INVECE, SCRIVETE DEL CORONAVIRUS

Bene, parliamo di libri. Anzi, di narrazioni. Se c’è una cosa di cui ho bisogno, in queste giornate, è ascoltare: il mio “come state?” non è una formula retorica. Voglio sapere come sono le vostre giornate, se avete un balcone, se invece siete in una casa piccola, e magari in tanti, se avete trovato il lievito per fare il pane, se leggete, se scrivete.
Ecco, scrivere. C’è una cosa che mi infastidisce ai massimi livelli, e ne ho già parlato e, no, non mi infastidisce perché mi riguarda (non fino in fondo, visto che come ormai ho detto cento volte, ho cominciato a scrivere la mia storia di peste nel 2016), ma perché la trovo ingiusta, astiosa, inutile. La protesta degli scrittori – di alcuni almeno, ma ben numerosi – contro i venturi libri che raccontano il coronavirus.
Colleghi, se posso, e comunque eletta schiera: di cosa altro dovrebbero parlare i libri venturi? Anche Stephen King, qualche giorno fa, ha scritto che giocoforza occorrerà rivedere quel che si stava narrando prima di tutto questo. Di cosa parlavano i romanzi scritti dopo le guerre? Di cosa parlavano i romanzi durante e dopo l’Aids? Perché la letteratura non dovrebbe raccontare i tempi che si attraversano?
Allo stesso modo, potrei protestare, avrei dovuto protestare anzi, contro i romanzi che parlano di: adulterio, crisi di coppia, malattia, rimpianto del padre, rimpianto della madre, fallimenti sentimentali, lavori precari, nascita di un figlio, crisi per la nascita di un figlio, depressione post partum, società letteraria, famiglia in assoluto, abbandono del paesello natio, viaggi intorno alle proprie biblioteche, femminicidi, droga, alcolismo, altre affezioni gravi e leggere. Continuate voi. I romanzi parlano di quel che siamo, di quel che è intorno a noi. Se sono particolarmente belli riescono a trasfigurare il reale, e spesso sono belli anche quando si accoccolano nel realismo. Che cosa avete, in nome del Cielo? Se non riuscite a scrivere, non scrivete: è difficile per quasi tutti, in questo momento. Ma lasciate in pace il resto del mondo: in un momento, peraltro, in cui l’editoria è già in crisi profondissima per forza di cose, e nessuno di noi sa, al momento, cosa succederà, chi si salverà e chi invece getterà la spugna. Ci sono mille motivi per lamentarsi: non questo, per favore.
Per la cronaca: oggi è il 25 marzo. Secondo il calendario della Terza Era, il 25 marzo 3019 Frodo, Sam e, sì, Gollum, gettano l’unico anello nel Monte Fato, e Sauron viene sconfitto. Magari è di buon auspicio. E, magari, il professor Tolkien raccontava la fine di un’altra guerra, con questa storia, chissà.

5 pensieri su “INVECE, SCRIVETE DEL CORONAVIRUS

  1. Si parla sempre di quello che si ha intorno nel momento in cui quell’intorno si manifesta e nel modo in cui si sa dire “oi, quello mi si mostra”. Insomma concordo in pieno, ma concordo così tanto che mi pare possibile ricordare che si possa raccontare degli anni della Seconda guerra mondiale come fosse una pestilenza. Si può raccontare lo scontro ideologico e di modus vivendi dell’Italia sul finir dei Settanta come fosse un giallo in un monastero. Si può raccontare la conquista del Nord America come un naufragio napolitano-milanese nel Mediterraneo. Si può raccontare il caso, il caos e la necessaria consequenzialità degli eventi nel bel mezzo di due generazioni in guerra civile, come fosse un poema sugli atomi e la natura delle cose.
    E poi? Queste metafore prendono il loro spazio, trascendono l’occasione iniziale, diventano buone per altre occasioni impreviste. L’immaginazione è la risacca del mare e noi la spiaggia. Quanti granelli di umani si seccano così in fretta da dimenticare il fresco gorgoglio dell’acqua salata.
    ps. senza la letteratura di guerra non avremmo il saggio di Benjamin su Leskov

  2. Ciao Loredana, ti leggo sempre e mai come in questo periodo trovo le tue parole di conforto. Ho letto tanto sulle conseguenze varie di questa emergenza nelle settimane passate e ora credo di essere arrivata vicino a un limite. Scrivere è comunque salutare, in questo costante equilibrio fragilissimo. Grazie di cuore!

  3. Non ho mai pronunciato tanto spesso come in questo periodo l’espressione”Che meraviglia”. Che meraviglia sentire Chiara Arcuri che parla di Dante Alighieri.Che meraviglia leggere Danubio di Claudio Magris.Che meraviglia ballare(rigorosamente da sola) sulle note di “It’s a miracle” di Boy George.Che meraviglia lo spezzatino con polenta che mi sono cucinata stasera.Che meraviglia il raggio di sole che a fine giornata ha bucato le nuvole sopra Bologna.Meraviglia deriva dal latino “Mirabilia,evento straordinario”.Quello che ci sta succedendo è un evento fuori dall’ordinario.Tornera’ l’ “ordine” ,ma intanto godiamoci i momenti extra-ordinari che spesso non vediamo

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