KING: 22/11/63

Antonio Monda intervista Stephen King sul nuovo romanzo, 22/11/63, in uscita per Sperling&Kupfer con la traduzione di Wu Ming 1:
Il 22 novembre del 1963, giorno dell´omicidio di John Fitzgerald Kennedy, Stephen King aveva compiuto da poco sedici anni. Oggi, quasi 50 anni dopo, quel giorno è diventato il suo ultimo romanzo. Su Kennedy, e quel delitto che sconvolse l´America, ma anche su Obama. «Perché temo per lui», confessa.
Per altro, per King, il 1963 resta una data cruciale. A quell´epoca la vita gli aveva già riservato due shock molto dolorosi: l´abbandono da parte del padre, che era andato via di casa, lasciando la famiglia in condizioni economiche disperate, e la morte del migliore amico d´infanzia, travolto da un treno sotto i suoi occhi. Ma l´omicidio del presidente lo turbò al punto da convincersi che nulla al mondo sarebbe più stato lo stesso, e in quel periodo iniziò un percorso esistenziale costellato da trionfi e tormenti ricorrenti, che lo hanno portato anche ad abusare di alcool e droghe.
Ad incontrarlo oggi, ci si trova di fronte ad un uomo gentile e spiritoso alto quasi due metri, che veste in maniera trasandata, zoppica lievemente a causa del grave incidente del ´99 e fissa con curiosità l´interlocutore dietro occhiali troppo piccoli. Dal ´74, anno in cui ha pubblicato Carrie, ha scritto 49 romanzi (sette dei quali con lo pseudonimo Richard Bachman), nove raccolte di racconti e cinque saggi, vendendo più di trecentocinquanta milioni di libri. Molti suoi scritti sono diventati film, diretti da registi come Kubrick, Cronenberg, De Palma e Reiner. Sin dall´inizio le sue storie hanno sconfinato nel paranormale, ma, invecchiando, non è mai riuscito a togliersi di mente lo shock di quella mattina di novembre, e la tentazione di pensare a come sarebbe stato possibile evitare quella tragedia.
Un tentativo di risposta è nelle 780 pagine di 22/11/´63, in uscita in Italia per Sperling & Kupfer, un libro tra i più appassionanti che ha scritto negli ultimi anni, nel quale immagina che un personaggio torni indietro nel tempo per tentare di sventare l´attentato. «Si tratta di un evento che ha generato un´enorme angoscia in me», spiega nel suo ufficio di Bangor, arredato unicamente da disegni ispirati ai suoi libri e pupazzi che rielaborano in puro stile King gli spaghetti western di Sergio Leone. «Sentivo la necessità di affrontare narrativamente quel sentimento e quel momento».
È vero che ha iniziato a scrivere questo libro nel ´72, prima di Carrie?
«Avevo scritto una ventina di pagine, poi non mi sono sentito all´altezza. Il tema era troppo grande, c´era bisogno di molta ricerca e non avevo tempo: all´epoca facevo l´insegnante. Ma compresi subito che sarei stato un idiota a lasciar cadere un´idea del genere».
Lei dichiara di credere alle conclusioni della Commissione Warren e scrive di essere convinto al 99% che l´omicidio sia stato opera del solo Oswald.
«Ci sono molte prove contro di lui, mentre solo indizi e ricostruzioni dietrologiche a supporto delle teorie cospirazioniste. Se si fosse trattato di un complotto, in questi 48 anni sarebbe certamente uscito fuori qualcosa. Norman Mailer ha scritto: “se un ometto solitario ha ucciso il leader della nazione più potente della terra, allora un mondo di sproporzioni ci avviluppa, e viviamo in un universo assurdo”, e io aggiungo che abbiamo bisogno di credere che non può essere stato un poveraccio come Oswald, e quindi pensiamo alla Cia, alla mafia, agli anticastristi, persino a Johnson. Io sono con la teoria del rasoio di Guglielmo da Ockham: la soluzione più semplice è quella giusta».
Kennedy era estremamente popolare ma anche molto detestato.
«Il clima a Dallas era terribile: pochi giorni prima dell´attentato Adlai Stevenson e Lady Bird Johnson erano stati accolti con urla e sputi da casalinghe del ceto medio. Il presidente trovò bandiere americane rovesciate e stendardi confederati, e all´aeroporto un cartello con scritto: “Aiutate JFK a distruggere la democrazia”. C´è un elemento che mi ha convinto a scrivere il libro oggi: sento lo stesso tipo di odio per Obama, e vedo con preoccupazione troppe affinità. Ancora una volta un magnifico oratore, che proviene da una breve esperienza al Senato, molto attraente, con una moglie affascinante, che tenta di imporre il suo sogno in un mondo politico che lo considera come un corpo estraneo».
Ritiene che Obama rischi la vita?
«Spero di no, ma purtroppo la storia ci ha insegnato che è possibile uccidere il presidente. Quando è venuto a parlare qui a Bangor l´ho visto salire su un podio con una protezione ridicola».
Quali sono le cose che spaventano Stephen King?
«Spero che non si aspetti una risposta come “i vampiri”. Mi spaventa la terribile crisi economica, quello che sta succedendo in Grecia ed il possibile effetto domino. E quello che l´uomo fa per distruggere l´ambiente in cui vive».
Perché allora scrive storie così terrificanti?
«Secondo lei ho altra scelta? Le cose che ho elencato nascono tutte dall´animo umano».
Lei ha sempre professato le sue idee liberal.
«C´è stato persino chi mi ha suggerito di scendere in politica, ma non ci penso minimamente: so di avere davanti a me non più di una decina di anni produttivi da un punto di vista creativo, e l´unica cosa che posso fare è dare il mio supporto ai politici che hanno idee simili alle mie. Spero che si faccia qualcosa per limitare la diffusione delle armi, e vorrei che abbandonassimo per sempre l´Afghanistan, anche se ho più di un dubbio a riguardo: non si può tollerare che un paese torni in mano ai talebani, per quello che fanno alle donne e alla cultura moderna. Al confronto i sauditi sono dei liberal».
Il protagonista del libro torna alla fine degli anni Cinquanta e vive anche una storia d´amore. Ha nostalgia di quel tempo?
«Solo nella misura in cui rappresentano la mia adolescenza. Ho descritto quegli ambienti con affetto, a cominciare dalle macchine, i vestiti e le musiche, ma non ho nascosto alcune mostruosità, come la segregazione, i bagni separati per le persone di colore, la totale incuria per l´inquinamento. E ricordo l´angoscia con cui seguivamo la crisi dei missili a Cuba: vivevamo con la convinzione di una terza guerra mondiale».
Due dei suoi figli e sua moglie sono scrittori.
«Se è per questo anche la terza: è un ministro della chiesa universalista, e scrive dei bellissimi sermoni, che prima o poi pubblicherà. Sono orgoglioso di avere una famiglia di scrittori e discutiamo sempre di tutti i nostri progetti: mio figlio Joe Hill mi ha convinto a cambiare il finale di questo libro, e dopo molte resistenze, ammetto che aveva ragione lui. E devo a mia moglie Tabitha se non ho cestinato il manoscritto di Carrie».
È soddisfatto degli adattamenti tratti dai suoi film?
«Non amo Shining, del quale sto scrivendo un sequel intitolato Dr. Sleep, ma capisco che un autore come Kubrick abbia voluto realizzare il suo film. Amo invece Stand by Me, La zona morta, Shawshank Redemption e Cujo. E sono sicuro che Jonathan Demme farà un ottimo lavoro con 22/11/´63».
Ha dichiarato che il suo maestro letterario è Richard Matheson.
«Ha portato la letteratura fantastica e del terrore nel ventesimo secolo, raccontando non più geni, scienziati o ricchi, ma uomini comuni. Ma gli autori che prediligo sono Steinbeck, Faulkner, Carver e McCarthy».
Lei è apprezzato da gran parte della critica, ma Harold Bloom non le attribuisce alcun valore letterario.
«Ne sono molto dispiaciuto, perché Bloom è un grande critico. Ma è anche un uomo con i suoi gusti e i suoi limiti: spero che un giorno cambi idea».

12 pensieri su “KING: 22/11/63

  1. Dopo “Il miglio verde” non ho letto più nulla di King. Dubito che leggerò il nuovo romanzo anche se la traduzione mi invoglia. Leggendo quello che pensa sul caso Kennedy ho creduto che King, a causa dell’incidente del ’99, avesse riportato anche danni irreversibili al cervello. Leggendo poi quali sono i suoi autori preferiti ho invece pensato che il cervello gli funziona benissimo e che quindi, ritiene davvero plausibili le conclusioni della Commissione Warren. Il che è anche peggio.

  2. Enrico, garantisco che è possibile leggere il libro e trarne stimoli fottendosene altamente di cosa pensi King del caso Kennedy (sul quale mi dichiaro agnostico), e di altre cose che, lo confesso, mentre traducevo mi hanno urtato. Come ho scritto di là su Giap, credo che “22/11/63” sia molto politico (nell’accezione più larga e migliore del termine) dove crede di esserlo poco, e viceversa. La sua “politicità” eccede la tesi di fondo ed è meno pedissequa di quanto abbia voluto il suo autore. A essere politicamente interessante è la riflessione sul tempo. In ogni caso, è uno dei migliori romanzi di SK, senz’altro uno dei più ambiziosi.

  3. Enrico, se si fosse trattato di un libro di merda non ci avrei messo la firma 🙂 Una volta ho tradotto un libro di Walter Mosley talmente fiacco e frustrante che ho firmato la traduzione “Carlo Alberto Rizzi” 😀 Questo ha degli elementi irritanti, ma è un romanzo importante, non solo nel percorso di SK.

  4. Anche io ero interessato a sapere se c’è la possibilità di acquistare una versione in formato digitale anzichè cartacea..

  5. Solita intervista stupida. La domanda “cosa spaventa Stephen King” è di una stupidità che oserei definire sublime. Peccato. Comunque il libro lo sto leggendo, sono a circa un terzo e sembra bello, anche se, devo dire, meno coinvolgente degli altri suoi romanzi recenti.

  6. Buongiorno, questa è la casa editrice di Stephen King, ovvero Sperling & Kupfer. Per il momento, l’unico libro del Re disponibile in formato ebook è Miglio 81, che è SOLO IN FORMATO DIGITALE.
    In Italia non è ancora possibile comprare un ebook in lingua italiana di Stephen King, per questioni relative ai diritti.
    La redazione Web Sperling

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