IL RISCHIO DI DIVENTARE GORINO: GIROLAMO DE MICHELE SULLA NOTA DEL MIUR

Girolamo De Michele ha scritto un bellissimo intervento sulla circolare del Miur. L’unico punto su cui manifesto non dissenso ma preoccupazione è quello che ho ribadito ieri: la circolare verrà impugnata come un’arma per continuare a fare pressione sui dirigenti scolastici e impedire ogni attività che riguardi l’educazione sentimentale e sessuale. Avveniva prima, avverrà di più. Proprio per quello che Girolamo scrive nell’ultima parte del post.
La circolare del ministero, la libertà d’insegnamento e la dittatura dell’ignoranza
Una nota del MIUR, inviata alle scuole il 22 novembre scorso (che può essere letta, e sarebbe bene che ciò avvenisse, qui) ha scatenato l’esultanza di alcune congreghe (Moige, Pro Vita, Articolo 26, Generazione Famiglia), convinti di aver conseguito una vittoria nell’affermazione del diritto-dovere delle famiglie di opporsi a una presunta “colonizzazione ideologica di progetti ispirati alla dittatura gender” (così Jacopo Coghe, presidente di Generazione Famiglia), e la preoccupazione dei sindacati scuola – firmatari del vergognoso rinnovo del contratto della scorsa primavera: ma che te lo dico a fare? –, che hanno chiesto un incontro urgente di chiarificazione col ministro, paventando il rischio che la nota possa “generare confusione ed indurre equivoci e di scaricare sulla dirigenza scolastica procedure in contrasto con il quadro normativo esistente, peraltro richiamato anche in interventi della Corte di Cassazione a Sezioni Unite” (qui il comunicato sindacale).
Premesso il fatto che per l’ordinamento giuridico italiano vale la gerarchia delle fonti (in qualche modo richiamata dal comunicato sindacale), per cui una nota non può equivalere, men che meno fare aggio, al dettato costituzionale che tutela la libertà di espressione ed insegnamento delle arti e della scienza, vediamo di cosa si tratta.
Che cosa dice davvero la nota?
Due cose in realtà banali, che non sono una novità: che il PTOF debba essere noto alle famiglie all’atto dell’iscrizione dei propri figli alla scuola, e che le attività extracurricolari sono per loro natura facoltative. Nella nota non si fa alcun riferimento ai contenuti dell’offerta formativa. Ora, che il PTOF – Piano Triennale dell’Offerta Formativa – debba essere già noto al momento dell’iscrizione è una ovvietà, dal momento che esso è per l’appunto triennale, e dunque viene approvato, o rinnovato, nell’anno precedente il triennio successivo. Quanto alle attività di ampliamento e arricchimento dell’offerta formativa, la loro natura facoltativa è prescritta dalla stessa legge che le ha istituite (DPR 275/99, art. 9, commi 1-2, qui), nonché dallo Statuto delle studentesse e degli studenti, che è legge dello Stato (DPR 249/98, art. 2 comma 6, dove si parla di “attività aggiuntive facoltative”).
Tradotto in parole povere: oltre alle attività curricolari, che si svolgono nel normale orario scolastico, la scuola può porre in essere progetti, corsi integrativi, e ogni al tra attività al di fuori dell’orario ordinario (banalmente: nel pomeriggio). Queste attività sono sempre state facoltative: io posso proporre un progetto, se la scuola me lo approva lo faccio, ma non posso imporre ad alcun@ student@ di parteciparvi, se per qualsivoglia ragione non può o non vuole. Così è sempre stato, e se queste attività si sono svolte con diverse modalità si è violata la legge.
In nessun modo questa nota entra invece nel merito delle attività curricolari, e nessun potere di veto conferisce alle famiglie rispetto a tali attività, indipendentemente dai contenuti e dalle modalità di attuazione. Quando Chiara Iannarelli di Articolo 26 parla di imposizione di “progetti non condivisi” che “per i loro contenuti sono da sottoporre alle scelte educative delle singole famiglie, anche se svolti nel normale orario scolastico”, semplicemente non sa di cosa sta parlando, dal momento che non si dimostra capace di distinguere la facoltatività delle attività extracurricolari con le attività curricolari svolte in orario scolastico.
Torno a fare un esempio: gli organi collegiali della mia scuola mi hanno approvato un corso di approfondimento del curricolo di storia “Dalla globalizzazione alle migrazioni”, in orario pomeridiano: viene chi vuole (previo consenso informato, come d’abitudine e secondo le modalità stabilite dalla scuola), chi non vuole non viene, fine della storia. Se fosse un corso di educazione all’affettività varrebbero le stesse regole.
Nessun genitore, per contro può interferire nella mia attività curricolare, nella metodologia, nei contenuti che insegno. Se spiego Platone, è mio diritto insegnare che per Platone il genere sessuale non è costitutivo dell’identità, mentre lo è il possesso dell’anima (ragione per cui le donne non sono discriminate rispetto agli uomini), anche se qualche sentinella all’in piedi potrebbe intendere questa affermazione come teoria gender; se ritengo di dover segnalare che l’amore di cui parla Socrate in apertura del Protagora è omosessuale, così come omosessuale è il rapporto fra Zenone e Parmenide, lo faccio, checché ne pensi il Moige; se ritengo di dover usare gli strumenti forniti da Foucault con la sua Storia della sessualità, lo faccio, perché è una mia libera scelta giudicare quale è lo strumento didattico migliore per la formazione di una testa ben fatta. Se ritengo di dover spiegare che è una favola che “senza la vittoria di Poitiers saremmo tutti islamici” (idem per Lepanto), e di dover invece spiegare che l’espansione dell’Islam arabo prima, e dell’Impero Ottomano poi, si arrestarono quando le rispettive economie-mondo raggiunsero un limite non oltrepassabile, lo faccio: e pace se c’è qualche genitore che considera Adinolfi un punto di riferimento, io mi tengo ben stretti Braudel e Wallerstein.
Le associazioni di cui sopra, insomma, con la loro scomposta esultanza confermano quell’ignoranza nelle cose scolastiche che ha fatto credere loro che (a) esista una qualche teoria gender, che (b) viene insegnata in modo subdolo, (c) all’interno di un complotto diseducativo, magari (d) finanziato da qualche occulto giudeo-pluto-massone palindromo. Per la cronaca, a me il bonifico di Soros non è mai arrivato.
Tutto bene, dunque?
No, per niente.
Intanto, perché la scuola non è una torre d’avorio, e sarebbe bene ricordare che fra genitori, studenti e insegnanti non c’è una linea che distingue buoni e cattivi per categorie. Esiste una società incivile, nella quale viene legittimato il ricorso all’odio, alla discriminazione, alla violenza verso il diverso. Di questa comunità del rancore fanno parte anche degli insegnanti (potrei fornire esempi di odiatori della mia città che sono, o sono stati, persone di scuola), così come ad opporvisi sono anche delle famiglie. E di questa doppia constatazione bisogna tener conto.
E poi, perché ci sono altre forme di condizionamento dell’insegnamento, molto più subdole.
Ad esempio, attraverso l’imposizione di metodologie didattiche proposte con casuale simultaneità da commissioni ministeriali e manuali scolastici, che impoveriscono la qualità e la sostanza della didattica. Lo abbiamo visto noi insegnanti di filosofia lo scorso anno con i cosiddetti “Orientamenti per l’apprendimento della filosofia nell’età della conoscenza”, che prefigurava l’insegnamento di una filosofia che, cedendo davanti al proprio desiderio, si adattava al misero ruolo di counseling filosofico.
Ad esempio, con la riduzione dei quadri orari e dei curricoli, attuata dalla riforma Gelmini e confermata dalla riforma Renzi-Giannini-Lodoli (la cosiddetta “Buona scuola”). Per fare un esempio, il problema non è se io ho o meno la libertà di proporre un progetto sui migranti, o di inserire le migrazioni nel curricolo di storia. Il problema è che con le ore ridotte di cui dispongo, il più delle volte non riesco a trattare temi come le cosiddette invasioni barbariche, o la nascita dell’Islam (nel biennio), o la globalizzazione (nel triennio). E se non riesco a farlo, fuori dal cancello scolastico c’è una società incivile, nella quale studentesse e studenti apprenderanno una versione razzistica, ma prima ancora falsa, di questi contenuti. E io, come insegnante, avrò avallato per omissione questa disinformazione. O, per cambiare disciplina, se io come insegnante di scienze ho i curricoli ridotti (e in quasi tutti gli indirizzi il combinato Gelmini-Renzi li ha ridotti), io non riuscirò a dare a studentesse e studenti la necessaria capacità critica per discernere scienza e chiacchiera, informazione e bufala, e li consegnerò alla canea scomposta che si è scatenata da due anni sulla questione dei vaccini, non essendo riuscito a formare – non per mia volontà – cittadini in possesso degli adeguati strumenti critici.
Ad esempio, con una campagna che sta montando sottotraccia nei confronti dei manuali scolastici da parte di chi sa bene che i conti dell’economia a un certo punto smettono di essere scritti sull’acqua, e devono essere messi nero su bianco, e ha bisogno di cercare nuovi argomenti di propaganda. In questo momento sono additati come untori (probabilmente al soldo del solito miliardario palindromo) gli autori di testi nei quali (mi limito a un solo esempio) si parla dei regni romano-barbarici come di una stabilizzazione del rapporto fra Goti e Latini (notizia che sarebbe una falsità propagandistica al soldo della sostituzione etnica e dell’ideologia invasionistica – prego di credere che non invento alcunché).
Soprattutto: ciò che deve preoccupare, è la inadeguata consapevolezza delle e degli insegnanti verso il clima di rancore e di odio che sta pervadendo il paese. Rinchiudersi nel proprio particolare, sottovalutare il contesto, non saper esercitare uno sguardo di lunga durata sul mondo significa venir meno ai presupposti del mestiere di insegnante, fingendo di non sapere che, prima o poi, ogni scuola diventerà una piccola rancorosa Gorino. Assoggettarsi, o assumere una postura etica: dentro e fuori la scuola, e non da ieri, per la comunità scolastica – insegnanti e non, genitori, studenti – non esiste una terza via.
Se è consentito parafrasare un grande poeta (che è stato anche uno straordinario insegnante), Claudio Lolli: certo che il mantello di don Milani «è sempre in prima fila lì sull’attaccapanni» della sala insegnanti, e il suo fucile «è lì nascosto in quel libro di racconti: però che non diventino ricordi o fantasie, che non sia caricato solamente a sogni». Che lo si armi con una didattica che si rivolge non a singoli individui, ma al comune che apprende (e, why not, contesta e confligge), all’interno di uno stile di vita che al grigiore impiegatizio, alla frustrazione e alla sottomissione, sostituisca la cooperazione sociale: una scuola militante.

2 pensieri su “IL RISCHIO DI DIVENTARE GORINO: GIROLAMO DE MICHELE SULLA NOTA DEL MIUR

  1. Girolamo una domanda personale: ma è normale se dopo 6 anni di insegnamento sto pensando di andare a fare lezione in carcere, o ai cpa, o al serale, purché non debba più vedermi davanti una famiglia e\o un pdp da compilare?

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