Può darsi che qui si sia sbagliato tutto.
Può darsi che, per distrazione, ci si credesse su una barca piccola, magari una canoa, a cercare di guardare cosa accade dalla cima di qualche onda: mentre ci si trovava, in realtà, dove non avremmo voluto essere, in bruttissima compagnia sul Titanic ad ascoltare l’orchestrina. Ma può darsi anche che chi, dalla riva, sta esercitando un esercizio assai amato dai tempi del De Rerum Natura a quelli della Talpa, compiacendosi di guardare la nave che affonda e felice di non esserci, sia in realtà inconsapevole del terremoto che si sta svolgendo sotto i suoi piedi, aprendo crepacci che il profeta di turno non vede, intento com’è a gridare insulti verso il mare.
Non possiedo verità assolute. Possiedo soltanto un po’ di scoramento che si deve alla lettura de La fine del postmoderno di Romano Luperini (Guida editore). Nei fatti, la versione extralarge dell’Antica Polemica, quella che circa un anno fa rimbalzò dalle pagine dell’Unità alla rete, coinvolgendo fra gli altri Tiziano Scarpa, Giuseppe Genna, Carla Benedetti, Lello Voce e parecchi altri. Allora come oggi, Luperini sostiene, in sintesi, che in Italia non ci sono scrittori, che se ci sono restano fra loro isolati, che probabilmente la letteratura sta saltando una generazione. Ai tempi, gli risposero (male) in parecchi.
Nel libro si mette a fuoco il colpevole: appunto il postmoderno e la sua “superficialità” e “leggerezza” (qualcuno, prima o poi, dovrà spiegarmi come sia potuto accadere che le due parole più usate in proposito siano queste e non altre, più interessanti). Di più: il postmoderno, per Luperini, è stato l’anestesia degli intellettuali, che “hanno mescolato vecchio idealismo e nuove tecnologie annullando la materialità e sostenendo la linguisticità del mondo, la riduzione delle cose a simbolo”.
Nel particolare. Per colpa del pensiero debole, entra in crisi la critica, si sopprime il dibattto culturale, si estinguono le terze pagine, le recensioni, le riviste, i gruppi letterari. E ancora: “Gli esordienti che ogni anno si presentano a Ricercare si dilettano in racconti ginecologici o ombelicali, a basse di cazzo e di vomito, gli scrittori di mezza età si attardano in uno stanco manierismo postmodernistico…Mentre un terzo del pianeta muore di fame, di Aids, di guerre, e milioni di persone in cerca di una possibilità di sopravvivenza cominciano a invadere il nostro paese, mentre saltano in aria le Twin Towers e si stanno gettando le premesse per un immane contrasto di civiltà e di religioni; mentre si assiste a una drammatica palestinizzazione del pianeta, gli intellettuali italiani (se non tutti, certo, quasi tutti) sembrano in tutt’altre faccende affaccendati. Giulivi, disinvolti, narcisisti, furbi, pronti a fiutare ogni moda e ogni indirizzo del mercato culturale, sommersi nel clima di declino morale e civile in cui viviamo. Privi di passato e di futuro. Felicemente immemori e accecati”. La diagnosi finale è: genocidio culturale. Curiosamente, le stesse parole che ha usato Carla Benedetti in una recente e ormai nota polemica, dopo essersi giustamente opposta alle tesi di Luperini, un anno fa.
Ora, a me non turba tanto che il colpevole del massacro sia indicato nel postmoderno: mi turba, invece, che ci si continui a deliziare della Catastrofe, che ci si infili con tanta voluttà nel saio e nei sandali del vaticinante ignorando completamente quanto di positivo e propositivo si sta facendo, qui e ora. Mi turba che la crisi reale e il probabile tramonto di una certa critica letteraria debbano portare con sé necessariamente la crisi e il tramonto della letteratura tutta. Mi turba la negazione, quella sì inconsapevole e cieca, di tutto quello che non si condivide: il “con me o contro di me” che sembra serpeggiare con sempre maggior insistenza, negli ultimi tempi, non soltanto in letteratura (ma molto spesso, comunque, proprio in letteratura).
Se volessi difendere il postmoderno direi che è esattamente questo che con quel pensiero veniva messo in crisi: in modo salutare, direi. Perché la via dell’incertezza permetterebbe anche di insinuare in coloro che dalla riva lanciano anatemi il dubbio che a ballare sul Titanic, invece, siano loro.
Cari, il compleanno è finito; ricominciamo a discutere, i temi sono seri, sebbene questo post inizi a scendere nell’infernale macinatutto dello strumento blog. Faccio una proposta a chi mi chiede di comprare i suoi libri di genere: me li regalate? Li regalate anche alla gentile lettrice che, ha fatto sentire la sua voce? Regalateli, i libri, uomini del marketing! Stabilite che la prime cinque copie di ogni vostro “capolavoro” in ogni libreria vadano omaggio al pubblico (ma quello vero, come la lettrice, non ai confusi raccomandati senza volto che rincorrete), magari tramite sorteggio o comunque meccanismo equo e giusto. Regalateli, i libri che non vendete, invece di gettarli al macero, ma fate in modo che raggiungano il loro pubblico naturale, i lettori “forti”. Se sono buoni libri, appassionerete i lettori forti; se sono patatine, come in massima parte temo, non li appassionerete.
Agli scrittori che invece tentano più o meno astutamente di piazzarmi le loro mercanzie, suggerisco di andare in tour per le librerie e regalare i loro libri, invece di scomodare Manzoni, Conan Doyle, Sciascia, ecc. Ci vuole una gran faccia di tolla per accostarsi in questo modo ai classici… ma vi rendete conto di cosa effettivamente scrivete o siete davvero … (non dico cosa siete, ognuno si raffiguri come meglio crede)?
Lettrice, un consiglio te lo do io: Anton Zeilinger, “Il velo di Einstein. Il nuovo mondo della fisica quantistica”, Einaudi, 20 euro. Se non sarà a tuo parere un buon libro, potrai rivenderlo a me.
Per Angela Scarparo: chiedi romanzi e libri che “favolizzino” la vita dell’autore stesso. Ce ne sono molti. Per esempio: “I cani del nulla” e “Senza verso” di Emanuele Trevi, “Nel condomionio di carne” di Valerio Magrelli, “Fantasmi e fughe” di Giulio Mozzi, “Kamikaze d’Occidente” di Tiziano Scarpa, “Svenimenti” di Edoardo Albinati, “Lettere a nessuno” di Antonio Moresco, moltissimi libri di Aldo Busi, “Assalto a un tempo devastato e vile” di Giuseppe Genna, “Ricrescite” di Sergio Nelli… E sono soltanto i primi che mi vengono in mente.
GiusCo, grazie per il consiglio: l’argomento è sempre stato nelle mie corde!
A Diamonds “solo jim thompson,S. king e james cain.Gli altri devono ancora guadagnarselo il titolo di epigoni di Dosto” dico che prendo la sua risposta per una battuta. La presenza di un morto ammazzato in un romanzo non lo fa rientrare automaticamente nel genere; la morte e la violenza sono temi che attengono alla sfera dell’uomo, ma il modo e la ricorsività nel trattarli fanno la differenza . Identico discorso per Farenheit e 1984.
Se il Giallo, per fare un esempio, è diventato adulto ed ha accettato contaminazioni, o meglio, si è arricchito di esperienze e di analisi che vanno al di là della semplice indagine poliziesca, ciò non toglie che sia ugualmente riconoscibile. Sopra a tutto esiste la distinzione tra romanzi di serie A e di serie B (C,D, ecc.), è vero. Ma credo che ogni scrittore scelga il suo pubblico, quando scrive, perchè è anche un modo per canalizzare i suoi sforzi (a meno di non essere veramente grande).
Saluti
Una lettrice
GIUSCO,
sono in partenza, non ho tempo ma:
1) “Faccio una proposta a chi mi chiede di comprare i suoi libri di genere…”
Io non te l’ho mai chiesto, ci hai fatto caso?
2) “Stabilite che la prime cinque copie di ogni vostro “capolavoro”…”
Non ho mai detto di scrivere capolavori
3) “vadano omaggio al pubblico (ma quello vero, come la lettrice, non ai confusi raccomandati senza volto che rincorrete)”
Mi conosci? Sai quanti libri miei e non miei io regalo d’abitudine?
4) “invece di scomodare Manzoni, Conan Doyle, Sciascia, ecc. Ci vuole una gran faccia di tolla per accostarsi in questo modo ai classici…”
Non mi sono MAI accostato a nessuno. Ho fatto degli esempi, non ho cercato dei padri nobili. Mi considero un artigiano, non un genio incompreso. Conan Doyle, poi, manco l’ho nominato, di suo ho letto solo un libro, e non ho fatto i salti di gioia.
Ciao, fuggo se no perdo il treno.
Gianni
p.s. Ho la coda di paglia? Forse, chi lo sa. O forse tu sei eccessivamente livoroso, no? 😉
Andrò gridando che ti amo,
lo dirò alle genti
di tutti i posti noti
e nelle chiese del creato:
sappiate che beppe ama giulia
più di catullo la sua lesbia.
C’e’ qualcosa di strano…
Ogni tuo no un mio non so,
respingi un non convinto.
In un feeling poetico
v’è ben poco di pratico,
o forse immaginare
è un modo diverso
di cercare armonia,
senza chiedere affetto.
Da quando te ne ho chiesto
ho smesso di amarti.
Penso che chi scrive queste sciocchezze fradicie di vecchiumi dovrebbe avere l’umiltà di non stare tanto a rimbeccare gli altri. GiusCo, è veramente spassoso constatare che ti credi un poeta.
Andrò gridando che ti amo,
lo dirò alle genti
di tutti i posti noti
e nelle chiese del creato:
sappiate che beppe ama giulia
più di catullo la sua lesbia.
C’e’ qualcosa di strano…
Ogni tuo no un mio non so,
respingi un non convinto.
In un feeling poetico
v’è ben poco di pratico,
o forse immaginare
è un modo diverso
di cercare armonia,
senza chiedere affetto.
Da quando te ne ho chiesto
ho smesso di amarti.
Penso che chi scrive queste sciocchezze fradicie di vecchiumi dovrebbe avere l’umiltà di non stare tanto a rimbeccare gli altri. GiusCo, è veramente spassoso constatare che ti credi un poeta.
x GIANNI: chi lo sa… :-S
CALICO’: infatti giustamente non mi pubblica nessuno a gratis, vogliono scucirmi 1000 euro per uscire a pagamento; ma con 1000 euro compero 50-100 buoni libri: cercansi dunque 100 buoni libri da comprare. Fra le mie miserie letterarie, avresti poi potuto scegliere di peggio, un mio eventuale libro non lo comprerei affatto. Grazie per avermi letto, intanto, per fortuna c’è la rete. Continuiamo?
Per l’anonima lettrice:spiacente,non era una battuta.Al limite un latrocinio.Non ricordo esattamente chi disse ciò,ma l’imputato va cercato in una terna:Almanasi-Manfredi-Grimaldi,in qualche prefazione.E mi trova perfettamente d’accordo.In molti dei libri di questi autori nessuno si fa veramente male,e le febbri reumatiche dei personaggi sono le stesse che affliggono le pagine di Fëdor
Polemiche sui generi o sull’assenza di veri scrittori tra le nuove generazioni o sulla restaurazione o sulla destra e la sinistra o la funzione della letteratura post sartriana: ormai ho perso il conto dei “fronti occidentali” aperti sull’indefinito panorama culturale-letterario di italietta. Basta una parola fuori posto per offendersi, come se ne andasse della vita, della reputazione, dell’onore. Bisognerebbe un po’ ridimensionare il tutto. Letteratura vera, secondo il mio straumilissimo parere, è quella che sfida il vuoto, che cerca una risposta che non c’è, o che non è quella che sembra. Letteratura vera è quella che coincide così strettamente con la vita che diventa una sola cosa con essa: non la ricerca del superamento ormai stralogoro dei vecchi limiti cattoborghesi (con esibizione a iosa di sesso sangue sperma e vomito) ma meraviglia, incanto, stupore per questa variabilissima e sempre identica nostra condizione umana. E’ inutile arrampicarsi sulle parole creando recensioni ad hoc per spacciare improbabili capolavori o libri imprescindibili. Se un’opera unisce forma e sostanza, cioè tocca la vita nel suo profondo, è letteratura. Altrimenti è intrattenimento, o peggio, una bufala. La letteratura è una maledizione, è uno squarcio, un buco nel mondo, o non è. In altre parole non considero l’intrattenimento (anche se non ho nulla contro di esso) letteratura. Allora, oggi c’è in giro della letteratura? Uno scrittore dovrebbe puntare a questo, a costo di fallire mille volte, a costo di sputare sangue. Quali sono gli autori del XXI secolo che possono stare accanto ai giganti del XX, Conrad, Kafka, Hemingway, Mann, Proust, Beckett, ci metto anche un Buzzati, un Berto (ne avrò dimenticati decine). Ci sono? Ci metto anche un umilissimo e sfigatissimo autore di fantascienza, morto giovane e povero, che in tutta la sua sterminata produzione non gliene ha mai fregato niente di uscire dal “genere” ma che ha scritto almeno una decina di romanzi che stanno a fianco dei grandi testi del Novecento a testa alta: Philip K. Dick. Scriveva Dick: “Come in una poesia di Heine, Atlas: ‘Porto quello che non può essere portato’. E il vero seguente dice: ‘ Nel mio corpo il cuore vorrebbe spezzarsi!’. Questa non è il solo tema della letteratura, la mia o di chiunque altro, tranne forse che per gli esistenzialisti francesi. Kabir, il poeta sufi del sedicesimo secolo ha scritto: ‘ Se non avete vissuto qualcosa fino in fondo, non è reale’. così io lo vivo fino in fondo. Solo così posso capirlo […] La mia opera, considerata complessivamente, è un tentativo di ripensare alla mia vita, a tutto quello che ho fatto e visto, e di dargli un senso… vedo disordine e dolore… ma anche coraggio e situazioni comiche… Qual è la visione complessiva in grado di dare un significato a tutto? Quello che mi aiuta, se di aiuto si tratta, è scoprire il granello del comico all’interno dell’orribile e del futile.”
Niente male per uno scrittore di “genere”…
Forse, per fare letteratura, bisogna esistere. E non è nemmeno sufficiente. E nemmeno facile. Per esistere non basta occupare uno spazio fisico, avere una carta di identità, un lavoro, un’amante, un figlio, un’automobile, un intestino da evacuare e fare le vacanze ogni estate, o imbrattare di ditate una tastiera.
Ci vuole una certa “cognizione del dolore”.
Mi viene in mente Houellebecq. Il suo stile non è esattamente meraviglioso, le sue idee sono discutibili (è così nichilisticamente francese, sigaretta compresa, che fa ridere) ma estemamante affascinanti. E’ l’unico scrittore contemporaneo e addirittura quasi coetaneo, del quale ho comprato ben quattro libri. E’ uno che afferra la vita per la gola, che ti fa incazzare, che magari non scrive neanche benissimo, ma che ti dà il senso di questo presente che viviamo. Ci sono scrittori che scrivono centomila volte meglio di lui, ma credo che nei prossimi anni
Houellebecq sarà uno dei nomi che avrà delineato il romanzo dei primi anni del XXI secolo. Lui fa letteratura. Scrive così così, ma fa letteratura., D’altronde anche Dostoevskij (non per fare paragoni) non è che avesse uno stile eccelso eppure è LA letteratura.
Vabbè, scusate la pappardella atroce, ma stanotte non riesco a prendere sonno, anche se mi devo alzare presto. A quest’ora in TV ci sono solo le televendite dei porno…
x GiusCo:
“Faccio una proposta a chi mi chiede di comprare i suoi libri di genere: me li regalate? Li regalate anche alla gentile lettrice che, ha fatto sentire la sua voce? Regalateli, i libri, uomini del marketing!”
Volentieri, tanto regaliamo già 5000 copie all’anno (all’incirca) di ciascun nostro titolo 😉
http://www.wumingfoundation.com/italiano/downloads.shtml
http:;
Metto in pubblico un consiglio: leggetevi il poeta Angelo Rendo (“La Medietà”, Nuova Editrice Magenta, 2004), che dice questo: “io non sono intelligente, io sono sensibile. La sensibilità parte dal basso e avvolge l’intelligenza, se la mangia tutta”. Cercavo di far capire il concetto a gente troppo intelligente e ne è nato uno straniante delirio di ripetuti qui-pro-quo.
Sul web ho trovato questa bella prosa poetica (senza titolo) di Angelo Rendo, la riporto:
Coricato nel punto basso dell’arrivo, coricato tutto il giorno e tutta la notte, come avevo fatto il giorno precedente, giorni fatti di niente.
Coricato ritorno alla pietra
del sapere, la domanda
quando un tonfo ricomposto per la fretta non riappare alla conquista ma s’ingravida alla notte della piana, notte dentro come un membro vorace, notte lontana e incapace di una città nostrana aliena, la ricca, la bella la falena
che tuona memorie che frantuma storie…
la rima baciata mi piaceva fino a quando ho compiuto i 9 anni(più o meno in corrispondenza del mio periodo tardo missino,patriotardo)