Tornano, in ordine sparso: la notte bianca (che a me, nota populista romana, provoca qualche mugugno del genere benissimo-le-rose-ma-il-pane-quando?), i libri staffetta (promessa: devo parlare di Strettamente personale, antologia in uscita da Pendragon), la rivista Pulp con relativa rubrica di Daniele Brolli. A cui, com’è noto, non piace Eggers…
Non ricordo più dove, ma una volta ho letto che Salinger, l’autore del Giovane Holden, è un idiota. Niente di più probabile che fosse un’affermazione di Hemingway, che ne aveva un po’ per tutti i suoi colleghi. Ma non importa. Ho i miei dubbi che Salinger sia un idiota, ma se è un idiota, allora ci dovremmo augurare che tra gli scrittori ne esistessero di più come lui. Ha scritto quattro libri, e poi ha tolto il disturbo. Cos’altro avrebbe potuto scrivere rimestando sempre le stesse vicende familiari e incrociando gli stessi temi? Se n’è reso conto e ci ha risparmiato altri testi.
L’obsolescenza è un bel problema che riguarda la narrativa. Una volta Stefano Magagnoli (quando era editor in Mondadori, ma parleremo di lui più avanti) mi ha detto “non se ne può più di questi scrittori che arrivano tutti gli anni con un nuovo romanzo”. Be’, allora cosa dovremmo dire di Andrea Camilleri? Non sto a contare quanti suoi libri siano usciti quest’anno (direi almeno tre, se non sbaglio) ma alla fine dei conti non è un idiota nemmeno lui. Producendo così tanto ha superato quella fase in cui ci chiedevamo cosa stesse scrivendo. In passato l’ho accusato di essere un autore che scrive a formula: un irrisorio intreccio poliziesco, una sicilianità da depliant dell’assoturismo, la fastidiosa abitudine di accentrare sul lettore con frasi tormentone. Ma scrivendo così tanto ha superato la fase in cui i suoi romanzi potevano essere soggetti a un’indagine critica. Lasciamo perdere il Meridiano della Mondadori, consacrazione un po’ prematura e di cattivo gusto, ma direi che Camilleri non è un idiota per ragioni esattamente opposte a quelle di Salinger: scrive così tanto da passare inosservato. È diventato quello che doveva essere considerato fin dall’inizio: un narratore popolare che sparisce dietro il flusso dei suoi libri. I tormentoni di Montalbano sono ormai come le sigarette di Yanez, la sua Sicilia vale Mompracem. Be’, forse non ha l’estro, la genialità, la sublime ossessività di gente come Emilio Salgari, ma di Salgari ne abbiamo avuto solo uno, in tempi diversi da questi, dove la lettura era una forma privilegiata di intrattenimento. Oggi accontentiamoci di Camilleri.
Quando si parla di scrittura sembra quasi inevitabile arrivare alle stesse conclusioni del Bouvard e Pècuchet, e che Gustave Flaubert avesse già visto nell’Ottocento quello che la critica deve ostinarsi a far finta che non sia vero: che scrivendo non si dà un senso alle cose. Bene che vada a se stessi, ma il mondo, l’universo e tutto quanto se ne infischiano.
Niente va bene, tutto va bene. La critica diventa un parlarsi addosso. Oppure un’attività di scrittura pari a quella dell’oggetto osservato (il romanzo). Insomma è tutto un sistema illusorio, da cui è insensato aspettarsi risposte, meglio sperare in domande. È però anche un sistema di piccoli e grandi poteri applicati alla cultura. E quelli vanno smascherati.
La carriera di idiota di Dave Eggers è straordinaria: un primo romanzo notevole, incensato oltre qualsiasi merito in patria e giustamente letto ovunque. Poi una rivista letteraria di grande interesse, McSweeney’s, che abbina la novità del contenuto a un continuo rinnovarsi della grafica. Ma alla distanza sono arrivati un secondo romanzo insignificante (presto dimenticato) e il precipitare della rivista nel chiaro trombonismo di chi dice di essere geniale per paura che non ci sia nessuno a riconoscerglielo. Dopo aver cambiato forma a ogni numero di McSweeney’s, con l’ultimo uscito, il 16, eccoci arrivati alla vera e propria operazione di packaging. È come se scoprissimo che Dave Eggers, che si dichiara un grafico, altro non fosse che un commesso di una profumeria, addetto ai pacchetti regalo. Provo a descrivervi l’oggetto prima che i contenuti, perché quando l’oggetto è soverchiante, inevitabile, arrogante… con l’invadenza del suo aspetto esteriore, c’è poco da fare, si perde di vista la possibilità di leggerlo. Non è moralismo, solo una constatazione.
McSweeney’s numero 16: la forma chiusa è quella di una scatola di cartone ricoperta in tela bianca serigrafata con una foresta di tronchi d’albero (in silhouette) marroncino chiaro. L’odore è pungente. Una targhetta adesiva verde scuro, con i testi in negativo, incollata sul dorso indica numero, nomi degli autori e prezzo (24 dollari) oltre alla dicitura che l’adesivo si può togliere. Capiamo così che l’oggetto è orizzontale. La copertina è un po’ più corta e lascia intravedere, incisa in verticale sulla tela sottostante, la scritta McSweeney’s in lettere argentate. L’apertura rivela che si tratta di una confezione con quattro alette della lunghezza dell’intera scatola, foderate di verde scuro. Su ognuna è applicata una tasca in cartoncino. Quindi quattro tasche che contengono: 1) un libretto antologico in cui ogni racconto ha un frontespizio con l’incisione di un albero (copertina marrone scuro con albero anch’essa), tra gli autori Roddy Doyle (una delle cose più insulse che abbia scritto in vita sua, e sì che il buon Roddy non s’è mai risparmiato) e Brian Evenson; 2) un libretto, orizzontale questa volta come la scatola, con un testo di Ann Beattie (con Harry Mathews) autorefenziale, dotato di uno spirito da borghesia letteraria americana, inutile e fastidioso quanto ogni cosa abbia prodotto Ann Beattie; 3) Un mazzo di carte con il solo seme di cuori. Su ogni carta, al posto delle figure, una parte ricombinabile del racconto di Robert Coover “Heart Suit”. Niente da dire sul racconto e su Coover, solo che l’operazione ricorda molto da vicino Componibile 62 di Julio Cortazar e The King di Donald Barthelme, due libri che hanno lasciato il segno; 4) Un pettine. Avete letto bene, un pettine. Con cui forse Eggers pensa, sul suo esempio, il lettore debba rimettere ordine alle idee…
Anche in questo caso devo ammettere che forse l’idiota ci ha gabbato. È così conclamato e assoluto da essere sublime. Ci ha dimostrato la relatività della scrittura, è arrivato laddove Flaubert ha solo tentato. Dave Eggers è un genio dell’idiozia.
Allora, da vero idiota quale sono, vorrei consigliare una lettura intelligente: Il ponte sulla Drina di Ivo Andric. La narrazione abbraccia tre secoli di storia e si ferma allo scoppio della Prima Guerra Mondiale e ruota attorno alla costruzione di un ponte in Bosnia, nel punto di confluenza tra due mondi, quello cristiano e quello islamico. Un punto in cui si incontrano (e si affrontano duramente) razze e religioni, o per meglio dire: civiltà, con differenti storie e valori, che anche quando sopite, riemergono prepotentemente nell’incontro che diventa urto. Oltre che un romanzo a volte esotico, crudele e leggendario come una fiaba delle Mille e una notte, è anche uno strumento utile non solo per capire da cosa nasceva lo scontro di religione e di etnie (e le radici che questo scontro in quello tra l’impero asburgico e quello ottomano) che ha sconvolto le repubbliche dell’ex-Jugoslavia, ma anche qualcosa che gli articoli dei giornali e i commenti politici mai ci diranno di cosa si nasconde (oltre a rinnovate motivazioni economiche) nell’attrito tra l’occidente cristiano e l’oriente musulmano.
@ SPETTATRICE
Il problema – se è lecito parlar di problema – non è il thriller in sé, ma l’abuso editoriale che c’è. Non posso voltare l’angolo, che rischio d’esser assassinato dall’ennesimo thrillerista di turno. Li leggo, quando posso: ma mi annoio mortalmente, anche perché tutti uguali. Non ci sono Malet o Izzo, ma soltanto thrillerini sfornati così, dall’oggi al domani, che un senso ce l’hanno ma solo per la tendenza del momento, moda peripatetica. Che poi si urli, indubbiamente: ma a far fracasso son quelli che o i thriller o i noir di oggi, o niente. Intendo dire che urlano più fortemente di tutti gli altri che i thriller li buttano o li leggono con occhio guercio. Così anch’io ho letto Faletti (e m’è pure piaciuto parecchio , che se non altro le idee ce l’ha e sono scritti bene davvero); ho letto Brown anche, molto hollywoodiano e molto pompato dalla critica, sia da quella positiva che da quella negativa. Tanto fa, non me ne preoccupo. Il romanzo, il romanzo come poteva essere anche quello solo di cinquant’anni fa non c’è più, ma semplicemente perché non ci sono scrittori capaci; e se ci sono sono forse costretti (!!!) a scriver thriller per andare incontro ad esigenze di mercato? Sia come sia, di libri buoni, anzi di romanzi buoni ce ne sono: Ugo Riccarelli, “Il dolore perfetto”, Luisito Bianchi “La messa dell’uomo disarmato” (romanzo che non smetterò mai di consigliare), giusto per dire che c’è del buono. Poi molti urlano, inutilmente perché inutili i libri che metton su, almeno per me: ad esempio, Mancassola, ho letto il suo primo, e poi mi son detto, ‘puoi far sicuramente a meno di me’. Poi c’è la critica finta, quella che guarda con occhio di pregiudizio e di censura… quella che parla senza aver letto i libri veramente, ma solo recensioni e chiacchiere. Ma evitiamo per buona pace del mio fegato.
Mancano sicuramente scrittori robusti, come Calvino, Fenoglio, Pavese, Pasolini, Pratolini, Gadda, Cassola, Terzani, ecc. ecc.
Scrittori che non sono rimpiazzabili con dei thriller né con un romanzo criminale – che ora è anche un film thrilleristico, per cui mi son già strappato i capelli, ché quando ho visto cosa ha fatto il regista (Michele Placido) con Dino Campana giuro che se l’avessi avuto in sala gli sarei saltato al collo come minimo e non sarei stato affatto placido. Ma non è questo il problema: che ognuno scrivi pure quel che diavolo vuole, purché non ci sia poi il tentativo di spacciare la robetta per letteratura con “L” maiuscola, ma con l’astuzia di dire che è intervento divino d’un progetto epico mitico mitopoietico costituito da quando già i persiani fino ai greci e ai romani per toccare le corti dell’est e bla-bla-bla.
Be’, pure io vado a dar da mangiare ai miei polli, che oggi son tutti starnutiti: col tempo che tira, pioggia e pioggia, po’relli!
g.i.
P.S.: No, m’assicura che un fratello non ce l’ha e nemmeno amici, perché l’uonico uomo-amico-amante-confessore che ha e che avrà sono io. Però sull’isoletta cubana ci son tanti amici, e forse qualcuno potrebbe esser per te aggradante. 😉
Scriveva Cioran:”In letteratura, tutto ciò che non è spietato è noioso”.
La letteratura serializzata non può che essere noiosa e opaca.
La letteratura serializzata è come i mobili dell’Ikea(sia detto con rispetto),ovvero una letteratura per poveri(di spirito).
OT ma forse vi interessa:
Stasera su rai3 alle 23 c’è il documentario L’isola di calvino con interviste e testimonianze inedite.
A chi interessasse leggersi l’intervista a Inge Feltrinelli (pubblicata ieri su Liberazione) la può leggere sul mio blog
http://georgiamada.splinder.com/post/5756143
georgia
Caro G. I.
nella pausa casalinga ti comunico che, purtroppo, devo ribadire (dandoti immenso dolore, lo so 🙂 il mio giudizio positivo sul giallo, triller, noir (chiamalo come ti pare) Scirocco.
Non è perfetto ha dei momenti ripetitivi e una certa accentrazione culinaria :-), ma è uno dei migliori libri che ho letto quest’anno. Sì, libri, hai letto bene, non generi, non stereotipi, non macchiette.
Fare paragoni con Calvino o con altri non serve a niente, ogni autore singolo o multiplo (ma anche ogni agricola come me credo) ha una sua dignità che può essere messa o meno in discussione, ma che è sterile paragonare a quella del fratttello o del cugggino.
Mi giravano le balle metafisiche (aldilà del mio fisico, cioè) quando dicevano: guarda la tua compagna, lei sì che non sgualcisce i quaderni, si tiene in ordine e non scassa i cabasisi. Lungi dall’incavolarmi con la stronzetta che sorrideva felice, cercavo di capire come dare un calcio alla caviglia della maestra facendo finta che si trattava d’incidente.
Vero è che in genere rinunciavo perchè quelle poche volte in cui avevo provato, la bacchettina di legno non aveva avuto pietà (eh…. non ci sono piu’ le gentili, materne maestre di una volta).
Fine rcreazione.
Ringrazio De Michele per avere messo un bel ditino dentro una storia d’Italia passata e presente, spesso ignorata o volutamente elusa o rimossa o in stato di omertà.
Lo ringrazio per averlo fatto con una bella storia e con personaggi attinti dalla realtà, con ironia e con acume e …vabbè la pausa è finita.
Non la volete chiamare letteratura? no? e chiamatela come vi pare io sono felice che cose così esistano.
besos
P.s.: G.I. il prossimo che vado a leggere è Romanzo criminale, dopo qualche assaggio mi spiace annunciarti che sto per darti un altro dispiacere:-)
Ma che ci posso fare io se della realtà si ha il coraggio di scrivere (e, a volte, bene)solo dentro i ‘generi’?
a stefano
non credo che tutti i romanzi di genere (ammettendo che i generi esistano) siano difendibili, ma non sono difendibili neanche tutti i romanzi cosiddetti ‘colti’. Si potrebbe sempre tornare a parlare di libri scritti bene o male, interessanti o no, che dicono qualcosa o che tacciono con classe.
Io poi sono pure povera e francamente, ti dirò, a volte non posso neanche comprare Ikea. Però riesco a trovare oggetti all’apparenza banalotti (spesso di buona qualità), che con un minimo di accostamento o sistemazione diventano molto interessanti. Non ho ancora trovato un motto lapidario per definirmi. Ci vuoi provare?
ciao
@ SPETTATRICE
Cara Spettatrice,
io un po’ bagnato – per via della pioggia e di me sotto la pioggia. Comunque, particolari. Ma che non fanno la differenza.
Al sodo: mi sembra d’esser stato chiaro, che ognuno legga ciò che gli pare, non sarò di certo io a impedirglielo, però mi sa che qui non si sa proprio distinguere fra Mercuzio e Mina. E più grave non si guarda alla sostanza, né ci si interroga troppo a fondo sul valore, il solito domandarsi importante, vitale “questo vale e quanto vale”. Ma che ognuno legga pure ciò che vuole. Io ho già speso sin troppo tempo dietro ai thriller e alla serialità che è oggi imperante e che fa pure la parte della vittima: allora visto che i thrilleristi si sentono vittime, o perlomeno fanno (recitano) ‘sta parte, che possano rimaner inchiodati per sempre sul loro Golgota, ma non ci sarà resurrezione per nessuno dopo i tre giorni. I cani non risorgono, e nemmeno i mortali. Vado a occuparmi di Letteratura seria, con cinismo, nichilismo e divertimento: sì, torno a Houellebecq, e gli darei un bacio non fosse per il fatto che non è nello spirito dell’isola. Non è una questione di generi: è saper riconoscere un Céline da un Guareschi, ad esempio. Se proprio si deve guardare ai generi, bene, anche all’interno di essi c’è del bello, ma di più assai sono le schifezze. Bisognerebbe proprio saper distinguere fra Mercuzio e Mina, ma non ce la si fa proprio.
Ho perso troppo tempo, troppo davvero: ti spiace se chiudo qui, un finale scontato, thrilleristico? E’ che vorrei leggere qualcosa che mi piace, che è bello – manifesto pubblicitario compreso -, e poi stasera darmi alla vita…
Io ringrazio invece Giorgio Faletti e Michel Houellebecq. E i già citati Beppe Fenoglio, Italo Calvino, Cesare Pavese, ecc. ecc. Oramai dovresti/e aver capito com’è che la penso.
Buona serata a Tutti/e
g.i.
A parte Giorgio Faletti e Michel Houellebecq, di cui so poco, puoi ringraziare gli altri anche da parte mia?
il fatto che a me piacciano dei giallonoirtrilleristi o di altri generi non esclude certo scrittori (eccellenti, immortali, grandissimi) che non lo sono o che comunque non vengono (o non vengono piu’) considerati tali.
Perchè dovrei pensare che dal momento che mi piace il Camilleri di qualche Montalbano, ma soprattutto del non Montalbano, questo mi precluda altre pietanze?
Se dovessi mangiare caviale o ostriche (non temete, sono sempre agricola è solo che sono i primi cibi d’elite che mi vengono in mente) tutti i dì credo che ne avrei le palle (sempre metafisiche, eh) piene.
Nella mia concezione di arte e cultura ci stanno i manufatti degli esseri umani dai piu’ scadenti agli egregi. Sono un linguaggio che comunica ed elabora a vari livelli, ma tutti, (spesso soprattutto quelli condiderati marginali o infimi) portano un qualche significato. Per questo detesto la puzza sotto il naso anche se con questo non voglio fare nè l’elogio della serialità, nè dire che tutto è uguale a tutto, nè l’apologia della restaurazione o dell’industria culturale e delle sue storture…che poi i VMO s’incazzano :-).
G.I. In ultimo, anche se volessi condividere la tua ostinata vocazione a individuare per forza il Meglio, non potrei con tale ‘assolutezza’. Ci penserà il tempo umano a sfoltire la schiera e a far sopravvivere i manufatti capaci (per forma, signifcato,storia, ecc…) di superare il contingente. Per il momento, nel piccolo, curo il mio orticello contemporaneo assaggiando cibi possibilmente sani e snobbando un pochino le ostriche o lo ssssiampagne, che non sempre sono buoni e freschi e che non nutrono certo meglio di sapori ‘piu’ artigianali.
Adesso che mi sono qualificata in tutta la mia rozzezza, vi saluto.
besos
Cara Spettatrice,
la faccio breve – perché mi sono annoiato e ho altro da fare e al tempo gli do valore, molto valore – ringrazierò gli autori, sì, quelli lì, i classici anche per te, ma credo che tu l’abbia già fatto molto meglio da te. Dirò, non ho certezze: ma come dice bene Stefano (qualche commento sopra) un mobile Ikea rimane tale e non sarà il tempo a farlo diventare un pezzo di arte. Ma comunque, ripeto, ci mancherebbe altro: se ti piacciono Ikea e i thriller che s’aggirano in giro colla faccia mascherata del killer seriale, per me non c’è problema, non sarò di certo io a impedirti di leggerli. Coi VMO io non c’ho nulla a spartire, proprio un cazzo: esistono libri scritti bene e libri scritti male, e da molti anni a questa parte quelli seriali. Si fotta la Restaurazione, il suo contrario, e tutte ‘ste fregnacce: mi firmo col mio nome, perché ho la mia di identità, e non mi servono 101 identità diverse per fare danni in rete. Odio chi si maschera dietro 101 nickname, odio il concetto che non assolvo né comprendo perché è idiozia da bambini quello delle identità fittizie. Sterile dire NeoRestauratori, anti-questo e anti-quello- Quindi, libri scritti bene, libri scritti male, libri seriali. Dei primi non se ne può fare a meno (si spera almeno), gli altri li lascio a chi li vuole.
Come vedi so ben essere rozzo pure io. 😉 Ma c’è che la necessità prima è quella d’imparare a distinguere fra Mercuzio e Mina. Tutto il resto son cazzate, da intellettualoidi stronzi e annoiati e incazzati, o semplicemente coglioni come me. Ma la necessità è quella di distinguere fra Mercuzio e Mina, dare ai libri il loro valore, leggerli per il loro valore, saperli distinguere, perché c’è differenza, tanta, fra un vino pregiato e un barbera in brick. Ma nessuno ti nega di farti il brick se ti gusta. A me non troppo.
Ora vado a finir di leggere Topolino sulla tazza del cesso: m’aiuta, e mi diverte pure. Sì, non ti preoccupare, c’è anche una copia di Playboy e una copia almeno di Cento colpi di spazzola, non sono così sprovveduto. ^____^”’
Ok, grezzo per grezzo, credo d’avertene dato un saggio se non grande corrispondente almeno alla circonferenza della mia pelata. ;-D
Besos
g.i.
Quale pelata?
a Spettatrice.
tra le opere di genere, pongo anche i romanzi che tu definisci colti,e che spesso sono solo noiosi.Romanzi di genere e romanzi colti sono, nell’odierna civiltà commerciale,niente più che prodotti come gli altri;come ad esempio i mobili dell’Ikea.
La loro povertà è dovuta solo al fatto che sono merce e nulla piu.Un autore che dovesse solamente rispondere ad esigenze di espressione, potrebbe benissimo, e con maggior efficacia,dire ciò che gli preme dire in dieci pagine, invece che in 300. Tutto ciò che si pubblica, o quasi, è solo merce, e per ciò stesso deperibilee intercambiabile.
Per quanto riguarda il definirti,spero che tu non sia affatto definibile in modo lapidario. Spero, per me stesso e per te,che si sia persone difficilmente definibili, complesse, sfaccettate, e quindi difficilmente imprigionabili in facili categorie.
Buona serata.
L’unica cosa seria detta da Peppe in questa lunghissima filippica è che lui non ha bisogno di nicknames per fare danni in rete. Anche se lui non tiene conto di un fatto: il suo nome-cognome, anche se registrato all’anagrafe, è comunque un nickname. Peppe (al pari di chiunque trascorra quasi tutto il tempo di vita nella blogosfera) è un “personaggio” prima che una persona, recita una parte 24 ore su 24, e aggiungo anche che da un po’ di tempo tende a farsi l’autocaricatura. Niente di male, ognuno ha il diritto di vivere come può, per questo una cosa mi piace e quell’altra no. L’importante è ricordarsi del refrain: la verità ti fa male, lo so.
A proposito dei VMO, se ne parla qui e io ho detto la mia:
http://www.vibrissebollettino.net/archives/2005/09/tanti_anni_fa_c.html
Su VMO.
Come si diceva un tempo a proposito del rapimento Moro: dietro ci sono delle menti Raffinatissime.E non si sa ancora quanto questo fosse vero…