Nella prefazione a Best off, l’antologia (bella) pubblicata da Minimum Fax che raccoglie il meglio delle riviste letterarie italiane, Antonio Pascale fa questa critica a Nazione Indiana e, da quanto capisco, a tutte le riviste letterarie on line:
“La leggo spesso, ci si possono trovare pezzi interessanti, a volte molto belli (qui ne sono riportati alcuni). Pero’ ha un difetto. Si autoregola. Non sempre funziona. Basta guardare i commenti. Spesso anonimi. I pezzi pubblicati si possono commentare (il famoso post). Ecco, ho scelto degli articoli da Nazione Indiana perche’ mi piacevano molto e proprio per questo volevo sottrarli alla dittatura del commento inutile. Scusate, e’ una mia ossessione. Ma non capisco questi particolari commenti. Di questo pubblico sempre on line, collegato, sempre pronto a dire qualcosa di bello o di brutto sul pezzo in questione. Qualcosa da dire e’ un eufemismo, spesso sono insulti, in bella prosa ma insulti, provocazioni, una specie di talk show di fascia pomeridiana. La letteratura e’ uno strumento lento, almeno a me cosi’ piace pensarla. E dunque richiede una fruizione lenta, non e’ importante scrivere ma riscrivere, cosi’ come non e’ importante leggere ma rileggere. Forse l’anonimato dei commentatori e’ un problema importante. La comunita’ si definisce tale solo se e’ responsabile. In questo caso (letterario) solo se c’e’ un direttore che propone, indica una strada. Che dice responsabilmente dei si’ e dei no. Abbiamo bisogno di una comunita’ di scrittori seri e questi hanno senso solo se si rapportano a un pubblico altrettanto serio”.
Non commento se no sembro uno di quelli “sempre on line, collegato, sempre pronto a dire qualcosa di bello o di brutto sul pezzo in questione”.
(come? L’ho appena fatto? occazz…)
“Abbiamo bisogno di una comunita’ di scrittori seri e questi hanno senso solo se si rapportano a un pubblico altrettanto serio”
Perchè trovo “preoccupanti” simili affermazioni? 🙂
Allora non commento e faccio felice Pascale.
Saludos
Iannox
l pr
Un tag mi ha mangiato il commento, e forse è stato giusto così.
Sintetizzo.
E’ curioso che venga rinfacciato a Nazione Indiana la stessa cosa che Tiziano Scarpa rinfaccia alla rivistella sacripante! e alla neonata editrice untitl.Ed nei commenti al post “Monologo su di un editore on line” di Palmasco (http://palmasco.blogs.com/) – non uso tag per non autocensurarmi di nuovo.
Io credo che le scritture debbano giustificarsi da sé – altrimenti che periscano pure.
Le parole affrontino il giusto processo che le vede imputate probabilmente colpevoli (la lettura, dico), con il solo ausilio della propria forza, assumendosi ogni responsabilità senza demandare in nulla a terzi – al Direttore, ma anche all’Autore.
Sgombrato il campo da equivoci, non resta che il Lettore, lento,veloce, intermittente, onnivoro, pigro, compiacente, presuntuoso, falsamente equanime.
Se c’è da muovere critiche a Nazione Indiana io non mi sottraggo, e però no, la nostaglia del Direttore, dell’Uomo Forte (di idee, suppongo) proprio no, muovetevi a compassione
S’, il direttore il direttore! Però io voglio Emilio Fede, se no niente.
Pascale mescola critiche importanti a critiche effettivamente preoccupanti. Io sono d’accordo sulla lentezza della letteratura, o anche sul fatto che i commenti possono degenerare in insulti da talk show (si veda quel che sta succedendo sul blog di Atelier). Però la soluzione potrebbe proprio venire dall’autoregolazione. Il direttore responsabile è solo una scorciatoia, che finora è stata (forse) insostituibile, o quantomeno indiscutibile.
Trovo sconveniente tutto ciò che odora di censura. Devo dire però che troppo spesso su Nazione Indiana (ma anche altrove, immagino) pare di assistere a risse da curva di stadio. Anonimi che dileggiano, insulti ad personam… Trovo tutto questo una versione postmoderna di fascismo. Non ci si può far nulla, peraltro, si può solo prenderne atto con tristezza.
Il discorso di Pascale, pero’, riguarda non solo Nazione Indiana: da cui, peraltro, trae brani estremamente belli (quello di Roberto Saviano sui funerali di Annalisa Durante vale da solo l’acquisto dell’antologia). La mia sensazione e’ che l’inserimento nel libro delle riviste on line sia stato fatto senza comprendere la loro natura. In questo (e in altro) Pascale e’ un tantino troppo fofiano…
E ancora una volta si generalizza il valore assoluto di uno strumento in base all’uso concreto che ne fa un sottoinsieme di utilizzatori.
Ogni scrittore ha i commentatori che si merita, che sia blogger, romanziere o prefatore 🙂
Propongo qui, ufficialmente, il Dott. Antonio Pascale come Direttore Responsabile di Nazione Indiana. Con la speranza che così, con la sua direzione, la rivista esca dalla fascia pomeridiana…
Pascale ha ragione quando afferma che la letteratura è uno strumento lento e va ben oltre le chiacchiere da salotto, ma quando parla dei mezzi fa confusione.
Se qualcuno ha voglia, mezzi e tempo di farsi la sua rivista letteraria online, può farlo, può anche mettere in rete un blog senza dare la possibilità di postare o può filtrare i commenti. Le opzioni sono infinite. Quindi se autori, lettori, responsabili, tizio&caio, decidono di partecipare a una discussione in un posto aperto, lo fanno con cognizione di causa. Quello che Pascale non afferra è: non è un obbligo intervenire come non lo è rispondere.
Le limitazioni, o censura preventiva, rischierebbero di sterilizzare la discussione e in campo culturale, soprattutto letterario, questa è stata la regola per anni.
Quindi meglio leggere fuffa e poter replicare che leggerla e basta.
Pare che, causa un banale refuso, sia stato pubblicato oggi un articolo in realtà scritto da Pascale nel 1995.
D’accordo, non è vero, ma la ricostruzione reggerebbe, no?
(e quel tizio investito dal treno si chiede come mai la locomotiva non avesse più il fumaiolo)
Ma perché, scusate, NI è una “rivista letteraria on line”? Non me ne ero mica accorto, pensavo fosse un blog letterario. “I miserabili” è una rivista on line. Nessuno può lasciare commenti, ha il suo bel direttore, e se vuoi al massimo gli scrivi una lettera.
E, già che ci siamo, wumingfoundation, allora, cos’è? Sito “pubblicitario”, dei Wu Ming… mmm, no non regge… rivista… no, neppure… e checcazzo è allora?
Il mezzo cambia la forma, spesso.
Su NI non c’è un direttore non perché manchi qualcuno che filtri i commenti o meno (altrimenti si chiamerebbe “moderatore”) non c’è perché NON c’è. Perché NON è una rivista on line.
O no?
“l’anonimato nei commenti e’ un problema importante”, certamente, anche la spocchia e l’inadeguatezza dei lettori sempre online a non fare un kaiser e’ anch’esso un problema importante. La spocchia degli “scrittori” invece non lo e’ piu’ da un po’, dalla diffusione di Internet in avanti. Quando capita talvolta di leggerne ancora (come in questo caso) e’ come vedere qualcuno che e’ appena stato investito da un treno in corsa……la sua capacita’ di “essere letteratura” ne esce insomma – come dire – lievemente stropicciata.
ah dimenticavo, saluti a tutti….
capisco la perplessità rispetto ai commenti, sono stato un frequentatore piuttosto assiduo dei blog per mesi senza lasciare un commento, per ragioni analoghe. Poi una metafora di mozzi, il blog come bar (in cui alcuni entrano, consumano e se ne vanno nemmeno senza salutare) mi ha fatto cambiar abitudine, più che altro per una questione di educazione…
mah?
biondillo, ti prego, ma sempre cazzo tu hai in bocca!! sei uno spocchioso, sempre a fare il brillante.Mi traumatizzi! potresti parlare meno volgare, o è che sei scrittore??
Premesso che dell’antologia di Minimumfax poco mi interessa, perché poco mi interessano le riviste (su carta) e perché poco mi interessano le antologie italiane (non per mancanza di patriottismo, che comunque manca, ma perché da noi c’è questa tendenza ammiccante a fare le antologie con amici, parenti, compagni di scuderia- si veda, tanto per dire, Intoxication…). Premesso che di Pascale ho letto un gran bel libro su Caserta, ma di lui altro non so. Posso in tutta onestà dire che il suo commento mi sembra fuori dal tempo massimo. Se uno decide di entrare in relazione con una realtà la accetta per come è, o cerca di cambiarla dall’interno. Non tira in ballo la sua personale idea di letteratura, perché non è detto che sia quella vera, e anche perché probabilmente una vera non c’è. Quanto poi al perdere tempo nei blog… Confesso che lo penso spesso anche io, al punto che intervengo di tanto in tanto anche perché, ahimé, spesso non ho tempo per farlo. Ma nessuno mi obbliga, e tantomeno nessuno mi obbliga a leggermi i commenti. Non me lo ha ordinato il dottore a essere da queste parti, o dalle parti di Nazione Indiana. Per quello che riguarda metterci la faccia, poi. Anche lì. FOsse per me, che la faccia ce la metto, mi sembrerebbe normale che lo facessero tutti. Ma il fatto che ci sia una certa libertà d’azione, per ora, mi sembra una gran bella cosa.
saluti
Michele
una sola domanda: ma perché gianni biondillo ci mette la faccia e si firma gianni biondillo e altri invece preferiscono chiamarsi figlio di gianni biondillo o altre amenità del genere?
Capirai la spocchia dei blogger non letterari, mantellini, quanto ci fa piacere…
Non scrivere ma riscrivere…
Non leggere ma rileggere…
E’ vero certi commenti sono inutili, ma anche queste prefazioni…
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Mi sembra di dire un’ovvietà, ma a quanto pare non lo è, visto che nessuno l’ha ancora fatto notare.
Non è sufficiente distnguere post e commenti? Il post, l’articolo, il racconto, quello che è, viene dalle mani dall’autore ed è quello per cui lo si deve valutare, apprezzare, criticare.
I commenti sono altro, ben distinti dal pezzo, legati ma assolutamente non necessari, e senza la minima influenza sul pezzo stesso, che rimane tale e quale, bello brutto, noioso, geniale, a prescindere da chi e cosa ci commenta sotto.
Dove sbaglio?
(ma di tutti i blog che leggete leggete anche tutti i commenti??)
Già, Aleroots, hai detto la cosa più ovvia. E la più giusta.
Sì, mi trovo anche io d’accordo con aleroots. Peraltro, non so a voi, ma a me è capitato spesso di leggere commenti molto più interessanti della riflessione (“post”) cui avevano tratto in qualche modo ispirazione.
E’ esattamente questo il punto: molte discussioni che si sviluppano in rete trovano il loro punto di forza nei commenti. Ho passato diverso tempo, ieri, a leggere quelli su Palmasco a proposito di autore e scrittura. Negare questa specificita’ significa riportare sul web le caratteristiche del cartaceo, tutto qui.
Infatti, concordo pienamente con quanto detto qui sopra da Loredana L. La possibilità del commento immediato -e dunque più facilmente ri.commentabile- è forse ciò che fa la differenza tra l’informazione, la letteratura, l’espressione dell’opinione su carta e quella invece on line. Sull’immediatezza concessa da questo mezzo si può trovare del bene e del male, questo è chiaro. E come in ogni spazio libero (SE ce ne sono altri) potendo intervenire chiunque,spesso e volentieri interviene anche chi -con nome o senza nome, non è tanto questo l’importante a mio avviso- pigia i tasti giusto per una presenza goduta e qualche sasso insignificante tolto dalla scarpa del chiacchericcio.
Ma su questo non mi dannerei tanto(e se vogliamo, nonostante lo spazio sia intimo per conoscenza ma esposto ai chiunque per ovvietà,chi lascia la propria casa aperta ha pur sempre il diritto di chiudere gentilmente la porta agli indesiderati o strafottersene e lasciar libera parola ad ognuno- io propendo comunque per la seconda e forse ingenuamente mi fido del fatto che il commentatore anonimo che si da voce giusto a masturbarsi i nervi e rompere a chi di turno le palle, dopo un po’ è il primo a stancarsi-
L’inganno a mio avviso sta piuttosto nel nome inappropriato che si usa per indicare e qualificare il commento:per quel che mi riguarda la realtà dei siti-blogs che tengo sott’occhio è ben altra. Si dice commento ma potrebbe dirsi proseguo, risposta, domanda, aggiunta, integrazione,confronto,glossa,impronta di passaggio, simposio o per giunta sottrazione. Non esiste una logica e una regola del commento, dargli un nome unico è pura convenzione. Su Nazione Indiana in termini di glosse non mi pronuncio:ma volete dirmi dove sta tutta sta bolgia? E’ un anno che sto cercando lo spazio commenti e non lo trovo…
Per quel che riguarda la necessità di una direzione alta e il darsi delle regole fisse,bè,ovviamente anche su questo ho opinione ben diversa dal signor S. Al contrario, sui tempi della scrittura e ancor più della lettura,propro su questo mi prendo un tempo di riflessione. Per alcuni pezzi -magari anche i più brevi- il tempo della valutazione si dilata a dismisura, altri sono pronti allo scambio simultaneo. Anche su questo, perciò, non vedo dove stia il Male.E non vedo quale bisogno ci sia della Regola.
Poi c’è che “commento” sta anche a “giudizio”…non sarà forse questo che spaventa chi alla critica dei lettori di provincia è poco abituato?
Infatti, concordo pienamente con quanto detto qui sopra da Loredana L. La possibilità del commento immediato -e dunque più facilmente ri.commentabile- è forse ciò che fa la differenza tra l’informazione, la letteratura, l’espressione dell’opinione su carta e quella invece on line. Sull’immediatezza concessa da questo mezzo si può trovare del bene e del male, questo è chiaro. E come in ogni spazio libero (SE ce ne sono altri) potendo intervenire chiunque,spesso e volentieri interviene anche chi -con nome o senza nome, non è tanto questo l’importante a mio avviso- pigia i tasti giusto per una presenza goduta e qualche sasso insignificante tolto dalla scarpa del chiacchericcio.
Ma su questo non mi dannerei tanto(e se vogliamo, nonostante lo spazio sia intimo per conoscenza ma esposto ai chiunque per ovvietà,chi lascia la propria casa aperta ha pur sempre il diritto di chiudere gentilmente la porta agli indesiderati o strafottersene e lasciar libera parola ad ognuno- io propendo comunque per la seconda e forse ingenuamente mi fido del fatto che il commentatore anonimo che si da voce giusto a masturbarsi i nervi e rompere a chi di turno le palle, dopo un po’ è il primo a stancarsi-
L’inganno a mio avviso sta piuttosto nel nome inappropriato che si usa per indicare e qualificare il commento:per quel che mi riguarda la realtà dei siti-blogs che tengo sott’occhio è ben altra. Si dice commento ma potrebbe dirsi proseguo, risposta, domanda, aggiunta, integrazione,confronto,glossa,impronta di passaggio, simposio o per giunta sottrazione. Non esiste una logica e una regola del commento, dargli un nome unico è pura convenzione. Su Nazione Indiana in termini di glosse non mi pronuncio:ma volete dirmi dove sta tutta sta bolgia? E’ un anno che sto cercando lo spazio commenti e non lo trovo…
Per quel che riguarda la necessità di una direzione alta e il darsi delle regole fisse,bè,ovviamente anche su questo ho opinione ben diversa dal signor S. Al contrario, sui tempi della scrittura e ancor più della lettura,propro su questo mi prendo un tempo di riflessione. Per alcuni pezzi -magari anche i più brevi- il tempo della valutazione si dilata a dismisura, altri sono pronti allo scambio simultaneo. Anche su questo, perciò, non vedo dove stia il Male.E non vedo quale bisogno ci sia della Regola.
Poi c’è che “commento” sta anche a “giudizio”…non sarà forse questo che spaventa chi alla critica dei lettori di provincia è poco abituato?
Mariasole,
i commenti su NI sono difficili da trovare perché il sito è fatto alla cazzo (non è proprio così ma il discorso è lungo). Comunque: Se vai in basso, a destra, c’è una colonnina: “archivi per mese”, ci entri e ti scarica tutti i pezzi del mese in quetione. Alla fine di ogni pezzo chè il link che ti fa antrare allo spazio commneti.
Poi: quello che dici è assolutamente condivisibile, anche se, purtroppo, ad essere troppo democratici va sempre a finire che la gente ti entra in casa vomita e poi neppure pulisce per terra.
ciao
ciao Loredana, ma cosa hai contro la mia dichiarazione? Cose è questo scialo di dichiarazioni ? il libro l’hai letto, ti è piaciuto? Qualcuno dei commentatori ha letto il libro,? non credo proprio, ma l’importante è commentare la chiosa di pascale. Se tu invece hai letto il libro avrai notato che il mio atteggiamento nei confronti delle riviste (e del pubblico) è più che amorevole. Sono follemente innamorato delle riviste, anche quelle on line. E allora? Questo libro raccoglie pezzi che i giornali (i poteri forti) non avrebbero mai pubblicato. E’ un merito o un demerito? Sono scelte serie oppure no? Perchè non commentate o criticate queste? magari avete più argomenti, c’è un mondo particolare espresso in quei testi. Ma resta il fatto che non sopporto alcuni (particolari) commenti, e con questo? Devo dire che siccome la rete ha canali particolari (liberi?) va sempre bene? Non lo dico, alcuni commenti rilevano un’assenza preoccupante di pensiero. Non è un bene, come lettore delle riviste on line è un problema che mi pongo. Voi no?.
Caro Antonio, certo che ho letto il tuo libro. E mi è piaciuto, peraltro. Notavo, semplicemente, che pur occupandoti delle riviste on line con amore (per inciso, capita che se ne occupino anche i poteri forti), ne contesti una delle caratteristiche più interessanti, se non fondanti: la possibilità di innescare una discussione su quell’argomento. Poi, il livello della discussione stessa non è sempre all’altezza, su questo si può concordare. Ma non è questo che conta: è la possibilità di aprirla, e di svolgerla. Altrimenti, le riviste on line (specie se dotate di direttore) rischierebbero di somigliare molto a quelle su carta, risultando anche più scomode da leggere.
Ops.Mi si perdoni, ho fatto un po’ un pasticcio con l’invio.
Infatti, concordo pienamente con quanto detto qui sopra da Loredana L. La possibilità del commento immediato -e dunque più facilmente ri.commentabile- è forse ciò che fa la differenza tra l’informazione, la letteratura, l’espressione dell’opinione su carta e quella invece on line. Sull’immediatezza concessa da questo mezzo si può trovare del bene e del male, questo è chiaro. E come in ogni spazio libero (SE ce ne sono altri) potendo intervenire chiunque,spesso e volentieri interviene anche chi -con nome o senza nome, non è tanto questo l’importante a mio avviso- pigia i tasti giusto per una presenza goduta e qualche sasso insignificante tolto dalla scarpa del chiacchericcio.
Ma su questo non mi dannerei tanto(e se vogliamo, nonostante lo spazio sia intimo per conoscenza ma esposto ai chiunque per ovvietà,chi lascia la propria casa aperta ha pur sempre il diritto di chiudere gentilmente la porta agli indesiderati o strafottersene e lasciar libera parola ad ognuno- io propendo comunque per la seconda e forse ingenuamente mi fido del fatto che il commentatore anonimo che si da voce giusto a masturbarsi i nervi e rompere a chi di turno le palle, dopo un po’ è il primo a stancarsi-
L’inganno a mio avviso sta piuttosto nel nome inappropriato che si usa per indicare e qualificare il commento:per quel che mi riguarda la realtà dei siti-blogs che tengo sott’occhio è ben altra. Si dice commento ma potrebbe dirsi proseguo, risposta, domanda, aggiunta, integrazione,confronto,glossa,impronta di passaggio, simposio o per giunta sottrazione. Non esiste una logica e una regola del commento, dargli un nome unico è pura convenzione. Su Nazione Indiana in termini di glosse non mi pronuncio:ma volete dirmi dove sta tutta sta bolgia? E’ un anno che sto cercando lo spazio commenti e non lo trovo…
Per quel che riguarda la necessità di una direzione alta e il darsi delle regole fisse,bè,ovviamente anche su questo ho opinione ben diversa dal signor S. Al contrario, sui tempi della scrittura e ancor più della lettura,propro su questo mi prendo un tempo di riflessione. Per alcuni pezzi -magari anche i più brevi- il tempo della valutazione si dilata a dismisura, altri sono pronti allo scambio
Mi ha colpito questa affermazione secondo cui l’autoregolazione sia un “difetto”. Penso che Pascale intendesse il semplice fatto che non c’è una selezione a monte dei pezzi, e che tutti gli autori possono postare, cosa e quando vogliono. Più che un “difetto” di fabbricazione, come fosse una sbiellatura inevitabile dello strumento, è una particolare logica editoriale che proprio il meccanismo dei blog e dei multiblog produce. Che lavora su una certa malìa caotica, sulle suggestioni a catena, sulle connessioni (tra pezzi diversi e autori diversi, e contigui) inaspettate. Invece che su un’unica mente pensante che sceglie e impagina. E, ammetto, può piacere o non piacere, può funzionare o non funzionare.
Poi c’è un “basta guardare” che congiunge il problema dell’autoregolamentazione ai commenti – cui poco c’entra, a mio parere. I commenti non solo non sono un difetto, ma nemmeno un prodotto o un effetto dell’autoregolamentazione di cui sopra. Sono una opportunità comunicativa altra, e in più. Sono anche dell’idea che si possa discutere, senza alcuna lesa maestà, se i commenti abbiano senso nei blog/riviste/bollettini ecc. che contengono racconti e varia letteratura. Secondo me sì, ma Pascale evidentemente pensa di no – che il testo debba rimanere “solo” con il lettore, ed è una posizione che non condivido ma ne capisco il senso.
Il problema è forse che, me ne rendo conto anche io nella mia esperienza di lettore di blog e relativi commenti, non è cognitivamente così semplice nè automatico distinguere sempre e comunque il testo dal commento che genera. Che siano due cose diverse, insomma, non sono poi così convinto. Ma è più una domanda che una convinzione.
Ultimo punto e mi cheto.
Pascale sconta, secondo me, come diceva anche adrix, una sorta di “scarsa socializzazione” al web, le cui logiche non sono nè semplicissime, nè automatiche. Come tutti i processi di socializzazione. Ecco perchè poi non ci si capisce. Sulla sua amorevolezza per le riviste, e sulla bontà del suo libro non ho dubbi – e, coincidenza, ne pensavamo di scrivere a giorni. Peraltro mi è capitato di pensare, leggendo di questa passione spesso frustrata dalle logiche perverse del cartaceo, come proprio l’online potesse essere una soluzione ideale (e già ovviamente e ampiamente lo è).
Perdona Loredana la lunghezza imperdonabile. 🙂
Be’, ma che ridere che Pascale deprechi l’accesso libero ai commenti e poi intervenga lui stesso con un commento!