Esattamente due anni fa, ho scritto un articolo per Lo stato delle cose su Castelluccio di Norcia e il Deltaplano: lo trovate qui e riassume quel che c’è da dire sulla vicenda. In poche parole: un paese, tuttora in briciole, è stato ignorato in esclusivo favore della sua vocazione turistica, che dura pochi giorni l’anno peraltro, e che non porta, a sua volta, che briciole. Non sono briciole 25.000 turisti ogni domenica di giugno e luglio, dirà qualcuno. Forse no. Ma ancora una volta bisognerebbe riflettere sul gioco e la candela. Non parlo solo del vandalismo inarrestabile di chi calpesta i campi coltivati a lenticchie per un selfie tra i fiori. Parlo proprio dell’impossibilità di reggere un flusso di visitatori di quelle dimensioni, senza regolamentazione, piglia e acchiappa, mordi e fuggi, laddove il luogo, diceva Lidia Massari in questa lunga discussione di ieri sera su Facebook, è enigmatico ed esclusivo, non per cattiveria o snobismo, ma perché non ce la fa a reggere.
Faccio un altro esempio in zona, anche se siamo nelle Marche e non in Umbria: il lago di Pilato, sotto la cima del Monte Vettore, a 1940 metri di altezza, dove un tempo un muro di cinta teneva lontano gli aspiranti stregoni che vi si recavano, e per scoraggiarli ancor di più si pose una fila di forche lungo il cammino, e si arsero streghe nelle piazze delle città, e per compiacere i demoni del lago si gettarono prigionieri nelle acque, ed eretici vennero fatti a pezzi e i brandelli tuffati nel fondo. Il lago è a forma di occhiale ed è rosso, perché un piccolo crostaceo, il Chirocefalo del Marchesoni, vive solo qui, e di rosso lo tinge.
Anche quello del lago è un equilibrio difficilissimo da mantenere: e ci sono anche incoscienti che ci si bagnano, alla faccia del Chirocefalo. Per fortuna però arrivarci comporta una notevole scarpinata, non si raggiunge in macchina. Dunque il lago è, almeno per un po’, salvo.
Ora, quando si affrontano questi argomenti ci si prende quasi sempre dei moralisti, se non peggio. Perché si ripete il solito mantra: questi luoghi hanno bisogno di turismo, senza turismo muoiono. Bene, bravi. E se muoiono DI turismo, invece? E poi, che turismo è avere 25.000 persone che sgomitano per fare una foto?
Un mio commentatore su Facebook, Roberto Grossi, ha scritto questo:
“Questa è la piana di Castelluccio.
È un posto UNICO nel PARCO NAZIONALE dei monti Sibillini (scusate se urlo).
Ieri volevo, dopo più di dieci anni, tornarci per farlo vedere ai miei figli, approfittando del fatto che è il periodo della fioritura, spettacolo nello spettacolo.
Povero fesso.
Come se nel mondo non fosse successo nulla.
Come se non fossimo in pieno Antropocene.
Due i principali avvenimenti che hanno inciso su questo territorio: il terremoto e INSTAGRAM.
Il primo è un evento naturale a cui sarebbe possibile porre rimedio (in un altro punto del globo magari), il secondo è il male assoluto, la personificazione digitale di Chtulhu, il segnale che stiamo per estinguerci tutti.
Cosa è successo in breve. Si dà il caso che da quando c’è Instagram, la fioritura è diventata una attrazione irrinunciabile. Per il fascino della natura incontaminata direte voi? No, macché, come fondale per i selfie, cioè per poter dire al mondo “guarda IO come sono fico in mezzo ai fiori!”
Quindi ieri c’erano 15 km di coda da ambo le direttrici di accesso alla piana, peraltro non segnalate da Google Maps perché in montagna non c’è campo.
Un ora e passa di coda in cui mi sono sentito come se fossi finito al Papetee per sbaglio.
Appena possibile abbiamo lasciato la macchina e proseguito a piedi (fuggire era impossibile), anche perché sulla strada l’aria era irrespirabile.
solo una piccola parte delle persone ha ovviamente lasciato la macchina per fare qualche km a piedi, perché alla natura bisogna parcheggiargli davanti, come alle pizzerie (isole pedonali merda!).
Quando finalmente, camminando in mezzo ad uno scenario meraviglioso avevo quasi dimenticato la prima tragedia che si stava svolgendo attorno a noi, mi sono imbattuto nella seconda. Il terremoto.
Il terremoto in Italia è quel fenomeno naturale che sebbene sia ormai superstudiato e prevedibilissimo, casca sempre giù dal cielo come un “atto di Dio” in territori dove non si riusciva a riparare una scatola elettrica ma che improvvisamente si possono sventrare come tacchini al forno.
È questa l’unica spiegazione possibile al perché si possano lasciare decine di comuni ancora nella situazione del giorno dopo il terremoto, praticamente abbandonati e si possa invece costruire accanto ad un paese fantasma, una sorta di centro commerciale, uno scempio ambientale, in zona ASSOLUTAMENTE inedificabile.
Quello che ancora non è chiaro è perché, visto che non hai nessun vincolo e non rispetti una cazzodilegge UNA, proprio non riesci a fare UNA cosa una giusta. Come?
Perché devi fare 11 ristoranti in una città fantasma?
Perché dici che li farai temporaneamente e li realizzi in acciaio su platea di cemento, previo sbancamento della montagna? E soprattutto, perché li fai a gradoni in modo da essere panoramici sulla piana e poi li fai in modo che ognuno copra la visuale all’altro.
La risposta secondo me è una.
La butto lì, è solo una teoria per adesso.
Perché c’è Instagram.
Buona estinzione a tutti”.
E dunque vuoi impedire alle persone di esercitare il proprio DIRITTO ad andare a Castelluccio? No. Vorrei però sollecitare anche il DOVERE di preservare le bellezze che abbiamo, e dunque di informarsi attentamente prima di mettersi in macchina, e chiedersi se si arreca danno o no. Perché non è il piatto di pici al tartufo che salva un’economia. Bisogna ripensarla, quell’economia, specie adesso.
Parabola. Quando stavano facendo i lavori per la Quadrilatero, hanno assicurato che avrebbero ricoperto le aree sventrate con prati artificiali, ovvero i PRATI ARMATI® , specializzati nell’inerbimento con le loro piante erbacee C4 “molto rustiche, resistenti all’aridità e capaci di vegetare su qualsiasi tipo di terreno e in ogni clima”, che “mitigano visivamente” l’opera e “reinseriscono nel paesaggio l’area profondamente antropizzata”. Antropizzata significa che gli esseri umani hanno mutato il paesaggio con la loro presenza e le loro azioni, e questo non piace agli esseri umani. Qualche anno fa una ricerca dell’università inglese di Exeter fondata sul social network Panoramio analizzò le fotografie condivise per capire come cambia il valore estetico di un luogo: in particolare, dallo studio di 55 località della Cornovaglia attraverso 113.686 foto, si deduceva che la bellezza percepita varia a seconda della densità della popolazione (meno abitanti, più fotografie) e dell’attività agricola (più è intensa, meno foto). In altre parole: se la condivisione di un’immagine su un social fotografico corrisponde alla valutazione estetica positiva del paesaggio fotografato, significa che la bellezza è sinonimo di assenza di esseri umani o di umane attività, e i luoghi più amati sono quelli dove restano appena le tracce di quelle attività, le chiese, le statue, le moschee, o nulla del tutto, i mari e le montagne e i deserti. Amiamo quello che non siamo riusciti a distruggere ma dal momento che non possiamo fare a meno di distruggere chiamiamo PRATI ARMATI® per rimettere tutto a posto e ricoprire con le piante erbacee rustiche e resistenti che hanno già abbellito, dicono, discariche, cave e miniere. Ma questo non ci mette in pace, perché il risultato ci stringe il cuore come alla Penelope di Ghiannis Ritsos, che si vede tornare a casa non l’eroe che aveva atteso ma un vecchio miserabile, e allora il telaio che fino a quel momento l’aveva aiutata ad attendere proietta “ombre di sbarre sul soffitto”, e gli uccelli che aveva tessuto con fili vermigli tra il fogliame verde, a un tratto,/in quella notte del ritorno, diventarono grigi e neri/e volarono bassi sul cielo piatto della sua ultima rassegnazione.
Gentile Loredana, trovo tutto condivisibile.
Il messaggio di Roberto Grossi però, per quanto sollevi problemi reali, lo trovo un po’ ipocrita. In sostanza lui con i suoi figli era uno dei 25mila che stavano andando in macchina a Castelluccio: LUI però a quanto pare ci andava per un diritto sacrosanto (far vedere la fioritura ai figli) e tutti gli altri invece erano dei cafoni che volevano soltanto fare delle foto da postare su instagram…
Anche ammesso che sia vero, il risultato è lo stesso, mi pare.
Il caro Solitario di Providence, avrebbe – nella mia opinione – assai gradito l’accostamento che lei ha fatto, del suo Cthulhu alle cancerose metastasi della attuale Era della Tecnica. E con il sornione apprezzamento ed assenso di tutti i gatti di Ulthar.
Alfredo
Samuele Galassi sottolinea giustamente il paradosso del turista contemporaneo insito nel post di Roberto. mi sembra ne parli anche houellebeq in qualche libro..), qui più che l’impossibile ricerca di luoghi incontaminati ( che quindi il turista contamina) c’è questa presunzione di avere qualche diritto in più degli altri di esserci. facile immaginare come ogniuno dei 25000 abbia fatto riflessioni simili .. eppure nonostante il paradosso la soluzione ci sarebbe. e semplice; mettere dei valichi controllati intellettualmente che tramite dei test permettono il passaggio ai soli conoscitori de “la disperazione di Penelope” di Ritsos. 🙂 come minimo..
ciao, k.
Di quale “turismo” si parla, di grazia?
Aldilà della evidente (non al suo autore, però) contraddizione del post citato, l’idea di kappa non sarebbe poi così peregrina. Certo, a patto di sviluppare un turismo molto “spalmato” nell’intero territorio del Parco, con una accoglienza basata su piccoli nuclei di b&b e agriturismi (veri) diffusi e sulla ripresa delle “seconde case”. A queste condizioni persino la famosa “variante” potrebbe rappresentare una risorsa e non un ingombro. Ma per fare tutto ciò ci vuole coordinamento e soprattutto una IDEA di sviluppo. Che finora mi pare passi più per gasdotti, oleodotti e colture di noccioleti multinazionali… sbaglio!?