LA FRAGILITA' DI MIA MADRE, LA MIA, LA NOSTRA.

Tra i racconti che faceva mia madre, quello che mi colpiva di più era la storia del bombardamento, che poi ho raccontato in Pupa. Era una ragazza di diciotto anni, mia madre, era in Libia da quando ne aveva uno, figlia di coloni siciliani, e un giorno bombardarono, dal mare e dal cielo. Quella volta la sua famiglia non andò al rifugio sulla spiaggia, ma in una grotta. Mia madre si affacciò a guardare i razzi di illuminazione prima che le bombe venissero sganciate. Qualcuno la tirò dentro. Una scheggia gigantesca si conficcò nel punto esatto dove lei si era fermata. Il rifugio sul mare venne bombardato: morirono tutti.
Come si poteva, pensavo io, vivere con la consapevolezza di poter essere colpiti (da una bomba, dalle mitragliatrici che sventagliarono il tram dove lei si trovava, già rientrata a Roma)? Come si poteva, mi chiedono a volte amici più giovani, essere ragazzi negli anni Settanta, ed era già molto, molto, molto diverso, molto meno fragile quel tempo, quando i treni saltavano in aria e le pallottole fischiavano nelle piazze?
Per noi è stato più facile. Per la generazione dei miei genitori no: mio padre aveva vent’anni quando andò in guerra, in Grecia, e dal diario che teneva nella sua bella calligrafia che avrebbe conservato fino alla morte leggevo di ponti da attraversare sotto le pallottole, di incertezza continua, di consapevolezza collettiva della fragilità.
E’ vero, quella consapevolezza l’abbiamo smarrita tutti. Siamo cresciuti nell’idea di un vitalismo a oltranza, di una super-efficienza da dimostrare a ogni costo, di un’idea di presenza e performance da onorare: anche, vorrei dire, per portare a casa qualcosa che somiglia a uno stipendio, perché ci vogliono allegri, in forma, vivissimi, nient’affatto fragili, ma nella stragrande maggioranza dei casi affamati, e in serissima, crescente difficoltà nel far fronte agli oneri e alle responsabilità che pure ci prendiamo.
Questa volta, nella crisi più grave mai attraversata dalla fine della seconda guerra mondiale, lo smarrimento è enorme. Non sappiamo come reagire, restiamo svegli nelle ore della paura, fra le tre e le quattro del mattino, chiedendoci cosa sta avvenendo, e come mai questa cosa imponderabile capita proprio a noi, e non stavamo, fino a quindici giorni fa, facendo progetti e prendendo appuntamenti e viaggiando come se nulla fosse, un poco in affanno, magari, ma quietamente onnipotenti?
Ogni volta che un’epidemia colpisce, colpisce a sorpresa, e ogni popolazione si pone, nel passato remotissimo come oggi, la stessa domanda: perché noi? E subito dopo si dice: non durerà. E dopo ancora si consola: non capiterà a me e a nessuno dei miei cari. Non funziona così, e quello che è avvenuto nel tempo dovrebbe insegnarcelo, fatte salve le differenze, il progresso medico e tecnologico e l’overdose informativa. Può capitare, è molto possibile che capiti. Per questo sto provando, nel mio piccolo, a ricacciare indietro la paura, e trasformarla in consapevolezza, e dunque in prudenza. Stiamo cambiando, siamo già cambiati, cambieremo ancora. Accettiamolo, agiamo con la cura che dovremmo aver avuto sempre, ogni volta che una fragilità degli altri si evidenziava, e che non abbiamo avuto. Adesso, dobbiamo.

2 pensieri su “LA FRAGILITA' DI MIA MADRE, LA MIA, LA NOSTRA.

  1. Condivido racconti analoghi che mi tengono compagnia e mi confortano in questa mia città diventata zona rossa. Mia madre poco più che bambina che ,in bicicletta,portava cibo al papà partigiano, gettandosi nei fossi al passare di un aeroplano.Mio padre che riesce a sfuggire con calma sorprendente , da un treno che lo avrebbe portato in Germania. E io? Ho paura .Ho perso quel coraggio.Un’occasione, questa dell’isolamento, se tutto va bene , per riflettere , per trovare in noi nuove risorse.Sperando che serva e che cominciamo tutte/i a “vedere”.

  2. Gentile signora Lipperini,
    seguo da tempo Le sue rubriche di raitre e sento il bisogno di ringraziarLa per la calorosa presenza e la compagnia che mi ha donato in questo difficilissimo periodo , dove, concordo con Lei , TUTTO è CAMBIATO , dove è tempo per accogliere la Paura e di guardare al mondo non come certi esempi mediatici vogliono , ma solo nel rispetto del nostro sentire.
    La paura può alterare la nostra più profonda e vera natura , il silenzio e la pausa di questo periodo imposto devono farci comprendere la giusta strada.
    La sofferenza ha valore solo se riusciamo , a mio avviso, a prendere insegnamento di ciò che profondamente sbagliato, ma è inutile solo quando ci allontaniamo dal cuore e dagli ultimi, con stima .
    Barbara,Cremona.

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