mai soli quando si lotta in collettivo, in cinque, in quindici, in cinquecento. Lottare collettivamente non corrisponde a darsi in pasto alla mala organizzazione altrui.
1.Deve cambiare il modo di scendere in piazza, perché la “frantumaglia” sociale dei modi e delle aspettative soggettivizza il tema, l’obiettivo stesso della manifestazione, che diventa oggetto riconoscibile solo nell’appartenenza di un gruppo. Una grande manifestazione è gestibile solo se organizzata da una identità riconoscibile e responsabile.
2. Un grande concentramento di persone è sempre violento perché estraneo al contesto in cui si svolge…non è nemmeno bio (fa un po’ ridere, ma è così!). Una gran massa di bisogni fisiologici da scaricare ovunque è violenza alle strutture di una città come uno stupro di gruppo.
3. La rabbia brucia come la noia, entrambe incendiano ma ognuno lo fa a modo suo, chi commentando i fatti di ieri con un analisi ferma agli anni 70, chi sfogandosi, esattamente come agli stadi durante e dopo una partita.
@Lipperini
Il video su Pannella?
La star di un altro show, che vuole per forza mettersi al centro anche di questo e viene (giustamente) spernacchiato.
I situazionismi parlamentari questa gente non li capisce più: non è come negli anni Settanta Ottanta quando si lottava per il superfluo (il preservativo alla fragola, lo spinello). Questi hanno fame.
Penso che si poteva prevedere se nel comitato metti le CARC, come si può leggere qui:
https://ultrasinistra.wordpress.com/2011/10/09/quelli-del-15-ottobre/
Non spernacchiato. Preso a sputi. Non sto difendendo Pannella. Sto sottolineando qualcosa che va preso in considerazione.
Ho capito, Loredana. E a me d’altro canto non piace che la gente sia presa a sputi. Ma quel che voglio dire è che le forme della protesta DEVONO evolvere. Per esempio il linguaggio storicamente praticato dai Radicali lo definirei “traumatico”. La pornostar in Parlamento, il ricatto morale del digiuno, l’hashish distribuito in pubblico, corrispondevano a un’epoca in cui il problema era costringere il pubblico ad ammettere quello su cui si fingeva di chiudere gli occhi (l’aborto clandestino, la sessualità come bisogno, la tossicodipendenza come realtà sociale). Oggi viviamo nei tempi del Panopticon, tutti vedono tutto di tutti, il trauma denuncia si perde nell’universale miracolismo e traumaticità della comunicazione (parafrasando Perniola). A me vedere Pannella lì dentro fa l’effetto di un vecchio guitto d’avanspettacolo in cerca d’attenzione in un rave party.
Se si accetta questo mio “storicismo”, forse bisognerebbe anche accettare di parlare del senso odierno delle manifestazioni di piazza, oggi che la soggettività di classe o di progetto che ne garantiva un tempo l’indirizzo risulta irreperibile o quanto meno non componibile in quell’universo frantumato che è la massa globalizzata.
Anch’io penso che, senza averne la “colpa” morale, si è seminato vento ottenendo tempesta negli ultimi anni, ostinandosi ad usare i termini di un antagonismo storicamente superato, per quello che invece è un antagonismo inedito. Se c’è qualcuno che crede di combattere lo strapotere della finanza tirando ssassi ai vetri della Goldman Sachs di Roma, c’è un problema di dispercezione prima che di ordine pubblico.
Una lucida analisi di Bonini, senza pausa di meditazione
http://tv.repubblica.it/politica/bonini-il-blocco-nero-dell-antagonismo-nega-ogni-confronto-anche-interno/78374?video=&ref=HREA-1
Regazzoni: in un contesto come questo, l’ironia, e i risentimenti personali, non fanno onore a nessuno. A futura memoria, grazie.
Ps. Questo vale in generale: questo spazio serve per discutere e riflettere su quanto avvenuto ieri. Proprio perchè quella che sta passando è un’informazione semplificata, è tanto più importante mettere a confronto esperienze e idee. Se qualcuno vuole usare questa – gravissima – vicenda per togliersi i sassolini dalle scarpe, infamia su di lui.
RIFLESSIONI E VIDEO DALLO SPEZZONE NO TAV a ROMA 15/10
[…] Una visione riduttiva e semplificante vede nel mostro black bloc la risposta. Facile, troppo facile. Per chi invece aveva voglia di capire qualcosa e aveva coraggio di farlo bastava andare in piazza san Giovanni, lì avrebbe trovato un pezzo di Italia, di Roma. Tanti ragazzi che lottavano, a modo loro, contro quello che avevano davanti, sfogando rabbia in maniera confusa ma con un messaggio chiaro e con la forza di chi davanti a sé non vede un futuro. Negare questo significa non avere poi i mezzi per interpretare e costruire un cammino che sappia andare oltre quella giornata e che inevitabilmente sarà capace di produrne nel migliore dei casi altre uguali. Non darsi degli obiettivi da praticare e non praticarli significa non avere poi i mezzi per iniziare delle discussioni sul come praticarli. […]
il comunicato integrale è qui
Aggiungo questo commento, anche sulla questione “le donne sono buone”:
http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=5599&cpage=2#comment-8701
@Lipperini:
cosa ne pensa dell’analisi di Bonini?
@ lalipperini
Solo alcune righe, dopo aver letto in vari blog decine e decine di commenti.
Quello di ieri è un film la cui trama ci era stata raccontata prima che uscisse in sala.
Si sapeva che non c’era stata una vera organizzazione: nessuna cornice condivisa, nessuna divisione per aree tematiche. C’era un pot-pourrì di sigle, associazioni, spezzoni, aree, tutti per uno e ognuno per sé.
Non so se ci si rende conto che alla manifestazione di ieri aveva aderito una delle più grosse e visibili sigle sindacali italiane, la FIOM-Cgil. Qualcuno ne ha avuto notizia? Qualcuno l’ha vista? Possibile che dei sindacalisti abituati a gestire manifestazioni, scioperi, picchetti, etc. non abbiano coordinato la gestione del corteo con le altre realtà? Possibile che non siano nemmeno arrivati in Piazza San Giovanni, la meta finale del corteo? Ma quando mai si è vista una cosa del genere? Che razza di approccio alla spera-in-dio bisogna avere?
Eppure, dicevo, si sapeva. Non conosco uno di quelli che sono scesi a Roma da Bologna che non si aspettasse quello che poi è successo.
Se quindi si sapeva e nessuno è stato in grado di evitarlo, significa che la formula ha qualcosa che non va. Ovvero, significa che si è inadeguati per quel tipo di mobilitazione e che bisogna pensare qualcos’altro. Perché la grande, variopinta, sfilata romana sarà sempre più difficile nell’attuale situazione sociale e politica italiana. Ecco perché stare qui a discutere su quanto erano compagni o quanto erano fascisti gli “sfascisti” lascia davvero il tempo che trova. Non aggiunge e non toglie un’oncia alla gravità del problema e della soluzione. Bisognerà mettersi in testa che i tempi si incattiviranno, perché all’orizzonte non si vede ancora alcuna via d’uscita dalla palude, e soltanto un colossale sforzo immaginativo, di fantasia, potrà salvare questo movimento: per essere là dove non è atteso, per proiettare un film nuovo.
Certo che si sapeva; e non solo in termini generici. La manifestazione variopinta sarà sempre più difficile: vero; ma si elude un nodo politico se si pensa che il cambio di strategia (*vitale*) possa da solo risolvere una questione di fondo: la scelta di alcuni settori di attuare un conflitto violento di piazza, che egemonizzi – facendo proprio leva sui tempi sulla cui durezza nessuno discute, naturalmente – un movimento che altrove ha trovato altre pratiche e altre forme. Mentre qui siamo al brutto remake. La questione “sfascisti” non è dunque un falso problema per anime belle, ma uno dei problemi principali che il movimento si trova ad affrontare oggi.
Wu Ming: è quello che temo anche io, che i tempi si incattiviranno. Ma non sono così fiduciosa sullo sforzo immaginativo, visto che girando in rete ho trovato molte persone smarrite, poche persone “lucide”, una marea di persone che volevano stilare la famosa lista di buoni e cattivi per sentirsi a posto con la loro porca coscienza. Non è un buon presupposto.
@ Sara
Già. Non ho detto che sono ottimista, infatti. Ma che altro si può fare se non provarci?
Wu Ming, è il format che non è più praticabile, in primo luogo. In secondo luogo, tutto è diventato troppo semplificato e troppo veloce. Non sono d’accordo con chi dice che il 15 ottobre diventerà storia: magari, in un certo senso. Invece, resterà cronaca e sarà alle nostre spalle troppo in fretta. Non so voi, ma io ho la sensazione della terra che mi frana sotto i piedi. Ben vengano le discussioni, almeno ci si sente meno soli.
Wu Ming, non lo so. E’ importante pensare insieme, intanto. Però in momenti come questi ho la sensazione che la rete non basti.
@ Regazzoni
Ma: dall’analisi di Bonini si capisce chiaramente il perché “ci sia chi parla di compagni”, perché non sono teppisti venuti da Marte, ma fanno parte di un tessuto sociale che io non conosco e non frequento ma molta gente sì, e ne ha parlato con fondatezza fino ad ora, senza nascondere i dissidi interni e i dubbi intorno ai modi di agire. Però chi spacca le vetrine sa benissimo cosa sta spaccando, invece chi va in piazza tanto per ( come potrei andarci io ad esempio ), no. Ora, tu vorresti un taglio netto con “della gente” che mi pare già non conosci né frequenti e lo stesso vale per la maggior parte di chi ha già espresso dei pareri ( nei blog come davanti alla telecamere ). Quello che ho letto qui e su giap è innanzitutto importante per non cadere nelle spiegazioni facili. Come pensare “che peccato! se non fosse stato per quelli…”. Per finire tu parli di movimento, ma non c’è “un movimento”, basta vedere il video in cui Pannella è trattato come è trattato. Ci sono realtà che hanno dei problemi impellenti, altre che si portano dietro un disagio insostenibile, chi vuole gridare sotto il palazzo eccetera. Io onestamente scrivo una frase e poi la cancello, mi sento pure a disagio a pubblicare il commento.
Infatti, Paperinoramone: ci vorranno settimane e settimane per capire da quale parte ricominciare. E pensare che si possa “tagliare netto” è ridicolo. Significa “tagliare netto” con mezzo paese, se non si fosse ancora capito.
@lipperini,
io con chi scatena dinamiche violente e distruttive di piazza da sempre taglio netto: che si tratti di assemblee o servizi d’ordine. E auspico che la lezione di ieri serva a produrre una cesura, non ad aprire riflessioni infinite. Se qualcuno vuole rifletterci su per settimane, si accomodi.
(ANSA) – ROMA, 16 OTT – Spranghe, maschere antigas e armi per la guerriglia urbana tra le mani di giovani sotto i 30 anni o addirittura liceali. A scatenare l’apocalisse ieri nella Capitale durante il corteo degli Indignati sono stati, soprattutto, donne e minorenni: i 12 arrestati sono tutti sotto i trenta anni; tra gli otto denunciati i minorenni sono sei. Tra loro anche quattro donne. Gli arrestati verranno interrogati entro mercoledì: per loro la Procura di Roma esclude l’aggravante terrorismo.
Devo dire che siete una benedizione e che per fortuna, con voi, son riuscita a farmi un minimo di idea chiara al di là delle cronache e dei commenti della stampa.
Detto questo: mi è venuto da pensare alla manifestazione del “se non ora quando”. Anche lì una manifestazione promossa da una pluralità di voci. Una manifestazione “scomoda” su cui tanti hanno provato a mettereil cappello e che tanti hanno provato a snaturare o a minimizzare, senza riuscirci. Una manifestazione che ha avuto successo, oltre le aspettative.
Mi sono chiesta perché.
E sono giunta alla conclusione “perché c’era del lavoro dietro”.
Ovvero, è da anni che ci stiamo muovendo, a forza di passaparola, blog, il documentario della Zanardo, i libri di Loredana, le conferenze, le pagine piene di indignazione, le petizioni, le lettere ecc. Io dall’Italia manco da gennaio, ma mi sembra che qualcosina in termini di cambiamento si sia visto, al di là della manifestazione che ha contribuito a dare visibilità.
Ame spiace riproporre la dicotomia violenti/non violenti, ma penso che le posizioni quelle siano. O credi di essere in uno stato che non è democratico e scegli forme di lotta non democratiche, facendo torto così a quelli che la democrazia oggi la sognano e che rischiano la galera o ci sono dentro per questo, o pensi di essere in uno stato democratico e che spaccare tutto non serve e che allora esserci in una manifestazione non basta e il “mazzo” per cambiare le cose te lo devi fare tutti i giorni.
Un intervento di Serge Quadruppani e Sergio Bianchi (dal sito Derive Approdi):
«Inferno» (Corriere.it), «Terrore» (Repubblica.it), «Guerriglia» (vanno in loop sulle televisioni): il giornalismo si scava la fossa da solo a forza di forzare le parole. Non c’era neanche bisogno di esserci per le strade di Roma, bastava guardare le immagini e ascoltare qualche briciola di informazione presa da quella massa di affermazioni puramente ideologiche proferite dai commentatori: qualche auto bruciata, un furgone dei carabinieri e dei locali in disuso del ministero della Difesa incendiati, vetrine di banche scassate, una madonnina di Lourdes in gesso scagliata sul selciato… duemila persone (probabilmente meno) manifestano la loro rabbia contro questo mondo.
Quale che sia il giudizio politico espresso su queste pratiche, non si capisce perché l’importanza e il significato di una manifestazione di oltre duecentomila persone debbano essere intaccate dall’1% dei suoi partecipanti.
In realtà, il senso di questa manifestazione può essere rimesso in discussione solo in quelle menti soggiogate alle immagini dei media dominanti. I manifestanti possono stare tranquilli: è un giogo che tende a scomparire. E la prova sta proprio nella loro presenza nelle strade di Roma. Perché non siamo forse di fronte a quegli stessi media che hanno continuato a ripetere che non c’era altra strada da quella dei diktat dei mercati finanziari?
Apparentemente, è la coscienza della propria potenza a mancare di più al movimento in corso. Quando si deciderà a dire «ce ne freghiamo dei media dominanti, quello che conta sono i nostri strumenti di comunicazione, sviluppiamoli», piuttosto che continuare a preoccuparsi della propria «buona immagine mediatica»?
Quello che più di tutto ci sembra confondere il messaggio di cui la manifestazione era portatrice è il comportamento di un’altra minoranza, ben più nefasta ma fortunatamente infima, che avrebbe consegnato alle forze dell’ordine dei presunti casseurs.
Le litanie sullo statuto della manifestazione che sarebbe stato stravolto dalla violenza finiscono così col ricongiungersi alle pratiche di manifestanti che si trasformano in poliziotti ausiliari, in una stupefacente complicità con due istituzioni – i media dominanti e la polizia – che sono i due principali pilastri di un sistema che permette all’1% di governare sul restante 99%.
@ lalipperini
Non lo so se il “taglio netto” è ridicolo. In realtà è quello che da ieri sera chiede la totalità delle forze parlamentari italiane e dei mass media mainstream. Peccato che in cambio non abbiano nulla da offrire. Peccato davvero, senza ironia, che non esista in questo paese un interlocutore politico credibile nemmeno a cercarlo con il lanternino e che di conseguenza ogni pretesa suoni velleitaria.
Significa che in teoria questo movimento dovrebbe avere la forza di produrre da sé, senza alcuna dialettica, una sintesi e un’affermazione politica. Un compito immane in una situazione come questa, dove a volte sembra davvero di seminare in una palude. Ma tant’è. Se fossi credente proverei a confidare nella provvidenza. Invece continuo a confidare testardamente negli esseri umani.
Regazzoni, semplifichiamo le cose: dal momento che (io e quelli con cui te la stai prendendo) non prendiamo le distanze dai “facinorosi”, siamo dei fascisti. Almeno, io me lo dico da solo: sono un fascista. Un fascista zen, visto che secondo te sono in “meditazione” (io quella parola non l’ho mai usata, ma te la sei scritta tante di quelle volte che per te, che credi che la scrittura venga prima della parola, e la parola prima dell’accensione del cervello, dev’essere più vera di quelle che ho usato). E, in quanto fascista, non solo ho torto marcio adesso, ma avevo torto marcio (io e gli altri con cui te la stai prendendo) anche le altre volte. Hai sempre avuto ragione tu.
E adesso che hai finalmente avuto ragione, puoi tornare a studiare, che il tempo vola.