KANT NON ERA ALLA BASTIGLIA: UNA RIFLESSIONE DI GIROLAMO DE MICHELE

Una delle poche persone con cui mi sono trovata concorde in tutto, negli ultimi tre mesi, è Girolamo De Michele. Oggi scrive per Estense una lunga, bellissima lettera che parte da George Floyd e arriva, a ritroso, fino a Kant. La prima parte dell’articolo è qui. Io riproduco qui sotto la seconda, e ci penso su.
“Ora, finalmente, posso parlarvi del valore dell’indignazione. E qui lascio per primo la parola al professor Kant (ubi maior, minor cessat). Il quale un mattino, aprendo il giornale, fu colto da un inspiegabile entusiasmo nel leggere della presa della Bastiglia: ed era un tranquillo e compassato professore tedesco, non un esaltato giacobino estremista. Eppure si entusiasmò, e come lui molti di coloro che lessero della notizia. Pensateci un attimo: Kant si mise a riflettere sul fatto che alcune notizie ci entusiasmano non perché le viviamo (non era dentro il corteo che attaccò la Bastiglia), ma semplicemente perché le apprendiamo. Kant ipotizzò che esiste un progresso che trascina il genere umano; e che l’artefice e il garante di questo progresso è la natura stessa. Ma com’è possibile affermarlo? È possibile grazie alla facoltà di giudicare: perché il mio giudizio riflettente non cerca una determinazione oggettiva, ma un segno che mi consenta di presupporre, soggettivamente ma con pretesa di universalità (come quando noi facciamo una buona azione, e presupponiamo che chiunque al nostro posto farebbe lo stesso; o percepiamo qualcosa di bello, e ci sembra che chiunque debba condividere questo giudizio di bellezza – anche se non è vero), il disegno progressivo della natura. E questo segno è la manifestazione di entusiasmo (dunque una passione) che cogliamo dentro di noi, che siamo parte della natura: se la mia natura manifesta, col suo entusiasmo nell’apprendere che la secolare fortezza simbolo dell’assolutismo è stata ridotta in rovine, la propensione al progresso, allora sono autorizzato a presupporre che la natura stessa tenda verso il meglio. E in questo, come nell’azione morale, io mi scopro un soggetto libero: perché non chiedo al re o al governo la legittimità delle mie passioni politiche, ma la cerco dentro di me, indipendentemente da quel che pensa chi detiene il potere.
Questa è, in sintesi, la mia lezione sull’entusiasmo in Kant. Cosa c’entra con l’indignazione? Beh, nel chiederci perché ci si indigna in tutto il mondo, noi compiamo la stessa operazione di Kant – la rivoluzione copernicana che rovescia il rapporto fra soggetto e oggetto; non ci indigniamo perché è successo, fuori di noi, un evento ingiusto, ci indigniamo perché la giustizia non è nel mondo, ma dentro di noi: se non avessimo desiderio di giustizia, non potremmo riconoscerne la negazione. E poiché la giustizia non è di questo mondo, sta a noi batterci per farla esistere: proprio come l’amore, che di per sé non esiste, e proprio per questo lo facciamo – per farlo esistere.
Ci indigniamo perché a Floyd George e, forse, a Sarah Grossman è stato tolto il diritto al respiro. Respirare è, in apparenza, una cosa semplice: assorbimento di ossigeno ed espulsione di anidride carbonica, uno scambio dinamico tra sangue e tessuti. Ma se proviamo a comprendere la respirazione al di là dei suoi aspetti biologici, come suggerisce il filosofo africano Achille Mbembe, ci accorgiamo che
Nella misura in cui è al contempo extra-territoriale e suolo comune il diritto universale al respiro non è quantificabile. Non sarebbe possibile appropriarsene. È un diritto in termini di universalità non solo di ogni membro della specie umana ma del vivente nel suo insieme. Bisogna dunque comprenderlo come un diritto fondamentale dell’esistenza. In quanto tale non può essere confiscato e sfugge di fatto a ogni sovranità poiché ricapitola in sé il principio sovrano. Ed è in ogni caso un diritto originario d’abitazione della Terra, un diritto proprio alla comunità universale degli abitanti della terra umani e non.
Ma c’è qualcosa su cui Immanuel Kant si è sbagliato. Da illuminista, pensava in termini di universalismo della ragione: se esiste la propensione al progresso, deve esistere in tutti gli esseri umani. Kant non può concepire che la ragione può anche essere malvagia, egoista, utilitarista: avesse letto quel piccolo gioiello letterario che è Le relazioni pericolose di Choderlos de Laclos, se ne sarebbe accorto. Purtroppo esiste anche l’uso perverso della ragione: che porta ad accatastare i pensieri fino a negare la stessa natura della ragione (non per caso, nell’italiano di un tempo l’incapacità di ragionare correttamente era detta imbecillità, cioè debolezza, della mente). Però Kant ci viene utile anche qui: perché, ragionando come lui, dovremmo chiederci che cosa hanno nella mente e nell’animo i razzisti e i seminatori di odio. Quelli che definiscono oggi George Floyd “nuova icona sacra della sinistra mondiale”, come ieri Liliana Segre “edicola votiva della sinistra”; quelli che definiscono le moltitudini indignate “ragazzi rimbecilliti dalla propaganda” e “coscienze sono asservite al totalitarismo del pensiero unico”, le manifestazioni spontanee “isteria ben orchestrata e oleata”.
In modo bizzarro, uno di loro (che non nominerò) ci dà la risposta. È uno di quelli che usano quelle accozzaglie di numeri che chiamano statistiche di cui vi dicevo sopra. Uno che, nel mezzo della pandemia, quando i morti raggiungevano cifre impensate e si viveva chiusi in casa – ma quelli come lui rinchiusi in una prigione lo sono sempre: è la loro scatola cranica – ci “ricordava” che non dovremmo dimenticarci della superiorità della nostra cultura di bianchi colonizzatori; che non dovremmo dimenticarci, in nome del “multiculturalismo imperante, la nuova religione del politically correct e il relativismo etico”, qual è il vero nemico, cioè la cultura islamica – non il terrorismo islamista, ma l’intera comunità musulmana in quanto tale: «una volta che il Covid-19 sarà passato, come passa tutto, il panorama descritto resterà immutato ancora per lungo tempo. Ci sono, infatti, virus e pandemie, che iniziano e finiscono, ma il virus dell’autoflagellazione, dell’etnomasochismo e della perdita di sé non passerà tanto facilmente». Ecco qual è il vero pericolo del coronavirus: ci fa dimenticare di odiare.
Cosa c’è nel cuore di chi, in un giorno in cui i morti di covid-19 erano 743 (2.000 in tre giorni), si sforzava di ricordarsi di odiare persino durante una pandemia? Non vi ricorda qualcuno, questo individuo così accecato dall’odio e dal rancore da esserne sottomesso, da non riuscire a liberarsene? Certo che sì: perché quelle parole che ho riportato sono state scritte il 25 marzo. In un altro 25 marzo – secondo il calendario della Terza Era, il 25 marzo 3019 – Sauron viene sconfitto. E Gollum ritorna a impossessarsi dell’anello. Gollum: la creatura accecata dal desiderio di possesso dell’anello, al punto da non riuscire a liberarsi dal suo pensiero. Come Sméagol divenne Gollum uccidendo il cugino Déagol, così questi odiatori uccidono l’umanità che è dentro di loro per lasciare spazio al loro lato oscuro: il divenire-Gollum.
Ed ecco quel che accadde a Gollum, in un altro 25 marzo:
“Gollum, sul bordo dell’abisso, lottava come impazzito contro un invisibile avversario. Ondeggiava da una parte e dall’altra, a volte talmente vicino all’orlo che rischiava di precipitare, a volte indietreggiando, cadendo per terra, alzandosi e ricadendo. Continuava a sibilare ma non pronunciava parola.
I fuochi degli abissi si destarono furibondi, la luce rossa avvampò e tutta la caverna si empì di un grande bagliore infocato. Ad un tratto Sam vide Gollum che avvicinava le lunghe mani alla bocca: le bianche fauci scintillarono e si chiusero con un rumore secco. Frodo lanciò un urlo e apparve, inginocchiato sul bordo della fessura. Ma Gollum, danzando in maniera folle, teneva alto l’Anello, e il dito che vi era rimasto infilato. Sfavillava come se fosse stato davvero creato nel fuoco vivo.
«Tesoro, tesoro, tesoro!», gridò Gollum. «Mio Tesoro! O mio Tesoro!». E mentre pronunciava quelle parole, con gli occhi rivolti verso l’alto, gongolanti di gioia alla vista della sua conquista, mise un piede in fallo, inciampò, vacillò un istante sull’orlo, e poi precipitò con un urlo. Dagli abissi giunse il suo ultimo lamentevole Tesoro ed egli scomparve per sempre.”

Un pensiero su “KANT NON ERA ALLA BASTIGLIA: UNA RIFLESSIONE DI GIROLAMO DE MICHELE

  1. Per capire e convalidare la riflessione riportata: nel 2009, mentre ero ricoverato a seguito di un grave incidente stradale condividendo la camerata con altri 5 sventurati ben più di me, uno di loro, bloccato su una sedia a rotelle tempestata di madonne e santini, così commentò la prima volta che un tg parlò e mostrò una delle tanti stragi di migranti nel Mediterraneo evidenziando il numero di donne incinta e di bambini che persero la vita (all’epoca si parlava di queste persone solo come di generici “extracomunitari”): “Si vede che c’è un Dio: ha punito tutti quei miscredenti che si preparavano a invaderci. Grazie alla Madonnina di Loreto!”.
    E’ appena il caso di notare che la citata Madonnina di Loreto sia nera.

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