Fabrizio Tonello, Davide De Luca, “Daniele”, Sabino Patruno. Sono, nell’ordine, un docente di Scienza dell’Opinione Pubblica, un giornalista a cui “piacciono i numeri e l’economia”, un laureato in filosofia che scrive per Vice e un notaio.
Cos’hanno in comune è presto detto: una serie di post (sul Fatto quotidiano, Il Post, Quithedoner, Noisefromamerika), pubblicati a distanza ravvicinata e decisamente simili nei contenuti, nelle conclusioni e nel commentarium, nei quali dichiarano il femminicidio vicenda montata mediaticamente e fondata su numeri sbagliati. Ci sono, naturalmente, varianti nei toni usati: da quelli gelidi di Tonello nel distinguere l’assassinio di una donna dallo sfregio con l’acido (“dalla tomba non si esce, dall’ospedale sì”), a quelli sprezzanti di De Luca, passando per l’esposizione dotta di Patruno fino alla “bava alla bocca” delle “neofemministe” evocata con compiacimento da Daniele-Quit the doner.
Cosa altro hanno in comune questi post, a livello generale? La sensazione che, tutti, si rivolgano a interlocutori che hanno le sembianze di spettri, e che quegli spettri esistano solo nella loro testa, si tratti di giornalisti distratti, politici occhiuti, femministe, appunto, bavose. Non donne e uomini reali, ma caricature. Come se la denuncia del femminicidio venisse da un soggetto unico, che è facile incarnare nel vecchio stereotipo della femminista arrabbiata, livorosa, profittatrice, isterica, bisbetica. Le argomentazioni, infatti, non vengono quasi mai riferite a chi le ha effettivamente usate: si denuncia all’ingrosso complottismo, uso sbagliato o addirittura truffaldino dei dati, voglia di sensazionalismo, senza mai fare nomi e cognomi; come se tutte e tutti coloro che si sono occupati e si occupano del tema fossero indistintamente accomunati da intenzioni subdole, ignoranza, protervia, isteria, ricerca affannosa di un attimo di celebrità.
Veniamo al punto. Le argomentazioni statistiche usate dal drappello sono quattro.
a. Il numero di donne uccise è costante negli anni e l’incremento percentuale è dovuto al fatto che vengono uccisi sempre meno uomini, per cui il femminicidio non esiste;
b. In Italia le morti di donne sono di molto inferiori alla media internazionale, quindi il femminicidio non esiste;
c. Dalla combinazione incestuosa di a. e b., discende la variante forse più stupefacente di negazionismo statistico: siccome la frequenza delle donne uccise registra dei minimi – nel tempo e nello spazio – che si collocano attorno al valore di 0,5 casi l’anno ogni 100.000 abitanti, se siamo in prossimità di quel valore (e in Italia lo siamo) abbiamo raggiunto il “minimo fisiologico” e possiamo essere sereni;
d. I dati non sono attendibili in quanto raccolti in modo non scientifico, quindi il femminicidio non esiste;
Le argomentazioni “politiche” sono invece tre:
1. Non esiste un’emergenza femminicidio, si tratta di un fenomeno a bassa intensità costante nel tempo e anzi in calo;
2. E’ stato fatto del mero sensazionalismo, creando la percezione di una escalation che i dati non confermano e anzi smentiscono;
3. Non ha senso chiedere leggi più severe per gli omicidi derivanti da questioni di genere, perché la vita di una persona non è più preziosa di quella di altre persone.
La cosa che impressiona è che il drappello dice cose molto simili a quanto sostenuto da Michela Murgia e da me, ma arrivando a conclusioni opposte. Certo, i dati sono pochi e confusi, perché non esiste un’indagine statistica dedicata. Certo, bisogna porre la massima attenzione quando i numeri vengono forniti. Certo, le leggi repressive non hanno senso né utilità (ne ha invece il lavoro culturale e di formazione, la moltiplicazione dei centri antiviolenza e il loro finanziamento). Certo, se il femminicidio fosse un’emergenza contingente potrebbe essere studiato e circostritto, ma il femminicidio è fenomeno endemico e drammatico. E, certo, i numeri ci dicono che altrove si uccide di più. Per chiarezza, ecco un passo da L’ho uccisa perché l’amavo:
“ Gli statistici improvvisati vanno, abitualmente, in cerca di rapporti, specie le statistiche dell’Onu sull’omicidio (UNODC homicide statistics) grazie alle quali si può sottolineare che si ammazza di più in Nord Europa, ma guarda, proprio nei paesi più emancipati e dove le donne sono più libere, e dunque la percentuale di morte è in Norvegia il 41,4% in Svezia e Danimarca il 34,5% in Finlandia il 28,9%, in Spagna il 33,1% in Francia il 34,5%; in Giappone il 50%, negli USA il 22,5%. Contro il 23,9% dell’Italia. Dunque, ci vien detto, se in Italia le vittime di sesso femminile non arrivano al 25%, è logico e conseguente che a morire siano soprattutto i maschi, che dunque vanno considerati le vere vittime. (…)
Ma guardiamoli bene, i dati che riguardano il nostro paese. Nel rapporto sulla criminalità in Italia si scopre che le donne uccise sono passate dal 15,3 per cento del totale, nel triennio 1992-1994, al 26,6 del 2006-2008. Peraltro, la maggior parte delle vittime si registra nel ricco e sviluppato (e, certo, più popolato) nord: dove, nel 2008, ultimo anno disponibile, le vittime di sesso femminile sono state il 47,6 per cento, contro il 29,9 per cento del sud e il 22,4 del centro. In poche parole, se il numero cresce, ed è sempre quel tipo di omicidio, la crescita è il fenomeno, e non il numero, che è effettivamente tra i più bassi al mondo. Significa, per essere più precisi, che se le morti per criminalità organizzata passano da 340 nel 1992 a 121 nel 2006 e quelli per rissa da 105 a 69 , i delitti maturati in famiglia o “per passione”, che sono in gran parte costituiti da femminicidi, passano da 97 a 192. In altre parole ancora, mentre gli omicidi in Italia sono calati del 57 per cento circa, i delitti passionali sono cresciuti del 98 per cento. Inoltre. Se si guarda la tabella relativa ai rapporti di parentela fra autori e vittime di omicidi commessi in ambito familiare in Italia fra il 2001 e il 2006, nel 66,7 per cento dei casi (due donne su tre) è il coniuge, il convivente o il fidanzato maschio ad uccidere la propria compagna. Infine, se in assoluto sono i maschi a essere vittime maggiori di omicidio volontario, si nota però, che mentre le donne erano il 15,3 % nel 1992, sono arrivate a essere il 26 nel 2006.
Ancora. Nel Rapporto sulla criminalità e sicurezza in Italia 2010, curato da Marzio Barbagli e Asher Colombo per Ministero dell’Interno − Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Fondazione ICSA e Confindustria, i risultati sono così sintetizzati: “Rispetto alla fase di picco del tasso di omicidi, negli anni Novanta, oggi la quota di donne uccise è straordinariamente cresciuta. Nel 1991 esse costituivano solo l’11% delle vittime di questo reato, ma oggi superano il 25%. In Italia, quindi oltre 1/4 delle vittime è donna. La crescita dipende da una relazione ben nota agli studiosi, per la quale la quota di donne sul totale delle persone uccise cresce al diminuire del tasso di omicidi. Questo accade perché, mentre il tasso di omicidi dovuto alla criminalità comune e a quella organizzata è molto variabile, gli omicidi in famiglia − la categoria in cui le donne sono colpite con maggiore frequenza − è invece più stabile nel tempo e nello spazio””
Cosa dicono, invece, i negazionisti? Offrono una costruzione sillogistica inconsistente, per cominciare: sostenere che il femminicidio non esiste perché il numero resta fisso, abbiamo un numero di donne morte inferiore alla media e i dati non sono attendibili non ha consequenzialità logica. Diremmo forse che la mafia non esiste, in base alla constatazione che ormai il numero di morti ammazzati è costante da anni, c’è scarsità di dati e la mafia russa ammazza molta più gente? Quanto al “minimo fisiologico”, colpisce che chi bacchetta l’atteggiamento non scientifico di altri ricorra a sua volta a una vera e propria fola: chi l’ha certificato, questo minimo fisiologico? Sulla base di quali evidenze scientifiche? Facciamo un parallelo: si parla molto di malasanità; mentre l’OCSE colloca il nostro sistema sanitario addirittura al secondo posto dietro quello francese, e soprattutto lo attestano i fatti, con una durata media della vita degli italiani che è seconda solo a quella dei giapponesi. Nonostante questo, tutti i giorni negli ospedali italiani si muore, e non per malattia: si muore per infezioni ospedaliere, per errori medici, per guasti alle attrezzature vitali. Considerando le prestazioni erogate ogni anno, che sono milioni, si potrebbe ben sostenere che gli episodi riportati dai giornali siano un “minimo fisiologico”, che stiamo bene così e nessun intervento è dovuto. Non c’è emergenza. Eppure, nessuno si sognerebbe di dire che è “fisiologico” venire ammazzati in ospedale, sia pur involontariamente; siamo tutti consapevoli che il famoso “minimo fisiologico” probabilmente esiste, ma nemmeno vogliamo conoscerlo (ammesso che sia possibile) e lo stesso pretendiamo che ogni sforzo venga fatto per spostare quel limite il più possibile verso lo zero. La domanda da un milione di dollari è: perché invece parlando di femminicidio tanta gente ritiene che ci si debba accontentare? Non è di vite umane, che stiamo parlando?
Venendo ai dati, vera e propria croce per chi voglia seriamente indagare questo fenomeno, i negazionisti perdono regolarmente l’occasione per sottolineare questa carenza e additarla per quello che è: un problema da risolvere, e non una comoda cortina fumogena utile per avvolgere tutto nella notte in cui tutte le vacche son nere. Dire che i numeri non vengono da una fonte autorevole è giusto; dire che sono sbagliati è un fatto che va dimostrato. I negazionisti non si rendono conto che proprio l’assenza di dati è un fatto in sé gravissimo. Non solo: quando Patruno (da cui sono nati gli altri post, evidentemente) sostiene che l’incidenza percentuale dei femminicidi (che aumenta a fronte di numeri assoluti calanti per gli omicidi di altra natura) conta “assai poco” e che a contare sono “i numeri assoluti e le dinamiche di questi numeri nel tempo”, fornisce un’interpretazione tutta sua, e per nulla scientifica. Le percentuali non dicono “assai poco”: dicono una cosa diversa e complementare rispetto alle frequenze assolute (che in statistica sono sinonimo di numero, n.d.r.), integrando l’informazione. In questo caso specifico potrebbero ad esempio dire che, avendo trovato il modo di ridurre certi tipi di omicidio ma non quello ai danni delle donne, è giunta l’ora di mettere in campo risorse specificamente destinate a questo scopo.
Risorse non significa leggi: la maggior parte delle persone e delle associazioni impegnate nella lotta alla violenza contro le donne non chiede leggi ad hoc, ma semplicemente la rigorosa applicazione delle normative esistenti e, soprattutto, la protezione delle donne che denunciano e il finanziamento di strutture in cui possano essere accolte e aiutate.
Ricapitolando: se abbiamo davanti un’incidenza percentuale che ci dice che, a differenza di altri delitti, il femminicidio esiste e non cala come gli altri crimini, se abbiamo davanti un’assenza di dati e di risorse, si dovrebbe concludere – e sarebbe logico farlo – che abbiamo un problema. Il drappello di fact-checker, invece, conclude che NON lo abbiamo.
Perché? Questa dovrebbe essere la domanda. Le risposte, come è ovvio, soffiano nel vento. Ma una cosa vorrei dire: comprendo che la razionalità (è davvero tale?) degli studiosi (quando sono degni della definizione, naturalmente, e non semplicemente aspiranti influencer) chiami alla freddezza anche quando una ragazzina di sedici anni viene bruciata viva dal fidanzato, ché a noi non interessa, ché l’emotività è roba da “opinione pubblica”. Eppure non è questo che chiediamo a chi studia. Non è questo che chiediamo a chi pronuncia parola pubblica, sapendo bene di usarla come un’arma e di usarla, nella gran parte dei casi, solo per chiamare a sé i riflettori in un momento in cui il dibattito è caldo. Che vengano, i riflettori: abbiateli. Ma almeno sappiateli usare per il bene di noi tutti: e non, semplicemente, per qualche follower in più.
Per questo post un grazie di cuore va a quello che di fatto ne è l’autore, lo statistico Maurizio Cassi, e a Giovanni Arduino per aver suggerito il termine giusto per ribaltare quello, a rischio di abuso, di fact-checking: fact-screwing. Ovvero, incasinare i dati invece di analizzarli.
Questo post appare anche su Disambiguando , Giorgia Vezzoli Marina Terragni e Il corpo delle donne.
@dtm: le stesse basi fisiologiche secondo cui si ritenevano le donne incapaci di provare piacere, di avere desiderio sessuale? Le stesse per cui si riteneva che l’utero vagasse per il corpo causando l’isteria (definizione di malattia mentale abolita nel 1952-non otto secoli fa)? Le stesse basi secondo cui si ritenevano i neri sub-umani? Le stesse basi per cui l’omosessualità era una malattia psichiatrica? 😀 Sì, sono polemica. Ma se c’è una cosa che la storia della scienza ci insegna è che la scienza non è immutabile, e quello che oggi ci sembra ovvio potrebbe sembrare discutibile fra 20 o 30 anni, e ridicolo fra 50 o 60, per non parlare fra 100. A volte bisogna avere il coraggio di guardare oltre, e di mettere in discussione tutto (senza per questo scadere nelle risposte complottiste), sopratutto perché il rapporto fra i generi è qualcosa di talmente radicato in milleni di cultura che è molto difficile, per non dire arrogante e presuntuoso, stabilire che qualcosa è “per natura” o per cultura. In un ospedale fecero un esperimento, portando un gruppo misto di addetti ai lavori e pubblico generico in una sala maternità, dove avevano preventivamente scambiato le coperte ai neonati mettendo il rosa ai maschi e il blu alle femmine. Senza ovviamente informare il gruppo, chiesero agli spettatori di descrivere i bambini: immancabilmente, i neonati in blu venivano descritti prevalentemente come “vivaci” e quelli in rosa come “dolci e tranquilli”. So much for biology. Credo che se non la smettiamo di assumere, presuntuosamente, che le lenti attraverso cui guardiamo il mondo (e quindi attraverso le quali facciamo scienza) siano neutre non verremo mai a capo di nulla. Di questo come di tanti altri problemi. (non mi sono inventata l’esperimento, è stato fatto mi pare in inghilterra ma ora non ritrovo l’articolo-e non era un articolo su una rivista di gossip).
Non mi sorprende sapere che la criminologia non sia ferma agli anni 50. Ma questo che c’ entra? la fisica non è ferma a tre secoli fa ma la legge di gravità vale ancora, l’ economia non è ferma a due secoli fa ma la legge dei vantaggi comparati vale ancora. Eccetera. Newton e Smith sono superati ma non le loro scoperte fondamentali che tutto sommato reggono.
Ottimo l’ ultimo link, ti ringrazio, ottimo per la nostra cultura personale più che per la nostra discussione (non l’ ho letto tutto, al pc e con i miei tempi è un po’ faticoso). Del resto, la legge di cui parliamo è solo la formalizzazione di qualcosa di intuitivo: le dinamiche dei delitti passionali sono più stabili di quelle tipiche dei delitti “razionali”. E’ ovvio che sia così: per combattere i secondi basta strutturare meglio gli incentivi ambientali. In un certo senso non ci vuole verkko per arrivarci.
In Italia decrescono gli omicidi della delinquenza comune (delitti razionali) ma non il femminicidio (delitto passionale). La legge di verkko ci dice che è “normale”. I confronti internazionali ribadiscono che si tratta di una dinamica nella norma. La conclusione che s’ impone: il femminicidio è un delitto grave ma non un’ emergenza che segue fatti straordinari. Che poi qualcuno istituisca una sinonimia tra gravità ed emergenza, questo è altro discorso. ciao.
Eh, so bene che a questa affermazione seguiranno almeno altri sei commenti di Bronco Billy qui e magari un paio di post sul suo blog, ma la faccio lo stesso: quando è evidente la continuità di un fenomeno al punto di farlo diventare strutturale, è “emergenza”, in un paese civile, affrontarlo. Poi, se si vuole chiudere gli occhi su questo e dedicare il proprio tempo a dimostrare che così non è, liberissimi tutti.
Non mi sembra che Davide de Luca su Il Post utilizzi un tono sprezzante, neghi, o consideri poco grave il problema, tutt’altro, solo cerca di far notare che non è cambiato molto nell’ultimo anno/anni e che l’emergenza non è adesso ma c’è sempre stata, o sbaglio?
“Questi articoli mostrano come i numeri diano completamente torto alla tesi dell’escalation e come ci troviamo piuttosto di fronte a un fenomeno endemico – cosa forse persino peggiore.”
Io ne ho scritto tre
1)Femminicidio, donne, uomini: statistiche reali d’impatto breve
http://notizie.tiscali.it/regioni/sardegna/socialnews/Carta/5096/articoli/Femminicidio-donne-uomini-statistiche-reali-d-impatto-breve.html
2)Fenomeno sì, fenomeno no. Statistiche d’impatto e linguaggio calcistico da due soldi:
http://notizie.tiscali.it/regioni/sardegna/socialnews/Carta/4963/articoli/Fenomeno-s-fenomeno-no-Statistiche-d-impatto-e-linguaggio-calcistico-da-due-soldi.html
3) Suicidi in Sardegna: osserviamo e proviamo a riflettere
http://notizie.tiscali.it/regioni/sardegna/socialnews/Carta/7325/articoli/Suicidi-in-Sardegna-osserviamo-e-proviamo-a-riflettere.html
Fate come se foste a casa vostra 🙂 (Matteo: come ha giustamente scritto Sofri, c’è sempre stata e veniva ignorata, e nel momento in cui diviene evidente ci si affretta a negarla: questo è il problema, semmai)
Non approvo molto il termine “negazionismo” per definire coloro che negano l’esistenza del fenomeno chiamato “femminicidio”. Secondo me non c’è nulla da negare: esistono omicidi, con vittime le donne e con vittime gli uomini. Esistono entrambi, anche se molto femministe (non la Lipperini) sembrano quasi negare. Ovviamente tra queste grandi sottodivisioni, gli omicidi che hanno come vittime le donne, destano più scalpore, più hype, più interesse mediatico, più indignazione. I motivi sono diversi, ma tutti riconducibili al fatto che nella nostra società la vita di un uomo ha un valore minore. All’interno della suddivisione degli omicidi più degni di nota, cioè quelli con vittime le donne, c’è una suddivisione di secondo livello, in relazione al sesso dell’omicida. Secondo questa suddivisione, si distinguono omicidi più gravi di altri, cioè destano più scalpore, più hype, più interesse mediatico, più indignazione, gli omicidi che vedono uomini uccidere le donne. Il caso Scazzi è diventato un tormentone, perché all’inizio si pensava che l’omicida fosse papà Misseri e non figlia con moglie, poi l’hype è rimasto, in quanto l’audience non calava, e quindi hanno deciso di rimanere sul pezzo.
All’interno della suddivisione più degna di nota, cioè di quella che vede donne vittime e uomini omicidi, vi è una suddivisione di terzo livello: da questi casi si estrapolano, i casi in cui lei è stata uccisa “in quanto donna” da un fidanzato o marito o ex. Questi casi sono all’interno di quella suddivisione i più degni di nota, gli unici a meritare il marchio registrato di “Femminicidio”. Il femminicidio esiste? Semplicemente no, perché le casistiche sono inferiori ad un caso all’anno, secondo questa definizione; infatti l’espressione “in quanto donna” la interpreto in maniera molto letterale cioè come “uccido lei perché donna, non tanto per altri motivi”. Però non vorrei mettere il dito nella piaga sulle questioni lessicali: è chiaro che il femminismo non intende quest’espressione alla lettera e le dà un significato personale. Il femminicidio è quindi l’omicidio doloso di una donna, da parte di un uomo, che ha avuto relazioni sessuali, anche non corrisposte, con la vittima, con un movente legato a quella relazione o non relazione. Il femminicidio esiste? O diamine, se esiste!! Non vedo come non potrebbe esistere. Molti antifemministi, anche quelli con cui condivido 19 righe su 20, sono fenomenali nel cercare e memorizzare dati su tutti gli altri tipi di omicidi, con vittime uomini, quelli per mano femminile, quelli per mano femminile con moventi di natura sessuale; ne risulterebbe che gli omicidi con marchio “femminicidio” sono di numero non notevole e assolutamente non giustificante l’emergenza che mediaticamente si sta urlando.
In questa sfida tra antifemministi e femministi, oppure tra negazionisti e sensazionalisti, che si gioca a colpi di statistiche e smentite e critiche ad agenzie statistiche e critiche ad altri dati spiegati in modo ambiguo o semplicemente stupido, tendo a dare ragione alla mia parte, quella antifemminista, pur non avendo nessuna certezza della veridicità dei dati delle due fazioni, in quanto non sono io a farli personalmente. Da antifemminista di lungo corso, conosco quanto sia distorto il sistema mediatico pro-femdom e questo mio pensiero è comprensibile da chiunque alla luce del recente caso Clandy, dove la disparità di trattamento si è rivelata di fronte anche alla più cieca sensazionalista. Il punto del mio intervento però è un altro; a me interessa fino ad un certo punto la sfida a chi muore di più e chi uccide di meno: gli omicidi di donne, di uomini e di bambini, di tutti, devono essere diminuiti, è questo il pensiero antifemminista. Antifemminismo è paritarismo. A questo punto, occorre capire la motivazione per studiare la soluzione. La soluzione proposta dai sensazionalisti è francamente il nulla, perché non si ammette la causa del fenomeno. Io, a causa della mia vocazione antifemminista, non mi faccio tutti questi problemi ad analizzare il fenomeno in maniera lucida e non ipocrita. Ecco che se in un istituto scolastico gli alunni ricevono più note e più rimproveri che in altri istituti, le cose saranno due: o ci sono in quell’istituto insegnanti più severi, o gli alunni sono più indisciplinati. O, più facile, entrambe le cose. Ma nessuno si fa problemi a dire che è possibile che le vittime dei rimproveri se li meritino. Ora, con la questione degli omicidi di marchio femminicidio, non sarebbe giusto parlare del merito, perché nessuno si merita di morire prima della vecchiaia e questo lo vorrei sottolineare con forza, per evitare obiezioni successive. Ma io, a dire la verità, mi stupisco di quanta poca violenza degli uomini sulle donne avvenga in una società come la nostra, dove la donna non ha il culto del rispetto verso nessuno, dove la donna è vista come una regina ed è il mezzo di scalata sociale; la donna deve maneggiare un valore tanto inestimabile che le delusioni intorno alla sua (dissennata) gestione di questo potere, possono molto spesso mandare in corto circuito i partner più fragili moralmente e psicologicamente. Altra questione è quella chimica, che si lega anche ai valori economici: la relazione sessual-sentimentale è una droga, senza se e senza ma; dà assuefazione, dà dipendenza, dà effetti collaterali nel momento in cui si interrompe. Nel momento in cui s’interrompe la soddisfazione ormonale, l’uomo non può troieggiare, la donna sì; l’uomo può andare con delle prostitute, ma i neurotrasmettitori che venivano consumati con un rapporto sentimentale intensivo, non possono venire consumati in toto. Spiego meglio: in una relazione amorosa soprattutto se prolungata, uomini e donne si sentono quasi dello stesso valore; finita questa, uomo si ritrova ad essere l’essere umano di serie B che deve pagare per fare sesso, che non può ricevere attenzioni; per la donna è diverso e può facilmente sfogarsi con altri uomini, che si atteggeranno da innamorati. La soluzione ai femminicidi quindi, non è altro che l’antifemminismo; la soluzione è la parità sessuale e voi femministe-sensazionaliste avete intenzione di risolvere un fenomeno ingrandendolo. Occorre rispettare di più l’uomo, smettere di venerare la donna e reintrodurre una cultura anticonsumistica.
Il sorprendente commento d’esordio di Warlordmaniac ( Boss Lipp dàgli un’altra chance ).
Tutti al parco a leggere DFW!!! (Hipsteria)
1) “quando è evidente la continuità di un fenomeno… è “emergenza”…”
2) “… emergenza… improvvisa difficoltà… momento critico che richiede intervento immediato in seguito a una circostanza imprevista o un accidente… ”.
Esercizio: associa una delle due sentenze alla Treccani.
Continua la battaglia tra negazionisti e revisionisti (del dizionario).
No, battaglia fra gelidi analizzatori di vocaboli e numeri e persone che credono in quello che fanno. Bronco Billy, lei ha un intero fandom di odiatori e odiatrici del femminismo. Non ha bisogno di me, credo 🙂
Ci sono tre possibili reazioni alla critica:
1) Mi dispiace di non riuscire a convincervi.
2) Non la pensiamo allo stesso modo
3) Ho torto.
Sarebbe anche l’ora che prendesse in considerazione la terza eventualità.
Ho scelto, come vede, la due. Ma anche un po’ la uno. Mi dispiace di non riuscire a convincere quella parte di uomini (e alcune donne) che “negano” l’esistenza del fenomeno e antepongono alla riflessione sul medesimo la fierezza del calcolante. Quanto al cosa devo fare, signor anonimo, se non le dispiace non è lei a deciderlo 🙂
Aspetti un attimo: è stata lei (e altre blogger, associazioni…) la prima a avere usato i numeri per legittimare la sua tesi (sull’ermergenza e sulla priorità del femminicidio). E lo ha fatto perché sapeva benissimo che senza i numeri tutti i fenomeni hanno la stessa (ir)rilevanza. Perché non dedicarsi alla lotta dei maschi calvi sotto il metro e sessanta che uccidono madri bionde che portano la terza di reggisenso? Ma perché i casi registrati sono talmente pochi da non costituire un fenomeno significativo e non meritare certo una nuova semantica tutta per loro. Eppure per l’appassionato anche questo fenomeno è degno di studio. Per farsi finanziare tuttavia occorre convincere gli altri. E pur ricorrendo a tutto l’armamentario retorico all’uopo bisongna tirare in ballo i numeri. Altrimenti ciccia.
Poi le hanno fatto notare che i numeri usati e quelli dedotti erano sbagliati. Proviamo a ripeterlo assieme tenendoci per mano e guardandoci negli occhi? Sbagliati. Errati. Falsi.
Da qui la constatazione che il discorso non stesse in piedi. Hai voglia a fa passare l’errore per maggiore consapevolezza, declinare l’emergenza in priorità, facendo slitare sempre l’ordine del discorso e il significato delle parole per sfuggire alle confutazioni. A ogni slittamento poi è seguita la critica puntuale. La dunque, si accetti l’eventualità di avere torto. Questo mite consiglio non coincide col decidere per lei ma al massimo è concederle una exit strategy che le eviti il ruolo dell’orso da fiera a cui tirare le torte in faccia.
In tutti i casi non si può ora dire sminuire i numeri altrui (giusti) svillaneggiandoli sulla base che i numeri non contano – ma contavano eccome , ed erano il centro della strategia retorica, fino a che non sono stati falsificati. Non si può nemmeno riprendere chi le apra sotto il naso il dizionario quando è stata lei a volerne declinare perentoriamente uan definzione (è emergenza!).
Siamo alla volpe e l’uva nel migliore dei casi. E nel peggiore? Ce lo dica lei.
Il Signor Maurizio si smentisce da solo. Prima ammette la mancanza di dati statistici sui quali fondare una statistica certa (anche se tenta di fare un gran polverone scomodando termini altisonanti), poi però annuncia che c’è un’emergenza femminicidio. Emergenza basata su un rumore di fondo. A sostegno di ciò Loredana Lipperini dice che per lei basterebbe anche un solo omicidio per allarmarsi.
Lascio perdere il ridicolo riferimento al rumore di fondo e mi concentro sull’excusatio non petita: l’ottenimento di finanziamenti pubblici. Mah…
Quindi, in buona sostanza, su cosa si basa questa “emergenza”? Sul fatto che viene dato aprticolare risalto agli omicidi (vergognosi, eh, si sappia che io li reputo schifosamente vergognosi) in cui vittime sono donne? O su cosa? E come mai Loredana Lipperini non si dimostra sensibile ad altri tipi di omicidi, ad esempio quelli ai danni di bambini piccoli a opera delle mamme (da poco una mamma ne ha buttati dalla finestra due) o che ne so, quelli a opera di pazzi che vanno in giro per la strada ad ammazzare il primo che passa?
L’emergenza si basa sui dati di cronaca? Ma se prima è stato universalmente riconosciuto il fatto che i media enfatizzano in maniera negativa i dati!
Fatemi capire.
Il motivo per cui non metto in moderazione commenti di questo tipo (copia-incollati l’un con l’altro, sordi e ciechi a tutte le risposte precedenti che sono state date in questo thread, nei libri, negli articoli, in altri blog) è semplice: è corretto che chi legge possa toccare con mano la reiterazione di argomenti già confutati, il portare avanti le stesse tematiche (le madri assassine, la negazione di un fenomeno strutturale che non diminuisce nel tempo, il terrore che possano andare soldi ai centri antiviolenza, i toni paternalisti e insultanti, e via andare), il non voler minimamente farsi carico della possibilità di un cambiamento nei rapporti fra uomini e donne (e altri generi sessuali). Eccetera. Leggeteli, donne e uomini (e altri generi sessuali) che avete a cuore il miglioramento del nostro paese e del nostro futuro. Vi dirò di più: copiateveli da qualche parte, conservateli a memoria. Perché questo avviene in ogni luogo della rete dove si parla di femminicidio.
Capisco che in gioco ci sono i rapporti, a volte viziati, tra uomini e donne. Ma credo si debba anche ammettere che parlare di “emergenza” femminicidio sia un po’ azzardato. Capisco, e approvo davvero molto, che esistano spazi come questo in cui si sviscera il problema, però sarebbe opportuno sviscerarlo nella maniera più completa possibile, ossia spiegare s cosa si basa lo stato di emergenza. Davvero, fuori da ogni polemica, vorrei capirlo. Visto che emergenza denota caratteri di prevalenza su altri fenomeni. Ho passato la mattinata a leggere e a prendere appunti, mica ho copincollato nulla. Se poi si vuole passare alla moderazione, per carità, in casa propria ognuno può fare quello che vuole. Ah ecco, si, “problema strutturale”, sì, sulla base di cosa lo si può definire tale?
Alessandra: se ha letto davvero il post, avrà notato che NON si parla di un fenomeno “di emergenza”, bensì di un fenomeno “strutturale”. La qual cosa è ancora più grave. Ed è “urgente” intervenire per prevenire (non con leggi repressive, amen, anche se nei commenti sopra devo averlo scritto un miliardo di volte). Per il resto, mi perdoni se non rispondo ulteriormente a domande già poste e già commentate.
Ah no? ‘spetti, che adesso però copincollo davvero.
– 1. Non esiste un’emergenza femminicidio, si tratta di un fenomeno a bassa intensità costante nel tempo e anzi in calo (detto nel post, al fine di confutare le tesi avverse);
[…] intendo entrare in questo dibattito, ora. Vi segnalo un paio di post interessanti. Questo, in cui Loredana Lipperini risponde a chi afferma che un’emergenza non c’è, e questo, […]
Postato martedì, 28 maggio 2013 alle 12:52 am da E una bella ragazza | sraule
Ma mi permetta di insistere sul concetto di emergenza: … Un fenomeno strutturato è qualcosa di più grave rispetto all’emergenza.
e. E’ stato fatto dell’allarmismo isterico e ingiustificato per montare un caso, al solo scopo di ottenere visibilità. I numeri (ancora loro!) non giustificano che si parli di emergenza, né di fenomeno in crescita. (al fine di smontare tesi avverse, quelle dei negazionisti).
1) “quando è evidente la continuità di un fenomeno… è “emergenza”…”
Ho capito male io allora, mi scusi.
“Certo, se il femminicidio fosse un’emergenza contingente potrebbe essere studiato e circostritto, ma il femminicidio è fenomeno endemico e drammatico.” Hai letto il post, Alessandra?
” è “urgente” intervenire per prevenire (non con leggi repressive, amen, anche se nei commenti sopra devo averlo scritto un miliardo di volte).” Hai letto il commento della Lipperini, Alessandra?
Se la risposta è sì, non hai capito o non vuoi capire.
Se la risposta è no, quale idea di femminile devi difendere? Le donne che parlano subito di infanticide quando si parla di femminicidi mi fanno abbastanza paura. Quelle che dicono che gli altri non si dimostrano sensibili a questo tema mi fanno abbastanza rabbia.
Il femminicidio è endemico, ok, va bene, giochiamo sulle parole. Non è un’emergenza ma è endemico e strutturale (che è diverso da urgenza). Va bene. Ok. Su quali basi lo affermate, visto che non ci sono abbastanza dati e i media distorcono i dati?
Alessandra, hai perso gli appunti, perché è tutto scritto nel post: è uscito il sole, magari due passi ti fanno bene, a meno che non ci siano terribili infanticide appostate sulla tua strada.
Vedo che quando si chiedono risposte concrete, che esulano dalle lunghissime elucubrazioni autoreferenziali e che non contemplano paroloni altisonanti, si passa all’ironia di bassa lega, con la pretesa di apparire anche superiore.
Comunque, la mia domanda è sempre aperta.
@ Alessandra
scusa, sinceramente non capisco perché dici che qualcuno giochi sulle parole. Con endemico e strutturale si intende che questi casi ci sono da decenni. La questione dell’emergenza un po’ è dovuta al fatto che quando si comincia a parlare di un fenomeno le voci si moltiplicano, i dati sono stati riportati facendo errori, i toni hanno assunto proporzioni allarmistiche eccetera. Passata la fase della “scoperta” di un fatto a livello mediatico, si ritorna al ragionamento. L’urgenza in questione, non la puoi basare sui numeri, la si basa sul fatto che chi si occupa di questi temi ritiene che le misure poste per evitare che questi casi accadano con questa frequenza, non sono efficaci. Dunque prima si capisce che bisogna agire in un certo modo, meglio è. Non perché oggi è più urgente di ieri, ma perché non si è mai agito in modo efficace. I dati che abbiamo sono sufficienti per avere una visione del quadro, basta dare un’occhiata a wikipedia, oppure al rapporto sulla criminalità aggiornato al 2006 della polizia, che si scarica dal ministero dell’interno e che si trova facilmente, ma basta pure leggere i dati che trovi in questi post. Però dovresti capire che qua nessuno ha richiesto l’intervento degli Alleati, e che quando parli di altri fatti delittuosi ( vedi gli infanticidi ) hai un modo di vedere la questione diverso da quello di cui si parla qua. Non stiamo facendo una gara di quali vittime siano più importanti. Il femminicidio è un aspetto che getta luce su una cultura basata sulla discriminazione e sulla violenza, per questo è così importante ( oltre al fatto che le vittime hanno bisogno di cure adeguate ora ). Non lo si può prendere come un caso limitato alla cronaca tra gli altri.
La tua domanda è ironica: ti ho risposto che forse hai letto gli appunti o non hai letto bene o il post è troppo lungo e ti annoia, ma quello che tu chiedi è già stato scritto. Ho virgolettato una volta, adesso mi sono stufato sul serio.
@ Shane Drinion
“La questione dell’emergenza un po’ è dovuta al fatto che quando si comincia a parlare di un fenomeno le voci si moltiplicano, i dati sono stati riportati facendo errori, i toni hanno assunto proporzioni allarmistiche eccetera.” Se dovessi spiegare perchè parlare di emergenza è sbagliato non avrei potuto usare parole migliori.
“L’urgenza in questione, non la puoi basare sui numeri, la si basa sul fatto che chi si occupa di questi temi ritiene che le misure poste per evitare che questi casi accadano con questa frequenza, non sono efficaci.”Su questa cosa (Lipperini insieme a molti altri non se ne rendono conto) sono d’accordo tutti, anche i presunti negazionisti cattivoni. Il prolema è che…
“Il femminicidio è un aspetto che getta luce su una cultura basata sulla discriminazione e sulla violenza”
… questa cosa è lungi dall’essere dimostrata, di qui le mie precedenti critiche.
Come ho avuto modo di leggere altrove “è un po’ come accusare chi ritiene che non esistano gli untori di minimizzare la peste”.
[A latere, una proposta a Lipperini: leggere un articolo, seppur lungo e articolato, è piacevole; districarsi tra i commenti, benchè utile, lo è meno. Se crede siano state date le risposte alle critiche nello spazio dei commenti sarebbe molto utile (e credo gradito a molti lettori, io per primo) un post ulteriore]
@ dtm ( poi qua pare che parlo solo io o poco ci manca, e magari scrivo pure una marea di scemenze )
A questo punto però non so come proseguire, nel senso che non riesco a capire come sia possibile che la violenza domestica abbia a che fare con la discriminazione di genere e l’omicidio no, tanto più quando a commetterlo sono persone che in passato avevano già avuto comportamenti violenti. Naturalmente le cose sono estremamente complesse, per questo quando tu chiedi una dimostrazione diretta e causale per cui si parte dalla misoginia e si arriva al femminidicio non trovi risposta. Misoginia, sessismo, cultura del possesso, incapacità di accettare abbandoni, gelosia eccetera, sono tutti aspetti che si fondono e convivono con le storie e i disagi personali. Per questo ha poco senso guardare esclusivamente ai femminicidi e dimenticarsi del resto. Il lavoro psicologico, culturale ed educativo che si richiede, lo si richiede a prescindere dai femminicidi. Poi non si può arrivare a tutto, se un uomo ha deciso tenterà lo stesso, ma se invece di essere lasciato solo viene intercettato da persone in grado di ascoltarlo, magari qualcosa si può fare. Tutto qua, mica si sta chiedendo chissà cosa.
Ecco, giustissimo. Qui chi non pensa che sia IL problema viene automaticamente tacciato di negazionismo, revisionismo…
Sono perfettamente d’accordo che la misoginia vada combattuta a prescindere, ma qui si sostiene che
a)c’è un aumento del fenomeno dei femminicidi
b)questo aumento sia dovuto alla misoginia
c)chi pone dubbi sulle questioni è tacciato di negazionismo.
Violenza e omicidi domestici possono non essere legati alla discriminazione di genere, un esempio l’ho scritto sopra.
Intercettare violenti o futuri tali è quel che auspico anch’io, ma se poi a ‘sto uomo gli si spiega che non deve essere misogino mentre le sue pulsioni violente muovono da altro (distrubo post traumatico da stress, l’esempio sopra) credi che questa azione diminuirà il numero di omicidi?
@dtm: io non so se prima di intervenire leggi non dico i commenti, che certo sono troppi per poterli leggere tutti, ma almeno i post. Dici “si sostiene che
a)c’è un aumento del fenomeno dei femminicidi
b)questo aumento sia dovuto alla misoginia
c)chi pone dubbi sulle questioni è tacciato di negazionismo”.
Ora, il punto a), che regge in buona parte il resto del tuo ragionamento, da quale intensa attività onirica è scaturito? Perché qui nessuno si è sognato di sostenere una cosa del genere; si è anzi detto che questo numero, preso come frequenza assoluta, è più o meno costante da anni, e in Italia più basso che in molti altri paesi; che c’è un aumento percentuale (sottolineo percentuale) degli omicidi di donne sul totale degli omicidi, perché altre casistiche ripiegano ma questa no; che questa circostanza fa emergere il fenomeno come una priorità, rappresentando una quota elevata del totale degli omicidi; e che lavorare sulla cultura di genere, a cominciare dalla scuola; garantire corretta applicazione alle leggi vigenti (non a leggi speciali, a quelle vigenti); sostenere le donne che denunciano e offrir loro rifugio; fare queste cose, insomma, probabilmente aiuterebbe a ridurre ulteriormente l’incidenza del fenomeno, oltre a tracciare la strada per rapporti di genere meno claustrofobici, a vantaggio di tutti. Si è anche sostenuto che esista un continuum tra atteggiamenti possessivi, minacce, stalking e quindi femminicidio come passo estremo di un processo che spesso resta nascosto, perché si ferma prima; e quindi, ancora, che l’educazione ai rapporti di genere sarebbe utile per prevenire tutti questi fenomeni: maschilismo tra le pareti domestiche, persecuzioni, femminicidi. Che c’è di tanto perturbante in questo? Cosa vi spinge a pretendere una dimostrazione matematica di rigore comparabile con la formulazione delle equazioni di Maxwell? Guardate che qui il ciclotrone non ce l’abbiamo, il ministero dell’Interno non ce li dà i dati per cercare il bosone di Higgs; qui al massimo si può fare statistica, che per sua natura contempla l’incertezza (la contempla la fisica delle particelle, l’incertezza, figuriamoci le scienze sociali); chi non si è peritato di usare la matematica, come il più volte citato Smeriglia (tra color che negano), è confutabile a sua volta sulla base delle ipotesi che adotta, che sono ben lungi dall’essere incontestabili. Ma qualcuno si è mai spinto a pretendere un simile rigore da fisica teorica per autorizzare la lotta alla mafia, o al terrorismo? No, vero? E allora perché qui i numeri non vi bastano mai, le confutazioni non vi sono mai sufficienti, e quando proprio non avete più argomenti ricominciate a enunciare daccapo quelli già usati, come se vi foste scordati delle confutazioni? Ma tutto questo è da psicanalisi, ve ne siete accorti o no?
@ dtm
cerchiamo di mettere almeno un punto fermo: a) aumento o diminuzione non sono rilevanti, c’è un fenomeno che prima non veniva osservato nella maniera giusta.
b) nessuno pensa alla sola misoginia. Si parla di tessuto culturale permeato di: segue elenco che ti ho già fatto + storie individuali.
c) no, se tu esponi dei dubbi, come hai fatto, ti si risponde.
Per il resto mi pare che continui a parlare di misoginia semplificando enormemente il discorso. Nei centri per uomini maltrattanti ci saranno specialisti in grado di osservare e prendersi cura della persona, non è che si fanno lezioni contro la misoginia.
@ Alessandra
Io ti ho risposto, potresti dirmi almeno se mi hai letto. A me sembra che sono giorni che si risponde a ogni sorta di dubbio, oltretutto di base non si capisce che cosa c’è che non va.
cmq: torta1942sacher@libero.it ( così non intasiamo il blog )
Buone notizie per gli amanti di Verkko: rubando dal post di Patruno posso postare, a vostro beneficio, quanto un commentatore ha pescato su Wikipedia finlandese: ” Veli Kaarle Verkko (July 8, 1893 Helsinki, Finland – April 6, 1955 in Helsinki) [1] was a Finnish sociologist, official statistician and criminology researcher.
Verkko’s parents were Charles Werkko seminary leader and Lydia Eunice Enebäck. He then graduated from high school in 1911 and graduated with a Bachelor of Arts in 1914, a Licentiate in 1931 and doctorate in 1932. Verkko did in 1927, study trips to England and France.
Verkko was the Department of Justice Bureau of Statistics 2d Actuary 1918-1933, Head of Statistical Office 1933-1940, as well as the statistical department manager from 1940 to 1955. He was a docent at the University of Helsinki 1940-1948, Lecturer. 1946-1948 Professor of Sociology and professor from 1948 to 1955. In addition, Verkko of the Finnish Crimean subjugated by the secretary and editor of the Yearbook 1934-1952, as well as the Nordic Association of Crimean subjugated years as editor since 1936, and co-member of the Committee since 1937.
Verkko is best remembered for the development of the theory, according to which the Finns’ bad vodka drinking explained an internationally high homicide rates. He tried to prove the assertion various statistical data sets, and the people of the geographical descriptions. Subsequent research has waived the argument, but it has remained a myth to life. Verkko developed in the 1920’s the statistical procedure used in Finland until the 1980s, and identified a number of statistical regularities of homicides quantities , some of which are still known”.
E quindi, a quanto pare, il buon Verkko di statistica si intendeva. Peccato che non mi riesca di ritrovare la formulazione originale delle sue teorie, perché a questo punto sono curioso anch’io di vedere quali metodologie statistiche ha applicato, e se queste possano essere considerate ancora valide.
Oh, ragazzi, però non sarebbe il caso che foste voi a cercare la agiografie del vostro beniamino, invece di lasciare a me anche il compito di cercarvi il materiale per confutarmi? Questo mi pare pretendere troppo, decisamente…
Chiedo l’ospitalità di questo blog e provo a rispondere all’accusa di negazionismo che mi è stata affibbiata, anche perchè negazionismo è una parola orrenda, che rimanda ad altre negazioni lontanissime dal mio modo di essere.
Se vogliamo parlare di omicidi femminili, lo possiamo fare dando rilevanza alle emozioni ed ai sentimenti, oppure cercando ed analizzando i dati.
Non dico che un metodo sia migliore dell’altro, si tratta di capire cosa vogliamo cercare.
Come ho scritto infatti nel mio post “incriminato”:
“Un omicidio, è sin troppo ovvio dirlo, è una tragedia immane ed un’offesa alla nostra umanità. E’ qualcosa che non può essere giustificato in alcun modo, chiunque sia la vittima e chiunque sia l’omicida. Parafrasando un proverbio ebraico, se è vero che “chiunque salva una vita, salva il mondo intero”, è altrettanto vero che “chiunque toglie una vita, perde il mondo intero”.
Se però lasciamo da parte le emozioni e vogliamo provare a capire il fenomeno, dobbiamo necessariamente affidarci ai freddi dati, che sono gli unici utilizzabili per cercare delle possibili soluzioni pratiche.
Nello scrivere il post su http://www.noisefromamerika.org , sono partito da una sensazione di disagio in me generata dalla copertura mediatica data agli omicidi femminili.
Non cercavo dunque di negare alcunchè, ma di capire se c’è una emergenza.
Come scritto all’inizio dell’articolo:
“anche se un singolo omicidio è già troppo, cerchiamo di capire se il fenomeno è in crescita”.
Leggendo i giornali, ascoltando radio e TV e navigando su internet, infatti, la sensazione è di trovarsi quasi di fronte ad un pallottoliere con numeri dati a caso e senza riscontri.
La sensazione di fondo data dalla comunicazione, è che ci sarebbe un incremento notevole di questi terribili reati e che questo sarebbe il frutto di una cultura arretrata dei rapporti uomo/donna in Italia, che ci vedrebbe in posizione peggiore rispetto ad altre nazioni culturalmente più avanzate.
Non mi sembra il caso di linkare qui i vari articoli o siti che trattano l’argomento, tuttavia basta andare su google e inserire come ricerca “femminicidio in Italia” e se ne avrà un buon panorama.
Come impone lo spirito di Noisefromamerika, sono andato a cercare le fonti che confermassero o smentissero alcune domande:
– il fenomeno è in crescita ?
– la condizione italiana è peggiore rispetto ad altre nazioni ?
– quali sono le cause ?
Alla prima domanda la risposta è negativa: il fenomeno non è in crescita e non c’è nessun aumento di omicidi femminili.
Da più di venti anni a questa parte il tasso di omicidi con vittime donne in Italia è fermo attorno a 0,5 omicidi per 100.000 abitanti.
In questo numero sono ovviamente comprese anche le donne uccise da altre donne e le vittime che col femminicidio in senso stretto nulla hanno a che fare (vittime per rapina, criminalità comune ecc.).
Questo dato non è affatto smentito dalla circostanza che oggi più di un quarto delle vittime di omicidio sia donna, mentre in passato le percentuali erano inferiori.
La ragione, statisticamente banale, è che essendo calate nel tempo le vittime legate alla criminalità comune ed organizzata (nella stragrande maggioranza dei casi uomini) il peso percentuale sul totale degli omicidi delle vittime donne (stabile nel tempo) è oggi incrementato.
Non a caso, nazioni tradizionalmente attente ai diritti femminili e alla parità di genere , come la Germania o la Norvegia hanno ciononostante percentuali di vittime femminili pari rispettivamente al 49,6% e al 42% sul totale degli omicidi, data l’assenza di criminalità organizzata.
Alla seconda domanda, ossia il confronto internazionale, la risposta è che l’Italia è più sicura (e in alcuni casi molto più sicura), rispetto ad altre nazioni con noi confrontabili per tradizione culturale e sviluppo economico.
Le statistiche ONU dimostrano che l’Italia è fortunatamente in coda a questa triste classifica.
Non che questo sia sufficiente o consolatorio, dato che come dicevo all’inizio “anche un singolo omicidio è già troppo”, tuttavia sgombra il campo da falsi miti come quello per cui si sarebbe una correlazione tra gli omicidi femminili e il pessimo posizionamento dell’Italia nella parità di genere.
La terza domanda è invece LA domanda.
Perché se calano gli omicidi in generale, invece il tasso di omicidi femminili è stabile nel tempo ?
Ancora una volta a questa domanda si può rispondere in maniera emotiva oppure razionale.
Una risposta emotiva vede il dato come una conferma del disequilibrio dei rapporti uomo/donna e della violenza maschile.
Una risposta razionale cerca di vedere le cose in un’ottica più ampia.
Provando a ragionare freddamente e non sull’onda di emozioni o, peggio ancora, schemi mentali non collegati ai fatti, dobbiamo prendere atto che, per quanto possano migliorare i rapporti in generale tra esseri umani, c’è purtroppo una violenza che risulta essere in linea di tendenza difficilmente complrimibile, per quanti miglioramenti faccia la società.
Partiamo da un dato di fatto: gli omicidi femminili sono per la maggior parte di natura passionale/familiare, sono cioè un sotto-insieme di quelli che vengono definiti “delitti tra conoscenti”.
I criminologi hanno rilevato che i membri della famiglia e in generale tutti coloro che hanno forti rapporti affettivi, sono legati a dismisura gli uni con gli altri e perdono il controllo in percentuali analoghe in tutti i tempi e in tutti i luoghi, a causa di conflitti di interesse profondamente radicati.
Come scritto nel post, “gli omicidi in cui un uomo uccide un altro uomo a cui non è legato da particolari rapporti, tendono a diminuire molto più rapidamente nel corso della storia, che non invece le morti di figli, genitori, coniugi, partner, fratelli e sorelle.”
Sotto questo aspetto, l’evoluzione dei rapporti uomo/donna c’entra poco ed entrano in gioco dinamiche affettive (distorte) che hanno molto più a che fare con la psicologia , che con la sociologia e la repressione penale.
La violenza, infatti, è in generale diminuita nella nostra società grazie alla presenza dello stato, che fa sentire la potenza del suo apparato repressivo e grazie al generale miglioramento delle condizioni sociali.
Nel caso dei delitti familiari/passionali (che non sono solo quelli femminili), invece, si uccide per impeto o ragioni legate a pulsioni che si autoalimentano nel tempo, dove è la psicologia dei rapporti ad essere rilevante.
Le relazioni affettive o presunte tali, per loro natura, possono sfociare in situazioni patologiche che possono portare, purtroppo, anche all’omicidio.
Il giorno in cui avremo un’adeguata serie statistica specifica, vedremo con ogni probabilità che anche le relazioni omosessuali (che evidentemente col rapporto uomo/donna nulla hanno a che fare) possono generare fenomeni di violenza del tutto analoghi a quelli di cui stiamo parlando.
Un omicidio passionale o familiare è infatti un groviglio di rancori, odio, passioni represse che hanno molto poco a che vedere con l’educazione al rispetto e molto con la patologia dei sentimenti.
L’emergere, spesso improvviso e non predeterminato, di atti violenti nei rapporti tra persone conosciute, è il frutto patologico di quegli stessi rapporti interpersonali.
L’effetto collaterale di queste circostanze, rende gli omicidi passionali/familiari (non solo femminili) molto più stabili nel tempo e meno soggetti alle variazioni che subiscono gli altri delitti di criminalità comune.
Come dicevo nel post, “si potrebbero e dovrebbero perseguire con maggior forza i fenomeni di stalking e la violenza domestica in generale”, tuttavia, realisticamente, dobbiamo prendere atto che si tratta “spesso delitti di impulso o per i quali le conseguenze penali non sono la principale remora o preoccupazione.”.
La forza dello stato è una efficace barriera alla violenza tra estranei, mentre nei rapporti familiari o affettivi, il peso dello stato si fa sentire molto meno e sono molto più rilevanti le relazioni psicologiche (e patologiche) tra i conoscenti.
Il che non vuol dire che non ci sia nulla da fare o che la società italiana sia inamovibile.
Per fortuna lo stato non giustifica più la violenza come con la famigerata attenuante del “delitto d’onore” e non a caso i delitti “d’onore” sono drasticamente diminuiti rispetto al passato, così come nessuno si sogna oggi di giustificare un marito che “educa” la moglie, cosa che sino agli anni ’50 era socialmente tollerato.
Sono però mutamenti di lungo periodo.
Sotto questo aspetto, quindi, ben venga la pressione sociale a migliorare e rendere più paritari i rapporti, perché può accelerare questo mutamento, ma senza illudersi che basti una legge a far diventare le persone più “buone”.
Del notaio Patruno penso siano innanzitutto apprezzabili i toni, niente affatto esagitati come invece quelli di molti che del suo ragionamento si sono serviti e che in una certa misura l’hanno forse strumentalizzato. Di questo penso sia giusto dargli atto. Altrettanto giusto è osservare che la sua petizione di principio (“Un omicidio, è sin troppo ovvio dirlo, è una tragedia immane ed un’offesa alla nostra umanità. E’ qualcosa che non può essere giustificato in alcun modo, chiunque sia la vittima e chiunque sia l’omicida”) è priva di qualsiasi implicazione operativa che vada oltre la finalità di attestare le buone intenzioni di chi scrive.
Laddove parla di numeri, Patruno non dice niente di diverso da quanto qui è stato sostenuto: che a crescere non sono i dati assoluti ma le percentuali, che in Italia le donne uccise non sono più che altrove e anzi sono di meno. Da queste informazioni, nel momento in cui comincia a ragionare sulle cause, trae delle conclusioni che secondo me i dati non autorizzano, a cominciare da quello che lui non chiama “minimo fisiologico” ma “violenza difficilmente comprimibile”; concetti strettamente imparentati, come si può ben convenire. Questo equivoco è secondo me molto pericoloso, perché se accolto implicherebbe la legittimazione dell’inattività in materia: siamo alla soglia minima, non è possibile ridurre ulteriormente l’incidenza di questa forma di violenza, ergo è inutile tentare. Io non conosco il lavoro di Pinker che Patruno cita nel suo blog, ma non credo di poter essere smentito se dico che la sua è una tesi, e non un fatto acclarato; quando abbiamo a che fare con fenomeni sociali la dimostrazione matematica di una qualche verità non è semplicemente possibile, quale che sia la verità. Esistono modelli interpretativi qualitativi e quantitativi, ed è dei secondi che qui si è lungamente discettato; ma questi modelli non daranno mai la certezza di una tesi; con buona pace di Verkko, la stima di un “minimo fisiologico” sulla base della semplice evidenza storica è un’operazione suscettibile di smentita nel momento in cui cambiano le condizioni al contorno: sociali, economiche, giuridiche. Senza tornare ai tecnicismi, giustamente indigesti ai non addetti ai lavori, operiamo per esperimenti mentali e immaginiamo un ipotetico Verkko che si trovasse ad indagare, che so, 1.000 anni prima di Cristo, e facciamo finta che già in quel tempo fossero disponibili statistiche paragonabili alle nostre: rileverebbe un tasso di stupri, violenza contro le donne, femminicidi, stratosferico rispetto a oggi; osserverebbe che una tale situazione perdura non da decenni, ma da millenni, e che anzi rispetto alla preistoria le cose sono enormemente migliorate; e ne dedurrebbe infine che non solo esiste un minimo fisiologico, ma stimerebbe tale minimo in un numero semplicemente spaventoso: diciamo dieci, cento, mille volte quello attuale? Altrove ho risposto in modo più tecnico a questo argomento, specificando che affinché un minimo esista e sia stimabile è necessario fare alcune ipotesi di natura probabilistica che si riassumono, in sostanza, in una confutazione del paradosso che ho esposto sopra: semplificando molto, si deve ipotizzare la stazionarietà del processo (quello dei femminicidi) attorno a un livello del quale si deve poi dimostrare che è diverso da zero (essendo invece lo zero un floor per definizione: fatto scontato, ma con l’aria che tira è meglio specificarlo). Ma, ovviamente, a parte le difficoltà di una tale operazione alla luce dei dati disponibili, nulla garantisce che un’estensione del campione ad altri tempi (dal punto di vista attuale, tempi futuri) e altri luoghi non rimetta in discussione la conclusione, quale che sia. E può anche darsi, come dice Patruno, che un giorno scopriremo che anche tra le coppie omosessuali ci si uccide con la stessa frequenza: questo, contrariamente a quanto lui pensa, non smentirebbe affatto l’ipotetico legame causale tra maschilismo sociale e violenza di genere, potendosi immaginare millanta diverse maniere, tutte plausibili, in cui la cultura dominante percola anche in coppie come queste. Quanto al dubbio su quale potrebbe essere il compito della task force della ministra Idem: posto che “task force” è una locuzione che procura anche a me qualche inquietudine, perché non vorrei che la logica fosse ancora quella dell’emergenza destinata a finire insieme alla legislatura, io qualche compito lo immaginerei: conoscitivo (avvio di una raccolta strutturata dei dati a cura delle strutture competenti e loro rilascio a studiosi in grado di estrarne significati) e operativo (ricognizione delle carenze applicative che limitano l’efficacia degli strumenti attualmente esistenti; sostegno alle strutture che seguono le donne abusate). Sulle argomentazioni che afferiscono alla criminologia non mi esprimo, è un campo che non mi appartiene. Sottolineo però che, come per tutte le discipline, le conclusioni finora raggiunte – che oltre tutto immagino non univoche, altrimenti qualcuno le avrebbe brandite con ben altra efferatezza di quanto non sia stato dato riscontrare – non possono essere considerate definitive; questo non è possibile per le hard sciences, figuriamoci per le discipline sociali. Del resto – e qui non parlo da statistico ma da gestore di risorse, in quanto è un portato della mia formazione quello di essere stato spesso chiamato a gestire – non è che possiamo pensare di intervenire sui fenomeni sociali se e solo se si raggiunge la matematica certezza della loro consistenza numerica e l’incontrovertibilità in senso epistemico sulle loro caratteristiche definitorie; con questo criterio, non saremmo ancora usciti dalle caverne. A me, come cittadino e anche come gestore, ma prima ancora come essere umano, per agire è sufficiente che ci sia una costruzione logica convincente, supportata da adeguata informazione quantitativa che renda un errore poco probabile; poco probabile, non impossibile. L’incontrovertibilità la lascio agli epistemologi, interessandomi molto a livello concettuale, ma interessandomi molto di più poter modificare la realtà sulla base di ciò che si conosce, aggiustando progressivamente i provvedimenti man mano che maggiori evidenze si rendono disponibili.
Alcune considerazioni lampo. Mi pare che ci sia una grande ingenuità nel rifiutare l’aspetto soggettivo e ideologico del dibattito – aspetto soggettivo che concerne le proprie posizioni rispetto agli interventi statali nelle questioni dei cittadini, e le proprie posizioni inerenti le questioni di genere. La posizione dell’osservatore influisce le modalità con cui il campo osservato viene riprodotto – questo lo dissero Maturana e Varela sulla ricerca in biologia figuriamoci su questo ordine di quesiti, quindi – e qui nonostante concordi sempre con maurizio me ne discosto – la questione non è nella veridicità delle preposizioni, in una sorta di interruttore vero falso dimostrato non dimostrato – la filosofia della scienza ha fatto un sacco di strada da allora – ma l’intenzione ideologica di chi utilizza dei dati di informazione. Un ottimo esempio lo fornisce Patruno quando cita le osservazioni che lui attribuisce ai criminologi – ma per l’esattezza sono di origine psicologica, e della scuola sistemico relazionale – e che io in buona parte condivido (anche se molto molto c’è da aggiungere da altri approcci), avendo lavorato e avendole viste applicate in un centro di psicoterapia familiare che collaborava con i tribunali quando c’era violenza nella coppia tale da chiamare in causa i servizi sociali. Ma ecco, quell’ordine di conoscenze io lo tesaurizzo iscrivendolo nei progetti da presentare per contrastare il fenomeno, mentre Patruno lo cita per dimostrare un’impossibilità di occuparsi del fenomeno. Qui l’attrito perciò è sulle priorità politiche soggettive, non sulle oggettività che sono porte aperte e ampiamente sfondate.
Vedi Zaub, io l’aspetto dell’interazione (necessaria) tra osservatore e fenomeno osservato l’avevo volutamente tenuto fuori dalle mie considerazioni, perché temo un eccesso informativo a danno di chi non pratica per mestiere o per passione il metodo scientifico. Anche perché, tirando in ballo queste tematiche, avrei dovuto soffermarmi su quanto di inconsapevolemente bayesiano (cioè soggettivo) c’è nell’uso della statistica che molti cosiddetti esperti fanno. Ma ciò che dici è vero: nella scienza in generale e nelle discipline sociali a fortiori non è data la neutralità, non esiste l’oggettività. Quindi, nello specifico, ritenere che chi nega sia neutrale rispetto al fenomeno come vorrebbe far credere (e come magari crede lui stesso) è inconsistente; lo stesso per chi afferma l’esistenza e la rilevanza della cosa, con una posizione che però mi pare più consapevole del proprio coinvolgimento nella lettura dei dati.
Come si faccia a parlare di problemi strutturali per 100 morti su 30.000.000 non lo capirò mai.
“Ma per me anche una sola donna morta è una di troppo”.
Ok, ma allora perché questo non lo possiamo dire anche per tutte le altre categorie di morti, maschi, bambini, vecchi, anziane e anziani, malati e malate, lavo?
Va’, che scopriamo che esistono vittime di serie A e vittime di serie B.
E poi si dice di non volere norme repressive. Peccato che è lì che si sta andando a parare, e in questo caso sì “strutturalmente”.
La demolizione del giusto processo, della presunzione d’innocenza e dei diritti individuali procede da anni, lo faceva un tempo coi terroristi, poi con gli ubriachi al volante, poi coi rumeni violenti, poi coi mostri di internet, oggi col femminicidio.
Ed è quanto meno da ingenui credere di poter portare acqua al mulino dell’allarme femminicidio senza vedere come sia parte di una deriva autoritaria in corso da anni in Occidente, e volta a demolire passo passo i fondamenti della nostra civiltà: la presunzione d’innocenza sino a prova contraria, lo habeas corpus (vedi uso dissennato della custodia cautelare), il diritto allo spazio privato (cfr. leggi come sullo stalking), la possibilità degli adulti di decidere per se stessi (cfr. proposta del Ministro della Giustizia che i familiari possano denunciare il compagno “violento” anche contro la volontà della donna “vittima”), la libertà d’espressione (infinite campagne di marca politicamente corretta contro ogni media, da internet alla televisione alla stampa)
Il negazionismo, se mai ce n’è uno, è nei confronti di questa deriva autoritaria che coinvolge tutte le parti politiche, destra e sinistra, e che trova negli intellettuali dei nuovi volenterosi chierici, non più silenziosi, ma sin troppo compiacenti di tenere alto l’allarme e la paura sociale delle masse, donne e uomini insieme.
In generale. Al di là del fatto numerico o statistico queste violenze efferate impressionano tutti, sempre e comunque
l’apprendere queste notizie coinvolge l’opinione pubblica in sentimenti anche diversi, ma comuni per profondità e persistenza . Il numero di commenti a questi post lo testimonia. Anche per questo è consigliabile un certo pudore nell’avvicinarsi a queste notizie, diciamo pure nel loro utilizzo. Qui magari saremo tutti d’accordo nello scandalizzarci a riguardo a trasmissioni o riviste “morbose “ di cronaca nera, eppure dubito che un affezionato tele ascoltatore di quarto grado ammetterebbe di essere un “perverso”, magari risolverebbe dicendo di “voler capire “approfondire” cercare di..”..
proprio come farebbe “ognuno di noi” , con parole magari diverse.
C’è questa forte asimmetria c’è questo rischio, che va oltre e di molto le intenzioni di chiunque, per cui in certi casi, l’aspetto emotivo può generare un pensare e quindi un agire irrazionale .
Stamani ho sentito per un attimo alla radio un programma dove si parlava di sicurezza stradale a partire da un irriferibile sanguinoso incidente avvenuto nel fine settimana. Anch’io vorrei più consapevolezza e strade più sicure, eppure mi è sembrato un errore.
Come è anche difficile, penso, ripensare la società e le regole di convivenza civile dalle immagini di una povera ragazza in cronaca nera.
ciao,k.
E’ davvero incredibile la passione che i negazionisti impiegano per negare la violenza di genere – alienandola dalle vite umane che colpisce, riducendola a vuoto calcolo e ad analisi massmediologica. Ed è altrettanto incredibile pensare che lo facciano davvero solo e soltanto per necessità di rigore intellettuale.
Perché costoro mettono così tante energie per contrastare i pericoli che una maggiore consapevolezza nei confronti del femminicidio provocherebbe? Perché vogliono impedire che i centri anti-violenza ricevano più fondi? Perché sono terrorizzati dall’eventuale introduzione di norme più restrittive (posto che io con quelle norme non sarei per niente al mondo d’accordo)?
Dunque, ci sono certi che dicono che per comprendere le ragioni di quanto accade bisogna guardare alle condizioni materiali. Quali sono le condizioni materiali di costoro? Che cos’è che li spinge a lottare con così tanta convinzione contro chi invece si batte per il riconoscimento del femminicidio? Quante domande. Chissà se vorranno rispondere con vero rigore intellettuale.
Un’altra cosa: io lo so Loredana che non è nelle tue corde zittire questa gente, e capisco perché li lasci parlare. Capisco che tu non voglia cambiare questa regola e va bene. Voglio solo dire che secondo me questa gente non dovrebbe parlare, non dove ha un largo pubblico. Questo perché hanno dalla loro parte tutta la forza di una discriminazione e di una violenza vecchie di millenni, discriminazione e violenza che sono norma, tradizione, vita di tutti i giorni, per la stragrande maggioranza delle persone. Le loro parole sono zuccherini avvelenati per chiunque non abbia delle barriere difensive più che solide.
Qualcun* prima ha citato la lotta contro il nazi-fascismo. Ebbene c’è una cosa di cui mi stupisco sempre. Se questi signori negassero i crimini del fascismo e parlassero di anti-fascisti con la bava alla bocca, i compagni insorgerebbero, perché l’anti-fascismo è un punto di partenza, da cui giustamente non si può prescindere e da cui non ci si può spostare, per nessun motivo. Perché contro chi nega il femminicidio e la violenza di genere (che poi sarebbe contro i generi percepiti come diversi e inferiori) non accade la stessa cosa? Perché questa gente deve essere contrastata solo da poche persone dotate di infinita pazienza? Perché i giornali e i siti su cui vengono pubblicate posizioni simili non ricevono il discredito che si meriterebbero? Perché è come se non fosse accaduto nulla?
@Adrianaaaaa: gli italiani si dividono su tutto in modo feroce. Su due cose si trovano sempre d’accordo, senza barriere tra destra e sinistra né di religione e neppure di età o classe sociale: il sessismo, che mette d’accordo tutti gli uomini e molte donne; e l’odio per i rom, che mette d’accordo (quasi) tutti: uomini e donne.
Sì avete un problema: Con la statistica.
Se il dato del femminicidio non cala è perché non cala il dato della violenza in famiglia nel suo complesso, che comprende quella contro le donne ma non è solo violenza di uomini contro le donne, ma anche violenza di donne. Contro uomini e contro altre donne.
Il numero assoluto è bassissimo e probabilmente vicino al limite fisiologico. Non cala forse perché la violenza non si può eliminare e sotto quella soglia no si può andare: 200 casi all’anno su 60 milioni di abitanti.
Inoltre dietro al termine “Femminicidio ™”, falso come è falso tutto questo dibattito, si fanno passare cose che sono omicidi di donne per motivi tutt’altro che di genere ma di rapina o anche follia da parte di soggetti in difficoltà (figli malati di mente o drogati).
La realtà è che finita la follia degli anni ’70, con Bifo e compagni a nascondersi dietro ai poveri fessi che mandavano a farsi bastonare, adesso ci doveva pure essere qualcosa per danneggiare la vita al prossimo e farsi una posizione…
…se foste in buona fede parlereste di persone, non di maschi e femmine. Ma non siete in buona fede: voi ci campate sopra le donne vittime. Non solo non avete alcuna pietà, ma vi ci riempite i conti in banca.
Carlo, l’invidia è una brutta bestia e la tua si nota parecchio. Non è colpa della Lipperini se il tuo conto in banca non è quello che pensi di meritare per quanto sei intelligente e virile (vabbe’…)
Carino il riferimento a un tal ‘Bifo’ (sarà mica il Berardi?) che c’entra come i cavoli a merenda però è più originale del solito Toni Negri (un altro col conto in banca più ricco del tuo, eh?)
Personalmente credo che L.Lipperini abbia letto gli articoli che linka (i cui autori chiama impropriamente “negazionisti”) senza capirne a fondo il contenuto.
Tali articoli, naturalmente, non sostengono che sia sbagliato agire contro la violenza domestica nei confronti delle donne!
Essi si limitano ad evidenziare alcuni paradossi e contraddizioni nell’uso del termine “femminicidio” e nella sua attuale inflazione mediatica.
Dire che “il femminicidio non esiste” non significa negare l’esistenza del problema violenza domestica verso le donne. Significa toglierlo dalla arbitraria “narrazione di emergenza” in cui è stato collocato dai media. Perché arbitraria? Perché i pochi dati scientificamente affidabili che si hanno dicono che il fenomeno
1) non è in vertiginoso aumento e
2) non è una peculiarità italiana.
Inoltre, dal punto di vista della parità tra i generi, fare leggi che privilegino le vittime di violenza che sono femmine (rispetto alle vittime in generale) è semplicemente aberrante.
sottoscrivo il commento di Controlaviolenza,
e segnalo questo contributo sui dati (erroneamente postato in un altro thread)
http://www.ilpost.it/davidedeluca/2013/07/11/nuovi-numeri-sul-femminicidio/
non so se anche l’autore dell’articolo qui sopra possa essere definito un “negazionista” da qualcuno. Se sì, Houston we have a problem.
Diana, abbiamo un problema. Quello di non leggere cosa si commenta. ControLaViolenza. Infatti, nel post non si dice nè che il femminicidio è in vertiginoso aumento nè che è una peculiarità italiana. E si dice (in neretto) che non si desiderano leggi. Personalmente, credo che i post vadano letti.
Veramente ho letto il tuo post, ma ho commentato l’intervento di Controlaviolenza, qui sopra, e in particolare la parte in cui commenta i termini “femminicidio” e “negazionismo”, segnalandone alcune contraddizioni.
Forse mi sfuggono le regole della discussione. Pensavo che la discussione potesse procedere anche sui vari temi sollevati nei commenti.
Comunque, ci rinuncio per non riavvitarmi. Saluti.
Le regole sono quelle del buonsenso. Se concordi con ControLaViolenza che attribuisce al post quello che nel post non c’è, logica vuole che…:)