LA FOLLA, LE MESSI, IL FUOCO

Per chi non ha letto la saga della Torre nera di Stephen King, e in particolare La sfera del buio, contiene spoiler. Per chi l’ha letta, o per chi se ne infischia degli spoiler, contiene qualcosa che ci riguarda. Buon lunedì.
Lo stato d’animo degli avventori era confuso e mogio. Erano stati orbati della loro Fiera delle Messi e non sapevano come rimediare. Era ancora in programma il falò e c’erano fantocci a sufficienza da buttare nelle fiamme, ma niente baci delle Messi e niente balli, niente indovinelli, niente corse, niente lotta dei maiali, niente scherzi… niente festa, per dirla tutta! Niente con cui salutare in allegria la fine dell’anno! Invece del tripudio c’erano state uccisioni proditorie e i colpevoli erano fuggiti e ora restava solo la speranza che fosse fatta giustizia, al posto della certezza. Quegli uomini, sbronzi per malumore e potenzialmente pericolosi come nuvole di tempesta cariche di fulmini, avevano bisogno di qualcuno su cui focalizzare la loro attenzione, qualcuno che dicesse loro che cosa fare.
E, naturalmente, qualcuno da gettare nel fuoco come nei giorni di Eld.
Fu a questo punto che, poco dopo che l’ultimo rintocco del mezzogiorno si era spento nell’aria fredda, si aprirono i battenti del saloon e fecero il loro ingresso due donne. Molti conoscevano la vecchiaccia e molti si fecero il segno della croce con il pollice davanti agli occhi per scongiurarne i malefici. Salì un mormorio. Era la donna del Cöos, la vecchia strega e, a dispetto delle piaghe che le costellavano il volto e degli occhi così sprofondati nelle orbite da essere quasi invisibili, era mossa da una vitalità impensata. Aveva le labbra rosse come per aver mangiato bacche di agrifoglio.
La donna dietro di lei camminava adagio, rigida, con una mano premuta sul fianco. Tanto la bocca della strega era rossa, tanto il volto di costei era bianco.
Rhea si fermò al centro del locale oltrepassando senza guardarli i mandriani attoniti seduti ai tavoli di Guardami. Quando fu direttamente sotto gli occhi del Romp, si girò nel silenzio dei presenti.
«La maggior parte di voi mi conosce!» esordì in una voce arrugginita che era quasi uno stridio. «Quelli di voi che non sanno chi sono non hanno mai avuto bisogno di una pozione d’amore o di nerbo da rimettersi nella verga o non si sono mai stancati di una lingua di suocera. Io sono Rhea, la maga del Cöos, e questa signora con me è la zia della ragazza che ieri notte ha liberato tre assassini… la stessa ragazza che ha ucciso lo sceriffo della vostra città e un bravo giovane, sposato e in attesa di diventare padre. Si è presentato davanti a lei indifeso, con le mani alzate, a pregare per la propria vita in nome della moglie e del figlio ancora non nato e lei gli ha sparato! Crudele! Spietata e senza cuore!»
Un brusio più acceso. Rhea lo fece cessare immediatamente alzando i vecchi artigli deformati. Ruotò adagio su se stessa per guardarli tutti, con le braccia sempre levate come un pugile, il più vecchio e brutto che si fosse mai visto.
«Arrivano dei forestieri e voi li accogliete con il cuore in mano!» gracchiò. «Li accogliete e date loro pane da mangiare e loro in cambio vi regalano sciagure! La morte di persone amate alle quali avevate affidato la sicurezza delle vostre strade, il saccheggio nella stagione del raccolto e gli dei solo sanno quali maledizioni per i tempi che seguiranno la fin de año!»
Altri mormorii, sempre più forti. Aveva fatto vibrare la corda della loro paura più profonda: che le sventure di quell’anno si propagassero, avessero a contagiare persino l’ultima generazione dei loro allevamenti che, dopo tante fatiche e speranze, sembrava mostrare il ritorno di una produzione sana nell’Arco Esterno.
«Ma sono fuggiti e non torneranno!» continuò Rhea. «Meglio, dico io, meglio per noi, perché dovremmo lasciare che il loro sangue estraneo infetti le nostre terre? Ma qui è rimasta quest’altra… una cresciuta in mezzo a noi..una giovane donna che ha tradito la sua città, ha voltato le spalle ai suoi simili.»
(…)
«Prendetela!» gracchiò Rhea. «Prendete questa cagna assassina e cucinatela come merita! Charyou tree!»
«Charyou tree!» rispose la folla. Nell’aria rischiarata dalla luna spuntò una foresta di mani avide; poco distante crepitarono i petardi e si alzarono risa eccitate di bambini.
Susan fu prelevata dal carretto e trasferita in direzione della catasta di legna sopra le teste della gente, passata da mano a mano come un’eroina tornata a casa vincitrice dalla guerra. Le sue mani piansero lacrime rosse sui volti assatanati. La luna osservava dall’alto annichilendo la luce delle lanterne di carta.
«Orso e lepre e pesce e uccello», mormorò mentre veniva prima abbassata e poi sbattuta contro la piramide di fascine nel posto lasciato libero per lei. Tutta la calca insieme urlò in coro: «Charyou tree! Charyou tree! Charyou tree!»
«Orso e lepre e pesce e uccello.»
Cercando di ricordare come aveva ballato con lei quella notte. Cercando di ricordare come l’aveva amata sotto i salici. Cercando di ricordare il loro primo incontro notturno sulla strada: Grazie-sai, il nostro è un buon incontro, aveva detto lui e sì, nonostante tutto, nonostante la fine miserevole preparatale dai buoni vicini di casa trasformati dalla luna in mostri assetati di sangue, nonostante il dolore e il tradimento e ciò che ancora l’aspettava, aveva detto il vero: il loro era stato un buon incontro, buono davvero.
«Charyou tree! Charyou tree! Charyou tree!»
Vennero le donne a gettare cartocci secchi ai suoi piedi. Alcune di loro la schiaffeggiarono (non importava più, il suo volto tumefatto e pieno di lividi era diventato insensibile) e una, Misha Alvarez, alla cui figlia Susan aveva insegnato a cavalcare, le sputò negli occhi prima di allontanarsi orgogliosa e impettita, ridendo e agitando le mani al cielo. Per un momento vide Coral Thorin, decorata di amuleti, avvicinarsi per scaricarle addosso manciate di cartocci secchi, che scesero fluttuando su di lei in una crepitante doccia aromatica.
Poi tornarono sua zia e Rhea. Ciascuna con una torcia. Si fermarono davanti a lei e Susan sentì l’odore del bitume.
Rhea alzò la sua torcia alla luna. «CHARYOU TREE!» gridò nella sua vecchia voce arrugginita e la folla rispose: «CHARYOU TREE!»
Allora alzò la torcia Cordelia. «SI MIETANO LE MESSI!»
«SI MIETANO LE MESSI!» gridò il coro.
«E ora a te, puttana», cantilenò Rhea. «Ora avrai baci più caldi di quelli che ti abbia mai dato il tuo amore.»
«Muori, infedele», sibilò Cordelia. «Vita al raccolto, morte a te.»
Fu lei la prima a gettare la torcia nei cartocci impilati intorno alle gambe di Susan fino a coprirle quasi le ginocchia; poi lanciò Rhea. I cartocci presero fuoco all’istante, abbagliando Susan con una vampata gialla.
Si riempì i polmoni di un ultimo respiro di aria fresca, lo riscaldò con il proprio cuore e lo lanciò in un urlo di sfida: «ROLAND, VI AMO!»
La folla si ritrasse mormorando, come se a disagio per ciò che aveva fatto ora che era troppo tardi per disfarlo; davanti a loro non c’era un pupazzo di paglia, davanti a loro c’era un’allegra fanciulla che tutti conoscevano, una di loro, che per qualche folle ragione era stata gettata nel falò della Notte delle Messi con le mani verniciate di rosso. Avrebbero potuto salvarla se avessero avuto un istante ancora, e forse qualcuno l’aveva, ma era troppo tardi. La legna secca prese. Presero i suoi calzoni. Prese la camicia. I suoi lunghi capelli biondi si accesero intorno alla sua testa come una corona.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna in alto