Su Repubblica di oggi (e aggiungo solo che intervistare il Re è un sogno realizzato)
Stephen King torna al racconto lungo e cambia traduttore (da oggi, Wu Ming 1, che propone un King dal ritmo serrato e senza orpelli). Di più: dei quattro racconti di Notte buia, niente stelle (Sperling&Kupfer, pagg. 432, euro 20,90), tre riguardano le donne. Riguardano, per meglio dire, la violenza compiuta sulle donne: omicidio (in 1922, dove un agricoltore convince il figlio a uccidere la rispettiva moglie e madre, Arlette), stupro (Maxicamionista narra la tormentata vendetta della scrittrice Tess), menzogna (Darcy, la protagonista di Un bel matrimonio scopre che il marito è un serial killer). Un’attenzione non nuova, come racconta lo stesso King.
La questione femminile attraversa tutta la sua opera narrativa, e lei è uno dei pochissimi scrittori in grado di affrontare questo argomento con reale empatia. Questa volta, però, le donne sono le protagoniste quasi assolute e sono per lo più vittime del mondo maschile: significa che anche nel mondo reale le cose, da questo punto di vista, sono peggiorate?
Penso che nel mondo reale la condizione delle donne sia migliorata. Credo di avere una visione chiara – per quanto possa averla un uomo – dei problemi che alle donne tocca affrontare. Sono figlio di una ragazza madre che riceveva salari più bassi e veniva trattata con sufficienza perché senza marito. Non ho mai scordato quelle ingiustizie. La mia idea è che, nel complesso, le donne se la sappiano cavare in molte più situazioni e siano più abili degli uomini a risolvere problemi. Spero che nei miei libri questo si veda. Sto molto attento, cerco di evitare la pecca segnalata dal critico Leslie Fiedler: gli scrittori maschi americani hanno una visione semplicistica dei loro personaggi femminili, li rappresentano solo come «nullità» o come «esseri distruttivi». Io ho sempre cercato di fare meglio di così.
I personaggi femminili dei racconti sono vittime ma anche carnefici: la moglie assassinata di 1922 ha la volgarità avida di una grizzly mom. La stessa definizione (e la stessa prassi: difendere i propri cuccioli ad ogni costo) si potrebbe riferire alla terribile madre di Maxicamionista. E anche quando sono “soltanto” vittime, devono comunque uccidere per ristabilire un equilibrio. Sembra non esserci quella possibilità di redenzione intravista in The Dome: sembra, cioè, che la sua narrazione, in questi ultimi tempi, stia diventando più politica, e contemporaneamente , più pessimista. E’ così?
In realtà nessuna delle donne di Notte buia, niente stelle è una carnefice: non più di quanto lo fossero Carrie White o Dolores Claiborne. Tess e Darcy non innescano la violenza, ma reagiscono ad essa, facendo del loro meglio. Sono le sopravvissute. Quanto ad Arlette in 1922, è causa della propria sventura. Anche se questo non giustifica l’agire di suo marito.
Solo in uno dei quattro racconti, La giusta estensione, è presente l’elemento soprannaturale: e anche in questo caso è un soprannaturale sfumato e ambiguo, e il patto col diavolo del protagonista può essere interpretato come un’allucinazione. Si sta incamminando verso una narrazione più realistica?
Non mi sto intenzionalmente allontanando dal soprannaturale, come non mi ci sono intenzionalmente avvicinato. Come scrittore, lavoro sulle intuizioni. Quando mi viene l’idea per una storia, mi metto a scriverla. Prima di iniziare, però, mi faccio sempre una domanda: “Cosa rende questa storia tanto importante da essere scritta?”. Cerco di individuare il fulcro, quel che permetterà alla storia di funzionare a un livello tematico più profondo. In 1922 è il potere del senso di colpa. In Maxicamionista è l’alto prezzo della vendetta. In La giusta estensione è la gioia meschina che ci procura la rovina altrui. Quanto a Un bel matrimonio, il fulcro è una domanda: si può davvero conoscere un altro essere umano?
Nella postilla ai racconti lei annota: “si scrive male quando ci si rifiuta di raccontare storie su quel che la gente fa realmente”. Qui, come nelle sue opere precedenti, lei narra il punto di frattura delle vite ordinarie. Com’è diventato, quel punto, in tutti questi anni? Più forte o più fragile? Gli esseri umani si sono abituati all’orrore?
Sì, la gente è più abituata all’orrore. Come potrebbe essere altrimenti, dopo quel mattatoio che è stato il ventesimo secolo? E il secolo appena iniziato non si preannuncia meno turpe. Allo stesso tempo, siamo diventati più litigiosi, più disposti a ricorrere alla violenza per risolvere i nostri problemi. Horror e thriller sono due delle tante valvole di sfogo per questi sentimenti negativi.
Lei ha sempre posto una grandissima cura al linguaggio, allo stile, al suono delle parole: eppure la critica letteraria non glielo ha riconosciuto spesso. Continua ad esserci diffidenza, nell’ambiente accademico americano, nei confronti della narrativa ritenuta di genere?
La narrativa di genere ha un po’ più status letterario di un tempo, perché oggi molti bravi scrittori scrivono polizieschi, romanzi di spionaggio, thriller e horror. Mi viene in mente, per fare un esempio, The Passage di Justin Cronin. A rendere diffidenti i critici è stata la narrativa pulp che si scriveva nella prima metà del Novecento, e che io chiamo “lumpen-narrativa”. Da allora, la narrativa di genere ha conosciuto una lenta ma costante rivalutazione. Forse è vicino il giorno in cui i romanzi saranno giudicati per i loro meriti anziché per gli argomenti di cui trattano. Anche in futuro ci sarà più robaccia che buona letteratura, quindi il ruolo del critico letterario resta importante. Solo che io, per quanto riguarda i meriti, non faccio distinzioni tra quel che scrive una come Joyce Carol Oates e quel che scrive, poniamo, Laura Lippman. Una buona storia è una buona storia, a prescindere dal genere. E qual è una buona storia? Quella che dice la verità su di noi. Sulla condizione umana.
Aggiornamento: l’intervista a Wu Ming 1 andata in onda ieri a Fahrenheit.
Qui
Buonasera,
vorrei domandare a chi ha letto il primo racconto di “Notte buia, niente stelle” (1922), se a pagina 132 è presente un’incongruenza cronologica negli eventi raccontata da “Wilf”, oppure non ho capito bene il periodo citato.
Non dico altro per evitare spoiler.
@ jacksandman
“…oppure non ho capito bene il periodo citato.”
Il punto è che… non hai citato alcun periodo!
@ Wu Ming 1
Hai ragione, non ho citato il periodo (in realtà si tratta si tratta di più periodi).
Ragionandoci , ho pensato che forse si tratta di una scelta stilistica per far notare al lettore lo stato cofusionale in cui versa Wilf.
In ogni caso qui di seguito la parte che intendevo citare:
[…]Il giorno di Santo Stefano, una tormenta calò giù dalle Montagne Rocciose, colpendoci con raffiche terribili e rovesciandoci addosso trenta centimetri di neve.[…] Intorno a mezzanotte, mentre sedevo in soggiorno e curavo i miei dolori bevendo whisky, dal retro della csa giunse uno schianto assordante[…]Verso le tre mi svegliò un altro schianto. Stavolta era crollata la parte anteriore della stalla. Achelois era sopravvissuta, e la sera dopo la presi in casa con me. Perché? mi chiederete, e la mia risposta è:Perché no? Per quale cazzo di motivo non avrei dovuto? Eravamo i superstiti. Gli unici superstiti.
La mattina del giorno di Natale (che io trascorsi bevendo whisky nel freddo di casa mia, in compagnia della mia ultima mucca),[…].
Da ciò che leggiamo si evince che il giorno di Santo Stefano crolla la stalla e parte della casa(di conseguenza Wilf accolgie Achelois,la sua ultima mucca, in casa. Proseguendo si evince che la mattina di Natale viene trascorsa da Wilf in compagnia della sua mucca nel freddo della sua casa.
Spero di essere riuscito a far capire l’incongruenza cronologica che intendevo.
Saluti.