“Questi slavi bisogna eliminarli, ma col benefizio, col progresso e colla civiltà”. (Il giornale di Udine, novembre 1866).
“Nell’Istria la lotta nazionale è una fatalità che non può avere il suo compimento se non nella sparizione completa di una delle due razze che si combattono” (Ruggero Timeus, Scritti politici 1911-15)
“Trattasi di zingari socialmente pericolosi, tutti di origine slava, senza stato civile ben definito, per cui si propone che essi siano internati in un campo di concentramento”. (30 marzo 1941: lettera del prefetto di Trieste al Ministero degli Interni su un fermo di zingari eseguito a Gemona).
“Siamo appena appena vivi. La salute è debole. Qui muoiono specialmente gli uomini e i bambini. Noi lottiamo tra la vita e la morte.” (Lettera da Gonars, inverno 1942-43).
E’ uscito un libro importante: non soltanto per quanto riguarda la ricostruzione storica, ma (forse soprattutto) per comprendere, attraverso un violentissimo rispecchiamento, la spaventevole mutazione che ci riguarda, qui ed ora.
Si chiama Lager italiani (sì, esattamente come il bel libro che Marco Rovelli dedicò agli attuali CPT), Lo pubblica Nutrimenti. Lo ha scritto la storica Alessandra Kersevan. Racconta gli eccidi, le stragi, i saccheggi compiuti dagli italiani nei confronti degli slavi dopo il 1941. E la creazione di campi di concentramento dove, fino all’8 settembre 1943, vennero internati a decine di migliaia donne, uomini, vecchi, bambini. Dopo essere stati rastrellati nei villaggi bruciati con i lanciafiamme.“Lo scopo di Mussolini e del generale Roatta, l’ideatore di questo sistema concentrazionario, era quello di eliminare qualsiasi appoggio della popolazione alla resistenza jugoslava e di eseguire una vera e propria pulizia etnica, sostituendo le popolazioni locali con italiani”.
Montenegrini, albanesi, serbi. Ma anche rom. Anche ebrei. Moriranno a migliaia. A Gonars. Arbe. Treviso. Padova. Renicci. Colfiorito. Cairo Montenotte. Fiume. Visco. Fraschette di Alatri. Melata. Mamula. Zlarin. Antivari.
A dispetto di quella che Kersevan definisce l’immagine del “bono italiano” che continua ancora oggi a sopravvivere “al di là di qualsiasi prova delle efferatezze, degli eccidi, degli incendi e bombardamenti di villaggi, della deportazione di intere popolazioni, persino dell’uso di gas, come è successo in Etiopia, perpetrati dall’esercito italiano”.
A chiosa, le parole pronunciate ieri dal commissario UE Vladimir Spidia: “La storia europea ci insegna che razzismo e intolleranza portano alla catastrofe. Se non facciamo nostra la lezione della storia, siamo destinati a rivivere la stessa catastrofe”.
A ulteriore chiosa, due link: un bell’articolo di Beppe Sebaste, La vita nuda dei rom. E gli Appunti sul Paese Semplice di Wu Ming.
Già, c’è proprio da dire “italiani brava gente…”!
mica tanto…
Ricordo un articolo del Resto del Carlino di qualche anno fa, polemico con la Francia, in cui si parlava dei “francesi che consegnavano ai nazisti gli ebrei mentre gli italiani li nascondevano”. Questo sull’onda lunga delle innumerevoli fiction dedicate a italiani “buoni” (e magari anche fascisti) che rischiavano la vita per salvare i poveri ebrei.
Questa narrazione andrebbe sfatata, ma sappiamo benissimo che finché le testimonianze dei comportamenti disumani resteranno su carta non potranno competere.
stai a vedere che per colpa di una maggioranza plagiata dal sistema incapace di discernere le proprie percezioni i nostri nipoti passeranno i prossimi decenni a festeggiare nuove giornate della memoria per non scordare di quando scaricammo a bordo strada una moltitudine di fratelli storditi dalle sirene,rei di essere stati quello che furono
E’ incredibile quello di cui siamo capaci..
Scatenare gli istinti più bassi di tutto un paese porterà a conseguenze che neppure immaginiamo..
Ecco, ad esempio, una breve notizia che “casualmente” non ha avuto la eco televisiva e mediatica che avrebbe avuto se uno dei protagonisti fosse stato un rumeno..
Due settimane fa, a Bolzano, un fonico di Cosenza, in tournè con Massimo Lopez, è stato accoltellato insieme con un suo collega a pochi passi dal teatro dove si sarebbe tenuto lo spettacolo, A CAUSA del suo accento, del suo essere calabrese, quindi diverso, quindi da eliminare..
Magari nella testa dei suoi assalitori riecheggiavano i luoghi comuni che sentiamo quotidianamente in tv: “Ci rubano il lavoro”, “Non siamo più padroni in casa nostra”, “Chi viene per delinquere”…
Per fortuna il giustiziere della notte era alle prime armi, ed il ragazzo è potuto tornare a casa, da sua moglie e dalla sua bambina.
Sono nata e cresciuta tra Gorizia, Trieste e Udine. Circondata da parenti istriani, croati, friulani che, ognuno nel proprio dialetto, mi raccontavano la loro guerra, le loro foibe…
Ricordo le discussioni – accesissime – che si scatenavano quando ci riunivamo tutti in occasione delle feste.
Ricordo il silenzio dei libri di testo e degli insegnanti sulla storia che ci eravamo appena lasciati alle spalle. Ma ricordo anche che, da quel confronto frequente e serrato tra persone che avevano fatto scelte ideologiche diverse, scaturivano dubbi, si incrinavano presunte certezze, e, alla fine emergevano alcune verità di fondo sulle quali tutti si trovavano d’accordo.
Da quel mondo infantile, così variegato e ricco, ho tratto il mio odio verso la guerra, il vizio del dubbio, il rispetto per la sofferenza di chi ha subito
ma, soprattutto l’abitudine a convivere con la diversità senza sentirla attentato alla mia sicurezza, ma occasione, anche se faticosa e difficile, di confronto.
Falilulela