IL DIAVOLO, SICURAMENTE

Visto che si parla di diavoli, da ultimo (ma si è mai smesso di parlarne?) , propongo qui il mio articolo di Linus di ottobre, mentre voi vi procurerete, spero, quello di novembre, dove ci sono tante belle cose. Buon week end.
Dite la verità, vi è mancato il diavolo, e vi manca ancora. In tempi eccezionali, come quello che stiamo ancora attraversando, serve un colpevole, uno solo, a cui attribuire il male che non comprendiamo. Negli anni lontani della peste non c’erano molti dubbi: era il peccato degli uomini ad attirare su di sé l’ira di un dio. Quando, nel 1631, Nicolas Poussin dipinge La peste di Azoth, le ragioni erano chiarissime: il Signore accusa i Filistei di aver rubato l’Arca dell’Alleanza e invia, per punizione, la peste. Un anno dopo il flagello colpisce Milano: si dirà che era stato il diavolo, nelle vesti del marchese Ludovico Acerbi, che aveva preso dimora a Porta Romana, a diffonderla. Spesso, nelle leggende, è un patto scellerato a scatenare il morbo: del resto, se la peste viene attribuita agli stranieri, il diavolo è per eccellenza colui che viene da fuori, anche se i suoi patti non sono più quelli raccontati da H. G. Wells nel 1895 in La tentazione di Harringay, dove un pittore di Chelsea è tentato di cedere la sua anima in cambio dell’ispirazione per creare un capolavoro. Non somigliano più, i diavoli dell’onnipresente presente, al Woland de Il maestro e Margherita, al Morgoth di Tolkien, e forse neppure al Re Rosso di King.
Satana, d’abitudine, distribuisce doni che ci distruggeranno. Spesso è un sentimentale, come nel manga Devilman di Gō Nagai, dove è ancora l’angelo che cadde ma è in grado di innamorarsi della protagonista Akira Fudo. Assai più vulnerabile è l’oscuro signore di Lucifer, la serie televisiva di Tom Kapinos dal fumetto di Mike Carey. Ne abbiamo già parlato, ma per chi non ricordasse nella molto acclamata serie Lucifero, stanco di regnare sugli Inferi, si trasferisce a Los Angeles e apre un night club, naturalmente con i dovuti cedimenti amorosi, pur senza rinunciare a un briciolo di potere (nel caso, indurre una persona a confessare i propri desideri più profondi). Ma è il conflitto familiare, vecchio tema delle sit-com, a prendersi la scena: antichi rancori con papà, con i fratelli, rapporti complicati con mamma, ritorno di antiche e pericolose fidanzate. Qualcosa di molto domestico, qualcosa che non fa paura, perché somiglia ai nostri problemi quotidiani. Non riusciremmo, forse, a concepire oggi un Leviathan, il trapezoedro dorato di Hellraiser, e tanto meno Chtulhu, ma Creature che somigliano moltissimo agli esseri umani, e le cui relazioni sono identiche a quelle degli umani.
Già negli anni Ottanta e Novanta il passaggio alla casalinghità si presagiva in film come L’avvocato del diavolo, dove Al Pacino-Satana fronteggia il figlio ribelle Keanu Reeves e fa dell’antagonismo con Dio, ancora una volta, una questione di famiglia: ma ancora, in quei casi, le stelle del mattino conservavano tracce dell’antico sovrano degli inferi, come avverrà in The Night Chronicles: Devil (2010) diretto da John Erick Dowdle su soggetto di Shyamalan, dove quanto meno il diavolo, in veste di anziana signora, chiude i possessori delle anime desiderate in un ascensore per ucciderli uno dopo l’altro, come ai vecchi tempi. Un’eccezione, perché i demoni di fine secolo si erano fatti simili a noi, e conoscono la nostra vanità e i nostri piaceri, non sono estranei e temibili come il Satana di Rosemary’s Baby di Ira Levin-Roman Polanski.
Ma un’eco di quell’antico terrore è in un romanzo recente e straordinario, L’estate che sciolse ogni cosa, di Tiffany McDaniels (pubblicato da Atlantide nella traduzione di Lucia Olivieri), dove il diavolo è un ragazzino nero con gli occhi verdi che arriva in una cittadina dell’Ohio, su invito del padre del protagonista, ed è antico e malinconico e pensoso, ma tutto ciò che di male accadrà non sarà, a ben vedere, per sua colpa. Se c’è un romanzo precog è proprio questo. C’è questa piccola città, Breathed, c’è un’estate caldissima (perché è d’estate che covano i flagelli), e forse per coincidenza e forse no, l’anno è quel 1984 preconizzato da Orwell. Inizia con un gesto di hybris, questa storia: un mite avvocato, Autopsy Bliss, vuole capire se davvero il diavolo e il soprannaturale esistono, e convoca l’helel in città. Arriva, appunto, un ragazzino, Sal. Se è davvero il diavolo, fa quel che il diavolo in effetti sa fare: vede fino in fondo alle persone, a volte scatenando il peggio di loro, ma inconsapevolmente, e sempre cercando di riparare quel che ha provocato, sempre spiegando che le cose non stanno come ci si immagina:
“La gente chiede sempre perché Dio permette che ci sia tanta sofferenza nel mondo. Perché lascia che un bambino venga picchiato, che una donna pianga, che succeda una strage? Che un buon cane muoia soffrendo? La verità è che vuole vedere cosa facciamo noi. E’ lui che ha tirato fuori la candela, ha messo il diavolo allo stoppino, e adesso vuole vedere se noi la spegniamo o aspettiamo che si consumi. Dio è il più grande spettatore della sofferenza”
Di fatto, nella piccola città ogni cosa si corrompe, antichi dolori e rancori vengono a galla, segreti vengono svelati e, per questo, si muore. Perché quando qualcosa si rompe, è difficile ristabilire l’antica armonia:
“Guardammo insieme il treno investire ruggendo prima il cucchiaio e poi la ciotola, spargendo i cocci tutt’intorno.
“Sai, Fielding, il fatto è che quando si rompe qualcosa di cui nessuno si cura troppo, si creano delle ombre che prima non c’erano. La ciotola, prima, aveva un’ombra. Una sola. Adesso ogni coccio ha la sua. Dio mio, quante ombre sono state create. Piccoli lembi d’oscurità che d’improvviso, insieme, sembrano più grandi di quanto non fosse la ciotola. E’ questo il guaio delle cose in pezzi. La luce muore e si fa sempre più tenue e le ombre… Quelle vincono sempre”.”
Anche qui c’è una pestilenza, peraltro: sono gli anni in cui si prende consapevolezza dell’Aids, e insieme alla consapevolezza viene il terrore, e insieme al terrore la perdita. Ma anche se ogni colpa viene attribuita a Sal, ovvero al diavolo, le cose non stanno esattamente così: perché la donna che abortisce, l’atleta che rimane invalido, la ragazza con la gamba finta cui cade un ramo in testa, il buio (reale e metaforico) che colpisce Breathed sono qualcosa che già serpeggiava non solo in quegli anni Ottanta, ma oggi, nel nostro mondo.
Lo aveva presagito un’altra scrittrice, l’italiana Chiara Palazzolo (scomparsa nel 2012) quando scrisse Nel bosco di Aus:
“Volevo raccontare una storia realistica e illustrare la provincia italiana, che si sta progressivamente americanizzando, globalizzando. C’è la distruzione della Gemeinschaft, la comunità, a vantaggio della Gesellschaft, la società. I rapporti si fanno più individuali e assumono una patina sinistra. C’è una media borghesia che vuole elevarsi ma sconta in termini di sacrifici, frustrazioni, senso di inadeguatezza”.
Breathed, per inciso, significa alla lettera “respirato”. E ci si chiede cosa abbiamo respirato, fin qui, per farci mancare il fiato, metaforicamente e, com’è ovvio, no.

2 pensieri su “IL DIAVOLO, SICURAMENTE

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