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C’è qualcosa di più triste di una canzone di Venditti? Si: essere una canzone di Venditti. Dedicare la propria vita ad esserlo è sicuramente peggio."
Girolamo De Michele, La scuola di Paola Mastrocola- 2, su Carmilla
di Loredana Lipperini
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C’è qualcosa di più triste di una canzone di Venditti? Si: essere una canzone di Venditti. Dedicare la propria vita ad esserlo è sicuramente peggio."
Girolamo De Michele, La scuola di Paola Mastrocola- 2, su Carmilla
Lippa, mi hai anticipato! Stavo per fare la stessa cosa su NI, CON LA STESSA CITAZIONE!!!
Le cose che scrive la Mastrocola sono abominevoli. Questa sua empirea, angelicata passione è cosa quanto mai di classe. E’ il rovescio stesso del morattismo, che non si pone come obiettivo la “scolarizzazione”. L’autoritarismo, l’imposizione dolce, i capelli verdi, l’anello al naso (altro lapsus, direi: in questa – involontaria? – immagine emerge fulgidamente il nesso razzismo-classismo).
Però si tratta di rivendicare la passione, non lasciarla alla Mastrocola come bandiera (e mi riferisco al Vaneigem di Avviso agli studenti). Né mi pare che sia necessaria l’opposizione tra meraviglia e dubbio. Io credo che siano le due forze motrici dell’apprendimento, due lati dello stesso foglio, come il significante e il significato…
Marco, la differenza è tra la meraviglia alla Povia (oh, quanto il mondo è meraviglioso così com’è) e la “meraviglia” per quanto di possibile e impensato – dunque da realizzare – il reale contiene. tra il mondo com’è, e come potrebbe essere. Ma se leggi Vaneigem non devo spiegartelo, ci siamo già capiti 🙂
Questa roba della scuola della meraviglia mi ha agghiacciato.
Sembra presa di peso dall’enciclopedia dei ragazzi… (quella con il re d’Italia che va a trovare una classe, e la bambina secchiona gli snocciola i regni della natura, animale vegetale e animale.
E alla domanda del re Ma io a che regno appartengo, la bimba risponde Al regno di Dio…) Siamo ancora Il paese sbagliato.
Sulla meraviglia del possibile contro la meraviglia dell’esistente si può discutere. Ma non ho letto Vaneigem 🙁
Nelle interessanti considerazioni di Girolamo sulla scuola, mi sembra manchino riflessioni sullo stretto rapporto tra titolo di studio e possibilità lavorative, spesso “automatico”.
Insegno materie letterarie in un istituto professionale alberghiero nel quale sono purtroppo evidentissimi i condizionamenti sociali (alla don Milani, per intenderci) che stanno spesso alla base della scelta della scuola superiore: a parte qualche caso di studente che sceglie questo tipo di scuola per reale interesse o perché sa che dà più opportunità lavorative di certe lauree e a parte qualcuno che, con squallida banalizzazione, può essere definito “normale”, gli alunni sono per lo più, extracomunitari, figli di “poveri”, ragazzi con problemi sociali, caratteriali e di apprendimento. Per semplificare, possiamo dire che il loro livello di scolarizzazione è elementare. La scuola, come dice giustamente Girolamo riferendosi alla Costituzione, deve cercare di portare questi studenti ad un certo livello di competenze (non parliamo quindi solo di nozioncine, ma di capacità di analisi, critiche eccetera).
Prendiamo come esempio una materia più “misurabile” e che meno si presta a valutazioni soggettive: la matematica. Mentre, che so, la maggior parte degli studenti di un liceo non ha grosse difficoltà a fare calcoli, nella scuola professionale si deve spesso ripartire dalle addizioni, dalle frazioni, dalle percentuali, nonostante il programma ministeriale sia, demagogicamente, simile a quello delle scuole “normali”. È sacrosanto farlo, appunto, proprio per cercare di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale” eccetera. Il problema è che quando e se finalmente si riesce a far capire a tutti gli studenti il concetto di “1/4” utilizzando metodi semplicissimi (torte, mele eccetera), nelle altre scuole sono “andati avanti”, mantenendo, anzi accentuando, il divario iniziale.
Non tutti sanno che gli istituti professionali rilasciano dopo il terzo anno una qualifica che, appunto, avendo valore legale, consente di partecipare a concorsi pubblici e di ricoprire certi incarichi. Nel caso della specializzazione di cucina, una delle offerte degli istituti alberghieri, il qualificato può, ad esempio, lavorare nelle mense o aprire ristoranti senza superare altre prove (esami di licenza commerciale o cose del genere); insomma: può operare con gli alimenti.
Semplificando molto e facendo un esempio generico, se si decide di bocciare un ragazzo che al terzo anno, nonostante gli sforzi fatti dai docenti, non sa cos’è il botulino, non sa come scongelare i cibi eccetera, non sa “far di conto” e scrive come un ragazzino delle elementari, si fa discriminazione sociale e lo si condanna a un futuro lavorativo incerto e precario. Se poi si pensa che uno “stupido” figlio di ricchi il diploma se lo fa comprare dal paparino in una scuola privata…
Però, se lo si promuove tenendo conto di considerazioni “sociologiche”, si rischia oggettivamente di far maneggiare il cibo a un incompetente.
La per certi versi lodevole tendenza a far raggiungere a tutti gli studenti obiettivi minimi e a cercare di dare a quanti più alunni possibile una qualifica professionale fa abbassare chiaramente il livello generale della classe, permettendo ovviamente ai ragazzi “normali” di essere promossi praticamente senza aprire libro e, cosa che più conta, non potenziando più di tanto le capacità “di partenza” cha avevano, non avendole “esercitate”.
In ogni caso, se questi ragazzi, come ormai avviene quasi sempre, continuano a frequentare l’istituto e a essere promossi, al quinto anno conseguono un diploma di Stato che ha lo stesso valore legale di quello rilasciato da un liceo, nonostante spesso (N.B.: non sempre, sia chiaro) non abbiano un livello nemmeno lontanamente paragonabile a quello di studenti di altre scuole; possono quindi iscriversi all’università, partecipare a concorsi di un certo livello, magari con una bella raccomandazione, e così via.
Che fare?
Mi sembra che Pino metta il dito nella piaga: va bene tentare di applicare quanto richiesto dalla Costituzione, ma se nel perseguire questo giusto obiettivo ci ritroviamo con una scuola di serie B ?
Il problema non è solo degli istituti tecnici e professionali, ormai anche nei licei la promozione è quasi assicurata e, praticamente da un anno all’altro, le competenze dei ragazzi diminuiscono continuamente, è una corsa a far sempre meno.
E non so quanto vi sia di democratico e progressista in questo: il figlio di famiglia abbiente avrà la strada spianata per quanto ignorante sia, mentre gli studenti bassi, per dirla alla Prodi, perderanno, a causa della carenza d’istruzione ricevuta, l’unica chance per farsi valere.
Uff, volevo dire:”della carente istruzione ricevuta”.
La rapidità del declino si può particolarmente notare nella biblioteca scolastica del iceo ove lavoro, fino a pochi anni fa si prestavano 2000 libri l’anno, in men che non si dica siamo arrivati a 500 pur con una popolazione scolastica in aumento.
E c’è di peggio, sono quasi scomparse dalle richieste le opere di narrativa, per ridursi ai saggi o ai classici, segno che dietro non c’è più il piacere della lettura, ma i “consigli” degli insegnanti.
Praticamente l’unico autore richiesto in autonomia è Moccia,
ho nostalgia di quando chiedevano tutti Baricco o Benni, quelli erano tempi..
Nautilus, nella biblioteca della mia scuola non va nessuno…fortunato te…
Lavoro in un istituto professionale e ogni giorno provo a incantare gli alunni con Petrarca e Leopardi, in larga misura ci riesco ma solo perché sono perfettamente consapevole che l’amore per lo studio di questi autori e non è un fatto acquisito
I miei alunni preferiscono naturalmente altri argomenti e io gioisco quando mi sento dire “preferirei passare sei ore a studiare Leopardi…”
Il mio lavoro comincia molto prima e questa è la mia passione…
sigh & sob
La Mastrocola incarna la professoressa a cui quarant’anni fa la scuola di Barbiana scrisse la famosa lettera. Incarna il lato peggiore, più snob e retrivo, della nostra categoria. La tragedia è che ha fornito a molti insegnanti, in particolare di lettere, l’alibi per lavorare poco o niente (tanto la scuola è tutta da buttare) o comunque per coltivare soltanto quei pochi studenti che la passione per la materia ce l’hanno già. In particolare, la didattica della scrittura, di cui c’è sempre stato e c’è ora più che mai un gran bisogno, secondo lei è un’attività inutile, perché al solito, o uno è “portato”, oppure che gli si insegna a fare? In questo modo l’immagine milaniana della scuola come ospedale che cura i sani e rifiuta i malati è più che mai calzante. Comunque, su di lei ho scritto mesi fa un lungo post, in cui cercavo di sottolineare come il successo del mastrocolismo rischi di danneggiare ulteriormente la scuola pubblica italiana (http://insegnareascrivere.splinder.com/1120460516#5198044).
Rosanna Rota
Rosanna, il tuo post (lo conoscevo, e non è il solo scritto da insegnanti di questo tenore) è la risposta al perché la signora Mastr’Ocola non va a parlare dei suoi libri nelle scuole.