I dati sono quelli che sapete. L’Italia, conferma Almalaurea, ha il numero più basso di laureati in Europa (siamo dietro la Turchia), le immatricolazioni calano, specie al Sud (meno 30%). L’Ocse ci dice che il 28% degli italiani non è in grado di comprendere un testo complesso. Che si fa?
Ieri, a Fahrenheit, Tullio De Mauro ha risposto così:
“Io vorrei avere una voce più tonante – e purtroppo la mia è quella di un povero professore in pensione – per tentare di svegliare la classe dirigente italiana, non solo i politici e i governanti ma gli intellettuali e gli imprenditori: perché il problema della negligenza su questo aspetto profondo della nostra vita, la nostra formazione e quella dei giovani, e un problema totale, tutto il resto ne dipende. La produzione, l’organizzazione, il modo di vivere della nostra società.
Il confronto internazionale si fa più aspro e stringente: siamo indietro. E la cosa peggiora. Sembra che riguardi solo chi spulcia statistiche o si occupa di scuola, università, ricerca. Io confesso tutto il senso della mia impotenza. Dovremmo riuscire a scuoterci da questo letargo, e se letargo è parola difficile, aggiungo che dovremmo scuoterci da questo sonno di fronte ai problemi della nostra cultura diffusa e della nostra acquisizione di strumenti minimi per l’orientamento nella vita sociale. L’ Ocse è buona e generosa quando parla del 28% degli italiani: i dati a cui Ocse attinge ci dicono di fronte che di fronte a un testo scritto o parlato complesso il 70% degli italiani si trova in difficoltà e si ripiega su se stesso, nella vita privata, e non riesce a vivere la vita di una società complessa come quella italiana. Se fossimo un paese contadino potremmo accontentarci: ma non lo siamo. In molti, da Marchionne al politico, dovrebbero svegliarsi. Come alcuni cercano di essere svegli”.
Segue qui. Dovrebbe seguire un po’ ovunque, credo.
Certi fenomeni generano retroazioni. E così l’essere ignoranti impedisce di cogliere le implicazioni di questo stesso modo di essere. Anzi, si generano reazioni che vanno dal fastidio nei confronti di chi denuncia il fenomeno al racconto tranquillizzante che si tratta soltanto di spocchia dei soliti intellettuali, spregiatori della gente comune.
Della conversazione di ieri quello che più mi ha colpito sono i messaggi del tenore: a cosa serve la laurea? E’ una domanda pericolosa: non si studia solo per trovare un lavoro: lo studio è secondo me un bene in se’.
Altrimenti la deriva è lì davanti a noi: a che serve studiare il latino? A che serve studiare la geografia? ecc. ecc. ecc.
Io sono chi sono anche grazie a quello che ho studiato.
Direi che non siamo più un paese contadino, ma nemmeno ci siamo distaccati da modelli e logiche di quell’epoca. Non è stato fatto nel secondo dopoguerra, quando il resto d’Europa ha puntato su formazione e istruzione, e sulle donne, per ricostruire il paese. A parole e regolamenti ci abbiamo provato, ma non abbiamo vigilato perché questo accadesse veramente. A mio parere si è giocato tutto là. Adesso, l’ignoranza fa pure comodo. E come dice Maurizio non viene neppure percepita come fattore ‘invalidante’ 🙂 . Ci si sente impotenti perché non c’è un progetto da portare avanti…. anche se a volte percepisco la voglia di mettersi in gioco per ‘ricostruire’ un paese: quando qualcuno prova a rivelare la storia, quella vera, dietro i luoghi comuni, quando si riesce a trascinare uno o una al di là degli stereotipi per un nanosecondo.
Laureata, donna, quest’anno faccio trentanni. Vuoi che ti dica quante volte mi sono sentita dire ‘Eh, ma se troppo qualificata’? O quante volte mi sono sentita dire ‘Sì, ma essere laureati non significa niente’?
A chi decide spesso non interessa nulla della tua cultura e delle tue competenze. Saper scrivere, saper leggere e trovare informazioni non è un valore aggiunto.
Ovvio che poi ci si pensa due volte prima di iscriversi all’università.
P.S. Vado offtopic. E quante volte mi sono sentita dire ‘Non ti assumeranno mai perché sei sposata e a rischio gravidanza?’
@Carlotta
E’ esattamente questo il punto: studiare, laurearsi, leggere, coltivare spirito critico non lo si fa (solo) per trovare lavoro. Lo si fa per noi stessi, per imparare a crescere ogni giorno.
(mi viene in mente il papà di Natalia Ginzburg, costretta coi fratelli a lunghi soggiorni in una montagna inospitale e priva di attrattive, che diceva: Vi annoiate perché non avete una vita interiore! Ovvio che è una provocazione, ma è questo: coltivare una vita interiore)
leggetevi La repubblica dell’immaginazione di Azar Nafisi. Dentro ci troverete un sacco di buone ragioni per tenere alta l’asticella della cultura. E parecchie rimostranze nei confronti del new deal dell’istruzione esperita dagli ultimi governi USa e ricalcata dai nostri amichetti di palazzo chigi che vogliono riportarci all’Avviamento, dopo averci precipitato in un’incubo fatto di università che erano diventate dei diplomifici utili a fomentare un vanesio orgoglio famigliare
Il famoso Poeta diceva forse senza sbagliare che bisogna seguire Virtù e conoscenza. oggigiuorno si direbbe che le possibilità di conoscenza sono sterminate. scuole asili maestri maestre professori università, libri quotidiani riviste televisione, librerie, biblioteche nazionali, comunali, biblioteche di quartiere di strada, e poi i mercatini dove per 10 euro di libri te ne fanno portare via a cassettate. Per non parlare poi di internet dove ogniuno a ha disposizione tutte le lingue del mondo. Se la situazione è quella descritta da de mauro non è certo per la mancanza di possibilità di istruzione, ma, secondo me per la mancanza di Virtù; ciòè quello orienta dirige e da senso buono a ogni agire e al conoscere. La cultura moderna vomita informazioni e nega ogni virtù ogni fondamento , ma allora tutto perde di senso, libri biblioteche conoscenza istruzione., i ragazzi per primi avvertono questa mancanza, ed è inutile costruire le scuole più moderne e attrezzate se poi le riempiamo di preservativi.
ciao,k.
caro k,
preservativo a parte (per quanto mi riguarda, benvenuto, se solo i ragazzini, e non solo, si decidessero a usarlo), da molti anni secondo me invece la scuola ha – in generale – un enorme problema di fondo: ha rinunciato ad insegnare la fatica, il sacrificio, la responsabilità, la durezza dell’impegno, che sempre, ma proprio sempre e al di là delle capacità individuali, stanno alla base di tutto.
E anche noi genitori facciamo fatica a insegnare il sacrificio, l’impegno e la responsabilità ai nostri figli (vedi anche il mancato utilizzo, in troppi casi, per ignoranza e irresponsabilità, proprio del preservativo) e anzi, sembra quasi che vogliamo negare l’esistenza di quegli ostacoli che invece, talento o non talento, inevitabilmente incontreranno sulla propria strada e a causa dei quali a volte dovranno “sputar sangue”.
Mauro forse siamo quasi d’accordo. se dici che “non riusciamo a insegnare il sacrificio la fatica l’impegno, in fondo riconosci che usiamo una pedagogia “preservativa”, che tende vanamente a proteggere i discenti dal contatto con la realtà e dall’attrito che questa genera. Invece di una pedagogia “ introduttiva” che spinge a vivere e a conoscere. Di fatto riaffermo che alla base di tutto resta la Virtù, il fondamento buono in cui trovare giustificazione allo studio e in genere al sacrificio e all’impegno nell’altro. Altrimenti la formazione è solo una membrana di nozioni soffocante che aumenta il senso di insicurezza.
ciao,k.
Segnalo qui una vicenda che ha certamente a che fare con l’incultura, ma coinvolge tante altre questioni: l’ondata di intolleranza, la vanità di certi scrittori (o scriventi) che pretendono di avere diritto a che il loro libro venga promosso sempre e comunque, l’arroganza del potere, le “dinamiche di branco” dei social network.
La notizia è apparsa recentemente sul quotidiano “La Provincia Pavese”, sotto il seguente titolo:
“La libraia di Vigevano non mette il libro di Salvini in vetrina. E il leader del Carroccio la attacca su Facebook”.
Il link è in calce al presente commento; si legga l’articolo e ci si faccia un’opinione propria. Premetto però alcune personali considerazioni. Conosco e frequento abitualmente il negozio in questione. Si tratta di una libreria piccola, con una piccola vetrina: è sufficiente vederla per accorgersi che la vetrina espone solo titoli di qualità (indipendentemente dalle loro eventuali connotazioni politiche), prevalentemente di narrativa e di poesia. Il libro di Salvini, effettivamente, non c’è, così come non ci sono i libri scritti dagli altri segretari dei partiti (siano essi di destra, di centro o di sinistra), né i libri di Vespa, né le barzellette di Totti, né le cinquanta sfumature di grigio, né Sophie Kinsella, etc. D’altra parte, se entri in libreria e chiedi un qualsiasi titolo, te lo ordinano senza problemi. Per dire: pochi giorni fa ho ordinato un libro di Giovanni Gentile. Sono certo che, se per ipotesi avessi chiesto un testo di D’Annunzio o di Céline o di Jünger, ma anche solo un autore commerciale di quelli che ho elencato sopra, me lo avrebbero prenotato lo stesso. L’unico libro che hanno pubblicamente dichiarato di non voler vendere (esponendo un cartello) è quello del figlio di Totò Riina. D’altronde, a meno di cinquecento metri c’è una libreria di catena, dove puoi trovare facilmente tutti i libri “lowbrow” che desideri. Dico tutto questo per far capire quanto sia pretestuosa la polemica montata dai leghisti.
http://laprovinciapavese.gelocal.it/tempo-libero/2016/05/08/news/il-mio-libro-non-c-e-e-salvini-attacca-la-libraia-vigevanese-1.13430019