LA BELLA ESTATE DEL 1992, QUANDO I GIORNALI CAMBIARONO SE STESSI

Ho già fatto riferimento a questo articolo. L’ho scritto per Repubblica il 9 settembre 1992. Di Internet non si parlava (non a livelli di massa), e i social erano al di là dall’essere pensati. In ambito giornalistico, dunque, non si poneva la questione di come attirare i lettori della rete verso il cartaceo, oppure di rincorrere i medesimi per far loro visitare una testata on line. Non esistevano colonnine di destra, gallerie fotografiche, test, il click baiting era un bizzarro gioco di parole (anzi, non era affatto).
Eppure, cominciava a porsi la questione del linguaggio e della sua mutazione. Eppure di nuovo, cominciava a cambiare la scelta delle notizie. Ci sto riflettendo parecchio in questi giorni: perché, di contro, in ambito narrativo si delinea l’interesse verso la cosiddetta via ibrida, che innesta il linguagio letterario nel reportage, o viceversa, rafforzando entrambi. La sensazione, insomma, è che in quel 1992 si è innescato il processo che oggi è sotto i nostri occhi.
Ps. A proposito di reportage, domani sera sono a Udine per conversare con David Van Reybrouck, autore di “Congo”, premio Terzani 2015.

C’ era una volta (e neanche tanto tempo fa) una barriera che distingueva l’ informazione in austera e frivola, in quella destinata a restituire, attraverso la stampa quotidiana, una fotografia del reale e quella che all’ obiettività preferiva il teleobiettivo, da puntare su abbracci clandestini e tintarelle scollacciate.
Come se, in anni di ideologie forti, il giornalismo “serio” avesse ripudiato con decisione l’ originaria e comune venatura pettegola, delegata una volta per tutte agli specialisti del settore: quei rotocalchi popolari che, scelto un bersaglio (nella stragrande maggioranza dei casi proveniente dal mondo dello spettacolo, e laureato Vip proprio dall’ attenzione dei quotidiani), ne scandagliavano il privato, spesso reinventandogli una personalità a forza di fotografie rubate e congetture maliziose. E là si chiudeva il cerchio, lasciando magari aperta la possibilità di suscitare curiosità in qualche intellettuale amante del kitsch: ma niente di più.
Oggi questo sistema di vasi comunicanti è stato ribaltato: e, con forza maggiore nell’ estate appena trascorsa, i rotocalchi scandalistici sono divenuti serbatoi per le prime pagine dei quotidiani, dediti con improvvisa sollecitudine ai teletopless, agli adulteri coronati, agli amori fra regista- patrigno e figliastra-aspirante attrice.
Cambia la richiesta da parte del pubblico o cambia la mentalità di chi fa informazione? Per Santi Urso, vicedirettore di quel Novella 2000 che si è rivelato il più saccheggiato fra i rotocalchi rosa, il fenomeno è sempre esistito: “Dobbiamo andare indietro di vent’ anni per non trovare sui quotidiani la notizia privata: mi rifiuto di credere che se il caso Allen fosse scoppiato, poniamo, nel 1987, non avrebbe avuto le prime pagine. E’ vero, semmai, che l’ ultima estate è stata fitta di avvenimenti. In sole tre settimane abbiamo avuto il bacio di Brigitte Bardot con il collaboratore di Le Pen, il piede della Ferguson e il topless di Lilli Gruber: è come vincere alla lotteria tre volte di seguito. Del resto, il costume si è modificato insieme alla società: nella seconda guerra mondiale Life metteva in copertina i carri armati. Se oggi in copertina c’ è il topless, questo è sintomo di pace e di libertà. E non necessariamente di frivolezza. L’ adulterio di Sarah, nel suo campo, ha una pertinenza paragonabile a Maastricht. Se non andasse in prima pagina, vorrebbe dire che è in atto una crisi gigantesca: una guerra, o qualcosa del genere. Ma ora come ora, se fossi il direttore di un quotidiano e dovessi pubblicare una foto di un somalo o una della Gruber, metterei senza esitare la Gruber. Anche la Gruber, magari: una foto così allontana l’ ansia”.
Semmai, per Urso, i veri problemi sorgono quando a trattare certo materiale sono i non addetti ai lavori: “Quello che mi ha stupito in modo terrificante, e su cui mi piacerebbe interpellare l’ Umberto Eco della Fenomenologia di Mike Bongiorno è la storia dell’ alluce di Sarah Ferguson, su cui sono stati imbastiti fior di servizi. Ma non esiste nessun alluce: il suo partner le ha semplicemente baciato la pianta del piede. Non meno erotica, d’ accordo, ma di alluce non si parla: la foto è chiarissima”.
Paolo Mosca, direttore del periodico rivale Eva Express, cita invece come determinante il caso Allen: “Perché, avendo come protagonista il regista- simbolo dell’ impegno, ha unito pubblico culturale e pubblico ‘ rosa’ , l’ intellettuale e il pettegolo; ognuno appagato da due diversi modi di trattare la notizia: quello del sociologo e il nostro, che avevamo, per altro, già anticipato sei mesi fa la rottura fra Allen e la Farrow. Bisogna poi considerare che l’ informazione italiana si sta inglesizzando, e che si va dissolvendo la distinzione provinciale fra informazione di serie A e informazione di serie B. I telegiornali sono stati i primi ad adeguarsi e dare ampio spazio al cosiddetto ‘ rosa’ , anche se sarebbe più corretto parlare di notizie non di impegno politico, ma di rilevanza sociale. I tradimenti coniugali di Sarah e Diana hanno il loro risvolto di costume, denunciano che non esistono più aristocratici in grado di sostenere la seriosità della monarchia. Se anche i quotidiani si rendono conto di questo, è un fatto che serve a noi e a loro, e che fa guadagnare pubblico alla carta stampata rispetto alla televisione”. Che, per Mosca, è la causa prima del miscelarsi dei due pubblici: “Con il telecomando si passa tranquillamente dalla tribuna politica allo sport e al varietà. Il lettore non vuole più un ‘ canale’ solo. Trasferisce la stessa filosofia, la stessa decodifica del reale, dal piccolo schermo ai giornali”. Sede naturale, per Urso, della chiacchiera: “Mi dia un’ altra definizione di giornalismo che non sia pettegolezzo. La differenza è che in questo mestiere si può scegliere tra raccogliere voci o veline. Ma davanti al pettegolezzo io mi alzo in piedi: non avremo, come i francesi, un Voltaire cui fare riferimento, ma chi lo taccia di scarsa dignità culturale è in errore. E non sa coglierne l’ ironia”.

2 pensieri su “LA BELLA ESTATE DEL 1992, QUANDO I GIORNALI CAMBIARONO SE STESSI

  1. E a proposito di reportage “narrativo” Congo mi sembra un risultato molto ben riuscito..
    Terzani, Kapuscinski e ora Van Reybrouck.
    Sì la rete va benissimo per la meta-informazione, ma vuoi mettere questi esempi di straordinaria storiografia letteraria?
    Udine è la mia città e domani ci sarò

  2. Sarebbe persino condivisibile il punto di vista di Paolo Mosca se non fosse che quella “benefica (secondo lui) contaminazione di giornalismo di serie A e di serie B” ha ucciso quasi completamente il primo amplificando il secondo a tal punto da essere diventato di serie Z. L'”inglesizzazione dell’informazione” da noi è stata talmente radicale e squilibrata verso la “serie B” da non avere ormai quasi più informazione ma solo chiacchiericcio e pettegolezzo!! Con ricadute pesanti sulla vita pubblica e su quella privata: la tanto diffusa microfama vi dice nulla? Non è forse una autoemulazione casalinga di massa di ciò che facevano i VIP e di ciò che facevano i “giornalisti” di Novella2000 & co. con tanto di (pericolosa) compressione della riservatezza e della privacy?

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