IN QUEL 1980: PER GRAZIELLA DE PALO

In genere non lo faccio. Non ripubblico stralci dei miei libri. Però, sabato sera, un’amica mi ha parlato di Graziella De Palo. Non l’ha conosciuta, probabilmente non era ancora nata in quel settembre 1980, quando Graziella è morta. Però ha studiato i suoi articoli sul traffico d’armi, usciti su Paese sera. C’era già tutto, mi ha detto. Tutto quel che sarebbe accaduto dopo e probabilmente accade ancora. Così, in questa giornata di pioggia, prendo uno stralcio da L’arrivo di Saturno e lo metto qui, per ricordare cosa succedeva in quel 1980. E cosa non succede, continua a non succedere, con quella stanza piena di faldoni che aspettano, ancora con i loro Omissis, che qualcuno racconti la verità.
Comincia a vestirsi in modo diverso. Spalline. Pantaloni aderenti. Magliette scollate. Sandalini dorati. Lascia Radio radicale. Dietro di sé, insieme alle gonne lunghe e ai sabot neri, lascia i primi morti della sua vita. Non solo gli zii e le zie, quello sarebbe normale. Non solo Giorgiana Masi. Ma le ragazze e i ragazzi che conosceva vivi e apparentemente in salute, e invece si bucavano, e uno di quei buchi infine è stato l’ultimo.
Dietro di sé, quando il 1980 ha inizio, lascia anche la lettera che Moro scrive il 27 aprile 1978, la prima delle “lettere palestinesi”, dove si parla del lodo, nodo, impegno, patto. Lascia la notte tra il 7 e l’8 novembre 1979, lo stesso pomeriggio trascorso con Isabella ad ascoltare Eskimo di Guccini. Lontano da Dora, qualcosa avviene a Ortona, provincia di Chieti, la Stalingrado d’Italia, il porto da dove la famiglia reale lascia l’Italia occupata, la città della linea Gustav difesa dai tedeschi. La città bombardata per sei mesi. La città dove vengono sequestrati i missili palestinesi. La città a cui, il 3 luglio 1980, farà riferimento Taysir Qubaa, responsabile delle relazioni estere e membro del vertice dell’Fplp: “l’Italia è emporio, punto di vendita e punto di transito della maggior parte del traffico di armi che riguarda questa zona del mondo. Abbiamo le prove di molte complicità, a tutti i livelli. Se occorrerà, le tireremo fuori”.
Forse Graziella avrà riempito altri taccuini di notizie su Ortona. Di certo Italo l’avrà aiutata a connettere le varie tracce, altro avranno fatto le fonti di Italo, tutti quei cronisti e socialisti che conosceva, moltissimo avrà contato il suo intuito, le competenze che ha sviluppato in quegli anni.
In quella primavera del 1980, un giorno di maggio, mentre Dora si gode l’aria tiepida con una nuova macchina azzurra, Graziella e Italo incontrano il Collega Straniero.
Dicono che sia un iracheno, è esperto in questioni mediorientali. Parla a Graziella e Italo di Al Amal, un’organizzazione di sciiti libanesi che si richiama a Moussa Sadr, l’imam rapito a Tripoli nel 1978. L’organizzazione è specializzata nel ricevere e nel rivendere armi, anche sofisticate, spesso pagate con partite di hashish e di eroina semigrezza.
Più avanti negli anni, il Collega Straniero dirà di loro: “Li conoscevo benissimo ed è proprio ascoltando il resoconto di un mio viaggio precedente che decisero di partire per il Libano. Speravano di riuscire là dove io avevo fallito. Hanno seguito lo stesso itinerario. Avevo dato loro tutti i miei appunti con le notizie che ero riuscito a mettere insieme sui vari temi, come il traffico di armi e di droga verso l’Europa. Ebbene, questi appunti non c’erano nel bagaglio riconsegnato all’ambasciata dopo la loro scomparsa. Eppure sono certissimo che li avevano portati. Bisognerebbe sapere chi, della lista di personaggi che gli avevo dato, sono riusciti ad avvicinare e di quale tema gli hanno parlato. Armi? Droga? Fratelli musulmani?”
Due mesi, durano i preparativi. Non hanno soldi, Italo e Graziella, ma studiano. Studia Graziella, soprattutto. Scopre che in Italia ci sono ricchi e incensurati mercanti di armi protetti dai servizi segreti. Scrive, Graziella, ben cinque articoli su Paese Sera. Documentatissimi. Sei elicotteri Agusta venduti ai libanesi, mai arrivati a destinazione. 500mila armi portatili, a 40mila pezzi per volta, che passano dalla fabbrica Beretta in Medio Oriente, via Bulgaria. Apparecchiature vendute con la mediazione del Sid, “ contro il parere dei nostri Stati Maggiori, preoccupati che fosse messa a repentaglio la sicurezza nazionale”. Connivenze tra la Libia, rifornita abbondantemente di armi anche dalla nostra industria e da società di comodo “tricolori”, sostenute sempre dai servizi segreti inquinanti e da autorità, legittime ed illegittime, dell’area mediorientale. Ci dovrebbero essere i nomi, su uno dei taccuini di Graziella. Dieci. Ex alti ufficiali, colonnelli e generali, passati a dirigere società di navigazione, di telecomunicazioni e di autotrasporti: altrettante coperture per agevolare le spedizioni di armamenti, senza che il Sismi voglia accorgersene.
Dora sa degli articoli ma non li legge più. E’ contenta e insieme invidiosa di Graziella, e mai spaventata, sciocca che è. Si iscrive di nuovo all’università, antropologia. Collabora con una rivista di teatro. Frequenta soprani lirici. Si sente leggera. Gli anni attorno a lei si sono fatti lievi, o così le sembra. Chi doveva morire è già morto, chi sopravvive vuole bellezza, musica, sesso. Più avanti, chissà, un lavoro e una famiglia.
Ancora qualche giorno e un aereo precipita in mare, all’altezza di Ustica.
Ancora qualche settimana e salta in aria Bologna, e la pista di Graziella e Italo si intreccia con il lodo Moro.
Ancora qualche giorno e una macchina si ferma davanti a un albergo di Beirut.
Ancora un mese e Mavi chiama Dora, e Dora pensa: tornerà. Deve tornare per forza. Entro la primavera. Ne sono certa.

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